mercoledì 9 maggio 2012

A Japanese Dream

C’è una ragione ben precisa per queste settimane di silenzio-blog. La ragione è la più giustificabile di tutte: si è finalmente realizzato il sogno di tutta la vita: un meraviglioso viaggio nel Giappone dei samurai, delle geishe, dei ciliegi, della cultura e dei divertimenti. Due settimane intense, alla scoperta delle antiche tradizioni del Sol Levante, devastati dalla fatica dovuta a tappe forzate ma allietata dalla scoperta di emozioni difficilmente eguagliabili altrove. Cercherò quindi di mettere per iscritto qualcosa, prima che i ricordi si affievoliscano e i contorni si sfumino. Ancora una volta, noteranno i puristi, questo blog se ne va in off-topic. D’altra parte, come ho sicuramente già scritto altrove, più che una “piccola antologia del gotico” (perché mai ho intitolato così questo blog?) si tratta di una raccolta di ricordi, di emozioni e, last but not least, di una serie di recensioni di film (più che altro giapponesi) e di musica (più che altro metal). Miei compagni di viaggio in questa incredibile avventura sono stati, in rigoroso ordine alfabetico: - Alessandro, massimo conoscitore, suo malgrado, della città di Osaka - Christian, invidiato vincitore di due settimane extra - Doru, il samurai dell’est dall’animo generoso – Jvonne, vera anima del gruppo, capace di parlare senza interruzione per due settimane di fila, anche quando la fatica aveva già ormai stremato il resto del gruppo – Laura, discriminata dagli albergatori per via dei suoi tutto sommato discreti tatuaggi e della sua singolare capigliatura - Michele, vittima del marketing giapponese, l’unico in grado di pagare trenta euro per una fotografia - Simona, mia compagna di vita e di decine di altri viaggi ai quattro angoli del mondo – Simone, il nostro fotografo ufficiale - Sonia, dalla quale attendo ancora di vedere le sue piccanti immagini in costume – Stefano, che svettava in mezzo al gruppo così come il maestoso Fuji svetta sulle altre montagne e, naturalmente, - Ursula, il nostro impagabile Cicerone che non mi stancherò mai di ringraziare.

Un gruppo decisamente eterogeneo, a volte disunito nell’inseguimento dei propri interessi, ma certamente un gruppo che ha raggiunto subito un alto livello di affiatamento, aspetto che ha aggiunto a questo viaggio quel qualcosa in più che lo renderà memorabile. Volentieri cito anche gli amici giapponesi che si sono uniti a noi in quest’avventura: il buon Hirata, che purtroppo non sono riuscito a salutare prima della partenza, l'incredibile Yoshikuni, profondo conoscitore del nostro cosiddetto Belpaese, il silenzioso Yoshihito, tutto preso dal suo pazzesco traduttore Casio, il geniale Sora, che ci ha accompagnato fino a Narita il triste giorno del rientro, e poi naturalmente Hanana e Mai, tanto belle quando simpatiche e gentili, e tutti gli altri dei quali non ho avuto modo di approfondire la conoscenza.

I giapponesi sono un popolo meraviglioso. Un popolo orgoglioso, fiero delle proprie tradizioni, che va diritto per la propria strada, incurante di tutte le sventure che storicamente lo hanno colpito: guerre, incendi, tsunami e terremoti non hanno potuto minimamente scalfire la loro positività nei confronti della vita. Tutti i giapponesi che ho incontrato si sono rivelati essere generosi ed ospitali. Ricordo che un giorno, mentre leggevo perplesso un’incomprensibile mappa dei trasporti pubblici, si avvicinò un giapponese e mi offrì il proprio aiuto, accompagnandomi personalmente, su e giù dalle scale mobili, fino alla banchina della linea metropolitana corretta. In qualunque altro paese sarei ancora là a cercare di decifrare quella maledetta mappa. Un’altra caratteristica dei giapponesi che salta subito agli occhi è la bellezza. I giapponesi brutti pare non esistano: volti stupendi e fisici asciutti sono una caratteristica comune a tutti, uomini e donne, senza distinzione. Ho scattato una montagna di foto di volti di gente comune, intenta nelle loro attività quotidiane: gente che attraversa la strada, gente che prende l’autobus, ma soprattutto gente (quasi tutti) con gli occhi fissi sul display del proprio cellulare, che si muove come ipnotizzata senza quasi accorgersi di quello che li circonda. Milioni di persone che si muovono all’unisono in città spesso caotiche, tutti ordinatamente in fila, tutti rispettosi di regole a volte assurde, come il divieto di fumare per le strade (attività tuttavia eccentricamente ben vista al chiuso di bar e ristoranti).

