domenica 24 gennaio 2021

Cuore di vetro

Werner Herzog è un cineasta che ho sempre frequentato sporadicamente e senza particolare trasporto, tuttavia ho molto apprezzato uno dei suoi lavori degli anni ’70, e se sono qui a parlarne è perché lo trovo molto particolare, anzi, a mia memoria un unicum. Si tratta di uno dei film più sperimentali di Herzog, uno dei più sperimentali che io abbia mai visto e forse anche uno dei più sperimentali, in assoluto, della storia del cinema, non tanto nella tecnica e nella resa visiva (su cui comunque varrà la pena spendere due parole, perché è notevole), ma nella direzione del cast e della storia, che il regista lascia fluire direttamente dalla psiche degli attori: “Cuore di Vetro” (Herz Aus Glas, 1976).

Un villaggio della Bavaria, nel XIX secolo, deve la sua fortuna alla produzione di un vetro di un brillante rosso rubino. Quando il mastro vetraio muore, portando con sé il segreto del misterioso ingrediente che dà al vetro la sua peculiare colorazione, tutto precipita. Il giovane padrone della fabbrica si affanna inutilmente, fino alla follia, per recuperare la formula segreta; i contadini e gli artigiani, già avviliti da vite stanche, sembrano in apatica attesa della catastrofe, coincidente dapprima con la fine del benessere e poi con qualcosa di forse ancora più funesto.

Calmo e inamovibile è solo il mandriano Heisl, un uomo dotato di chiaroveggenza che annuncia, una per una, le disgrazie che si abbatteranno sul villaggio. Il fato incombe, un fato mortifero cui ci si sottrae solo fuggendo: e fugge, infatti, Heisl il profeta, vittima di una caccia alle streghe che lo porterà a rifugiarsi tra la quiete dei monti; ma fuggono anche alcuni pazzi visionari che sfidano le onde su una barchetta per vedere se davvero la terra è piatta, e che finiscono arroccati su un minuscolo scoglio che un giorno, forse, quelle stesse onde sommergeranno. 

Già definire che tipo di film sia questo è impresa ardua: un po’ dramma, un po’ commedia, con molti elementi grotteschi e un’atmosfera di mistero e dissoluzione soggiacente. A parte Joseph Bierbichler, l’interprete di Heisl, gli attori recitano sotto ipnosi per gran parte del tempo, improvvisando i dialoghi, ma il regista effettua anche una vera e propria operazione filologica, facendo loro utilizzare quando possibile l’autentico dialetto bavarese del 1800. I vetrai sono artigiani professionisti, dai gesti precisi e attenti, e il vetro che cresce e prende forma dalle loro mani come in una danza di creazione regala alcuni dei momenti più suggestivi del film. 

Sono consapevole del fatto che, non parlando tedesco, per me non fa molta differenza, ma in generale quella del dialetto è una scelta che condivido. Ci sono storie ambientate nel passato, come questa, che suonerebbero false e artefatte se recitate nella forma moderna della lingua, magari nella dizione corretta. Sulle altre scelte non mi esprimo, nel senso che può anche darsi che siano contrarie al concetto stesso di recitazione, di finzione, ma la magia del cinema è anche questa: saper mischiare vero e falso in modo da creare qualcosa che li ricomprenda entrambi, e che è sempre più prezioso della somma delle sue parti. D’altra parte, intere categorie cinematografiche sono state costruite su questo assunto.

Si potrebbe obiettare che ipnotizzare gli attori sia come trattarli come cavie, che forse un regista non abbia il diritto di spingersi tanto in là, e penso, nello specifico, a una scena in cui una spaesata e triste figura di donna improvvisa uno spogliarello su di un tavolo. Tuttavia, la diatriba si risolve da sé se è vero, come affermano gli esperti, che è impossibile far compiere a qualcuno da ipnotizzato un gesto che non compierebbe in condizioni normali.

Tornando alla messa in scena, chi non ama gli svolgimenti lenti e la carenza di azione non apprezzerà nulla di quanto proposto dal regista e forse neppure le lunghe, meravigliose carrellate sui paesaggi della Bavaria. Bisogna però ricordare che mostrare incessantemente il paesaggio non è solo una scelta estetica, talora il paesaggio è un vero e proprio personaggio della storia, il cui dispiegarsi si fonda proprio sullo svelarsi e celarsi del paesaggio. La sua presenza e la sua assenza sottolineano dove viene meno la materialità dell’esistenza, con i suoi drammi e i suoi fallimenti, dove la vita quotidiana fatta di azioni ed emozioni umane lascia il posto a una realtà immota, se pure solo all’apparenza; dove il tempo cede, per un po’, allo spazio.

