mercoledì 12 giugno 2013

Cosa vedi quando chiudi gli occhi?

Coscienza: la consapevolezza di far parte del mondo ma di avere anche un’individualità, e di riconoscere le individualità altrui. Un prodotto dell’evoluzione che ha permesso all’uomo di differenziarsi dal regno animale e sopravvivere in un ambiente ostile.

Intelligenza artificiale: dalla coscienza deriva in massima parte l’intelligenza, come possono quindi le macchine, esseri senza coscienza per antonomasia, essere davvero intelligenti? Come instillare la coscienza in qualcosa di inanimato?

Intelligenza emotiva: l’abilità di percepire, valutare ed esprimere un’emozione, di accedere ai sentimenti e/o crearli quando facilitano i pensieri, di capire l’emozione e la conoscenza emotiva, di regolare le emozioni per promuovere la crescita emotiva e intellettuale. Include l’apprendimento attraverso la consapevolezza e il dominio di sé, la motivazione, l'empatia, l'abilità sociale.

Questa recensione non poteva che cominciare dal fondo. Vi dico subito che il film è “Eva” (2011) di Kike Maíllo, e che il tema è l'intelligenza artificiale, ma chi l'ha già visto l'avrà intuito subito: è infatti quasi alla fine di questo film che il protagonista Alex pronuncia la domanda riportata là in alto, nel titolo, è con quella domanda che  di fatto il cerchio si chiude.

Alex Garel è un famoso programmatore che dopo anni di assenza da casa vi ritorna per occuparsi di un progetto speciale per conto dell'università locale, la stessa dove si era laureato dieci anni prima. Il progetto riguarda la creazione di un nuovo prototipo di bambino-robot, che Alex vorrebbe dotare di una personalità interessante ed inusuale. Quasi subito incontra Eva, la nipote di dieci anni di cui non conosceva nemmeno l'esistenza e decide di utilizzarla come modello per il suo lavoro. Osteggiato dai genitori della bambina, decide di lasciar perdere i test e limitarsi ad osservare il comportamento di Eva, finendo così per passare molto tempo con lei. Mentre sentimenti sopiti per troppo tempo, come l'amore per Lana (sua antica fiamma e ora moglie di suo fratello David) e la rivalità tra i due fratelli prevedibilmente riaffiorano, la relazione che si instaura tra Alex ed Eva gli confonde ancora di più le idee, portandolo a meditare di lasciare nuovamente la città senza nemmeno terminare il progetto. È allora che avviene l'inaspettato... (si fa per dire).
Seriamente, non si può dire che il finale sia propriamente una sorpresa, ma sarebbe un errore giudicare il film poco riuscito solo per questo. Non credo infatti che si sia trattato di povertà di idee o di un errore di sceneggiatura, mi pare anzi che il regista abbia palesato le sue intenzioni molto bene fin dal principio e non solo per via del drammatico flashforward iniziale, né per il titolo rivelatore. Chi crede il contrario può darsi che non abbia gradito il film, ma più probabilmente pensa che un film di fantascienza si debba reggere solo o quasi esclusivamente sui colpi di scena e sugli effetti speciali (che qui pure ci sono, anche se limitatamente al beneficio che una storia del genere ne può trarre).

“Eva” è un film spagnolo, un film come in Italia non se ne fanno (più), ma anche come non se ne fanno neanche a Hollywood. Il respiro dell'opera è totalmente europeo, a partire dall'ambientazione straniante (un paesino nel pieno dell'inverno, una metafora dei sentimenti dei personaggi rimasti “congelati” per troppo tempo?) al mix di temi filosofici e di altri più concreti, fino ad arrivare alle “maschere” degli attori, quelle di personaggi intenti più che altro a vivere, perché vivere è quello che ti capita mentre sei intento a fare qualcos'altro (per citare non ricordo più chi), e se nel frattempo quel qualcos'altro è importante, nel bene e nel male, capita che magari neanche te ne accorgi. E poco importa se arriviamo ai titoli di coda senza che ci venga spiegato perché Alex ha abbandonato tutto dieci anni prima, o perché mai Lana abbia dovuto per forza sposarsi con il fratello dell'ex findanzato, impelagandosi in una situazione che prima o poi, era ovvio, sarebbe “implosa”... Io sono dell'opinione che un film non debba necessariamente spiegare tutto, anzi mi piacciono quelle pieghe inesplorate nella trama che mi permettono di usare la fantasia.
È difficile parlare a lungo di “Eva” senza raccontarne anche il finale, perciò mi limiterò a dire che il progetto di Alex per sua sfortuna è solo una pallida imitazione della realtà, che la scelta da lui fatta tanto tempo prima (la carriera al posto dell'amore) alla fine si rivela senza senso, e che questo fa di lui un (dis)illuso, un perdente, destinato a rimanere con un pugno di mosche in mano. Un perdente che si riscatta con un gesto doloroso ma necessario e per questo pieno d'umana incoerenza, d'accordo, ma pur sempre un perdente.

Forse, chissà, una parte del significato del film sta proprio qui, nel descrivere le scelte che si fanno e di come queste influenzino il corso della nostra vita in modi che al momento sono impensabili, cosicché quando ci si guarda indietro si capisce che le nostre aspettative per il futuro non erano altro che chimere. Un altro significato certamente sta nel concetto di rinuncia: qualche volta bisogna fare quello che è giusto anche se ci costa molto.
Riguardo invece l'aspetto più prettamente fantascientifico, sono molti i film che hanno scelto come tema quello dell'intelligenza artificiale. Sono ornai decenni che si dibatte e si filosofeggia attorno al grande interrogativo, ovvero se sarà mai possibile per l'uomo trasmettere la propria coscienza alle macchine, o se le macchine stesse saranno mai in grado di autoprodurre qualche grado di coscienza e, in tal caso quali saranno le conseguenze di tutto questo per l'umanità.
In questo frangente ci viene in soccorso lo Shintoismo, per chi ci crede: la materia stessa è divina perché è nata dalle energie divine che pervadono tutto l'universo, di conseguenza anche gli oggetti inanimati devono possedere uno spirito. Perciò, quando le macchine avranno imparato ad organizzarsi senza rispondere necessariamente ad uno stimolo standard con una reazione standard, potranno sviluppare una coscienza e di conseguenza l’intelligenza.
A quel punto le macchine svilupperanno la “sindrome di Frankenstein”, e ci stermineranno per prendere il nostro posto nel mondo? O sceglieranno invece la riconciliazione, scegliendo di convivere in armonia con i propri dei? E se mai si arriverà allo scontro tra uomo e macchina, chi potrà dire in questa moderna lotta per la sopravvivenza della specie chi sono i buoni e chi i cattivi? Distruggere una macchina, un singolo chip, non sarà forse da considerarsi alla stregua di un omicidio? Avrà ancora un senso parlare di bene e male? Per ora tutti questi interrogativi, per fortuna, rimangono senza risposta. Ciò che ne deriverà per l'umanità, chi vivrà vedrà...

P.S.: Il presente articolo viene pubblicato oggi in contemporanea sulla blogzine IL FUTURO E' TORNATO

2 commenti:

  1. il finale in effetti non è molto sorprendente, però il film nel complesso anche per me è più che apprezzabile.
    non indimenticabile, però intrigante

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    1. Indimenticabile senza'altro no. Ma il fatto che sia riuscito ad ispirarmi un post è di per se già significativo.

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