Chi pensa poi, by the way, che la cucina giapponese sia sinonimo di sushi e sashimi si sbaglia di grosso. Ho assaggiato prelibatezze che non pensavo nemmeno potessero esistere: il Ramen (tagliolini cotti in un brodo di carne e serviti in una grande ciotola assieme a germogli di soia e a diversi altri ingredienti), il Tempura (piatto misto di pesce, crostacei e verdure passati in una pastella non grassa, soffice e leggera, e poi fritti), i Soba (tagliolini di grano saraceno), gli Udon (spessi tagliolini bianchi di farina di frumento), il Tonkatsu (cotoletta di maiale impanata e fritta) e soprattutto l’Okonomiyaki, una pastella base di cavolo e altre verdure, con carne o pesce, servita su una piastra calda posta in mezzo al tavolo, con la quale ai commensali viene lasciato il compito di completare la cottura. Accompagnano le pietanze fiumi di birra (biru-biru), litri di sakè e l’onnipresente tè verde.

Tornando all’orgoglio giapponese, impossibile non lasciare il cuore ad Hiroshima. La cupola della bomba atomica (Genbaku Domu) e il vicino Parco della pace lasciano un senso di smarrimento ma rimane anche un senso di speranza grazie alla fiamma della Pace, che sarà spenta solo quando l’ultima arma nucleare scomparirà dalla faccia della terra, e al Monumento per la Pace dei bambini, dedicato a Sadako Sasaki, una bambina morta di leucemia che, quando scoprì di essere malata, all’età di 11 anni, nel 1955, decise di fare 1000 gru di carta: in Giappone infatti la gru è simbolo di longevità e felicità, e la bambina era convinta che, se fosse riuscita a realizzare l’obiettivo che si era prefissata, sarebbe guarita. Purtroppo morì prima di compiere l’impresa, che fu portata a termine dai suoi compagni di classe. La storia di Sadako ha profondamente commosso il paese e spinto moltissime persone, da tutto il mondo, a realizzare gru di carta che ancora oggi vengono appese al monumento. Rimanendo in tema di vicende commoventi, impossibile non citare la storia di Hachiko, ricordata da una statua posta a Tokyo appena fuori dalla stazione di Shibuja, o la vicenda dei cani da slitta che perirono in Antartide nel 1959, ricordati da un monumento posto alla base di uno dei quattro pilastri della Tokyo Tower.

Sento che questo post si sta involontariamente trasformando in un diario di viaggio e non era questo lo scopo iniziale. A chi sta pianificando un salto in Giappone suggerisco di cercare altrove le informazioni che sta cercando, per esempio su JapanForever, come ho fatto io. In questa sede mi sarebbe piaciuto mettere nero su bianco altre cose, dei momenti, delle emozioni. Lascio quindi continuare la redazione di questo post a Simona, la mia dolce metà, che già altre volte in passato mi ha aiutato ad arricchire questo blog con le sue riflessioni.

Nonostante sia tornata ormai da qualche tempo e abbia ripreso il solito noioso tran tran casa-lavoro, lavoro-casa, non provo ancora quella lancinante depressione da post-vacanza che puntualmente mi assale al rientro delle ferie. Credo sia perché questo viaggio mi ha lasciato dentro una soddisfazione profonda che durerà per molto tempo. Comunque sia, so che questo stato di grazia finirà prima o poi e allora mi ritroverò a singhiozzare nella vasca da bagno come in quella pubblicità delle crociere Costa…
In Giappone, per la prima volta, non ho pensato a me stessa come a una turista, ma piuttosto come a una viaggiatrice. Una volta toccato il suolo nipponico ho goduto del semplice piacere di essere lì, e d’improvviso la lista delle cose da fare e da vedere ha perso molta della sua importanza, perché sapevo che questa vacanza sarebbe stata indimenticabile ovunque fossi andata, qualsiasi cosa avessi fatto o persona avessi visto. Adesso che è finita so che avrei potuto sfruttare meglio il mio tempo per fare e vedere delle cose in più, ma non provo alcun rimpianto.

