tag:blogger.com,1999:blog-74474679160071645492024-03-18T19:34:54.190+01:00The Obsidian MirrorObsidian Mhttp://www.blogger.com/profile/00077330887101732002noreply@blogger.comBlogger838125tag:blogger.com,1999:blog-7447467916007164549.post-29103713757069941902024-03-18T07:30:00.002+01:002024-03-18T18:33:33.698+01:00Traditi dalla fretta #40<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://4.bp.blogspot.com/-ZF1xxt-jq2M/WI5RaqyUa5I/AAAAAAAAKZU/Ar96gd1EoR08-ya5ujRAz0eYniDjoEmvgCPcB/s1600/TRADITIDALLAFRETTACOVER.PNG" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="400" src="https://4.bp.blogspot.com/-ZF1xxt-jq2M/WI5RaqyUa5I/AAAAAAAAKZU/Ar96gd1EoR08-ya5ujRAz0eYniDjoEmvgCPcB/s400/TRADITIDALLAFRETTACOVER.PNG" width="271" /></a></div>
<div style="text-align: justify;"><span style="vertical-align: inherit;"><span style="vertical-align: inherit;">Siamo ormai quasi a Pasqua. I mesi volano che uno neanche se ne accorge. Sembra quasi incredibile che il blog stia proseguendo la sua corsa mentre da più parti arrivano segnali sempre più evidenti che questo modo di fare "social" sia ormai obsoleto, quasi un ricordo da chiudere in soffitta e buttar via la chiave. Il problema, se di problema si può parlare, è che non conosco altri modi per comunicare quello che mi piacerebbe comunicare, o perlomeno non ne conosco di altrettanto soddisfacenti. Qualche mese fa avevo aperto una pagina Instagram, che avrebbe dovuto supportare il blog o diventare a lungo termine la sua nuova casa, ma la verità è che non riesco a farmelo piacere. Non è una questione di piattaforma, questo lo so bene, quanto la conseguenza del mio appartenere a una generazione che del prendersela comoda ha fatto il suo marchio di fabbrica. </span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="vertical-align: inherit;"><span style="vertical-align: inherit;">Ecco perché il blog continua, e continuerà finché Google non chiuderà tutto o finché io non avrò più la forza, la mente, il fisico, la capacità di trovare il tempo e la voglia di scrivere. </span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="vertical-align: inherit;"><span style="vertical-align: inherit;">Siamo a due settimane dalla Pasqua, dicevo poc'anzi, e quest'anno la ricorrenza cristiana, seconda in ordine di importanza per chi la interpreta dal punto di vista consumistico, giunge in concomitanza con il primo giorno del mese di aprile, un mese che da queste parti è sempre stato ricco di iniziative, e non solo perché ad aprile cade il compleanno del blog (quest'anno spegniamo 13 candeline), ma anche per via di una vecchia tradizione che, ahimè, un pochino mi manca.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="vertical-align: inherit;"><span style="vertical-align: inherit;">Ne parliamo meglio qui sotto, in questo piccolo contenitore bimestrale che ho chiamato </span></span><span style="vertical-align: inherit;"><span style="vertical-align: inherit;">"</span></span><i><a href="http://insidetheobsidianmirror.blogspot.com/search/label/Traditi%20dalla%20fretta" target="_blank"><span style="vertical-align: inherit;"><span style="vertical-align: inherit;">Traditi dalla fretta</span></span></a></i><span style="vertical-align: inherit;"><span style="vertical-align: inherit;">".</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span><a name='more'></a></span></div><div style="text-align: justify;"></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div></div><div style="text-align: justify;"><div style="text-align: center;"><div style="text-align: justify;"><div style="text-align: center;"><div style="text-align: justify;"><div style="text-align: center;"><div style="text-align: center;"><div style="text-align: left;"><div style="text-align: center;"><div><b style="color: orange;"><span style="vertical-align: inherit;"><span style="vertical-align: inherit;">Sta per tornare, inaspettata, una vecchia tradizione di Obsidian Mirror </span></span></b><br /><span style="color: orange; font-size: x-large;"><b><span style="vertical-align: inherit;"><span style="vertical-align: inherit;">LO SPECIALE DI APRILE</span></span></b></span></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><div><div class="separator" style="clear: both; font-weight: bold; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhu7fCG2TwigK_oX_cB49U87qJveCgeSZeF5rQod2N2f1trMSv_qnmzy-8dcNz0z5z5uuirDl7ieus7ZFD8unqP-CIkrcHrQdIz22n3lFVZvn9W94GeEJNn3gy3RNlxsZkEM600w2UCynKVnPWvX0-kynV0iZUxmMoIBM6MdteWB0eaODF1Cp_cGGX7GiAW/s600/lagrandeabbuffata.JPG" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="325" data-original-width="600" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhu7fCG2TwigK_oX_cB49U87qJveCgeSZeF5rQod2N2f1trMSv_qnmzy-8dcNz0z5z5uuirDl7ieus7ZFD8unqP-CIkrcHrQdIz22n3lFVZvn9W94GeEJNn3gy3RNlxsZkEM600w2UCynKVnPWvX0-kynV0iZUxmMoIBM6MdteWB0eaODF1Cp_cGGX7GiAW/s16000/lagrandeabbuffata.JPG" /></a></div><div>I miei lettori di lungo corso ricorderanno che <b>lo speciale di aprile</b> è stato per diversi anni un appuntamento fisso e irrinunciabile qui sul blog: nato per festeggiare il compleanno del blog, è proseguito fino a che la vita non mi ha travolto con le sue vicissitudini, impedendomi quella continuità nel progetto che mi sarebbe piaciuto mantenere. Si tratta, lo dico a beneficio dei lettori nuovi o occasionali, di una serie di articoli a tema che dovevano riunire due delle mie più grandi passioni, il cinema e l’horror. Nel 2014 il primo speciale, scritto quasi di getto, si è occupato della <b><span style="vertical-align: inherit;"><span style="vertical-align: inherit;">saga di </span></span><a href="https://insidetheobsidianmirror.blogspot.com/search/label/Speciale%20Phantasm" target="_blank"><span style="vertical-align: inherit;"><span style="vertical-align: inherit;">Phantasm</span></span></a></b><span style="vertical-align: inherit;"><span style="vertical-align: inherit;"> del regista </span></span><b><span style="vertical-align: inherit;"><span style="vertical-align: inherit;">Don Coscarelli</span></span></b><span style="vertical-align: inherit;"><span style="vertical-align: inherit;">; nel 2015 della saga horror coreana dei </span></span><b><a href="https://insidetheobsidianmirror.blogspot.com/search/label/Speciale%20Whispering%20Corridors" target="_blank"><span style="vertical-align: inherit;"><span style="vertical-align: inherit;">Whispering Corridors</span></span></a></b><span style="vertical-align: inherit;"><span style="vertical-align: inherit;">, caratterizzata dal filo conduttore del corridoio; nel 2016 fu la volta di "</span></span><i><span style="vertical-align: inherit;"><span style="vertical-align: inherit;">Ghost in the Well</span></span></i><span style="vertical-align: inherit;"><span style="vertical-align: inherit;">", sulla famosissima saga giapponese di </span></span><b><a href="https://insidetheobsidianmirror.blogspot.com/search/label/Speciale%20Ghost%20in%20the%20Well" target="_blank"><span style="vertical-align: inherit;"><span style="vertical-align: inherit;">Ring</span></span></a></b><span style="vertical-align: inherit;"><span style="vertical-align: inherit;"> e la terrificante figura di Sadako, il fantasma dai capelli neri che esce dallo schermo del televisore; nel 2017 è stata la volta dello </span></span><b><a href="https://insidetheobsidianmirror.blogspot.com/search/label/Speciale%20Bangkok%20Haunted" target="_blank"><span style="vertical-align: inherit;"><span style="vertical-align: inherit;">speciale tailandese</span></span></a></b><span style="vertical-align: inherit;"><span style="vertical-align: inherit;">, incentrato non su una specifica saga cinematografica, bensì sul folclore di un intero paese; il 2018 ha visto nascere lo speciale "</span></span><i><span style="vertical-align: inherit;"><span style="vertical-align: inherit;">Pleasure of Pai</span></span></i><span style="vertical-align: inherit;"><span style="vertical-align: inherit;">n" che, partendo dalla saga di </span></span><b><a href="https://insidetheobsidianmirror.blogspot.com/search/label/Speciale%20Pleasure%20of%20Pain" target="_blank"><span style="vertical-align: inherit;"><span style="vertical-align: inherit;">Hellraiser</span></span></a></b><span style="vertical-align: inherit;"><span style="vertical-align: inherit;">, si proponeva di parlare della ricerca della sofferenza e del piacere che ne deriva; nel 2022 mi sono finalmente occupato anche di </span></span><b><a href="https://insidetheobsidianmirror.blogspot.com/search/label/Speciale%20Rancore" target="_blank"><span style="vertical-align: inherit;"><span style="vertical-align: inherit;">Ju-On</span></span></a></b><span style="vertical-align: inherit;"><span style="vertical-align: inherit;"> (The Grudge), l’altra grande saga dell’orrore nipponica riproposta anche in salsa americana. </span></span></div><div>Già con <b>Ring</b> le cose non erano andate proprio lisce, perché, non essendo riuscito a pubblicare tutti gli articoli entro la fine del mese di aprile, dovetti blindare il blog anche in settembre con la seconda parte dello speciale. Nel 2018, con poco tempo a disposizione per scrivere e scarsa capacità di concentrazione, chiesi invece l’aiuto di alcuni amici blogger; di conseguenza, non solo lo speciale partì con un mese di ritardo, in maggio, ma fu anche il primo e l’unico non interamente scritto da me, anzi costituito principalmente dai generosi contributi degli altri blogger. </div><div>Infine, il vuoto di quattro anni prima dello speciale del 2022, arrivato completamente fuori stagione (tra settembre e novembre), e anche l’ultimo da me proposto che, nelle mie intenzioni di allora, avrebbe dovuto mettere la parola fine al concetto stesso di "speciale". E invece...</div><div><span style="vertical-align: inherit;"><span style="vertical-align: inherit;">E invece, eccoci ancora qua! Quest'anno oltre ogni pronostico si inizia ad aprile, che casualmente è anche il weekend di Pasqua, una festività che come poche altre ha a che fare con l'argomento dello speciale, un progetto ad ampio respiro che andrò a sviluppare nell'arco di... beh... no, dico solo che sicuramente non basterà un mese. </span></span><span style="vertical-align: inherit;"><span style="vertical-align: inherit;">La vastità dell’argomento prescelto non mi permette di fare previsioni e, nonostante molto sia già in bozza, non escludo che altro materiale possa aggiungersi in corsa. </span></span></div><div><span style="vertical-align: inherit;"><span style="vertical-align: inherit;">Sì, ma qual è l'argomento di questo nuovo speciale? Sadicamente, preferisco lasciarvi sulle spine ancora per un paio di settimane. Vi anticipo solo che lo speciale di quest’anno è il primo che esce dai classici miei schemi del cinema dell’orrore (in realtà non del tutto, ma in larga parte è così), ed è anche quello dove provo a inaugurare una nuova modalità di pubblicazione. Il sipario di alza a Pasquetta. Non mancate! Nell'attesa vi lascio con qualche interessante segnalazione libraria...</span></span></div></div><div><br /></div><div><div style="text-align: center;"><span style="color: orange;"><b><span style="vertical-align: inherit;"><span style="vertical-align: inherit;">Segnalazioni, divagazioni, varie ed eventuali </span></span></b></span></div><div style="text-align: center;"><b style="color: orange;"><span style="font-size: x-large;"><span style="vertical-align: inherit;"><span style="vertical-align: inherit;"> MOONCHILD</span></span></span></b></div><div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div></div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><div style="text-align: justify;"><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi5aZ3wwz685_tnlegV4QEHrg6myJsuh_v64jjl0IWUdJaz8WnT2frUIyMudGvi-4UTJ6HWeS5BdY8993iKyZKEpSkIAV8hkO02s3dnHyNoh17IYRAQhrFJ9OBQWHwnwDrSgwNXI1YyG-4wbdWuz6pg4ArpdPYJ7ujO2ZGwy7AMAuQfGUf_S2nCLDC0TV3o/s617/moonchild.jpg" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="617" data-original-width="400" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi5aZ3wwz685_tnlegV4QEHrg6myJsuh_v64jjl0IWUdJaz8WnT2frUIyMudGvi-4UTJ6HWeS5BdY8993iKyZKEpSkIAV8hkO02s3dnHyNoh17IYRAQhrFJ9OBQWHwnwDrSgwNXI1YyG-4wbdWuz6pg4ArpdPYJ7ujO2ZGwy7AMAuQfGUf_S2nCLDC0TV3o/w259-h400/moonchild.jpg" width="259" /></a></div>Sbarca nel nostro paese, dopo decenni di oblio (ma dovrei in realtà dire di implacabile censura), il più celebre romanzo della "Grande Bestia" in persona, “l'uomo più malvagio del mondo”, ovvero <b>Aleister Crowley</b>.</div><div>Scritto nel 1917, ma pubblicato solo nel 1929, <i>Moonchild</i> è un'opera spiritosa e maliziosamente satirica, dove la maggior parte dei personaggi sono in realtà caricature (generalmente molto poco lusinghiere) di elementi di occultisti della prima metà del XX secolo, incluso il poeta <b>W.B. Yeats</b>. </div><div>La presente edizione, che i tipi di Independent Legions hanno pubblicato lo scorso autunno (ma che inspiegabilmente mi era sfuggita), è caratterizzata da una nuova traduzione, decisamente più moderna rispetto a quella storica, datata 1983, curata da <b>Gianfranco De Turris</b> e <b>Sebastiano Fusco</b>.</div><div>Si tratta di un'edizione 'Collection 'Vintage' con tiratura limitata a 777 copie numerate, carta speciale avoriata 120 gr., 320 pagine, Collana Imaginarium, Prefazione di <b>Carlo Dorofatti</b>, Postfazione di <b>Aldo Luigi Mancusi</b>. Artwork di copertina, quarta e alette realizzate da Alessandro Amoruso e ispirate alla prima edizione dell'opera del 1929. </div><div>Dalla Prefazione di Carlo Dorofatti: "<i>Rocambolesco e surreale romanzo che, se da un lato narra le intriganti vicende di una “guerra magica” tra la Loggia Nera e la Loggia Bianca che si attorcigliano attorno alla specifica operazione alchemica volta all’evocazione di uno spirito elementale (l'homunculus) nel corpo di un nascituro, dall’altro costituisce l’efficace espediente che permette a Crowley di trasmettere diversi fondamentali insegnamenti filosofici, spirituali e magici.</i>" Lo trovate come al solito sul <a href="https://www.independentlegions.com/store/p541/moonchild.html" target="_blank">sito dell'editore</a>.