Non sono molto propenso, come molti altri spettatori, a vedere nel film un’allegoria storica o politica della Germania. Credo invece che “Cuore di Vetro” abbia un’anima profondamente alchemica, con la quale descrive l’esperienza umana, che consiste nel cercare senza sosta di plasmare la realtà, anche spingendosi oltre i limiti dell’umana natura. La fabbrica è la metafora della caverna creatrice, è l’antro del dio ove nasce il fuoco purificatore e distruttore; il signore che sacrifica la serva Ludmilla, credendo che il suo sangue di vergine possa magicamente cedere il suo rosso al vetro, è l’immagine dell’uomo che cerca di dominare la natura, che da semplice spettatore cerca di farsi attore.

L’ultima suggestione che il film ci regala è il titolo. Il cuore è il centro e anche, in molte culture, la sede dell’anima, quindi togliere la possibilità di creare il vetro rosso è come togliere l’anima al villaggio, che quindi deperisce e muore. O forse, chissà, il regista voleva alludere alle proprietà del vetro, che può essere resistente o fragile, trasparente o opaco. Proprio come un cuore umano. Temo proprio che non lo sapremo mai.



42 commenti:

  1. Da come lo descrivi sembra il classico film sperimentale, cioè quel tipo di film che omaggia il principio caro ai surrealisti della maggiore "verità" dell'immaginazione spontanea, senza i filtri dell'elaborazione e tanto meno dello "scopo narrativo". In effetti sono d'accordo sul fatto che a volte un'immagine o una scena che ci vengono in mente spontaneamente non possono essere casuali, e quindi hanno un loro senso anche se noi stessi non siamo in grado di capirlo (né riusciamo a capire perché diamine ci sia venuta in mente proprio quell'immagine). Però, io la vedo come una esperienza totalmente individuale. Trasformarla in un'opera d'arte (romanzo, quadro, film, fumetto) non elimina quell'individualità, dunque c'è maggiormente il rischio di creare qualcosa che per il lettore / spettatore sia totalmente incomprensibile e lo lasci freddo, e dunque un'opera "inutile" ((o meglio: utile, ma solo per chi l'ha creata).

    RispondiElimina
    Risposte
    1. È il più grande limite delle arti visive, quello di sopprimere l'immaginazione. Particolarmente frustrante se l'arte sta cercando di descriverci a modo suo qualcosa su cui in precedenza ci eravamo già soffermati a riflettere. La cultura visiva ha assunto un'enorme importanza oggi nella nostra società, ma credo sia solo per colpa della nostra pigrizia, o della nostra progressiva incapacità di utilizzare gli altri sensi. Il cinema tuttavia, non tutto ovviamente, riesce ancora a sorprenderci...

      Elimina
  2. L'ho conosciuto più come attore che regista, rivederlo in The Mandalorian ha fatto effetto.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Non ho ancora trovato tempo e modo da dedicare a Mandalorian e temo di scoprire solo adesso, grazie a te, della presenza di Herzog attore.

      Elimina
  3. Herzog per me ha sempre rappresentato un ostacolo insormontabile, tutte le volte che ho provato ad avvicinarmi ne sono sempre rimasto profondamente alieno. Magari ero semplicemente io a non essere ancora pronto per la visione, dato che i suoi film li ho visti da giovane, magari adesso potrei riprovarci. Nel caso ti saprò dire.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Il mio primo incontro con Herzog è stato per via di "Nosferatu", ai tempi in cui uscì al cinema. Ero un bambino ma ricordo che mi terrorizzò a morte la scena di apertura, forse per via di quell'accompagnamento musicale in grado di attraversarti il cuore come una lama. Il resto del film lo ricordo appena, sebbene rivisto svariate volte, ma ho il sospetto che lo scopo di Herzog fosse stato proprio quello: creare un film in un certo senso "onirico", che si ricorda a sprazzi e che non si riesce a giudicare con lucidità nella sua interezza.