Con mio stupore, in Giappone non mi sono sentita affatto estranea o spaesata. Tutt’altro. Pensavo che mi sarei sentita esposta come il neon sull’insegna di un bar, e invece mi sentivo invisibile come un orso bianco nella neve. Fantastici giapponesi, talmente discreti che non fanno neanche sentire stranieri gli stranieri…
Il Giappone è un concentrato di contraddizioni fianco a fianco una all’altra: il vecchio e il nuovo, la semplicità e gli orpelli… la gentilezza e la durezza. La natura e la tecnologia. La montagna e il mare! L’immobilità e il ritmo. Il grande e il piccolo. L’insieme e il particolare, la realtà e la fantasia, il silenzio e il rumore, l’essenziale e il superfluo. La libertà e il dovere. Lo zen e la sofferenza. L’eternità e l’effimero. L’armonia e il caos. Con sguardo fugace, magari, ma tutto questo io l’ho visto riflesso nel paesaggio, incessantemente ferito dalla natura eppure splendido, e nel carattere di questo popolo, con il suo indomito istinto ad andare avanti, sempre avanti.

Ripensando a com’è nato il mio amore per il Giappone non posso fare a meno di tornare con la mente alla mia infanzia. Sì, certo, allora c’erano i cartoni animati (quelli storici, belli e intelligenti anche quando stupidi, mica come quelle cagate che vedono adesso i miei nipoti…), da cui anni più tardi sarebbe scaturito il mio amore per i manga. Ma soprattutto c’era lui, Itto Ogami, il samurai senza padrone con figlio al seguito.
Anche questo telefilm, come i miei amati cartoni, è stato tratto da un manga (Kozure Ōkami o Lone Wolf and Cub, che tra l’altro è un capolavoro), ma naturalmente allora non lo sapevo. Da bambina non riuscivo a capire molti dei comportamenti e la logica del protagonista, e in seguito ho dato la colpa di questo al fatto di aver visto il telefilm quand’ero troppo giovane. Ma la mia età c’entrava solo in parte, in verità era l’anima giapponese che non comprendevo. Non che ora possa dire di capirla davvero (magari!), ma sicuramente tanti anni di letture e riflessioni mi hanno permesso di avere un punto di vista più completo in proposito.

Quando ho rivisto il telefilm, pur conoscendo già la storia mi sono emozionata ancora moltissimo. In particolare, il penultimo episodio “Le onde della vita” (oltre all’ultimo, va da sé) non so quante volte l’ho visto, e ogni volta che lo rivedo piango.
“Quando arriva alla fine del suo viaggio, l’acqua del fiume si unisce al mare e lì si trasforma in onde che si allungano sulla spiaggia avanzando e arretrando, senza mai fermarsi, in un movimento sempre uguale, per l’eternità. Anche la vita dell’uomo è così. L’uomo nasce, poi muore e poi rinasce. […] La vita umana, come quella dell’onda non finisce mai. Nell’infrangersi sulla sponda dell’altra vita viene sospinta, si riavvolge e rinasce, e per quanto mortale è il suo corpo, tuo padre è immortale, ricordalo sempre. E questo vale anche per te, figlio mio: quando anche tu morirai non sarà per sempre, tu rinascerai in un’altra vita. […] Pensa sempre che un giorno ci ritroveremo, e anche allora io sarò tuo padre, e tu sarai mio figlio, perché noi siamo immortali.”
Questo è Itto: il guerriero che sta per morire al culmine della propria vita, proprio come il petalo del ciliegio cade dal ramo nel pieno della primavera, nel fulgore della sua bellezza. Ma soprattutto l’uomo che, sentendo avvicinarsi la morte, consola suo figlio impartendogli l’ultimo insegnamento, il più importante, di una vita fatta di regole. Gli uomini come le onde del mare. L’anima dell’uomo come l’acqua. Non ci sarà mai un mare senza onde. Ed ecco che l’onda di Hokusai, piccolo souvenir della mia prima volta in Giappone che ora svetta sul muro di casa, assume un nuovo inedito significato.

3 commenti:

  1. Semplicemente loro…. che con un sorriso, un inchino, un cenno di capo, colmano distanze linguistiche che sulla carta sembrano inaffrontabili.