</div><div><br /></div><div><div style="text-align: center;"><span style="color: orange;"><b>Segnalazioni, divagazioni, varie ed eventuali </b></span></div><div style="text-align: center;"><b style="color: orange;"><span style="font-size: x-large;"><span style="vertical-align: inherit;"><span style="vertical-align: inherit;"> THE BLACK LORD</span></span></span></b></div><div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div></div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhrrC30Iz4Wjux4QP9Gei3up_DGsWjS6cExSYJPeH6TYmSv0rgilLbIOPBgUncVVdcZTILbnhTC1NbeTer_34vKy-T1DNktaG30X68iOAudqTBlxtBwQgtzlmF9DGeDCFdx9u7coXbjMKO51LmeM-OhHgNZFEOVDz1mhbjcv7HRznqi1CBHr4pUME6strJ2/s617/blacklord.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="617" data-original-width="400" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhrrC30Iz4Wjux4QP9Gei3up_DGsWjS6cExSYJPeH6TYmSv0rgilLbIOPBgUncVVdcZTILbnhTC1NbeTer_34vKy-T1DNktaG30X68iOAudqTBlxtBwQgtzlmF9DGeDCFdx9u7coXbjMKO51LmeM-OhHgNZFEOVDz1mhbjcv7HRznqi1CBHr4pUME6strJ2/w259-h400/blacklord.jpg" width="259" /></a></div>Vermont, Stati Uniti. Una famiglia distrutta. Un padre alcolizzato. Uno zio in prigione. Una madre che ha perso la speranza. E Danny… che non c’è più, scomparso dal nulla. È soltanto un bambino quando vede la sua vita andare in frantumi e crede che il suo fratellino sia stato risucchiato dalla foresta. Resta solo mentre gli adulti brancolano nel buio, e affronta un terrore tutto suo. Dal bosco un’impossibile creatura avanza sussurrandogli da dietro la finestra che il fratellino scomparso è nelle sue mani. E se vuole riaverlo… deve soltanto aprire quella dannata finestra. Mentre i minuti passano e le speranze per Danny si riducono sempre di più, il tessuto stesso del mondo si disgrega, accogliendo terrori ultraterreni di indicibile provenienza. Una lotta cosmica e metafisica, nella materia impalpabile della creazione e del disfacimento primordiale. Un omaggio ai classici che rivoluziona la dark fiction.</div><div style="text-align: justify;">L’esordio folgorante di un autore dalla straordinaria voce, di luci e ombre, dove il folk horror si unisce ed evolve in un weird ancestrale e atavico che distorce i propri confini per puntare l’orrore cosmico. La novella include il racconto <i>Mouth Filled with the Teeth of Trees</i>.</div><div style="text-align: justify;">Edizione Collection, collana Black Spring, illustrazione di copertina di <b>Matt Blairstone</b>, illustrazioni interne di <b>Echo Echo</b>, copie numerate, traduzione di <b>Cristiano Saccoccia</b>, circa 135 pagine. Lo trovate sul <a href="https://www.independentlegions.com/store/p581/blacklord.html" target="_blank">sito dell'editore</a>.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div style="text-align: center;"><span style="color: orange;"><b>Segnalazioni, divagazioni, varie ed eventuali </b></span></div><div style="text-align: center;"><b style="color: orange;"><span style="font-size: x-large;"><span style="vertical-align: inherit;"><span style="vertical-align: inherit;"> CHARLOTTE SOMETIMES</span></span></span></b></div><div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div></div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><div style="text-align: justify;"><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjTlvbC1lIqIwlGzRbQjYv7rC1dqVMSMiWbPwuwP4eer0_9NO1F4lzesz4YoCxVFCbblzcm3D5kHj-jc3yMRqtX2mBb3ljaXSpI4JEovVznOuDilfHpVv-0lL4VarBG5MWhziQw7C38VQDg426v2SKC8sdBlhv3sYVVwPXh00l9nOk5Hx_7n8qOpOSb32sc/s584/Charlotte.jpg" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="584" data-original-width="400" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjTlvbC1lIqIwlGzRbQjYv7rC1dqVMSMiWbPwuwP4eer0_9NO1F4lzesz4YoCxVFCbblzcm3D5kHj-jc3yMRqtX2mBb3ljaXSpI4JEovVznOuDilfHpVv-0lL4VarBG5MWhziQw7C38VQDg426v2SKC8sdBlhv3sYVVwPXh00l9nOk5Hx_7n8qOpOSb32sc/w274-h400/Charlotte.jpg" width="274" /></a></div>Quando sei la nuova alunna in una nuova scuola, lontana dalla famiglia e dagli amici, è normale sentirsi un po’ fuori posto. Ma quando Charlotte Makepeace si sveglia nel suo letto dopo la prima notte passata in collegio, è letteralmente frastornata: le persone che ha intorno non sono più le stesse, e tutte pensano che lei sia una ragazza di nome Clare Moby. Ma non è la cosa più incredibile, perché pare proprio che Charlotte abbia fatto un balzo indietro nel tempo di ben quarant’anni, finendo sempre nel medesimo collegio, ma nel 1918!</div><div>Nelle settimane successive, Charlotte si sveglia a giorni alterni nella propria epoca e in quella di Clare. E oltre a doversi adattare alla sua nuova realtà nel presente, si trova ben presto a dover gestire pure l’assurda e straniante situazione dell’essere una persona che non è lei in un’epoca che non è la sua e di cui non sa assolutamente nulla. Le insegnanti pensano che sia lenta di comprendonio, le sue compagne che sia una tipa bizzarra, e man mano che Charlotte si ritrova a passare sempre più tempo nel 1918, inizia ad avere dubbi su chi sia la vera se stessa.</div><div>E non è il suo unico problema: se non riuscirà a trovare un modo di ritornare nel proprio mondo prima che l’anno scolastico finisca, potrebbe non avere più una seconda possibilità… </div><div>Finalmente in traduzione italiana il classico della letteratura fantastica che ha fatto innamorare generazioni di lettori e ispirato l’omonima canzone della band inglese <b>The Cure</b>. L'opera sarà presentata in anteprima a <b>Marginalia</b>, il festival dell’editoria horror, weird e perturbante che si terrà a Milano nel fine settimana del 23 e 24 marzo. Nelle librerie atterrerà il prossimo 6 aprile ma già da oggi è preordinabile sul <a href="https://www.agenziaalcatraz.it/prodotto/charlotte-sometimes/" target="_blank">sito dell'editore</a>.</div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div><div><br /></div><div><div style="text-align: center;"><div style="text-align: left;"><div style="text-align: center;"><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><div style="text-align: justify;"><div style="text-align: center;"><span style="color: orange;"><b><span style="vertical-align: inherit;"><span style="vertical-align: inherit;">Segnalazioni, divagazioni, varie ed eventuali </span></span></b></span></div><div style="text-align: center;"><b style="color: orange;"><span style="font-size: x-large;"> SPETTRI FAMILIARI</span></b></div><div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div></div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><div style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;"><span style="text-align: center;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjEvr7lEtRBIIYcoCE3lHp2EP-4gTi9MX1JlOWJjvzEVe-DayHUkxkKovEMbwFashySCISJNQo8-Q_AyHhDotUp_Jiu8EXrHgxNbY0L8OCEJ-DFZUvhY9IWTeKBGQqcjdp41CzafuhZPxmb0amuvwhN4tMMlcbpbdh2HDGqA7A9fuQIzETxnYTOpEKk6zdF/s579/spettri%20familiari.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="579" data-original-width="400" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjEvr7lEtRBIIYcoCE3lHp2EP-4gTi9MX1JlOWJjvzEVe-DayHUkxkKovEMbwFashySCISJNQo8-Q_AyHhDotUp_Jiu8EXrHgxNbY0L8OCEJ-DFZUvhY9IWTeKBGQqcjdp41CzafuhZPxmb0amuvwhN4tMMlcbpbdh2HDGqA7A9fuQIzETxnYTOpEKk6zdF/w276-h400/spettri%20familiari.jpg" width="276" /></a></div>Fin dal principio gli spettri hanno abitato il canone della modernità letteraria italiana; né la loro presenza è mai stata limitata ai confini del "fantastico" - genere o modo che sia - o tanto meno alla filiera della letteratura popolare e di consumo. Tra scritti medianici e tavolette ouija, Poltergeist e fenomeni di "retrocognizione", cimiteri infestati e anime del Purgatorio, <b>Fabio</b> <b>Camilletti</b> ricostruisce qui un ideale filone spettrale della letteratura del secondo Novecento italiano che adopera le suggestioni della metapsichica per interrogare le ombre della storia, le ambiguità della lingua, i vicoli ciechi della memoria, le possibilità del reincanto. Analizzando testi di <b>Pitigrilli</b>, <b>Giorgio Vigolo</b>, <b>Eduardo De Filippo</b>, <b>Dino Buzzati</b>, <b>Mario Soldati</b> e <b>Giorgio Bassani</b>, questo libro tratteggia così l'immagine di una spettralità tutta italiana, nata dal dissolversi degli spazi e dei riti della grande tradizione borghese: una spettralità intimamente crepuscolare, fatta di "canzonette" e di mitologie del "primo amore", di educazioni cattoliche e tentazioni del proibito, di partite di tennis lunghe estati intere e di alberghi di montagna dove si sperimenta con l'ignoto.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="text-align: center;"><b>Fabio Camilletti</b> è professore ordinario di Letteratura italiana moderna e contemporanea all’università di Warwick. Ha lavorato a lungo su Leopardi, Manzoni e il romanticismo italiano, sulle riscritture di Dante nell’Ottocento europeo e sulla presenza di temi relativi all’“occulto” nel canone letterario italiano. </span>In tutte le librerie fisiche e digitali e sul <a href="https://www.unicopli.it/catalogo/occulto/maelstrom/spettri-familiari/" target="_blank">sito dell'editore</a>.</div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div><div><div style="text-align: center;"><div style="text-align: justify;"><div style="text-align: center;"><div style="text-align: justify;"><div style="text-align: left;"><div style="text-align: center;"><div style="text-align: justify;"><div style="text-align: center;"><div style="text-align: justify;"><div style="text-align: center;"><br /></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div>Obsidian Mhttp://www.blogger.com/profile/00077330887101732002noreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-7447467916007164549.post-42633591327997675642024-03-11T07:30:00.002+01:002024-03-11T07:30:00.126+01:00Rapporto sulla cecità (Pt.4)<div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgJdoL6WumeYkDZ4v_ZER1rzqPahGfOlEpOTvngSZwmqqJskVinI14MfAUS8iD96CBnfpPfVGipP4i_9suigKi0NozfuAG3OxFBjItzbhe09ovg0EU53-Q_LCN5GEnxHLfhn1ZVzVk-GqP7GoTR8Ho0kXUDr3Ucocw6XftgGhlTa87LjxeQJkevDgVF_tHE/s831/uomosabbiahoffmann.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="831" data-original-width="536" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgJdoL6WumeYkDZ4v_ZER1rzqPahGfOlEpOTvngSZwmqqJskVinI14MfAUS8iD96CBnfpPfVGipP4i_9suigKi0NozfuAG3OxFBjItzbhe09ovg0EU53-Q_LCN5GEnxHLfhn1ZVzVk-GqP7GoTR8Ho0kXUDr3Ucocw6XftgGhlTa87LjxeQJkevDgVF_tHE/w258-h400/uomosabbiahoffmann.jpg" width="258" /></a></div><div style="text-align: center;">LA PRIMA PARTE SI TROVA <a href="https://insidetheobsidianmirror.blogspot.com/2024/01/rapporto-sulla-cecita-pt1.html" target="_blank">QUI</a></div></div><div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Altra opera letteraria imprescindibile quando si affronta l’argomento cecità è “<i>L'uomo della sabbia</i>” (“<i>Der Sandmann</i>”) di <b>E.T.A. Hoffmann</b>, del 1815. Si tratta di un racconto così angosciante che <b>Sigmund Freud</b> ne fece materia di studio, citandolo nel suo saggio del 1919 “<i>Il perturbante</i>” (“<i>Das Unheimliche</i>”). Vi si narra della follia che s’impadronisce del giovane Nathanael a seguito di alcune vicende che ruotano attorno a Coppelius, un avvocato amico di suo padre. Nathanael conserva il ricordo di uno spauracchio che la madre evocava per convincerlo ad andare a dormire: quello dell'uomo della sabbia (o mago Sabbiolino), che strappava gli occhi ai bambini che restavano svegli e li dava da mangiare ai suoi figli, delle specie di gufi antropomorfi. Avendo Coppelius minacciato il bambino di bruciargli gli occhi con delle braci incandescenti, lui si era convinto che fosse l'incarnazione dell’uomo della sabbia. </div><div style="text-align: justify;">Dopo questo episodio Coppelius scompare all’improvviso e sembra ricomparire anni dopo, quando Nathanael è ormai adulto, sotto l’identità dell’ottico piemontese Giuseppe Coppola. Un giorno, Nathanael vede una donna con i bulbi oculari estirpati (in realtà si tratta di un automa meccanico, ma lui lo scopre solo più tardi) e l’orrore lo sommerge. La trama è molto complicata da spiegare nel dettaglio e sarebbe anche un peccato farlo, ma, in breve, Nathanael impazzisce quando i suoi incubi infantili sembrano prendere forma. <span><a name='more'></a></span></div><div style="text-align: justify;">Per <b>Freud</b>, questo racconto riflette una paura ricorrente e inconscia, quella di perdere gli occhi, che a sua volta riflette la paura di perdere la virilità, legata alla figura paterna (figura che è scissa nella narrazione, con la metà buona incarnata dal padre e quella cattiva da Coppelius, in modo che Nathanael possa continuare a voler bene al padre mentre scarica l’angoscia e il desiderio di morte sul suo “doppio” – ma sto semplificando). Collega quindi direttamente la cecità al timore dell’evirazione, ma suppongo non sia una sorpresa per nessuno, dato che lo psicanalista austriaco riuscì a ricondurre praticamente ogni moto dell’animo umano alla sfera sessuale. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi49h3eE_7hW0DEC2TTkWWOWiIEpgyiW2WUiz976YymHUdlXBuwf9eCI2Z0ISfER6w1L_Xfdi82iV-1HZhNFgspmm1jjwegyTTRsIN7oFAft5hp3bfCfCMRkm2qjlGMZDctNXLPKJntyFldRzmwh2C-tRUcPZaaiDZ5IomiUJ7RDKpmrqavh0Grm6xTuUjx/s609/risatanelbuio.JPG" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="609" data-original-width="400" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi49h3eE_7hW0DEC2TTkWWOWiIEpgyiW2WUiz976YymHUdlXBuwf9eCI2Z0ISfER6w1L_Xfdi82iV-1HZhNFgspmm1jjwegyTTRsIN7oFAft5hp3bfCfCMRkm2qjlGMZDctNXLPKJntyFldRzmwh2C-tRUcPZaaiDZ5IomiUJ7RDKpmrqavh0Grm6xTuUjx/w263-h400/risatanelbuio.JPG" width="263" /></a></div>Freud si occupò anche della cecità isterica, che descrisse come la somatizzazione di uno stress psichico acuto: il malato non finge, ma è realmente convito di essere diventato cieco. Ci sono due film i cui personaggi sono affetti da cecità isterica e, curiosamente, sono entrambi del 2002: “<i>Hollywood Ending</i>“ di <b>Woody Allen</b> e “<i>Gli occhi della vita</i>” (“<i>Hysterical Blindness</i>”) di <b>Mira Nair</b>. Nel film “<i>Il colore della notte</i>” di <b>Richard Rush</b>, del 1994, c’è una variazione sul tema della cecità isterica, che potremmo chiamare “cecità selettiva” (la definizione è mia): Bruce Willis interpreta un terapista che non riesce più a distinguere il rosso, il colore del sangue, dopo che una sua paziente si è suicidata davanti ai suoi occhi. Un amico (il suo medico?) gli dice che “negarsi il rosso è negarsi le emozioni, e come ben sai può diventare pericoloso”. Purtroppo simili premesse sono inutili: questo dettaglio non è affatto a servizio della trama, e comunque il film si fa dimenticare in fretta. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Restando in tema letterario, desidero fare almeno altre tre menzioni.