      Elimina
  4. Ho un rapporto ambivalente con Herzog, lo trovo affascinante e mi piace la sua estetica, ma non sono sicuro mi piacciano i suoi film: quando cerco di entrare, mi ritrovo in un mondo freddo e non capisco se sia io a non trovarne il cuore o se non ci sia un cuore da trovare. Sicuramente è la prima, ma a volte sospetto anche la seconda.
    Non conoscevo questo titolo, ho più confidenza con i suoi titoli più grandi, e forse più "digeribili", e onestamente l'idea non mi attira affatto. Sospetto sia meglio la tua recensione che il film in sé :-P

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Sono anni che sto cercando di capire se Fitzcarraldo mi sia piaciuto o meno. Certo le potenzialità sono evidenti, ma io proprio non riesco a trovare la pace. Il vero problema forse è l'onnipresenza di Kinski...

      Elimina
    2. Guarda, hai colto proprio il mio punto debole!
      Il film l'ho visto la prima volta all'incirca nel 2003, mi è molto piaciuto, ho vissuto la storia e se non sbaglio o la stessa sera o il giorno dopo SKY (all'epoca appena nato) mandò un documentario sulla lavorazione, che mi fece apprezzare ancora di più il tutto.
      Mi sono portato dentro questo ricordo e questo film per anni, poi l'anno scorso, all'interno del mio folle progetto di scrivere un libro di recensioni su Kinski (sono a quota 76!), me lo sono rivisto... e niente, stavolta sono rimasto di pietra. Non solo non ci ho ritrovato quello che ricordavo mi era piaciuto nel 2003, ma ho trovato l'inconsistenza della trama che non ricordavo dalla prima visione.
      Forse sono cambiato io, forse non è un film da seconda visione... Comunque mi piace ricordare che all'incirca negli stessi anni c'erano due artisti folli impegnati in un progetto folle. Herzog c'è riuscito a portare la sua nave oltre la montagna, Jodorowsky invece non è riuscito a conquistare Dune.

      Elimina
    3. Esatto, forse è proprio come dici. Herzog non è un regista da seconda visione. Inutile nemmeno insistere con Nosferatu nella vana attesa di un'illuminazione che non arriva e che, anzi, va dissolvendosi di visione in visione. Tanto vale recuperare i titoli mai visti, anche se è una bella partita a dadi...

      Elimina
    4. L'ultimo film di Herzog che ho visto è "Woyzeck" (1979), che non mi era mai capitato sotto gli occhi. Prima mi sono letto il testo teatrale di Georg Büchner e poi mi sono gustato l'interpretazione filmica. Di nuovo, è stata una bella visione ma onestamente non lascia molto.
      L'interpretazione di Kinski è sicuramente la parte migliore del film, ma l'opera in sé non è di quei "film d'autore" che comunque ti lasciano qualcosa (un'emozione, un concetto, un'idea, un'immagine) da portarti sempre appresso: lo si vede e si dice "ok, l'ho visto". Dispiace.

      Elimina
    5. Seguirò allora il tuo percorso partendo dal testo teatrale che, guarda caso, mi ritrovo in casa in una vecchia edizione Adelphi (comprata trent'anni fa e mai nemmeno sfogliata), dopodiché mi lancerò impavidamente allo sbaraglio con la versione di Herzog! Ti farò sapere com'è andata!

      Elimina
  5. Ehi, ciao, di Herzog ho visto Queen of the desert e L'enigma di Kaspar Hauser anni fa, e mentre il primo non mi ha coinvolto, il secondo te lo consiglierei. Herzog è un regista diciamo impegnativo e criptico, ho paura che questo farei fatica a vederlo.....

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Hic jacet Casparus Hauser, aenigma sui temporis. Ignota nativitas, occulta mors - MDCCCXXXIII!
      Kaspar Hauser l'ho visto anni fa attirato dalla vicenda del misterioso fanciullo tedesco che già avevo avuto modo di conoscere. Ancora una volta non mi è rimasto un granché di quella visione, a conferma che il cinema di Herzog sia davvero indigesto...

      Elimina
    2. Una venticinquina d'anni fa alla radio beccai per puro caso una trasmissione che parlò del caso Caspar Hauser e mi intrigò molto. Mi incuriosiva il film ma all'epoca non avevo modo di recuperarlo e non lo beccavo certo in TV. Poi me ne sono dimenticato.
      Ora vorrei approfittare... ma il commento di TOM mi smonta! :-D

      Elimina
    3. Io comunque ti consiglierei di guardarlo, non mi è dispiaciuto, è senz'altro una visione interessante e a naso anche più semplice rispetto ad altri suoi film, il film comunque si segue, non ci si addormenta dai....poi le sensazioni sono soggettive, è comunque Herzog, vedere qualcosa di suo non guasta. Qualcuno di voi ha visto Aguirre?