    Semplicemente loro… che si riescono a stupire ogni anno, come fosse la prima volta, dei ciliegi che fioriscono all’inizio della primavera… si fanno mille foto sorridendo e mettendosi in posa, alzano insieme il dito indice ed il medio, felici dei petali che volteggiano in aria, contenti perché è tornato il caldo, la vita.

    Semplicemente loro… che ti fanno arrossire non perché ti fischiano compiaciuti quando ti vedono con una minigonna, ma perché ti fanno sentire una principessa alla cassa di un supermercato.
    Semplicemente loro… che si siedono su un muretto per consumare il pranzo, e mentre addentano velocemente il loro pasto, guardano il cielo terso e pensano a tutto quello che ancora devono fare prima di poter tornare a casa.

    Semplicemente loro… che sugli autobus si nascono per rispondere al telefonino, tutto questo per non disturbare gli altri…. e che vengono guidati in tutti i sensi dall’autista, che parla più di uno speaker radiofonico, ma non è mai troppo stanco o con la gola troppo secca per dirti grazie.

    Semplicemente loro… stretti in completi eleganti tutti uguali, in vestitini da bambolina con colori pastello, con parrucche dai mille colori e con tacchi dalle mille forme ed altezze.

    Semplicemente loro… che vivono nel costante pericolo che la loro casa, il loro ufficio, la loro scuola venga rasa al suolo da un terremoto, e nonostante questo, vanno avanti… e quando succede qualcosa, si uniscono, formando una muraglia tanto forte che sconfigge anche il più imprevedibile dei disastri.

    Semplicemente loro... che non sono capaci di non darti un’indicazione se gliela chiedi, e che sono disposti ad accompagnarti anche se hanno milioni di cose da fare.
    Semplicemente loro… che si ubriacano di lunedì, che si divertono a comperare riproduzioni in miniatura di qualsiasi nuovo personaggio dei cartoni venga pubblicizzato, che ascoltano gruppi di teenager che in 5 non fanno 60 anni, che si travestono come i loro idoli e passano pomeriggi interi su un palco ad esibirsi.

    Semplicemente noi… che ci fermiamo su una panchina a guardare questo popolo così ordinato, che va sempre di fretta, ma con eleganza, che lavora sempre, ma senza mostrare la minima smorfia di irritazione.
    Semplicemente noi…che sulla metro respiriamo le loro fantasie, mentre leggono un manga con disegnate donnine in bikini (o senza), percepiamo le loro risate, mentre si raccontano come è andata la giornata, che tocchiamo con mano la loro stanchezza, mentre si accasciano sulla nostra spalla, per un riposino veloce fra una fermata e l’altra.

    Semplicemente noi… che ci siamo talmente innamorati all’istante delle loro usanze, che non abbiamo esitato un istante ad infilarci lo yukata e le ciabattine per correre a farci un caldissimo ofuro, condividendo risate, chiacchierate, kilometri e scosse.

    Semplicemente noi… che abbiamo vissuto questa esperienza, ognuno a proprio modo… chi provando qualsiasi alimento-bevanda-oggetto non ben identificato, chi entrando spiritualmente nell’anima dei giapponesi, estrapolandone la vera essenza ed imprimendola su carta fotografica, chi vivendo la parte antica, tradizionale, storica del Giappone e chi invece dando sfogo alla propria anima tecnologica…

    Non semplicemente una valigia di souvenir ed una macchina fotografica piena di scatti, ma il colore rosa dei petali negli occhi, il rumore dei segnali pedonali nelle orecchie, l’acqua purificatrice dei templi fra le dita, il pesce fresco ed il the verde al posto del wasabi sulla lingua, il profumo dell’incenso nel naso.

    A tutti noi e a tutti loro, un grazie per questa fantastica emozione durata 2 settimane.
    Jvonne (che ancora ha voglia di parlare ;) )

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  2. A me piace molto il carattere dei giapponesi, il loro rispetto verso gli altri che siano piante, uomini o animali. Una nazione talmente forte dei suoi valori che riesce, come dice Simona, a non farti sentire straniero. Credo sia la consapevolezza della loro forte identità a non fargli temere lo straniero. Non sono stata in Giappone ma mi piacerebbe osservare il grande Buddha di Kamakura.

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  3. Molto bello questo reportage (brava anche Simona).
    Traspare tutta la vostra passione in quel viaggio, la realizzazione di un sogno.
    Grazie.

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