<b>Vladimir Nabokov </b>pubblica nel 1932 un romanzo poco noto dal titolo “<i>Risata nel buio</i>” (titolo originale “<i>Камера обскура</i>”, “<i>Camera Obscura</i>”), da cui nel 1969 sarà tratto il film “<i>In fondo al buio”</i> di <b>Tony Richardson</b>, che è la storia di un uomo sposato, Albinus, che si infatua della diciassettenne Margot e comincia con lei una torbida relazione che sfocerà in tragedia. Una relazione parassitica da parte di entrambi, perché Margot sfrutta Albinus per cercare di sfondare nel
cinema, mentre lui diventa dipendente da lei quando, a un certo punto, rimane cieco in seguito a un incidente. Questo libro contiene già in nuce gli elementi che saranno sviluppati prima nel racconto “<i>L'incantatore</i>” (1940), e in seguito, e con molto più successo, in “<i>Lolita</i>” (1955). </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Nel saggio del 1985 “<i>L'uomo che scambiò sua moglie per un cappello</i>”, il neurologo britannico <b>Oliver Sacks</b> illustra alcuni casi da lui affrontati lavorando in una clinica americana, dedicando a ognuno un capitolo diverso. La pietas umana e la descrizione del dolore miscelati con l’umorismo e le riflessioni filosofiche hanno decretato la fortuna di questo testo, il cui titolo si riferisce a un episodio in cui il dottor P., un musicista, confuse la testa di sua moglie con il suo cappello, e cercò di mettersela in testa. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjmsprsTtgt2iYwZWKG6nuLCUKrqoEyVG6zP928ibHd4CIpEoe9s0qQapkmWW8O-HDq_wLnscmZ3TzQSsH2Q8i2VALcMZF7D6QetHCB6tVARg0r_O5chyphenhyphenXmTmcEbcEAUC30yLWP2_Fbqk3pZxO4yLlW4Z7h6FGcuzJdLWicVaDc6oRf1uRQ3651K4pIMtx1/s621/mogliecappello.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="621" data-original-width="400" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjmsprsTtgt2iYwZWKG6nuLCUKrqoEyVG6zP928ibHd4CIpEoe9s0qQapkmWW8O-HDq_wLnscmZ3TzQSsH2Q8i2VALcMZF7D6QetHCB6tVARg0r_O5chyphenhyphenXmTmcEbcEAUC30yLWP2_Fbqk3pZxO4yLlW4Z7h6FGcuzJdLWicVaDc6oRf1uRQ3651K4pIMtx1/w258-h400/mogliecappello.jpg" width="258" /></a></div>Questo caso specifico è narrato nella prima sezione, “<i>Perdite</i>”, che affronta una serie di sindromi neurologiche derivanti da deficit funzionali dell’emisfero destro del cervello, sempre un po’ trascurato (secondo Sacks) dalla neurologia tradizionale. Il dottor P. era affetto da prosopagnosia (l’incapacità di riconoscere i volti), una forma di cecità che <b>Sacks</b> non fu in grado di diagnosticare, in quanto non poté seguire il paziente abbastanza a lungo, ma che dimostrò di avere intuito. Il paziente in realtà non aveva alcun deficit visivo, ma poteva riconoscere gli oggetti e le persone non attraverso la vista, ma solo attraverso gli altri sensi (in genere l’udito o il tatto): era inconsapevole del suo problema perché incideva poco nella sua vita quotidiana, ma purtroppo era destinato a peggiorare molto e molto in fretta. </div><div style="text-align: justify;">Più avanti, nella sezione “<i>Eccessi</i>”, viene riportato il caso simile di una donna affetta da un carcinoma dei lobi frontali, che però, a differenza del dottor P., non solo era del tutto consapevole del suo difetto ma, semplicemente, se ne disinteressava. </div><div style="text-align: justify;">Il caso più pietoso, narrato sempre nella sezione “<i>Perdite</i>”, è però forse quello di Christina, una giovane donna che a causa di una poliradicoloneurite (un'infiammazione di tutte le radici sensitive dei nervi cranici e spinali, una sindrome che non aveva precedenti e non poté essere curata) aveva completamente perso la capacità di percepire il proprio corpo e non era più in grado di effettuare nessun movimento se non teneva lo sguardo fisso sulla parte del corpo che voleva muovere, e definiva se stessa “la disincarnata”. </div><div style="text-align: justify;">Nella sua opera del 1990 “<i>Memorie di un cieco. L'autoritratto e altre rovine</i>” (“<i>Mémoires d'aveugle. L'autoportrait et autres ruines</i>”) <b>Jacques Derrida</b>, partendo dal ricordo di un suo momentaneo problema visivo riflette sulla cecità come impossibilità di vedere l’inizio, con l’arrivare in ritardo, a discorso iniziato, e sulla differenza fra credere e vedere. Il cieco, che brancolando nel buio raccoglie solo qualche traccia del reale, a sua volta l’eco di altre visioni fallaci o parziali, è di base la rappresentazione dell’essere umano. Questo testo difficilmente collocabile che parla di psicoanalisi, arte e poesia, a metà tra il saggio e il romanzo, è da molti considerato uno dei punti più alti della sua produzione, dove il suo pensiero più maturo giunge a compimento.</div></div><div style="text-align: right;"><a href="https://insidetheobsidianmirror.blogspot.com/2024/03/rapporto-sulla-cecita-pt5.html" target="_blank">CONTINUA</a></div>Obsidian Mhttp://www.blogger.com/profile/00077330887101732002noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-7447467916007164549.post-70120144053567504912024-03-04T07:30:00.001+01:002024-03-04T07:30:00.126+01:00Dachra<div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEisrdbo2jxoJjC7vkXA-RH3LIZMvmHJET_m-4xHEAOVsiLIPzc-kn1LRv1QbafkJexRle8n4SF7wDlz-ufSr4fnUJ942nF0phTGK-OsOWKm75FrvL_xaWsexlEmVOIu4frhbhacGr93yrTU1BSxGROGUuZ3uGfvxkRNiyU3NVB2YBji3YIhvJz-5cWQPCHd/s523/dachraposter.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="523" data-original-width="400" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEisrdbo2jxoJjC7vkXA-RH3LIZMvmHJET_m-4xHEAOVsiLIPzc-kn1LRv1QbafkJexRle8n4SF7wDlz-ufSr4fnUJ942nF0phTGK-OsOWKm75FrvL_xaWsexlEmVOIu4frhbhacGr93yrTU1BSxGROGUuZ3uGfvxkRNiyU3NVB2YBji3YIhvJz-5cWQPCHd/w306-h400/dachraposter.jpg" width="306" /></a></div>Mi accingo alla visione di <i>Dachra</i> essenzialmente per un motivo: la sua provenienza. Mi intriga
parecchio l’idea di accomodarmi sul divano, specialmente in una sera in cui, una volta tanto,
non sono devastato dalla stanchezza, per assistere al primo horror tunisino della mia lunga
carriera di appassionato del genere. Non ho alcuna idea di cosa mi attenda, anche se, in un
angolo della mia testa, quell’assonanza con il titolo del celebre romanzo di Bram Stoker mi fa
sospettare l’ennesimo adattamento della solita storia. Errore gravissimo, perché qui di vampiri
non c’è alcuna traccia e quell’assonanza, scoprirò in seguito, è soltanto casuale. </div><div style="text-align: justify;">Meglio così,
forse; anzi, sto per assistere a un horror che affonda le sue radici nel folclore più sconosciuto
del paese nordafricano. Non sarebbe affatto male, rifletto, visto che ne so così poco di folclore
che non sia europeo o, al limite, asiatico. </div><div style="text-align: justify;">Premo quindi il tasto play con tale grande speranza.
È solo quella rapida scritta che appare sullo schermo dopo un minuto, e che mi consegna
l’abusato slogan “<i>basato su una storia vera</i>”, che mi fa temere un secondo errore di
valutazione.
Due ore più tardi, mentre con un occhio già abbondantemente chiuso mi sollevo dal divano, mi
sorprendo a ragionare su ciò a cui ho appena assistito. </div><div style="text-align: justify;"><span><a name='more'></a></span>Che cos’era? Un paranormale che vira
sulla stregoneria, un film a tema “psicopatico sadico” con elementi paranormali, oppure un
cannibalico tout-court con elementi talmente incomprensibili che non mi resta che appellarmi
al paranormale per trovare una risposta ai miei tanti dubbi? Più probabilmente, e lo dico
adesso a qualche giorno dalla visione, ho assistito a qualcosa di grandioso, che non ho ancora
digerito del tutto ma che si è perso in un minutaggio imperdonabilmente eccessivo. </div><div style="text-align: justify;">Visivamente il film si rivela subito piuttosto interessante, per merito di un direttore della
fotografia, <b>Hatem Nechi</b>, che dimostra di essere più che disposto ad adottare una gustosa
varietà di angolazioni insolite per le riprese, utilizzando al contempo colori molto desaturati per
sottolineare la natura cruda e desolante della storia.
Per quanto riguarda i personaggi, il regista <b>Abdelhamid Bouchnak</b>, al suo primo (e finora unico)
lungometraggio, sceglie un trio di elementi a dir poco odiosi, che prendono costantemente
decisioni totalmente illogiche e, credetemi, mille volte più stupide di quelle che prendono
solitamente i goffi protagonisti dei più pessimi slasher a stelle e strisce. Non sorprende quindi
che il film si regga in gran parte sulle situazioni in cui il maldestro trio, nei modi più ingenui e
inconcepibili, si va a cacciare. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi1wcX0dA9ARez-feg98HhFQgXD3YC_aiY25UC6Mb2SxyUYIl4Y02ejvlHAa9aBiZcgbC4EQ7ymtT1YZ8SUOnkSOkBb2XolQ463vRWQJERI7O_1ok88rPVRh2f2rWBvfKuxUs6smbU3NjHRGLNv_74H2Sbu8qG_t5XomJyG7zfubyK1wTx8dmqFryTzGVdh/s600/dachra3.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="337" data-original-width="600" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi1wcX0dA9ARez-feg98HhFQgXD3YC_aiY25UC6Mb2SxyUYIl4Y02ejvlHAa9aBiZcgbC4EQ7ymtT1YZ8SUOnkSOkBb2XolQ463vRWQJERI7O_1ok88rPVRh2f2rWBvfKuxUs6smbU3NjHRGLNv_74H2Sbu8qG_t5XomJyG7zfubyK1wTx8dmqFryTzGVdh/s16000/dachra3.jpg" /></a></div>Ma spendiamo giusto due parole sulla trama. Yasmine è una studentessa di giornalismo che
insieme a due compagni di studi, Walid e Bilel, decide di occuparsi, per un video documentario
scolastico, del caso irrisolto di Mongia, una donna ritrovata a vagare nei boschi 25 anni prima a
seguito di una violenta aggressione e ora rinchiusa in un ospedale psichiatrico. Nel corso delle
indagini, dopo un inconcludente incontro con una vittima ormai completamente alienata, il
dinamico trio decide di ripartire dal luogo del ritrovamento. Un sentiero li conduce a Dachra, un
arcaico e isolato villaggio di campagna dove un uomo, che sostiene di essere il capo della
comunità, li invita a trascorrere la notte presso di loro. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">È ovviamente l’inizio di un incubo; un
incubo che i tre avrebbero benissimo potuto risparmiarsi, visto che sarebbe bastato guardarsi
un attimo in giro, declinare l’invito e riprendere comodamente la strada del ritorno. Ma se così
fosse stato, il film sarebbe finito e lo spettatore non avrebbe potuto “godersi” quell’ora e mezza
in più di girato. Yasmine e i suoi due amici decidono invece di restare, senza curarsi troppo
degli indizi che tutt’attorno evocano pensieri tutt’altro che rassicuranti come cannibalismo e
stregoneria. </div><div style="text-align: justify;">Tacendo del numero spropositato di capre e caproni (che in un villaggio di
campagna potrebbe non essere così inusuale), quello che colpisce maggiormente è la
silenziosa attività delle donne che giorno e notte, senza alcuna interruzione, si destreggiano tra
fumanti pentoloni pieni di chissà cosa e misteriosi brandelli di carne appesi dappertutto a
essiccare. </div><div style="text-align: justify;">Quest’ultimo è, tra l’altro, l’aspetto più bizzarro e, lasciatemi dire, talmente
esagerato dall’apparire quasi una parodia: non riesco infatti davvero a spiegarmi le ragioni di
tale accanimento gastronomico; un’incessante catena di montaggio culinaria chiaramente non
giustificata dal numero esiguo di “missionari” ivi tansitanti. </div><div style="text-align: justify;">Si fa naturalmente largo l’ipotesi dell’esistenza di un mostro cannibale, adorato e idolatrato
dalla comunità, che necessiti di ripetuti sacrifici umani in suo onore, ma la cosa sta in piedi fino
a un certo punto e certamente non giustifica il comportamento degli abitanti del villaggio.
Ad ogni modo i tre decidono di restare, privi come sono del benché minimo istinto di
sopravvivenza. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg6mgGdw75tlysAZsvVEH__M_U2E-EOpXCJJfNhoXxLaFN-J57k6c1BxP-e4F_28FrBOnj7XTVEQBiCtgPSK9S_IaJ7HkTs4TOuWeh3Bo-8GncVV2r7648Xhx5i_Zq66CUoPAiwEgmXgdR5OV_3Jm62cOW7aLQ05OkAp_YkDK5Ypzs8OA2PXatuIWEQcDR1/s600/dachra1.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="337" data-original-width="600" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg6mgGdw75tlysAZsvVEH__M_U2E-EOpXCJJfNhoXxLaFN-J57k6c1BxP-e4F_28FrBOnj7XTVEQBiCtgPSK9S_IaJ7HkTs4TOuWeh3Bo-8GncVV2r7648Xhx5i_Zq66CUoPAiwEgmXgdR5OV_3Jm62cOW7aLQ05OkAp_YkDK5Ypzs8OA2PXatuIWEQcDR1/s16000/dachra1.jpg" /></a></div>Per oltre un’ora gli avvenimenti sembrano ripetersi all’infinito, in una
successione infinita di azioni insensate e nella totale inosservanza del fatto che in quello stesso
luogo, venticinque anni prima, una donna era riuscita miracolosamente a sopravvivere a
qualcosa di terribile. </div><div style="text-align: justify;">È il momento in cui si presenta, per lo spettatore, l’inevitabile colpo di
sonno. Il film sembra incastrarsi su sé stesso, e si ha l’impressione di assistere sempre alle
stesse scene, montate e rimontate astutamente per allungare il brodo. Un piccolo indizio di tale
espediente realizzativo è proprio il personaggio di Yasmine, che passa nello spazio di pochi
secondi dall’essere una eroina coraggiosa a una ragazzina piagnucolosa e strillante. Particolare,
quest’ultimo, che stride parecchio con l’ottima performance generale offerta da <b>Yasmine
Dimassi</b>, che a Yasmine ha dato il volto, un’attrice celebre nel suo paese sia per la sua lunga
carriera teatrale sia per il premio ottenuto al Festival del cinema tunisino nel 2019. </div><div style="text-align: justify;">Una mezz’oretta più tardi (ma sembrano trascorsi dei secoli) gli occhi dello spettatore si
riaprono giusto in tempo per assistere a un epilogo tra i più scombinati della storia. Non starò
qui ovviamente a raccontarvelo, ma vi basti sapere che risposte alle vostre domande non ne
avrete. Otterrete al contrario una quantità esagerata di nuovi dubbi, che vi porterete a letto e
sui quali trascorrete insonni tutta la notte. </div><div style="text-align: justify;">Vorrei potervi dire che le risposte erano tutte in
quella mia mezz’oretta di torpore, e che solo io sono stato causa dei miei mali, ma ahimè,
anche mia moglie, che ha sempre gli occhi bene aperti, e che ha assistito ininterrottamente a
<i>Dachra</i> dallo stesso sofà, ha trascorso la notte successiva a interrogarsi sulle stesse questioni
(beh, non proprio tutta la notte, in verità).
Che altro dire? </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">In tutta onestà non posso neanche affermare che <i>Dachra</i> sia stato un film poco
originale, nel suo complesso. Anzi, ci sono moltissimi spunti che invogliano lo spettatore ad
approfondire. <i>Dachra</i> non ha tentato di scimmiottare le solite produzioni horror americane e
non è minimamente accostabile ai film cannibalici o stregoneschi a cui siamo stati abituati. C’è
tanto di nuovo in <i>Dachra</i>, e non è solo una questione di lingua e di cultura. C’è un substrato di
emozioni che ti viene sparato letteralmente in faccia e che anche oggi, a distanza di alcuni
giorni, è difficile da focalizzare, qualcosa di poco individuabile e che probabilmente si perde nei
meandri della nostra mancanza di familiarità con la realtà nordafricana; una realtà dove la
maniera di affrontare argomenti di cui non si vuole parlare è evidentemente lontana anni luce
dalla nostra. Una volta sgretolata la sua superficie, ciò che di primo acchito la nostra sensibilità
fatica a decifrare, <i>Dachra</i> è un film che senza dubbio riesce a farsi largo nei nostri cuori. Ed è
per questo che ne consiglio vivamente la visione.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhT813x7ygsaFgCo3HoxhSxBI2KaTNhE0G_VAw-5w2vj9X339uJJOrurlz2v8lvWiMUWKoMS_LXIIG5k031B31-vZbKxn6OiMdIFaoX9DWiRx2B0kkzMBerqM859p30WnKYCnhuIpvyRdFjJ3wUjqP4RuwTpXRCrNzsMjDjF5XeA7vrAJS3-wYgaWMPnte_/s600/dachra2.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="260" data-original-width="600" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhT813x7ygsaFgCo3HoxhSxBI2KaTNhE0G_VAw-5w2vj9X339uJJOrurlz2v8lvWiMUWKoMS_LXIIG5k031B31-vZbKxn6OiMdIFaoX9DWiRx2B0kkzMBerqM859p30WnKYCnhuIpvyRdFjJ3wUjqP4RuwTpXRCrNzsMjDjF5XeA7vrAJS3-wYgaWMPnte_/s16000/dachra2.jpg" /></a></div><br /><div style="text-align: justify;"><br /></div>Obsidian Mhttp://www.blogger.com/profile/00077330887101732002noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7447467916007164549.post-75694300545040235352024-02-26T07:30:00.003+01:002024-02-26T07:30:00.128+01:00Rapporto sulla cecità (Pt.3)<div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgTUU4PxeSb6GHYWUpGkAEXOdR_7tOV3uIcmTkakYWkx0-WbkkJJjFFE3T8hz_n55WRlJlNpeFcYTLHHUAaEdDo4dWuGcjfLPkwlu2YVQyqW0SmpU1G_Qv8RPJ3wH7yxjsIU032gnPazg4rk4Dr-IV9ij4AmieBR6rPU_vgtNbIACmRIY2HwRpruMhy3V8J/s577/1984orwell.JPG" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="577" data-original-width="400" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgTUU4PxeSb6GHYWUpGkAEXOdR_7tOV3uIcmTkakYWkx0-WbkkJJjFFE3T8hz_n55WRlJlNpeFcYTLHHUAaEdDo4dWuGcjfLPkwlu2YVQyqW0SmpU1G_Qv8RPJ3wH7yxjsIU032gnPazg4rk4Dr-IV9ij4AmieBR6rPU_vgtNbIACmRIY2HwRpruMhy3V8J/w278-h400/1984orwell.JPG" width="278" /></a></div><div style="text-align: center;">LA PRIMA PARTE SI TROVA <a href="https://insidetheobsidianmirror.blogspot.com/2024/01/rapporto-sulla-cecita-pt1.html" target="_blank">QUI</a></div></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Un ribaltamento della prospettiva pare averlo operato anche la letteratura moderna rispetto a quella classica, almeno a giudicare dagli esempi proposti qui sopra, anche se non ne so a sufficienza per poterlo dire con certezza; a ben vedere, comunque, a grandi linee parlano di cecità anche quei racconti distopici, come “<i>1984</i>” (“<i>Nineteen Eighty-Four</i>”, 1949) di <b>George Orwell</b>, che utilizzano il concetto dell’occhio invisibile per parlare della sorveglianza di massa, della repressione e della propaganda nei regimi totalitari, assurto poi a metafora di quanto esprime il potere nella società contemporanea, perché deputare una vista illimitata a un “Grande Fratello”, cioè all'élite come ingannevole surrogato della collettività, significa in fondo sottrarla al singolo, condannandolo a qualcosa di molto simile alla cecità. </div><div style="text-align: justify;">Del resto, <b>Orwell</b> prese ispirazione dal <b>Panopticon</b>, il carcere circolare ideato alla fine del ‘700 da <b>Jeremy Bentham</b>, e il nome Panopticon, letteralmente “l'occhio che tutto vede”, deve il suo nome ad <b>Argo Panoptes</b> (Ἄργος Πανόπτης”), una creatura della mitologia greca che aveva molti occhi sparsi sul corpo (secondo Ovidio, addirittura cento), grazie ai quali non doveva mai dormire... <span><a name='more'></a></span></div><div style="text-align: justify;">Anticamente, la cecità era in genere indice di sacralità, di un’anima non distratta dalle cose visibili, ma che attinge a una realtà sovrasensibile e la svela agli altri solo per tramite degli dèi: il cieco era spesso un profeta e un saggio (all’apparenza anche un folle, perché non a tutti è dato riconoscere la vera saggezza). Gli <b>aedi</b>, gli antichi cantori greci ispirati dalle <b>Muse</b>, erano ciechi: <b>Omero</b> stesso, “ὁ μὴ ὁρῶν, ho mḕ horṑn” o “colui che non vede” in una delle accezioni ipotizzate, era cieco. Ciechi sono anche alcuni personaggi della mitologia. <b>Edipo</b>, protagonista di numerose tragedie, al compiersi della profezia che lo vede uccidere suo padre e sposare sua madre, consapevole di quanto ha fatto si trafigge gli occhi e si acceca, perde cioè la vista quando vede la verità; l’indovino <b>Tiresia</b> (in Apollodoro, Ovidio e Stazio, ma anche Dante lo cita nel canto XX dell’Inferno) era cieco. Le <b>Graie</b>, o <b>Forcidi</b>, avevano invece un solo occhio e un solo dente in comune, che usavano a turno cosicché mentre una restava sveglia, le altre due potevano riposare. Anche il dio norreno <b>Odino</b> in una versione del mito aveva un occhio solo, avendo sacrificato l’altro in pegno al gigante <b>Mímir</b> in cambio dell’accesso alla fonte della conoscenza.