      Elimina
    4. Sì, va', che ormai mi è tornata la curiosità sul buon Caspar :-P
      Aguirre l'ho visto, credo anche un paio di volte, e di nuovo è stata una bella visione che però non mi ha lasciato niente.

      Elimina
    5. Herzog bisogna guardarlo a prescindere! In fondo buttiamo via tante di quelle ore a guardare boiate indicibili (tipo Amityville capitolo 24, vero Lucio? ^_^) che una visione d'autore come Kaspar Hauser è un vero toccasana. Non è un brutto film, intendiamoci. Diciamo che mi aspettavo una volta tanto qualcosa di diverso.

      Elimina
    6. Nego tutto: i filmacci di Amityville che mi sono dovuto sorbire erano "solo" 18, non 24! :-D Però lì è "lavoro", visto che il mio saggio su Amityville è il mio secondo più venduto, dopo le indagini di Ed e Lorraine Warren. Il paranormale vende sempre, anche scritto da un gretto materialista come me e con intenti dissacranti :-P
      Comunque ormai la sfida è lanciata, mi sa che già domani vado a trovare Kasparetto...

      Elimina
    7. Ahahah! Credo di aver contribuito anch'io al successo di quei due titoli. Proprio vero che il paranormale tira più di un carro di buoi!
      PS.: Non vedo l'ora di leggere il tuo post su Kaspar!

      Elimina
    8. Sono combattuto, perché la visione del film è stata piacevole ma frustrante, confermando Herzog come regista che sa dove colpire ma colpisce in modo fiacco.
      E' ovvio che l'incredibile storia del misterioso Kasparetto colpisca nel profondo, ovvio che Herzog abbia gioco facile a creare una storia triste e pervasa di nostalgia - quasi un rimpianto per aver perso ciò che in realtà neanche si sa di aver perso - ma questo appartiene ad Hauser, non ad Herzog. Quest'ultimo costruisce scene lunghe da gustare, per lasciarsi pervadere dall'assurdità della vicenda, ma che poi lasciano più domande che emozioni. Per esempio perché far uscire una quasi-confessione del misterioso carceriere solo per spezzarla a metà e lasciarla lì così? Che senso ha?

      L'altro problema principale è che l'energia nell'usare un vero attore con gravi problemi di comportamento, come Bruno S. la cui infanzia non ha nulla da invidiare ad Hauser, non corrisponde ad una sceneggiatura che sappia valorizzarlo: la vicenda non è mai spiegata, ci sono semplici scene che si susseguono in cui vediamo Kaspar in varie situazioni, a dare spunti che non verranno sviluppati.
      Ovvio che Hauser abbia gelato l'Europa ottocentesca perché metteva in dubbio tanto la scienza quanto la religione: tutto ciò che si dava per scontato sulle conoscenze innate, sull'anima e sul pensiero logico veniva messo in totale discussione dall'esistenza di Hauser, ma nel film di questo abbiamo solo vaghi echi in alcune scene, dove il nostro eroe fa l'idiot savant che è tutt'altra tradizione narrativa: fa la parte del buon selvaggio, quello che fa ridere i sapienti perché storpia conoscenze a lui estranee.
      Niente, Herzog non sembra mai interessato alla sceneggiatura, mentre cura fin nei minimi dettagli la resa scenica, splendida e accompagnata da musica meravigliosa.

      Il mistero di Kasparetto mi piacerà approfondirlo: il film purtroppo... già lo sto dimenticando...

      Elimina
    9. Accipicchia, sei stato velocissimo, si, anch'io ricordo che rimase un mistero non svelato, appagante alla vista ma non risolutivo, come anche nella realtà, non mi sembra ci sia stata una ricostruzione esatta del fatto, mi par di ricordare che rimase un mistero.