Guardare non è vedere, ho scritto prima, ma vedere è credere. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgp1o5BEKkPmmTSHvwXuyqmisY71jwgYHHIbm4GuXeOkWwaWGFZNeuOGOrFBXNxrYkbPiextglHfMxFBw7AaIWaD5mSkUxghW789788i-yk28-B-586YadqVHEVtwXNC0efH50Tr0Xl2NlPaeH8OzzCRdyD_NlA98cy8xJmggUIYvb-3CuuzDnsolGDwXU7/s600/edipo.JPG" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><i><span style="color: #fcff01;"><img border="0" data-original-height="320" data-original-width="600" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgp1o5BEKkPmmTSHvwXuyqmisY71jwgYHHIbm4GuXeOkWwaWGFZNeuOGOrFBXNxrYkbPiextglHfMxFBw7AaIWaD5mSkUxghW789788i-yk28-B-586YadqVHEVtwXNC0efH50Tr0Xl2NlPaeH8OzzCRdyD_NlA98cy8xJmggUIYvb-3CuuzDnsolGDwXU7/s16000/edipo.JPG" /></span></i></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><i><span style="color: #fcff01;">The Blind Oedipus Commending his Children to Gods - Bénigne Gagneraux - 1784 - Olio su tela</span></i></td></tr></tbody></table>La Bibbia ha affrontato più volte il tema della guarigione dei non vedenti, come in Isaia 35, 5-6: “<i>Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi. Allora lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua del muto, perché scaturiranno acque nel deserto, scorreranno torrenti nella steppa.</i>” Il tema è il superamento della cecità morale dell'umanità, grazie al quale l’uomo potrà vedere la grandezza di Dio e la sua misericordia. E così in seguito, nella parabola del cieco (Giovanni 9, 1-41), “la luce del mondo”, Gesù, guarisce un uomo cieco dalla nascita, o meglio, gli ordina di andarsi a lavare gli occhi. Eseguendo ciò che Gesù gli chiede, cioè fidandosi di lui, l’uomo effettivamente guarisce... ma poi è chiamato a raccontare, quasi a giustificare questa guarigione davanti ai Farisei, perché gli Ebrei credevano che ogni difetto fisico o disabilità fosse una prova della propria condizione di peccatore, e quando era congenita che fosse un’eredità delle colpe dei suoi antenati. Mentre il cieco ha riacquistato la vista, i “saggi” che lo interrogano paiono più ciechi, di fronte alla verità, di quanto lui non fosse in precedenza. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Alla cecità morale che limita l’uomo si ispirò anche <b>Pieter Bruegel il Vecchio</b>. Nel dipinto a
tempera “<i>Parabola dei ciechi</i>” del 1568, in un paesaggio fiammingo l’autore raffigura una fila di ciechi che guidano altri ciechi, alcuni hanno la bocca aperta, alcuni di questi, in cima alla fila stessa, sono già caduti a terra, mentre altri sono in procinto di cadere. La cecità di questi uomini è dipinta con crudo realismo, ognuno presenta i segni di una differente patologia, uno addirittura è privo dei bulbi oculari, ma la cosa più terrificante è che sono soli: la comunità (la chiesa) resta sullo sfondo, mentre essi sono lasciati in balìa di se stessi, senz’altra possibilità che di seguire chi li precede, in una potente quanto impietosa allegoria della stupidità umana. </div><div style="text-align: justify;">Potrà sembrare bizzarro, ma circa quattrocento anni dopo lo scrittore tedesco <b>Gert Hoffman</b> scrisse un racconto (“<i>una genealogia teatrale del quadro</i>”) per il raccontare il dipinto di <b>Bruegel</b>, ammiccando (come il pittore) al proverbio fiammingo "<i>Quando un uomo cieco ne guida un altro, ambedue cadranno nella fossa</i>". </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhxfPcre9Ew8mbEBJ98iu3H42wIW-pwqJh6owUrGnpgD6rAGEkECDIp8GBLNgUYCiR5mwPvKEZiwFrJdx_967AJDsFKnUXltX4VPwrJUTWDMBfqnLct7m9_finv2Dqk8W1ZiX1CDdSFwnxlpur61KxtEvmDSRhsXYJc9Mg41y_8zNethWVboDFYFYRT8Ob1/s600/%D0%9F%D1%80%D0%B8%D1%82%D1%87%D0%B0_%D0%BE_%D1%81%D0%BB%D0%B5%D0%BF%D1%8B%D1%85.jpeg" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="337" data-original-width="600" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhxfPcre9Ew8mbEBJ98iu3H42wIW-pwqJh6owUrGnpgD6rAGEkECDIp8GBLNgUYCiR5mwPvKEZiwFrJdx_967AJDsFKnUXltX4VPwrJUTWDMBfqnLct7m9_finv2Dqk8W1ZiX1CDdSFwnxlpur61KxtEvmDSRhsXYJc9Mg41y_8zNethWVboDFYFYRT8Ob1/s16000/%D0%9F%D1%80%D0%B8%D1%82%D1%87%D0%B0_%D0%BE_%D1%81%D0%BB%D0%B5%D0%BF%D1%8B%D1%85.jpeg" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><i><span style="color: #fcff01;">Parabola dei ciechi - Pieter Bruegel il Vecchio - 1568 - Tempera su tela</span></i></td></tr></tbody></table>“<i>La parabola dei ciechi</i>” (“<i>Der Blindensturz</i>”, 1985) è la storia di sei mendicanti ciechi e del loro viaggio per recarsi da Bruegel e posare come modelli per il suo quadro. I sei sono costretti ad affidarsi a una guida e a venire derisi in ogni singolo momento - dovendo mangiare, dormire, inciampare, cadere, soffrire, espletare i propri bisogni in pubblico - come fossero un corpo unico, perché nulla come la malattia rinchiude gli uomini in recinti, la malattia che non è che la demarcazione tra la dimensione umana e qualcosa che, nell’inconscio, diventa altro.
La vista è – ovviamente - il senso più importante per un pittore, ma lo psicanalista e filosofo <b>Sergio Benvenuto</b>, riferendosi anche a <b>Jacques Lacan</b>, opera una distinzione tra “pittura della visione" e "pittura dello sguardo", ovvero tra una pittura che svela lo sguardo del pittore (lo “squarcio espressionista”) e una che lo cancella dal quadro; riflette su <b>Munch</b> e sul suo quadro che urla, su <b>Cézanne</b> che dilatava gli occhi e <b>Modigliani</b> che non li dipigeva, sui quadri perforati di <b>Lucio Fontana</b>, fino al Cubismo, che moltiplica i punti di vista decostruendo l'oggetto, fino a renderlo pura astrazione.
È impressionante il numero di pittori noti affetti da problemi di vista poi sfociati nella cecità. C'è il caso di <b>Claude Monet</b> (1840-1926), che era affetto da cataratta. In vecchiaia, a causa della malattia divenne incapace di percepire i colori con la stessa intensità di prima, e fu costretto a smettere di dipingere. Il maestro impressionista fu però operato e a poco a poco recuperò l'uso dell'occhio destro, ma la sua pittura mutò notevolmente in relazione all’uso dei colori, per divenire infine sempre più astratta. Anche <b>Edgar Degas</b> (1834-1917) aveva un problema alla vista, una probabile retinopatia che degenerò in cecità. L’artista dovette rinunciare alla pittura e al disegno e si diede alla scultura, che poteva esercitare con il senso che ormai era diventato per lui prevalente, il tatto. Ma sono solo due esempi.
</div><div style="text-align: right;"><a href="https://insidetheobsidianmirror.blogspot.com/2024/03/rapporto-sulla-cecita-pt4.html" target="_blank">CONTINUA</a></div>Obsidian Mhttp://www.blogger.com/profile/00077330887101732002noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-7447467916007164549.post-61998939851797648272024-02-19T07:30:00.036+01:002024-02-19T07:30:00.146+01:00Nebraska<div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhPybdlT-LPU89kmJ1kTGM45QnHK2Z6gy9vnmByHXBVM4dSEYqolNib-XYUaGRUaoyEs1-0JWPUVDy3-cNX0zVRht0Ar_GBreMeNy7g9QEtFHd6icDUaFuKqMxDjGXgpFqZs1m7zf-2MCMzmVWtEPTz4-UsX_33b3L_byxb-dhk9BjZxNqY07zvNRQpcOB9/s624/nebraskaposter.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="624" data-original-width="400" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhPybdlT-LPU89kmJ1kTGM45QnHK2Z6gy9vnmByHXBVM4dSEYqolNib-XYUaGRUaoyEs1-0JWPUVDy3-cNX0zVRht0Ar_GBreMeNy7g9QEtFHd6icDUaFuKqMxDjGXgpFqZs1m7zf-2MCMzmVWtEPTz4-UsX_33b3L_byxb-dhk9BjZxNqY07zvNRQpcOB9/w256-h400/nebraskaposter.jpg" width="256" /></a></div>Lo ammetto, ho approcciato questo film per un motivo decisamente infantile: il titolo. Un titolo che
associo, per mia forma mentis, all’omonimo album di <b>Bruce Springsteen</b>, sottovalutato capolavoro
folk registrato con il solo l’ausilio di armonica e chitarra acustica, e fondamentale, all’interno della
sua discografia, per il suo fare da spartiacque tra il “working class hero” che era lo Springsteen delle
origini e il rocker mainstream in cui egli si trasformò negli anni successivi. </div><div style="text-align: justify;">Anche la promessa del
bianco e nero, con il quale è stato girato questo film, ha un collegamento con l’album,
quell’emozionante bianco e nero che il boss scelse per copertina del disco come ideale sfondo per
storie cupe, di dolore, morte e solitudine viste attraverso la lente delle piccole città rurali del
Midwest americano. Ecco, si tratta di uno dei rari casi in cui si può dire, senza timore di essere
smentiti, che un libro (un album, in questo caso, e, per estensione, un film) si può giudicare dalla
sua copertina: storie che ci portano nelle grandi pianure, verso una terra promessa che è sì lontana,
ma non pare così irraggiungibile. Sono storie di persone che hanno perso tutto, anche la propria
anima, persone tradite dalla natura illusoria del "sogno americano”, con qua e là lampi di speranza
che brillano come squarci tra le nuvole, per poi troppo spesso finire inghiottite da una pioggia
battente. <span><a name='more'></a></span></div><div style="text-align: justify;"><b>Alexander Payne</b>, nulla a che fare con Springsteen, fa lo stesso: usa il bianco e nero e sceglie
paesaggi per ottenere lo stesso drammatico risultato, il sapore della vera America che vive e
sopravvive e che nulla ha a che fare con l’idea di America che ci siamo fatti oltre confine, quella
delle luci di New York e di Los Angeles, bugiarde vetrine di un occidente da tempo ormai
precipitato in fondo al baratro.
<b>Alexander Payne</b>, regista ormai stabilmente consegnato al mito grazie a commedie drammatiche di
grande spessore (“<i>A proposito di Schmidt</i>”, 2002, “<i>Sideways</i>”, 2004, “<i>Paradiso amaro</i>”, 2011),
sceglie un protagonista altrettanto di culto: <b>Bruce Dern</b> (“<i>Marnie</i>”, 1964, “<i>Piano... piano, dolce
Carlotta</i>”, 1964, “<i>Tornando a casa</i>”, 1978), che nell’occasione offre un'interpretazione degna di un
Oscar nei panni di un anziano fuori dal mondo e apparentemente impermeabile a qualsiasi cosa
succeda attorno a lui. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj3p0i1WHnKH75RWAZaDiPxF80s-9oa2CDn_lUvLPqSF1Rpx4Fxx9luzRPc0r1UWXMUSFhC7fKQOKgcHxluOHgGjQ-QPTQ81W4qvB5FwEAio9PUBfJ-djswhXvPdptfIF8R7eW8NmvAtjODXay_3ddgQMdg0oe2Dx8ICVtFQlUCNZUjv_kDiDFyJiocNTeL/s600/nebraska5.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="251" data-original-width="600" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj3p0i1WHnKH75RWAZaDiPxF80s-9oa2CDn_lUvLPqSF1Rpx4Fxx9luzRPc0r1UWXMUSFhC7fKQOKgcHxluOHgGjQ-QPTQ81W4qvB5FwEAio9PUBfJ-djswhXvPdptfIF8R7eW8NmvAtjODXay_3ddgQMdg0oe2Dx8ICVtFQlUCNZUjv_kDiDFyJiocNTeL/s16000/nebraska5.jpg" /></a></div>Il premio Oscar, al quale, per “<i>Nebraska</i>”, era stato giustamente candidato, alla fine non è arrivato,
ma anche questa è l’America, signore e signori, un paese che fatica a guardarsi dentro per non
rischiare di dover fare i conti con la propria anima nera. D’altra parte, come giustamente osservava
<b>Nietzsche</b>, “<i>se tu scruterai a lungo in un abisso, anche l'abisso scruterà dentro di te</i>”: un concetto
drastico che lascia senza appigli in quella realtà preimpostata che oggi rappresenta l’unica certezza
di un paese morente.
Nei panni della moglie, <b>June Squibb</b> è invece assolutamente esilarante: si lamenta sempre
dell’anziano marito, minaccia di metterlo in una casa di riposo, ma non permette che nessuno si
approfitti di lui. I due figli rispecchiano i loro genitori: il primo, interpretato da <b>Bob Odenkirk</b>,
assente e poco comprensivo, il secondo, interpretato da <b>Will Forte</b>, più presente e premuroso. È
interessante notare, per inciso, come <b>Will Forte</b>, solitamente noto per dare il volto a personaggi
idioti in commedie ancora più idiote (vedi “<i>La rivincita delle sfigate</i>” o il sequel di “<i>Un weekend da
bamboccioni</i>”), sia riuscito a offrire una prova straordinaria in un film totalmente alieno ai suoi
standard. </div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhfYfLdFKOTKgXWu-fya8C4SprfLxtTtD6IOoYCD6ZxK4vYYYNfYBCASJQ9D4fyFLFOvWZHU-VfAMFhvvQSYGZFytyKUO4T3oJkF50wCCDcLKH640sZXmAAtaB8jsmAtOUbGXQwqSpvS-6K_CyN4MXSojNaTkdtl9H372wBdqjle9NtdmAAxJEiXySrEsnL/s600/nebraska2.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="251" data-original-width="600" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhfYfLdFKOTKgXWu-fya8C4SprfLxtTtD6IOoYCD6ZxK4vYYYNfYBCASJQ9D4fyFLFOvWZHU-VfAMFhvvQSYGZFytyKUO4T3oJkF50wCCDcLKH640sZXmAAtaB8jsmAtOUbGXQwqSpvS-6K_CyN4MXSojNaTkdtl9H372wBdqjle9NtdmAAxJEiXySrEsnL/s16000/nebraska2.jpg" /></a></div>Sconfitto da una vita trascorsa tra le sbarre di un insignificante mondo rurale che non offre alcuna
via di fuga, Woody Grant (<b>Bruce Dern</b>), un anziano alcolizzato ai margini della demenza senile, un
giorno trova qualcosa per cui vale la pena continuare a vivere: una lettera ricevuta per posta che gli
annuncia di essere il vincitore di un premio di un milione di dollari da ritirarsi a Lincoln, nel
Nebraska. Suo figlio David (<b>Will Forte</b>), cerca di fargli capire che la lettera non è altro che una
spudorata truffa dove gli si richiede di sottoscrivere un abbonamento a un certo numero di riviste
per poter poi partecipare a un concorso e potenzialmente vincere il jackpot.
A Woody non importa. Crede nella buona fede delle persone e, partendo dalla sua abitazione di
Billings, nel Montana, decide di allontanarsi a piedi lungo le polverose statali americane per
raggiungere Lincoln, lontana oltre mille chilometri, e riscuotere il suo milione di dollari. David lo
rintraccia e lo riporta a casa dopo qualche ora, ma Woody è testardo come un mulo e alla prima
occasione riparte, per poi essere rintracciato di nuovo e ricondotto alla base. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj8B5ibUfC0B65A9RY-vFi0toeD6wazPt2C83Ik-MzzU8iSck7LEeIY2cCRYVlxGrmDBQkXxmN31HTYeyMqraeWlQWVBfkwlXNiVSPoYfFqFDvlnsPfJa1TZlu135Am6JtOpOf7QhEsOzTh4lOcK-A_6K9wEliFYZotdwGW9gFzs63bacT9cugv3xdFy6Zp/s600/nebraska4.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="251" data-original-width="600" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj8B5ibUfC0B65A9RY-vFi0toeD6wazPt2C83Ik-MzzU8iSck7LEeIY2cCRYVlxGrmDBQkXxmN31HTYeyMqraeWlQWVBfkwlXNiVSPoYfFqFDvlnsPfJa1TZlu135Am6JtOpOf7QhEsOzTh4lOcK-A_6K9wEliFYZotdwGW9gFzs63bacT9cugv3xdFy6Zp/s16000/nebraska4.jpg" /></a></div>Per quanto la sua
famiglia si sforzi di capire le sue motivazioni, e di distoglierlo da quella follia, Woody rimane fermo
nei suoi propositi. È un uomo semplice, e come tale fa semplicemente quello che vuole.
Per evitare il peggio, David si offre infine di accompagnarlo a Lincoln, in un viaggio “di
formazione” attraverso i desolati paesaggi in bianco e nero della pianura americana. </div><div style="text-align: justify;">Woody è un
uomo di poche parole, chiuso nel suo mondo fatato, ma nonostante ciò, nel corso del viaggio, i due
riescono a trovare, forse per la prima volta, il modo di comunicare. David si rende lentamente conto
che la lettera ha dato a suo padre, un uomo tranquillo che sta semplicemente vivendo gli ultimi suoi
anni, uno scopo che la vita non gli ha mai dato, schiacciato tra le responsabilità di essere padre e un
matrimonio senza amore. Ancora più importante, David scopre che quel premio era anche un modo
per avere qualcosa da lasciare ai suoi figli dopo la sua morte; qualcosa per dimostrare loro che,
nonostante i suoi tanti difetti, egli si prendeva cura di coloro che amava. Ma anche qualcosa per
dimostrare a sé stesso che la sua vita valeva la pena di essere vissuta. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgLkLgUyKd3xiViPBIOOYJiwb4sYqaOhpXI4PQScJgXKULv41y_bk1RooVdZT_ehrV7NFevX-HBR0tBhhljcT3CDgVdHqQSdONYQ1OfpHHb-6xJ3Dc3FAdRGpJlZvuxgvzFXI2tvlj83ZUaPxlV0uobPhTzX8ZZa6i60mwMoXRGeFLZYQUXn2XluS8iI9AX/s600/nebraska1.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="251" data-original-width="600" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgLkLgUyKd3xiViPBIOOYJiwb4sYqaOhpXI4PQScJgXKULv41y_bk1RooVdZT_ehrV7NFevX-HBR0tBhhljcT3CDgVdHqQSdONYQ1OfpHHb-6xJ3Dc3FAdRGpJlZvuxgvzFXI2tvlj83ZUaPxlV0uobPhTzX8ZZa6i60mwMoXRGeFLZYQUXn2XluS8iI9AX/s16000/nebraska1.jpg" /></a></div>Quello che era iniziato come
un viaggio in cui David era convinto di poter convincere suo padre della dura realtà delle truffe
tramite posta, si rivela essere un viaggio in cui David ha imparato di più su suo padre di quanto
avrebbe mai potuto immaginare. La vera distanza, in estrema sintesi, non è quella fisica del viaggio
tra Billings e Lincoln, bensì quella tra i cuori di padre e figlio.
<i>Nebraska</i> esplora il processo di invecchiamento di un uomo, le sue speranze e le sue delusioni (il
premio alla fine era ovviamente una truffa), ma è anche, come accennato in precedenza, una
metafora degli Stati Uniti di oggi: confusi, traballanti, irritabili, che hanno conosciuto giorni
migliori ma che stanno lentamente scivolando verso il loro abisso nietzschiano, un’evoluzione non
richiesta né desiderata ma che travolge inesorabilmente tutti i suoi abitanti. </div><div style="text-align: justify;">L’altro punto importante
sviluppato da <b>Payne</b> è il rapporto con le persone anziane, uomini e donne che non hanno più nulla
da chiedere alla vita se non che la propria famiglia li capisca, trascorra del tempo con loro e li
sostenga emotivamente. Quando le persone invecchiano diventano testarde ed è difficile affrontarle,
ma almeno in questo caso David, come figlio, ha eseguito perfettamente il suo compito. <i>Nebraska</i> è
un film che tutti dovrebbero guardare seduti su un divano accanto ai propri genitori, perché darà a
voi e a loro un motivo in più per pensare alla vita nel suo insieme, sui motivi per cui magari si litiga
e non si va d’accordo, e sulle ragioni per cui c'è sempre e comunque qualcosa che ci tiene uniti.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgsGVtJfGGy6qoxusI0mQQkkkuNtWccSupdjV27_n-Pi3ayUU07II1Frh8xalalSBVurwjYNktoOl0bf2zYsTrNv7FSjm4JYr1EEEjD4LNVC0bq9twvCUEfKErVLWGDBcvHc0ovzGV4hq1iGqc-2jsJhsJKDnjTXgNd-YofmKil6uxDyG08j5T80b56KMaw/s600/nebraska3.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="251" data-original-width="600" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgsGVtJfGGy6qoxusI0mQQkkkuNtWccSupdjV27_n-Pi3ayUU07II1Frh8xalalSBVurwjYNktoOl0bf2zYsTrNv7FSjm4JYr1EEEjD4LNVC0bq9twvCUEfKErVLWGDBcvHc0ovzGV4hq1iGqc-2jsJhsJKDnjTXgNd-YofmKil6uxDyG08j5T80b56KMaw/s16000/nebraska3.jpg" /></a></div><br /><div style="text-align: justify;"><br /></div>Obsidian Mhttp://www.blogger.com/profile/00077330887101732002noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-7447467916007164549.post-4056778199170941342024-02-12T07:30:00.002+01:002024-02-21T20:26:26.830+01:00Rapporto sulla cecità (Pt.2)<div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjPWwA82qSV30yRl-if6MRLQOetXJGUoLiBZMM_NiCBB6EH8NsbZh05LYga6lM2VYiUp8Eg4h48g5wU4eB4Q5twUuNolk7kF-xwTIiGpvz9FY3aCogR6WpQCFbDAgp9imPMZkGHKlBB-GJtwY-vQNipbh3CAUO1E1GwWWMOobfXWmENPjDR7TnVDiD5AMpR/s662/PAESECIECHIWELLS.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="662" data-original-width="400" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjPWwA82qSV30yRl-if6MRLQOetXJGUoLiBZMM_NiCBB6EH8NsbZh05LYga6lM2VYiUp8Eg4h48g5wU4eB4Q5twUuNolk7kF-xwTIiGpvz9FY3aCogR6WpQCFbDAgp9imPMZkGHKlBB-GJtwY-vQNipbh3CAUO1E1GwWWMOobfXWmENPjDR7TnVDiD5AMpR/w241-h400/PAESECIECHIWELLS.jpg" width="241" /></a></div><div style="text-align: center;">LA PRIMA PARTE SI TROVA <a href="https://insidetheobsidianmirror.blogspot.com/2024/01/rapporto-sulla-cecita-pt1.html" target="_blank">QUI</a> </div></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">“<i>Il paese dei ciechi</i>” o “<i>Nel paese dei ciechi</i>” (“<i>The country of the blind</i>”) è un racconto che <b>H. G. Wells</b> pubblicò nel 1904. Il protagonista è Nuñez, che si ritrova catapultato, a seguito di un incidente di montagna, in una vallata isolata dal mondo, abitata da persone che a causa di un morbo sconosciuto hanno perso la vista da molte generazioni e che lì conducono una vita semplice, estranee dal resto dell’umanità e dal suo progresso.
Siamo nelle Ande ecuadoregne, e l’arrivo di Nuñez riecheggia quello dei Conquistadores spagnoli che quattro secoli addietro erano approdati nel paese e avevano soggiogato gli Inca. Come gli Inca raffrontati agli spagnoli, anche gli abitanti del “paese dei ciechi” sono arretrati e illetterati se paragonati al loro visitatore, ma questi, che all’inizio si culla ripetendosi il mantra “<i>Tra i ciechi l’orbo di un occhio è re</i>”, si renderà ben presto conto che la mancanza della vista ha affinato i sensi dei ciechi e che nel mondo che hanno creato per sé lui non suscita alcun rispetto o timore per la sua condizione di vedente. I ciechi, anzi, hanno cancellato perfino il ricordo della vista e di ogni cosa attinente a questo senso, al punto da non riuscire neppure a comprendere le descrizioni di Nuñez dei monti, del cielo, o della città, e da considerarlo un pazzo o un ritardato, destinato al più a lavori di fatica. <span><a name='more'></a></span>Con grande sforzo Nuñez riesce a diventare un cittadino del paese, benché con uno status inferiore, ma quando si innamora di Medina-Saroté, la figlia del suo padrone, e si ritrova davanti alla scelta di diventare in tutto e per tutto come gli altri, e vivere il resto della vita segregato nel buio, senza più vedere la luce e i colori, tentenna, perché dovrebbe, in pratica, barattare i propri occhi con l’amore della giovane. <span></span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">La cosa straordinaria di questo racconto, a mio parere, è che ha due chiavi di lettura opposte. Da una parte esso appare come un inno alla diversità e una riflessione su come la superiorità culturale sia sempre un fatto relativo, una questione di punti di vista. Dall’altra, se Nuñez rappresenta l’arrogante mondo “civilizzato”, i ciechi non ci fanno miglior figura, avendo cancellato o trasformato la storia e la tradizione del mondo esterno in una fiaba solo perché non erano più in grado di comprenderle: è impossibile, quindi, non vedere anche un’analogia con il mito della caverna di <b>Platone</b>, che narra di prigionieri nati nel buio e schiavi di ombre riflesse che credono reali. Un prigioniero che uscisse alla luce e cominciasse a vedere le cose così come in realtà sono potrebbe provare a tornare indietro per spronare i suoi compagni a fare altrettanto, ma rischierebbe nella migliore delle ipotesi di non essere creduto e di essere deriso, nella peggiore di essere perfino ucciso a causa del dolore e della fatica del processo di adattamento dal buio alla luce che provocherebbe a coloro che volesse condurre fuori dalla caverna. Il prezzo della verità è la solitudine o la morte (non per forza nell’accezione fisica del termine). Nel racconto di <b>Wells</b>, Nuñez sceglie la prima e questo ha perfettamente senso, perché anche il suo amore è frutto della sua capacità di vedere: la ragazza di cui s’innamora non è graziosa secondo i parametri dei ciechi, ma di coloro che vedono, e lui la apprezza soprattutto perché, al contrario dei suoi concittadini, ha begli occhi dalle lunghe ciglia.
Il mito è in fondo una metafora della realtà delle cose e della vita - ripresa anche da film come “<i>Matrix</i>” o “<i>The Truman Show</i>”: guardare non è vedere. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgfO3BGEXuPdL3XRxzlIqNk8MMatPmEh4GbkrV-gjtAmWDeOdoTbS00PV4Sjm6b3AbbP_6V74pBiPRSusPZN7ohyl6IRs6jRBY-r1TG_HMujMbKTaNxpfNgPr5IKiX3_hGtsru8Qomum8GeDp2PgGvUThIfjkv5mR0yikMd3vpmaTcnHj3XL814anPNJtSQ/s637/DERBLINDE.jpg" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="637" data-original-width="400" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgfO3BGEXuPdL3XRxzlIqNk8MMatPmEh4GbkrV-gjtAmWDeOdoTbS00PV4Sjm6b3AbbP_6V74pBiPRSusPZN7ohyl6IRs6jRBY-r1TG_HMujMbKTaNxpfNgPr5IKiX3_hGtsru8Qomum8GeDp2PgGvUThIfjkv5mR0yikMd3vpmaTcnHj3XL814anPNJtSQ/w251-h400/DERBLINDE.jpg" width="251" /></a></div>Al mito della caverna di Platone sembra ispirarsi anche il dramma teatrale “<i>Il cieco</i>” (“<i>Der Blinde</i>”) di <b>Friedrich Dürrenmatt</b>, del 1948. All’inizio dell’opera, un duca siede davanti al suo castello in macerie, ormai distrutto dall’esercito di Wallenstein (siamo ai tempi della guerra dei Trent'anni), che però egli crede sia ancora popolato e prospero, giacché è malato e cieco e suo figlio Palamede, per pietà, gli cela la verità. Approfittando della situazione, un nobile italiano convoca a corte mercenari,
prostitute e altri figuranti che recitano la parte del popolo, diventa l’amante di sua figlia e trama per fargli credere che Wallenstein stia per attaccare e che egli debba debba fuggire: lo fa invece girare in tondo attorno al castello, e infine gli comunica che questo è in fiamme e che la disfatta è dovuta a un tradimento di Palamede, cosicché il duca si rivolti contro il suo stesso figlio. Alla fine il duca perde tutto, ma quando un poeta di corte cerca di svelargli la verità, questi lo strangola: il duca si è spinto ormai troppo in là e non vuole sapere la verità. Finirà per sedere, solo, di fronte alle rovine del castello dove già si trovava all’inizio del dramma. Questa storia ha un principio e una conclusione ma il suo nucleo, come in un nastro di Moebius, può ripetersi all’infinito. Con le dovute differenze, la struttura circolare è la stessa di “<i>Memento</i>” di <b>Christopher Nolan</b>, se volessimo proprio tentare un parallelo cinematografico. </div><div style="text-align: justify;">In questo caso non trovo azzardato, invece, un parallelismo letterario tra “<i>Il cieco</i>” e un’altra opera teatrale, “<i>I ciechi</i>” di <b>Maurice Maeterlinck</b> (1891). Al contrario che in Dürrenmatt, però, qui la trama è ridotta all’osso, ma l’Autore è magistrale nel creare comunque un crescendo di tensione. Dodici ciechi si ritrovano soli in una foresta, di notte, con la paura di essere stati abbandonati dalla loro guida, in un’attesa potenzialmente eterna, mentre poco distante un cadavere giace di fianco a un albero. Seduti nel buio, il loro turbamento si accresce, poi si scopre il cadavere e, mentre una presenza ignota sembra avvicinarsi minacciosa, si trasforma in terrore puro. </div><div style="text-align: justify;">Questa tragica storia sembra prefigurare lo smarrimento di un’umanità rimasta senza una guida concreta e spirituale, la cui assenza non è in grado di comprendere, e che la rende incapace di andare oltre la superficie delle cose. Una condizione terribile che accomuna i personaggi agli spettatori del loro dramma, destinati a cullarsi nella stessa solitudine e nella stessa precarietà. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhOp6HjP9PD9ZMwbw5nMZ5lQMZu7QQjzS0llGZB6O1lLlDRAywqzIyx0trRZ4bD62gythqSa77GhNbHfMOhiAtTRLhf5bMbJuIE_yOS-ykETWx2G8_V7GCSE6_aNGdXL_IdwifW9qdB8BL8eMR9Une2C1WxQ3wpeDndbu-Vgclhl1oP1vkuYZRmalIthHpt/s609/cecit%C3%A0saramago.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="609" data-original-width="400" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhOp6HjP9PD9ZMwbw5nMZ5lQMZu7QQjzS0llGZB6O1lLlDRAywqzIyx0trRZ4bD62gythqSa77GhNbHfMOhiAtTRLhf5bMbJuIE_yOS-ykETWx2G8_V7GCSE6_aNGdXL_IdwifW9qdB8BL8eMR9Une2C1WxQ3wpeDndbu-Vgclhl1oP1vkuYZRmalIthHpt/w263-h400/cecit%C3%A0saramago.jpg" width="263" /></a></div>In “<i>Cecità</i>” (“<i>Ensaio sobre a Cegueira</i>”, letteralmente "<i>Saggio sulla cecità</i>", 1995), <b>José Saramago</b> scrisse di un’epidemia misteriosa che colpisce progressivamente un’intera città portando all'eccesso tutti i difetti già insiti nella società umana: un sistema di potere in cui i forti schiacciano i deboli, che concentra le ricchezze nelle mani di pochi e affama gli altri, che spadroneggia, abusa, in cui si è perso il senso di solidarietà, l’indifferenza dilaga e perfino i buoni sono costretti ad atti abominevoli per sopravvivere. Che si tratti di un’allegoria è evidente già dal fatto che i vari personaggi non hanno un nome proprio. Tutti tranne uno, la moglie del medico, scivolano in un’eterna “notte bianca”: </div><div style="text-align: justify;"><blockquote>“<i>Adesso, però, si ritrovava immerso in un biancore talmente luminoso, talmente totale da divorare, più che assorbire, non solo i colori, ma le stesse cose e gli esseri, rendendoli in questo modo doppiamente visibili.</i>” </blockquote></div><div style="text-align: justify;">La cecità è sempre associata all’assenza di luce, ovvero al colore nero. E il nero è anche il colore del lutto e della depressione (“vedere tutto nero”, si dice). Il bianco si può invece descrivere, grossomodo, come la “somma” di tutti i colori, e nell’immaginario collettivo indica purezza e nitore. Ma anche troppa luce può accecare, e qui infatti una “cecità bianca”, lattiginosa, accompagna la discesa nella prevaricazione, nella violenza e nell’abbruttimento più totale.