      Elimina
    10. Andando a leggere su Wikipedia ho visto che il mistero è rimasto irrisolto, e in pratica ciò che si sa è tutto raccontato nel film, all'incirca, con aggiunte da parte di Herzog del tutto inutili e secondo me deleterie. E' come raccontare un giallo e dire "L'assassino è..." Fine del film. Che l'hai detta a fare la frase, se non volevi rivelare l'assassino? :-D

      Elimina
    11. In rete ci sono articoli interessanti sulla figura di Kaspar, si parla dei Rosacroce, di massoneria, di cristianesimo. Lui viene addirittura visto come una figura molto spirituale, comunque ci sono spiegazioni esoteriche, un articolo che dovresti leggere è Kaspar Hauser, il fanciullo d'Europa di artemedica.
      Devo dire che leggendo si va dal millantatore a chi lo riteneva un "puro", quasi un angelo. Addirittura si pensava discendesse da una dinastia altolocata. C'è da leggere, qualcosa è rimasto nascosto, chissà come mai e cosa c'era sotto.

      Elimina
    12. Essendo un "mistero misterioso", ognuno può vederci quel che vuole, dalla cospirazione massonica all'angelo caduto. Hauser è una figura enormemente letteraria, è la concretizzazione del Candido di Voltaire, uno convinto di vivere nel migliore dei mondi possibili finché non viene portato nel mondo vero e quell'assunto comincia ad incrinarsi, esattamente come capita a Kaspar dal momento in cui esce dalla grotta. Che già di per sé è un forte rimando al mito platonico, e insomma ci si può ritrovare tutto e il suo contrario: l'unico che non prende iniziativa è Herzog stesso: accenna a varie questioni scottanti ma è come se si rifiutasse di schierarsi.
      Il fatto che Hauser non avesse mai avuto idea dell'esistenza del divino era uno scandalo, perché metteva sotto gli occhi di tutti qualcosa che noi oggi sappiamo, anche se non tutti accettano (che cioè la religione è un puro fatto culturale, che si impone con l'educazione sociale) ma che per l'epoca era inconcepibile. L'aver imparato così tanto in così poco rendeva impossibile considerarlo un malato di mente, e alla fine lo scandalo scompare solo quando trovano la malformazione cerebrale: finalmente la morale pubblica è salva, la società civile non si sgretola più sotto l'anomalia che Hauser costituiva.
      Materiale come questo in mano ad un cineasta dovrebbe far tirare fuori molto di più di un film come questo, ma evidentemente Herzog non era interessato ad altro.

      Elimina
    13. Molto interessante quello che scrivi, meriterebbe un post a parte già per le riflessioni; a me la cosa che mi ha colpito durante le sue lezioni di catechismo se così vogliamo chiamarle, la sua commozione profonda all'idea di Gesù morto in croce, ma anche la sua non accettazione del fatto, ovvero che un padre (Dio) debba arrivare a tanto per salvare l'umanità.
      Scusa di questo mio scritto, ma mi ha colpito molto. Bisognerebbe riuscire tramite ricerche a capire quali sono le testimonianze più attendibili.

      Lui è esistito ed è vissuto in cattività perché già le ossa delle gambe testimoniavano che per anni non si era mai alzato.
      Probabilmente Herzog ha voluto lasciare il mistero perché anche lui non aveva una chiara lettura, né tantomeno un suo personale punto di vista, bisognerebbe capire quanto allora esisteva di materiale. Magari col tempo si sono aggiunti particolari....

      Elimina
    14. Il film, come detto, l'ho visto tempo fa e ne ho un ricordo sbiadito, per cui tutto ciò che dico va preso con le pinze. L mia opinione è che sia complicato mettere in scena Hauser senza schierarsi, e su questo aspetto non mi sento di puntare il dito contro Herzog (che tra l'altro non è stato nemmeno l'unico: nel 2012 è uscito un "Kaspar Hauser" anche in Italia con Claudia Gerini!).
      Provo a spiegarmi meglio: la vicenda di Kaspar Hauser non ha tonalità di grigio: o è completamente bianca o completamente nera. Da una parte ci sono le ipotesi che identificano il trovatello come il ritrovato erede al trono di Baviera, dall'altra parte le ipotesi secondo le quali sarebbe invece stato uno spudorato mistificatore. Personalmente, soppesando pro e contro, mi sentirei di optare per la seconda ipotesi perché la prima è, come posso dire, un po' troppo "romantica" per essere vera. Certo, non si spiega il suo assassinio, così come non si spiega il fatto che avesse solo quindici anni nel momento in cui la giostra ha cominciato a girare. Ma queste ovviamente sono mie opinioni.
      Stavo dicendo che, in tale confuso scenario, un regista può decidere di far prevalere una delle due opposte ipotesi, ma così facendo finirebbe per nascondere sotto il tappeto, come la polvere, qualsiasi indizio teso a dimostrare il contrario. Tanto varrebbe, a quel punto, inventarsi di sana pianta personaggi e situazioni, senza scomodare uno dei casi più misteriosi della nostra vecchia e cara Europa. Scegliere di non schierarsi è invece un ritratto più rispettoso della vicenda e lascia a noi spettatori la curiosità di andare a cercare la nostra verità in quella confusa marea di indizi che Kaspar Hauser ha disseminato nel corso della sua breve vita terrena.

      Elimina
    15. Sono andato a leggermi un resoconto londinese del 1893 che riporta quei verbali che per tutto il film ci vengono mostrati in stesura, ed esce fuori che Herzog in effetti si è schierato eccome, ma di nuovo: solo un po'...
      Il 17enne Hauser si è presentato da solo in paese chiedendo della caserma, risultando giusto un giovane un po' curioso, ma tutti hanno pensato che fosse il solito contadinotto un po' scemotto. Solo dopo il ritrovamento della sua lettera - e un'altra in cui la madre lo dava figlio di un soldato ormai morto - è cominciato a nascere il mito, che potrebbe aver avuto la sua drammatica conclusione quando sono iniziate a volare troppo alte le voci di un fantomatico legame con la famiglia nobile: qualcuno doveva aver letto troppo Sofocle, quando racconta del neonato scomodo da uccidere a cui però un bifolco si affeziona e lo tiene in vita, di nascosto, legandolo per i piedi in una grotta per tutta l'infanzia. Dati i piedi gonfi, il nome assunto dal bambino cresciuto è Edipo ("piede gonfio").
      L'immagine precede sempre il reale, la narrativa è sempre antecedente alla verità, quindi capisco le generazioni di studiosi d'ogni sorta che hanno ingigantito quello che in fondo poteva essere un brutto fatto di cronaca un po' pittoresco. Quello che non capisco è lo "schierarsi poco" di Herzog.
      Mostrandoci un adulto incapace di camminare e di parlare, Herzog già reinterpreta la storia, ma al momento di continuare la sua versione, cioè di mostrarci il risultato per cui i re dell'antichità eseguivano crudeli esperimenti - una persona cresciuta nel silenzio, come reagisce di fronte ad un'altra voce? - si è fermato. Ha preferito mostrarci particolari bucolici, galline ipnotizzate (forse per dirci che siamo tutti ipnotizzati nella nostra filosofia e non vediamo ciò che ci circonda?) e trasformare Hauser in un novello Oblomov: un nobile animo smorzato dall'inazione e immerso in una natura avvolgente e frustrante.
      Si è fermato su tanti particolari come se la loro semplice somma facesse il totale, e non è il comportamento di un regista d'autore. Recita i verbali scrupolosamente ma poi salta interi anni della vita di Hauser, scruta ogni sua espressione ma poi è sommario nel raccontarci il suo pensiero.
      Cos'è quella favola a cui Hauser lavora tutta la vita? E' una metafora del genere umano? Il vecchio con la barba è ovviamente Dio, che guida noi vagabondi sulla terra, quindi il Candido della vicenda mette in guardia noi che crediamo di essere saggi? Di nuovo, è tutto buttato lì, quasi come non gli interessasse. Probabilmente era più intrigato dall'usare un attore che aveva davvero vissuto un'infanzia kaspariana.
      P.S.
      Sono andato a cercarmi il film con la Gerini, che peraltro abbiamo pagato noi, essendo considerato "di interesse nazionale": non mi va di usare parolacce in questo commento, ma diciamo che spero aboliscano il cinema italiano, condannando al confino chiunque vi lavori.

      Elimina
    16. Vero. Mostrandoci un adulto incapace di camminare e di parlare, Herzog già reinterpreta la storia. Le cronache narrano di un ragazzino apparentemente "scemotto" che miracolosamente è stato in grado di recuperare il tempo perduto con una rapidità impressionante. Certo, ha conservato a lungo un'andatura claudicante, ma quella è cosa facile da simulare. L'ipotesi che fosse un mistificatore emerge soprattutto da questo particolare e se Herzog questo particolare lo ha nascosto tra le galline è chiaro che un po' ha barato.
      Chissà, forse avrebbe fatto un miglior lavoro con lo smemorato di Collegno: storia pressoché identica ma con la grande differenza che le uniche persone che lo contendevano erano due donne (e nessuna di esse, mi pare, era una principessa o una regina). Una vicenda che non ha bisogno di schieramenti e che trascorre liscia come l'olio fino all'amaro finale (ovviamente sto pensando al film con Totò, ma che te lo dico a fare).
      Ah, il film con la Gerini è di interesse nazionale? Ma pensa! E di quale nazione, lo dicono?