Eppure, quando alla fine il primo dei ciechi scivola nel buio che precede la guarigione, improvvisa e inspiegabile come la malattia che l’ha colpito al principio della vicenda, di primo acchito si dispera, perché pensa di stare sprofondando in una cecità peggiore di quella precedente, in cui non solo la forma e i colori, ma anche la luce gli viene negata. Il buio è, al contrario, preludio alla salvezza.<i><blockquote>"Ritenne il primo cieco di aver chiarito finalmente questo dubbio quando, all’improvviso, l’interno delle palpebre gli si fece buio, Mi sono addormentato, pensò, invece no, non si era addormentato, continuava a sentire la voce della moglie del medico, il ragazzino strabico tossì, allora fu colto da una gran paura, credette di esser passato da una cecità all’altra, che dopo aver vissuto nella cecità della luce adesso sarebbe vissuto nella cecità della tenebra, il terrore lo fece gemere, Cos’hai, gli domandò la moglie, e lui rispose stupidamente, senza aprire gli occhi, Sono cieco, come se fosse l’ultima novità del mondo, lei lo abbracciò affettuosamente, Via, ciechi lo siamo tutti, non c’è niente
da fare, Ho visto tutto buio, credevo di essermi addormentato, e invece no, sono sveglio, È quel che dovresti fare, dormire, non pensarci. Il consiglio lo infastidì, uno era lì angosciato, soltanto lui sapeva quanto, e sua moglie non aveva altro da dirgli se non di andare a dormire. Irritato, con l’acida risposta già sulla punta della lingua, aprì gli occhi e vide."</blockquote></i>Con uno stile che richiama un lungo flusso di coscienza (cadenzato da quel particolare uso della punteggiatura che gli era tipico), Saramago crea una sorprendente inversione concettuale che serve forse a ricordarci che la correlazione di bianco e nero con i concetti di bene e male è un mero prodotto del nostro intelletto e questo vale anche per la dicotomia bene/male, perché l’universo è in realtà un’unione di opposti, come nel Tao, la ruota cinese della vita, dove yin e yang, maschile e femminile, luce e tenebre, bianco e nero si abbracciano e si compenetrano, e ognuno dei due ha al centro un punto del colore opposto.
</div><div style="text-align: right;"><a href="https://insidetheobsidianmirror.blogspot.com/2024/02/rapporto-sulla-cecita-pt3.html" target="_blank">CONTINUA</a></div><div style="text-align: right;"><br /></div><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjKWA6aC-b2lXYLlwXkIvgSYONLPZ5R1dxH8ZhmbZyvKdmEUMgPBdkQGwJM69vokkRrdrXpKPaSfhEM4O3NACi3R0a1KiZP43m7NOezkRNT3TQcAoOe5_ZTDQGnZgJ-lMYrhfhA9nNJz4X0VPWbfKfc9hkIPGw6dh6SgErgAdeVozQ253bEGaxUNjU1EqEK/s600/moris-meterlink-slepie-syuzhet-pesi-i-ee-znachenie_5.jpg" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="519" data-original-width="600" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjKWA6aC-b2lXYLlwXkIvgSYONLPZ5R1dxH8ZhmbZyvKdmEUMgPBdkQGwJM69vokkRrdrXpKPaSfhEM4O3NACi3R0a1KiZP43m7NOezkRNT3TQcAoOe5_ZTDQGnZgJ-lMYrhfhA9nNJz4X0VPWbfKfc9hkIPGw6dh6SgErgAdeVozQ253bEGaxUNjU1EqEK/s16000/moris-meterlink-slepie-syuzhet-pesi-i-ee-znachenie_5.jpg" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><span style="color: #fcff01;"><span style="text-align: justify;">“</span><i style="text-align: justify;">I ciechi</i><span style="text-align: justify;">” di </span><span style="text-align: justify;">Maurice Maeterlinck</span><span style="text-align: justify;"> (1891)</span></span></td></tr></tbody></table><br /><div style="text-align: right;"><br /></div>Obsidian Mhttp://www.blogger.com/profile/00077330887101732002noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-7447467916007164549.post-19099816521048676922024-02-05T07:30:00.006+01:002024-02-05T07:30:00.146+01:00The Locker (Shibuya Kaidan)<div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhmjOjzN-eSPKsw4iSZbQ5EPXjNqfRwpDERFPxRgw6R4QyUtRthIiMEkNfBEUhDsFGj2cAOLbNMQ0czZB_uEjp25ZaZvVztC9918UHRDz9KlIDRtgVWZA1JCa0d6WPBYCIPZRY8wr2nZOJUcF-fbCU3EZnaxr8g06PI2z8xYeZMwXIQAPWaro6fQPgwSRT7/s533/locker1cover.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="533" data-original-width="400" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhmjOjzN-eSPKsw4iSZbQ5EPXjNqfRwpDERFPxRgw6R4QyUtRthIiMEkNfBEUhDsFGj2cAOLbNMQ0czZB_uEjp25ZaZvVztC9918UHRDz9KlIDRtgVWZA1JCa0d6WPBYCIPZRY8wr2nZOJUcF-fbCU3EZnaxr8g06PI2z8xYeZMwXIQAPWaro6fQPgwSRT7/w300-h400/locker1cover.jpg" width="300" /></a></div>Quando, un paio d’anni fa, vergai una specie di recensione per un improbabile B-movie intitolato “<i><a href="https://insidetheobsidianmirror.blogspot.com/2019/09/non-aprite-quellarmadio.html" target="_blank">Non aprite quell’armadio</a></i>”, conclusi dicendo, tra il serio e il faceto, che non mi sarebbe dispiaciuto un giorno
scrivere uno speciale sugli armadi “maledetti” nel cinema (e se non proprio maledetti, perlomeno con uno
sconfinamento nel fantastico). Ciò di cui parleremo oggi potrebbe a buon titolo rientrare in quello speciale,
visto che parliamo di armadietti, gli stessi che usiamo nelle scuole e nelle palestre e che talvolta troviamo,
per riporvi oggetti metallici, all’ingresso delle banche. </div><div style="text-align: justify;">In Giappone sono evidentemente molto più diffusi
che dalle nostre parti ed ecco quindi la necessità di realizzare una trama orrorifica incentrata proprio su
quegli sgraziati contenitori metallici. Se fossero stati distribuiti sul mercato italico, quei film (parleremo oggi
anche del sequel) si sarebbero ritrovati appiccicati addosso titoli assurdi come “<i>Non aprite
quell’armadietto</i>” o “<i>L’armadietto che uccide</i>”, ma per fortuna la cosa non è accaduta e oggi possiamo
goderci, seppure con le difficoltà della lingua, titoli più incisivi come “<i>The Locker</i>” o evocativi come
l’originale “<i>Shibuya Kaidan</i>”. Si tratta di due film di durata contenuta (entrambi 71 minuti) lanciati sul
mercato contemporaneamente il 7 febbraio 2004 e proiettati nelle sale con la formula “double-bill” (due
film al prezzo di uno). <span><a name='more'></a></span></div><div style="text-align: justify;">Il regista <b>Kei Horie</b>, generalmente noto per pellicole più “leggere” come l’imprescindibile “<i>Forget Me Not</i>”
(2015), utilizza lo stesso approccio “televisivo” già descritto in passato per esperimenti simili, come “<i><a href="https://insidetheobsidianmirror.blogspot.com/2020/10/teke-teke.html" target="_blank">Teke-Teke</a></i>” (Kōji Shiraishi, 2009) e il primo “<i><a href="https://insidetheobsidianmirror.blogspot.com/2022/09/ju-on-curse-1-2.html" target="_blank">Ju-On</a></i>” televisivo (Takashi Shimizu, 2000), ovvero quello di riciclare parte del
girato del primo film per confezionare col minimo sforzo un sequel, ma lo fa in maniera meno clamorosa,
tanto che la durata netta complessiva di “<i>Shibuya Kaidan</i>” (escluse quindi le scene riproposte) viaggia
attorno alle 2 ore, contro i 90 minuti scarsi di “<i>Teke-Teke</i>” e “<i>Ju-On</i>”. </div><div style="text-align: justify;">Il soggetto che si trova alla base di “<i>Shibuya Kaidan</i>” nasce, tanto per cambiare, da una celebre leggenda
metropolitana giapponese. La vicenda viene presentata in maniera piuttosto confusa, e questo aspetto
all’inizio mi ha disorientato, facendomi storcere il labbro in più di un’occasione, ma a proiezione conclusa
ho realizzato che <b>Kei Horie</b> si è comportato in maniera particolarmente geniale, proponendo una leggenda
urbana esattamente come dovrebbe essere, ovvero senza punti di riferimento solidi. Mi spiego meglio. </div><div style="text-align: justify;">Se in film decisamente più celebrati, come la saga di <i><a href="https://insidetheobsidianmirror.blogspot.com/search/label/Speciale%20Ghost%20in%20the%20Well" target="_blank">Ring</a></i>, è sempre ben chiaro il rapporto tra causa ed
effetto (si guarda la videocassetta e dopo 7 giorni si muore), qui nessuno sembra aver ben chiaro il
meccanismo. In altre parole, così come una leggenda metropolitana viene proposta in mille versioni
differenti, anche nel film i vari personaggi conoscono (o credono di conoscere) le conseguenze
dell’interagire con un particolare armadietto posto in un sottoscala presso la stazione di Shibuya, a Tokyo. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiXW38_bkTIoFWaxCeqbDIMS8irmtXXFnfML8CoqjANVInW22W_gUzcwnOUTqMkGbEqmhuJDBAc0qKRVMHeiNOPba9kqqrB_IUgdrPxSG10y_AwO3I0ox8gQYnuxgnNf_oteA3pZabWNoAJoISkouxLkVyOc4TuoMac6kNu-K5ss5zwVC9bkkIk_N__ycJ7/s600/shibuya1.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="330" data-original-width="600" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiXW38_bkTIoFWaxCeqbDIMS8irmtXXFnfML8CoqjANVInW22W_gUzcwnOUTqMkGbEqmhuJDBAc0qKRVMHeiNOPba9kqqrB_IUgdrPxSG10y_AwO3I0ox8gQYnuxgnNf_oteA3pZabWNoAJoISkouxLkVyOc4TuoMac6kNu-K5ss5zwVC9bkkIk_N__ycJ7/s16000/shibuya1.jpg" /></a></div>C’è chi crede, per esempio, che confessare il proprio amore al partner di fronte a tale armadietto garantisca
un esito positivo; c’è chi crede che per conquistare la persona amata sia necessario posizionare un dono
nell’armadietto, quindi consegnare la chiave all’interessato; c’è invece chi crede che basti aprire
l’armadietto e toccarne le pareti interne per assorbirne le vibrazioni positive. Viceversa, c’è anche chi crede
che utilizzare quel particolare armadietto sia un mortale veicolo di sfighe. </div><div style="text-align: justify;">In buona sostanza, tutti sono
concordi nell’affermare che l’oggetto abbia dei poteri sovrannaturali, ma non c’è alcuna sovrapponibilità di
idee su quali essi siano. </div><div style="text-align: justify;">La realtà, almeno quella descritta nei due film, è che l’armadietto è in grado di
scatenare lo spirito vendicativo di una bambina (ovviamente dai lunghi capelli neri) nei confronti non solo
di chi interagisce con esso in prima persona, ma anche di chi si trova accidentalmente nei paraggi. Si tratta
di un meccanismo in perfetto stile J-horror, quindi, con il supplemento che la vittima trova il modo di
passare post-mortem la chiave dell’armadietto a un altro sventurato, in una spirale senza fine. </div><div style="text-align: justify;">Si scoprirà comunque ben presto che lo spirito della bambina appartiene a una neonata abbandonata
nell’armadietto dalla madre subito dopo il parto. E qui si deve per forza aprire una lunga parentesi sul
significato dei cosiddetti “<i>Coin-Operated-Locker Babies</i>”, concetto purtroppo ben radicato nella cultura
locale, al punto dall’aver inspirato un romanzo dello scrittore e regista <b>Ryu Murakami</b>, da noi noto
soprattutto per “<i>Tokyo Decadence</i>”. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgexh4aDiW_7ZR6tzpGXJIpnGsPhWOFeHlPy2zZgoKqJ4-gl2XQir0ubcRdmK2mVd2FaSy8soZ9RbauxOxFTAdHv5d3_l6N5ImHYCOS7NVpL7g7CQdeNJtsa8l9bCrjtSPI4ZSLR0bAu7w1D5D42DSKGpOor2fKlbDcabZvnqK2-5cbfRowZrK89VOZ5EXY/s533/locker2cover.jpg" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="533" data-original-width="400" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgexh4aDiW_7ZR6tzpGXJIpnGsPhWOFeHlPy2zZgoKqJ4-gl2XQir0ubcRdmK2mVd2FaSy8soZ9RbauxOxFTAdHv5d3_l6N5ImHYCOS7NVpL7g7CQdeNJtsa8l9bCrjtSPI4ZSLR0bAu7w1D5D42DSKGpOor2fKlbDcabZvnqK2-5cbfRowZrK89VOZ5EXY/w300-h400/locker2cover.jpg" width="300" /></a></div>Come si legge in un articolo pubblicato nel 1995 sul periodico “<i>Child Abuse and Neglet</i>” (Volume 19, Issue 1,
Pages: 25-31), il fenomeno dei “<i>Coin Locker Babies</i>” è un reato praticamente esclusivo del Giappone; il
termine, come detto, si riferisce a neonati indesiderati che vengono collocati, vivi o morti, in armadietti a
gettoni sin dagli anni Settanta del secolo scorso, in reazione al boom demografico che, all’epoca, divenne
rapidamente un serio problema economico e sociale. </div><div style="text-align: justify;">Gli armadietti in questione, diversi da quelli con cui
noi abbiamo a che fare abitualmente, funzionano “a gettone”: in due parole, si inserisce una moneta, si
estrae la chiave e ciò che vi è stato posto all’interno può giacere indisturbato per un periodo di tempo
infinito. La scelta di tale soluzione da parte di una madre disperata deriva dal fatto che il neonato viene
solitamente ritrovato mesi dopo la morte, quando l’odore della decomposizione inizia a farsi notare.
Secondo la legge giapponese, infatti, per l’abbandono di un bambino la madre viene accusata di omicidio e
abbandono di cadavere, ma se non si riesce ad escludere la possibilità che il bambino sia nato morto (e se il
corpo è decomposto c’è poco su cui indagare), la madre viene accusata solo di abbandono. Ecco perché le
madri, piuttosto che dover affrontare, in caso di identificazione, un’accusa di omicidio, preferiscono lasciar
marcire i neonati in posti sicuri. </div><div style="text-align: justify;">Tra il 1980 e il 1990 sono stati segnalati 191 casi di neonati morti in
armadietti a gettone, un numero che rappresenta circa il 6% di tutti gli infanticidi avvenuti nel periodo.