      Elimina
    17. Ahaha, Lucius, questa tua chiusa mi ha fatto sbellicare, ma perché dobbiamo ridurci così?!? Già leggendo di questo film nel commento ho avuto un brivido...
      Invece molto azzeccata parrebbe la tua conclusione di voler usare l'attore tale Bruno S. di cui sono andata a leggere. Infanzia terribile, orfanotrofi vari, manicomi, carcere. Sembra che il regista sia rimasto affascinato da lui e l'abbia voluto non solo per questo film ma anche per un altro. Herzog viene descritto come un regista che si butta con entusiasmo in situazioni che lo attirano quasi in maniera esasperata, ma pronto a buttarsi in altre situazioni di punto in bianco quando la cosa arriva al capolinea e il suo entusiasmo scema. Sembra che Bruno sia stato abbandonato improvvisamente a se stesso. Lui faceva musica per strada, dipingeva, lavorava in fabbrica e con nonchalance è tornato alla sua vita e alle sue cose. Comunque sembra dall'articolo che sia un classico per questo regista innamorarsi velocemente di un progetto e disfarsene con altrettanta velocità, chiudendo e disinteressandosi.

      Elimina
    18. Quindi solo con Fitzcarraldo si è impuntato e non ha mollato finché non ha fatto superare una montagna alla nave?? :-P

      Elimina
    19. Follia e caparbietà fanno di un regista un grande regista.
      Kubrick fece girare e spaccare 60 volte la porta a Nicholson in Shining.... voleva la scena perfetta 😁

      Ma la nave la spingeva lui?

      Elimina
  6. C'è comunque chi lo ama, io vidi Kaspar perché consigliata, The Queen..mi sono accorta guardando la sua filmografia che era suo, ero incuriosita dalla storia. Sinceramente non è un regista alla mia portata, seppur "geniale", preferisco riflettere con altro.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Gli ultimi film di Herzog (parlo di quello dal 2000 in avanti, più o meno) sono in effetti irriconoscibili, nel senso che è difficile attribuirne la paternità al regista tedesco basandosi su ciò che si conosce di lui. Continuerò comunque a frugare nelle sue opere più vecchie, partendo magari da Woyzeck, la cui trama mi incuriosisce ma che, onestamente, potrei anche benissimo aver visto e poi rimosso clamorosamente dalla memoria...

      Elimina
  7. A me attira anche "L'alba della libertà"

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Si, anche. Diciamo che gli unici davvero ostici potrebbero essere i primi tre della sua filmografia dove, secondo wikipedia, il nostro non si è nemmeno sforzato a scrivere una trama. Paradossalmente potrebbero anche piacermi...

      Elimina
  8. Comunque, (non c'entra niente), ho seguito la tua indicazione, ricordi qualche post fa, e ho acquistato l'ultimo libro di Ivano Landi, poi ti farò sapere....

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ok, attendo responso, allora! Non dimenticare di visitare il blog di Ivano. Giusto qualche giorno fa ha pubblicato un post con nuovi dettagli sul backstage....

      Elimina
  9. La nave nella giungla è il famigerato "Fitczarraldo"! E ti garantisco che non serve approfondire con un seconda visione.. ne usciresti ancora più confuso!
    Farò magari un tentativo con "Anche i nani", ovviamente con le dovute cautele! ^_^

    RispondiElimina
  10. Nella mia ignoranza, non posso che esprimere la mia sorpresa per un film con persone che hanno recitato sotto ipnosi..ma poi qual è il destino del villaggio?
    Credo che non sia da interpretare con riferimenti alla storia o all'attualità della Germania; credo che sia molto suggestiva la tua ricostruzione, sul fatto che sia una metafora solamente sull'uomo..

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Non so davvero a cosa pensare a proposito della recitazione sotto ipnosi. Detta così mi pare essere una cosa mostruosa ma, nell'economia del film, finisce anche per acquistare un suo senso.
      Il destino del villaggio? Mica posso raccontare proprio tutto! ;)

      Elimina