Nonostante le misure messe in atto per contrastare questo tipo di reato (una tra tutte, spostare gli
armadietti in zone più affollate), e nonostante il proliferare delle telecamere di sorveglianza, ancora oggi i
casi, sebbene in misura ridotta, continuano a presentarsi, vuoi per difficoltà finanziarie (nella realtà della
società contemporanea giapponese è ancora difficile per una donna sola mantenere un figlio), vuoi per una
questione sociale (il tabù dell'aborto e delle gravidanze indesiderate è ancora molto radicato in una società
che, per contro, ha il culto del piacere, e nella quale esiste una quasi totale assenza di tabù in ambito
sessuale). </div><div style="text-align: justify;">Le cronache ci dicono che l’ultimo <a href="https://www.japantimes.co.jp/news/2022/06/10/national/crime-legal/hokkaido-baby-coin-locker/" target="_blank">caso noto</a> risale solo alla scorsa estate ed è avvenuto nei pressi
della stazione di Chitose, nell’Hokkaido: una ragazza di 22 anni, Ayano Koseki, senza fissa dimora né
occupazione, è stata arrestata, sulla base dei filmati provenienti dalle telecamere di sicurezza, per aver
abbandonato il mese precedente un bambino in uno degli armadietti. Attraverso l'autopsia, la polizia ha
accertato che il bambino era un maschio, ma come al solito non è riuscita a chiarire se fosse morto prima o
dopo la nascita. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhPbR9ffI_8EO8FFnshgYEeNXGXqth_FEpPjesu6ju8yiE5jJa15MhmQDAGSjbwRAdSnZgjNphY3o-ES7wm0yrEv5yBv-a9la6tM23Wb8u59ClfhF0FyY0H9Z9xxkP91h0KLSSyqaYJJ6dxXAYnYjWnGaIgfNIY57mIwa2jnbue3Z0vOLsGgY5RU6WT1HEM/s600/shibuya2.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="327" data-original-width="600" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhPbR9ffI_8EO8FFnshgYEeNXGXqth_FEpPjesu6ju8yiE5jJa15MhmQDAGSjbwRAdSnZgjNphY3o-ES7wm0yrEv5yBv-a9la6tM23Wb8u59ClfhF0FyY0H9Z9xxkP91h0KLSSyqaYJJ6dxXAYnYjWnGaIgfNIY57mIwa2jnbue3Z0vOLsGgY5RU6WT1HEM/s16000/shibuya2.jpg" /></a></div>Non è mia intenzione discutere in questa sede se sia più terribile l’aborto oppure l’uccisione di un bambino
già nato, perché si tratta di una questione che ognuno dovrebbe dirimere con la propria coscienza. Vorrei
però far notare che la maggior parte degli antropologi concordano sul fatto che, in età paleolitica, il 50% dei
decessi in età infantile era probabilmente dovuta a infanticidio, incluse sia le uccisioni dirette che il risultato
dell’incuria voluta e prolungata, perché, benché esistessero numerose tecniche chimiche o meccaniche per
provocare l’aborto, questo provocava sempre un certo grado di rischio per la vita della donna e quindi non
era spesso la scelta preferibile. Ogni gruppo sociale aveva la necessità di mantenere un controllo costante
delle nascite, e uno dei modi per ottenerlo era proprio l’infanticidio. Forse il Giappone, vissuto
nell’isolamento e in aderenza a tradizioni arcaiche molto più a lungo di altri luoghi oggi simbolo di
progresso, ha mantenuto in sé i germi di quell’antichissima consuetudine, riproponendola poi in una veste
moderna, benché altrettanto raccapricciante.
Ma il discorso è lungo e complesso, perciò direi di tornare al film, altrimenti qui si parla di tutto tranne che
di quello. </div><div style="text-align: justify;">Siamo ovviamente di fronte all’ennesimo clone dei classici J-horror (<i><a href="https://insidetheobsidianmirror.blogspot.com/search/label/Speciale%20Ghost%20in%20the%20Well" target="_blank">Ringu</a></i>, <i><a href="https://insidetheobsidianmirror.blogspot.com/search/label/Speciale%20Rancore" target="_blank">Ju-On</a></i>, <i>Dark Water</i>)
basato su una leggenda che funge da stratagemma per scatenare fantasmi vendicativi dotati di tutte le
caratteristiche tipiche del genere, dai lunghi capelli corvini all’andatura disarticolata. Si arriva anche al
punto di rubare a <i>Ringu</i> la celeberrima inquadratura dell’occhio tra i capelli. “<i>Sostituisci l’armadietto con
uno schermo televisivo e i due film diventano indistinguibili</i>”, direbbe subito uno dei tanti feroci detrattori,
ma non è affatto così: la tensione è ben dosata, i momenti di terrore, anche; le atmosfere hanno quel
giusto grado di decadenza da apparire decisamente realistiche; le location scelte sono inquietanti, la
recitazione, specialmente nel sequel, è efficace, e tutto, fatti salvi alcuni elementi, gioca a favore; gli effetti
speciali sono ben riusciti e la colonna sonora è quella giusta (una melodia ripetitiva, inframmezzata dai
pianti di un bambino, che finisce per entrarti in testa). </div><div style="text-align: justify;">Il regista <b>Kei Horie</b>, tra l’altro, è molto abile nel disseminare falsi indizi che distolgono l’attenzione dello
spettatore dalle vere cause della maledizione in corso. E questo è vero sin dalla prima scena, che vede sei
ragazzi una sera al campeggio che si raccontano storie di fantasmi attorno al fuoco, come nel più classico
degli slasher: uno di questi ha la bella trovata di decapitare la statua di un Buddha, messa lì per contrastare
gli spiriti inquieti dei feti abortiti, ed ecco che iniziano le manifestazioni sovrannaturali. Per mezzo film lo
spettatore ritiene possa essere quella la causa di tutto, e prega affinché la statua venga ricomposta alla
svelta, ma non può nemmeno immaginare che l’armadietto dove una delle ragazze aveva lasciato i libri di
scuola potesse avere un qualche ruolo. È quindi un film che consiglio vivamente ai fan del J-horror. </div><div style="text-align: justify;">C'è
anche un sottotesto sulla solitudine, ma sfortunatamente non solo non viene sviluppato, ma viene del tutto
abbandonato nel sequel, dove la ragazzina sfigata del primo film si erge a ruolo di protagonista. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhRWe0b3OobhjicPUBQr6R5s06TSjmZaqZfUlTW4lQQoCphrnRCBpI0la-jjoT_6dyh7HKhAAHiZfPsXelJzwsXLXm07jQIEp4TylK-qUy1uxs0eDhm_UyJ2F22YqAA8PPg8iax5ACxQrcnpl6u9ndnaV5ysBHfFhnZ1q895YCfsrXm8Z6xNmDO50v4ui3m/s600/lockerpic.JPG" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="303" data-original-width="600" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhRWe0b3OobhjicPUBQr6R5s06TSjmZaqZfUlTW4lQQoCphrnRCBpI0la-jjoT_6dyh7HKhAAHiZfPsXelJzwsXLXm07jQIEp4TylK-qUy1uxs0eDhm_UyJ2F22YqAA8PPg8iax5ACxQrcnpl6u9ndnaV5ysBHfFhnZ1q895YCfsrXm8Z6xNmDO50v4ui3m/s16000/lockerpic.JPG" /></a></div>E a proposito di leggende metropolitane, nel primo capitolo di "<i>The Locker</i>" c’è anche una fantastica citazione di
una delle più diffuse leggende giapponesi (sconosciuta, ahimè al di fuori del paese), che pare abbia avuto
origine nella città di Tsukuba, nella prefettura di Ibaraki. Si tratta della storia nota come “<i>La ragazza che
guarda le stelle</i>” o “<i>La ragazza che fissa Orione</i>”: una notte, un uomo si attarda a contemplare il bellissimo
cielo stellato dalla finestra del suo appartamento quando, improvvisamente, nota dietro una delle finestre
del palazzo di fronte una figura femminile con lo sguardo rivolto verso lo stesso cielo stellato. Nelle notti
successive lo strano incontro si ripete, e ogni volta che l’uomo si affaccia la donna è sempre lì con gli occhi
fissi sul cielo notturno. Giorno dopo giorno, l’uomo inizia ad apprezzare quella piccola avventura e arriva al
punto di decidere di incontrarla. Una sera esce di casa, attraversa la strada e, dopo aver identificato
l’appartamento della dirimpettaia, si avvicina alla porta e, aprendola, si trova di fronte un corpo impiccato, appeso proprio di fronte alla finestra, la testa leggermente sollevata in modo da dare l’impressione di
guardare al cielo. </div><div style="text-align: justify;">Esiste una variante in cui l’uomo invece cammina per strada e percepisce lo sguardo di
una donna che lo guarda dall'alto in basso da dietro una finestra (il finale è lo stesso); questa variante, che è
poi quella utilizzata nel film, è oggettivamente più realistica in quanto, come noto, un corpo impiccato non
guarda in alto ma, proprio per via della pressione esercitata dal nodo scorsoio sul collo, tende a presentarsi
con il capo chinato in avanti. </div><div style="text-align: justify;">Come vedete, la carne al fuoco è davvero tanta ed è veramente un peccato che “<i>Shibuya Kaidan</i>” sia del
tutto sconosciuto nel nostro paese. È anche vero, tuttavia, che per coglierne tutte le sfumature (io stesso
non ne ho colto che una minima parte) occorre appartenere a una cultura che noi occidentali conosciamo
soltanto marginalmente.
Poco prima dell’uscita del film, il 12 gennaio 2004, è stato pubblicato il romanzo originale "<i>Shibuya Kaidan</i>"
e il suo seguito “<i>Satchan Zoku: Shibuya Kaidan</i>”, che contiene episodi che non hanno trovato posto nel film.
Questi ultimi sarebbero tuttavia stati utilizzati in seguito nelle mini-serie “<i>Shibuya Kaidan Sacchan no Toshi
Densetsu</i>” (<i>Shibuya Kaidan: Sacchan's Urban Legend</i>, 2004), e “<i>Shibuya kaidan: The riaru toshi densetsu</i>”
(<i>Shibuya Kaidan: The Real Urban Legend</i>, 2006). Tali mini-serie, realizzate per il web e ivi distribuite, si
compongono di brevi episodi della durata media di dieci minuti che si preoccupano di sviluppare situazioni
lasciate in sospeso e personaggi secondari visti nei due film. Niente di davvero imperdibile, ma sicuramente
un piccolo omaggio per i fan di “<i>Shibuya Kaidan</i>”.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://4.bp.blogspot.com/-Q_AtJaXT7ic/VsCaJvJOgpI/AAAAAAAAIjI/W8Y9UmAdTtM/s1600/100candlestom.PNG" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="160" src="https://4.bp.blogspot.com/-Q_AtJaXT7ic/VsCaJvJOgpI/AAAAAAAAIjI/W8Y9UmAdTtM/s200/100candlestom.PNG" width="200" /></a></div><div><i><span style="color: orange;">Il presente articolo è parte di un vasto progetto che ho voluto chiamare <b>Hyakumonogatari Kaidankai</b> (A Gathering of One Hundred Supernatural Tales) in onore di un vecchio gioco popolare risalente al Giappone del periodo Edo (1603-1868) e, di tale progetto, esso rappresenta <b>la parte 57 in un totale di 100</b>.</span></i></div><div><i><span style="color: orange;">Se volete saperne di più vi invito innanzitutto a leggere <a href="http://insidetheobsidianmirror.blogspot.it/2016/02/hyakumonogatari-kaidankai.html" target="_blank">l'articolo introduttivo</a> e a visitare la <a href="http://insidetheobsidianmirror.blogspot.it/p/kaidan.html" target="_blank">pagina statica dedicata</a>, nella quale potrete trovare l'elenco completo degli articoli sinora pubblicati. </span></i><i><span style="color: orange;">Buona lettura! </span></i><i><span style="color: orange;">P.S.: Possiamo spegnere la 57° candela...</span></i></div></div></div>Obsidian Mhttp://www.blogger.com/profile/00077330887101732002noreply@blogger.com4tag:blogger.com,1999:blog-7447467916007164549.post-85356414524572947052024-01-29T07:30:00.002+01:002024-02-21T20:25:56.641+01:00Rapporto sulla cecità (Pt.1)<div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjpJ7qN1EEeHqQ0X6JykOVpt5L0U2GcVUMv7QEzHcBCctwLIGOX0xDkQxolzz9zP7mHZ8-nF5RYfBv0I8HgLSL9alPZTIIH9Pib_oJzPSQWxZN3he2uvjSIKEchSSevxgsMINMQ7MJqfFAzlQfBWGWrIuTvFRJnX5SaKfZyDraltXWA2lbedmQMG0rAmmgA/s560/rapportosuiciechi.JPG" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="560" data-original-width="400" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjpJ7qN1EEeHqQ0X6JykOVpt5L0U2GcVUMv7QEzHcBCctwLIGOX0xDkQxolzz9zP7mHZ8-nF5RYfBv0I8HgLSL9alPZTIIH9Pib_oJzPSQWxZN3he2uvjSIKEchSSevxgsMINMQ7MJqfFAzlQfBWGWrIuTvFRJnX5SaKfZyDraltXWA2lbedmQMG0rAmmgA/w286-h400/rapportosuiciechi.JPG" width="286" /></a></div>Tempo fa mi è capitato fra le mani un libriccino dal titolo “<i>Racconti nel buio</i>” di <b>Roberto Turolla</b>. Sono dieci racconti sul tema del buio, i cui protagonisti (come riporta la seconda di copertina) si trovano in condizioni di momentanea cecità, che hanno la particolarità di essere stati scritti da un autore realmente non vedente. Non è di questo testo però (apprezzabile, peraltro) che voglio parlare oggi. Ecco, tenendo questo libro fra le mani ho pensato con un pizzico di angoscia a quegli autori che hanno avuto la sventura di ritrovarsi ciechi, come <b>Borges</b> o <b>Milton</b>, ma anche a quanto deve essere ben più difficile scrivere quando, anziché perdere la vista da adulti, non si è mai vista la luce del sole. Ho allora rispolverato la bozza di un articolo mai pubblicato, scritto anni fa, sul tema della cecità nella letteratura fantastica. Ripreso in mano oggi, il progetto ha assunto la forma che potete leggere di seguito, quella di un ibrido che parte da libri di ogni genere e provenienza per approdare al cinema e ad altri lidi. Se questo fosse un saggio, sarebbe pessimo, ma è solo un articolo su un piccolo blog di provincia, fatto alla mia solita maniera, e so che voi non mi giudicherete. <span><a name='more'></a></span></div><div style="text-align: justify;">In letteratura il tema della cecità è stato utilizzato nei modi e ai fini più diversi.
Qualche volta è semplicemente un vulnus, una difficoltà che il protagonista o un altro personaggio deve affrontare (“<i>Jane Eyre</i>” di <b>Charlotte Brontë</b>, 1847; “<i>Il buio e il miele</i>“ di <b>Giovanni Arpino</b>, 1969; “<i>Il cieco di Ortakos</i>” di <b>Salvatore Niffoi</b>, 2019), guarendo (“<i>La Cieca di Sorrento</i>” di <b>Francesco Mastriani</b>, 1852) o facendone addirittura il proprio punto di forza, soprattutto nella narrativa poliziesca (“<i>I due ciechi</i>” di <b>Baynard Kendrick</b>” è un giallo del 1943 in cui la vittima d’omicidio e l’investigatore sono entrambi ciechi; “<i>Il detective cieco</i>” raggruppa 4 dei 26 racconti, e un romanzo, che il romanziere inglese <b>Ernest Bramah</b> dedicò tra il 1914 e il ‘34 a <b>Max Carrados</b> e <b>Louis Carlyle</b>, due investigatori “cloni” di Sherlock Holmes e il fido Watson, con la particolarità che Carrados è cieco e ha facoltà al limite del soprannaturale). </div><div style="text-align: justify;">Qualche volta la cecità è la metafora di un’ossessione amorosa (“<i>Risata nel buio</i>” di <b>Vladimir Nabokov</b>, 1932, o “<i>La civetta cieca</i>” di <b>Sadègh Hedayàt</b>, 1937).
A volte, la cecità è usata come allegoria umana e morale (“<i>Il paese dei ciechi</i>” di <b>H.G. Wells</b>, 1904; “<i>Il cieco</i>” di <b>Friedrich Dürrenmatt</b>, 1948; “<i>Cecità</i>” di <b>José Saramago</b>, 1995) o comunque come spunto per una riflessione filosofica, mistica o spirituale (“<i>I ciechi</i>” di <b>Maurice Maeterlinck</b>, 1891; “<i>Il cieco</i>” di <b>Kalil Gibran</b>; “<i>Memorie di un cieco. L'autoritratto e altre rovine</i>” di <b>Jacques Derrida</b>, 1990). Altre volte serve per fare satira sulla scienza e sul progresso (“<i>L'isola dei ciechi</i>” di <b>Giuseppe Fraccaroli</b>, 1907). </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhodejG_en53whmeqkvXTbS0U8saeIkt2I-uLeKtm7TNWZD-TE4kEJELlqPS-39BIgRxjf91GMAYqCsn9-GTNWr6z5lPvvUd6claAMMu9prPoNyiYRDUfbXoD0qWnZ2ieH5ht5GJ6MHE1VfA_DxoDYzWLJAE0LPxpaKfFZVU2M56frwwNRUEMQ1ytlFcnAU/s594/orologiaiocieco.jpg" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="594" data-original-width="400" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhodejG_en53whmeqkvXTbS0U8saeIkt2I-uLeKtm7TNWZD-TE4kEJELlqPS-39BIgRxjf91GMAYqCsn9-GTNWr6z5lPvvUd6claAMMu9prPoNyiYRDUfbXoD0qWnZ2ieH5ht5GJ6MHE1VfA_DxoDYzWLJAE0LPxpaKfFZVU2M56frwwNRUEMQ1ytlFcnAU/w269-h400/orologiaiocieco.jpg" width="269" /></a></div>Alcuni autori usano la cecità per spiegare concetti scientifici (“<i>L'uomo che scambiò sua moglie per un cappello</i>” di <b>Oliver Sacks</b>, 1985, è il resoconto di alcuni casi di cecità causati da varie sindromi neurologiche; “<i>L'orologiaio cieco</i>” di <b>Richard Dawkins</b>, già autore de “<i>Il gene egoista</i>”, parte dall’analogia dell'orologiaio del filosofo e teologo <b>William Paley </b>per illustrare un meccanismo di "selezione cumulativa" di matrice darwiniana, cioè come la varietà e complessità degli organismi siano la conseguenza di processi di selezione naturale che non necessitano di un disegno intenzionale a opera di un'entità sovrannaturale), altri per fare analisi psicologiche o parlare di crescita personale (“<i>Guardarsi dentro rende ciechi</i>” di <b>Paul Watzlawick</b>, 2007, frase con cui l’Autore spiega che cercare di interpretare i propri “moti interiori” (pensieri, emozioni, ecc.) quale prodotto di un processo di causa ed effetto non solo non ha valore terapeutico, ma può peggiorare il problema). </div><div style="text-align: justify;">La cecità può divenire anche il pretesto per una riflessione politica. “<i>Se un cieco guida un altro cieco...</i>" di <b>Cosme Beccar Varela</b>, avvocato, scrittore e politico argentino, segna il suo definitivo distacco dall’associazione brasiliana TFP (Tradizione, Famiglia, Proprietà), la famiglia di associazioni tradizionaliste di ispirazione cattolica diffuse soprattutto in America Latina, Stati Uniti, Europa, Australia e Africa del Sud. </div><div style="text-align: justify;">La TFP è contro la “crisi del mondo contemporaneo” - segnata
già da momenti storici come il Rinascimento e la "pseudo-riforma protestante", l'Illuminismo con la Rivoluzione Francese, la rivoluzione comunista e il movimento hippy del ‘68, e più di recente dal progetto di un Nuovo Ordine Mondiale promosso da un’élite giudaico-massonico-comunista - l’acme di un processo di decadenza spirituale da combattere con una “contro rivoluzione” che restauri la "civiltà cristiana", in opposizione a eutanasia, aborto, ricerca genetica sugli embrioni, omosessualità e teorie gender. <b>Beccar Varela</b> denunciò che il movimento, pur essendo di base di matrice laica, era ormai dominato dall’ala religiosa e si era trasformato in una setta eretica a carattere esoterico, costringendolo a dissociarsi. </div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgkBowgSzNX-Zzi8R4OzLSpFYfPPTGmd1J2SBQ_tPW5uv5rjsDsnxQ-JuTeTQM39NLnZPn24C1QxIx6AsuGIzdl8mNQnU7u2JCxtSQcDFk02ibhTz-GQoi_6Ld2zXYRNaIlixEVeM6g-N8bEST382fJ2lLvPH8YS-wJthAe0VVzuJkY54WUhSbXpt_j_Dcy/s466/Se-un-cieco-guida-un-altro-cieco.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="466" data-original-width="300" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgkBowgSzNX-Zzi8R4OzLSpFYfPPTGmd1J2SBQ_tPW5uv5rjsDsnxQ-JuTeTQM39NLnZPn24C1QxIx6AsuGIzdl8mNQnU7u2JCxtSQcDFk02ibhTz-GQoi_6Ld2zXYRNaIlixEVeM6g-N8bEST382fJ2lLvPH8YS-wJthAe0VVzuJkY54WUhSbXpt_j_Dcy/w258-h400/Se-un-cieco-guida-un-altro-cieco.jpg" width="258" /></a></div>Naturalmente, molte opere (incluse alcune di quelle qui menzionate) hanno più livelli di lettura e inserirle in una categoria o in un’altra potrebbe apparire forzato. E poi… altre opere sono, semplicemente, non collocabili con facilità. Che dire, per esempio, di “<i>Rapporto sui ciechi</i>” dello scrittore argentino <b>Ernesto Sábato</b>? In origine, questo testo costituiva la terza parte (di quattro) del romanzo del 1961 “<i>Sopra eroi e tombe</i>” (opera che da racconto di formazione proprio con il suddetto “<i>Rapporto sui ciechi</i>” vira nel surrealismo puro) e, come tale, è interpretabile come il resoconto di eventi appartenenti a un ciclo molto più ampio che riguarda il declino di una famiglia aristocratica, intrecciata con la storia, spesso sanguinosa, dell’Argentina.
Talora, però, queste settanta e rotti pagine sono state pubblicate come testo a sé (ne sono stati tratti un adattamento a fumetti da parte del maestro argentino <b>Alberto Breccia</b>, e un film girato da <b>Mario Sábato</b>, figlio di Ernesto: “<i>El poder de las tinieblas</i>”, titolo internazionale “<i>The power of darkness</i>”, 1979). </div><div style="text-align: justify;">“<i>Rapporto sui ciechi</i>” descrive un viaggio che assume i contorni di una discesa nella follia. Racconta infatti l’epopea di <b>Fernando Vidal Olmos</b>, un paranoico ossessionato dall’idea che tutti i ciechi facciano parte di una sorta di setta demoniaca destinata a impadronirsi del mondo grazie a un complotto planetario. Questi ciechi avrebbero proprie leggi e una propria gerarchia e vivrebbero nel sottosuolo, in caverne e tane raggiungibili dalle cantine, dalle fogne e da cunicoli sotto le città, che Fernando decide di visitare alla ricerca della verità. </div><div style="text-align: justify;">Per la sua particolarità, non me la sento di accostare tematicamente questo “romanzo nel romanzo” a nessun’altra delle opere che trattano di cecità, tranne forse a “<i>L'uomo della sabbia</i>” di <b>E.T.A. Hoffmann</b> - ne parlerò poi - ma solo per il tema psicologico e la tara mentale del protagonista, non certo per la trama.
In seguito cercherò di parlare di alcuni romanzi e racconti cercando di entrare un po’ nel dettaglio. Il cinema sembra invece, a quanto ne so, aver trattato il tema della cecità in maniera più convenzionale, se si eccettuano gli adattamenti a romanzi più o meno famosi. Anche a questo faremo qualche accenno andando avanti.</div><div style="text-align: right;"><a href="https://insidetheobsidianmirror.blogspot.com/2024/02/rapporto-sulla-cecita-pt2.html" target="_blank">CONTINUA</a></div>Obsidian Mhttp://www.blogger.com/profile/00077330887101732002noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-7447467916007164549.post-15392104377340358682024-01-22T07:30:00.525+01:002024-01-28T17:57:06.744+01:00Le case che abbiamo perso e altri futuri inattesi dal XXIX Trofeo RiLL<div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: left;"><span style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhE1fn4HeXqstJgNzk7vIPSN7ufaz3J3A8j9jKoxdfPyvmStgxENlp8I1ePiJPeenqbIK2KEvjci6hWy-p07OdgKQSZmgJNVXcJgxkDHgmiLc1yVyIrkNM67sNcpZ7xS4eqj1BjedsW18-5-6d13PIv8EyQchLAE9uJLo6l1UihxOtLo-R747rVJfKvOtws/s400/MI2023_cop.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="400" data-original-width="283" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhE1fn4HeXqstJgNzk7vIPSN7ufaz3J3A8j9jKoxdfPyvmStgxENlp8I1ePiJPeenqbIK2KEvjci6hWy-p07OdgKQSZmgJNVXcJgxkDHgmiLc1yVyIrkNM67sNcpZ7xS4eqj1BjedsW18-5-6d13PIv8EyQchLAE9uJLo6l1UihxOtLo-R747rVJfKvOtws/w283-h400/MI2023_cop.jpg" width="283" /></a></div><div style="text-align: justify;"><span>Sarà un caso, ma anche quest'anno la programmazione del blog, se si esclude il rituale episodio di <a href="https://insidetheobsidianmirror.blogspot.com/search/label/Traditi%20dalla%20fretta" target="_blank">Traditi dalla Fretta</a>, pubblicato la <a href="https://insidetheobsidianmirror.blogspot.com/2024/01/traditi-dalla-fretta-39.html" target="_blank">scorsa settimana</a>, parte con il tradizionale appuntamento con i racconti del Trofeo RiLL, giunto ormai alla sua ventinovesima edizione. La formula, come già altre volte ho riferito, è sempre la stessa dal 1994, anno in cui venne bandito per la prima volta il concorso letterario omonimo per il miglior racconto fantastico, i cui primi cinque classificati finiscono dritti sull'</span>annuale antologia "<i>Mondi incantati</i>"<span> curata dall’associazione </span><i>RiLL Riflessi di Luce Lunare</i><span> ed edita da </span><b>Acheron Books</b><span>.</span></div></span></div></div><div style="text-align: justify;">Numeri ancora una volta importanti (anche se non da record) anche per l'edizione 2023, che ha visto all'opera oltre 300 autori e autrici per un totale di 410 racconti dati in pasto ai selezionatori. Ciò che ne è uscito è ancora una volta un prodotto di notevole qualità nel quale, anche con tutta la buona volontà, si fatica a trovare punti deboli.</div><div style="text-align: justify;">L'antologia in questione prende il titolo dal racconto vincitore "<i>Le case che abbiamo perso" </i>di <b>Francesco Corigliano</b>, autore calabrese già finalista RiLL nel 2018 e grande appassionato di letteratura weird. Nella carrellata odierna partirei quindi da questo. <span><a name='more'></a></span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Ammetto di conoscere <b>Francesco Corigliano</b> più per fama che per altro, essendo entrambi più o meno legati agli stessi social, e sebbene la mia attenzione circa la sua produzione non sia mai stata così sistematica, tutto ciò che ho letto di lui l'ho decisamente apprezzato: mi riferisco ovviamente (visto che siamo in tema) al racconto "<i>Il proprietario</i>", già finalista del XXIV Trofeo RiLL e apparso nel numero 8 di "<i>Dimensione Cosmica</i>", al racconto "<i>Ex-Machina</i>", vincitore del Premio Hypnos 2015 e uscito sul numero 5 dell'omonima rivista, fino all'articolo "<i>Alle origini del weird</i>" pubblicato sul numero 4 di "<i>Providence Tales</i>", articolo che, oggi lo abbiamo compreso, era solo l'antipasto del suo lavoro più importante, ovvero il fondamentale saggio "<i>La letteratura weird - Narrare l'impossibile</i>", frutto di tre anni di dottorato (ma non solo) e che ha fatto il botto nel 2020 attraverso i tipi di <a href="https://www.mimesisedizioni.it/libro/9788857567402" target="_blank">Mimesis Edizioni</a>. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg3rGE4GV0nlROJCCH1hzZ2CFioqmpbJas5ctQeJQsv3r2JjlM1w-ZMWDSO4dRsWHrQ9jrwkY4v3Cp2vazPu_WnnlzeV4SsXMNPZtIdqdDjkZOd97JaxoSn7x3Zjjwr38_rGhx96hTczsaPGaLk7L07zSYEoqhl9SmtqsQjASUjA-yWq2EWwHtW50N_WOfx/s600/AT-AT_89d0105f.jpeg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="300" data-original-width="600" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg3rGE4GV0nlROJCCH1hzZ2CFioqmpbJas5ctQeJQsv3r2JjlM1w-ZMWDSO4dRsWHrQ9jrwkY4v3Cp2vazPu_WnnlzeV4SsXMNPZtIdqdDjkZOd97JaxoSn7x3Zjjwr38_rGhx96hTczsaPGaLk7L07zSYEoqhl9SmtqsQjASUjA-yWq2EWwHtW50N_WOfx/s16000/AT-AT_89d0105f.jpeg" /></a></div>E da un esperto di weird non poteva che scaturire il racconto più weird dell'intera antologia. Siamo in un futuro indefinito, o in un universo indefinito (il dettaglio poco conta), dove tutto è quasi desertico. Qua è là, piccole pozze d'acqua consentono a pochi sopravvissuti di tirare a campare. Quello che davvero manca è la possibilità di costruire solidi rifugi, visto che per motivi ignoti tutto ciò che viene eretto finisce per polverizzarsi all'istante. La speranza è riposta in strani edifici semoventi, eredità di un passato ormai dimenticato, che di tanto in tanto, seguendo una logica tutta loro, attraversano i territori inabitabili di quel mondo e si stabiliscono ora in un'oasi, ora in un'altra. L'immaginazione del lettore visualizza rapidamente quei veicoli "All Terrain" tipici dell'universo <b>Star Wars</b>, ma l'analogia inizia e finisce qui. Queste sono vere e proprie abitazioni, chiese e castelli che quando è il momento si sollevano su lunghissime gambe da dromedario e se ne vanno altrove. Ma questo è solo il contorno: "<i>Le case che abbiamo perso" </i>è ovviamente molto di più, è una saga familiare, la storia di gente senza possibilità che si rivolge a quegli edifici come se questi fossero delle divinità alle quali donare tributi e dalle quali ottenere un briciolo di speranza. E tutt'attorno, il mistero della morte. E il mistero di quell'ambiente così ostile da non consentire la sopravvivenza dell'umanità.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Ambientato nella Sicilia dei nostri giorni è invece il racconto "<i>Tutt'apposto</i>" di <b>Giorgio Cappello</b>, autore palermitano e grande appassionato di comics, nel quale la dura vita di Zù Simuni, un lavoratore sepolto dai debiti e pressato dai debitori, giunge a un punto critico nel momento esatto in cui scade l'ultimatum impostogli dal peggior usuraio della sua lista. Si tratta di dover decidere se scappare o rimanere, se vivere da fuggiasco (ma per quanto?) o se morire per mano dello spietato esattore che sta già bussando alla porta. Morire va bene, ma sarebbe una condanna a morte anche per Sofia, l'adorata moglie che in quel particolare frangente non ne vuole sapere di uscire dal bagno. Ma cosa diavolo sta succedendo in quel bagno? È proprio quello il momento di attardarsi sotto la doccia? Un racconto splatter tra i più classici, che avrebbe certamente meritato il primo posto se non fosse stato per l'ineguagliabile visionarietà espressa dal racconto vincitore.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEidGA558ej0xkejb8ZBq3N6iXbxirG6v6ZG0eyORFTCWpMTJdsdC3oSWxWUke8poAX8yNd02blF-lIVEB1EWNTaO1TNxNOxsgg_of79rfnsDnBQ52BW0EqdR2Ic_hNfBPhnDWJIhdQA5fu9xh3SA-oQGSbiwViMxCUrJa6rp6I1qkEzMnBqu-od4fwzGhoC/s600/baciodonnaragno.JPG" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="296" data-original-width="600" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEidGA558ej0xkejb8ZBq3N6iXbxirG6v6ZG0eyORFTCWpMTJdsdC3oSWxWUke8poAX8yNd02blF-lIVEB1EWNTaO1TNxNOxsgg_of79rfnsDnBQ52BW0EqdR2Ic_hNfBPhnDWJIhdQA5fu9xh3SA-oQGSbiwViMxCUrJa6rp6I1qkEzMnBqu-od4fwzGhoC/s16000/baciodonnaragno.JPG" /></a></div>Alza nettamente la propria asticella<b> Giorgio Smojver</b>,<b> </b>autore padovano specializzato nel cosiddetto "heroic fantasy" e classificatosi al quinto posto al Trofeo RiLL dello <a href="https://insidetheobsidianmirror.blogspot.com/2023/01/quel-signore-nel-salotto-e-altri.html" target="_blank">scorso anno</a>. Anche questa volta, purtroppo per lui, il gradino più alto del podio resta lontano, ma "<i>I colori del campo santo</i>" sono la prova provata della capacità dell'autore di creare ambienti magici che giungono al cuore anche di chi, come me, di fantasy proprio non ne vuole sentir parlare. I personaggi di Smojver, pittori presi a prestito dai movimenti artistici fiorentini della prima metà del XIV secolo e già resi involontari protagonisti da Giovanni Boccaccio in alcune sue celebri e spassose novelle, qui si trovano a dover fare i conti con un'esperienza letteralmente ai confini della realtà.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Romana di origini ma umbra di adozione, <b>Valentina Schiaffini</b> propone "<i>Un Ragazzo</i>", una storia di un eremita e del suo cane che in un giorno d'inverno, nei boschi, si imbattono un ragazzo ferito. Lo accolgono al caldo della propria umile dimora. Nonostante le differenze culturali e l'ostacolo della lingua, l'amicizia tra i due sboccia e, dietro le quinte, qualcosa di molto simile alla magia accade. Una storia di comunione e di pregiudizio che lascia con più di un punto interrogativo.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">"<i>E' stata la palude</i>" del napoletano <b>Roberto Pone</b>, quinto classificato, è uno "spaghetti fantasy in salsa lovecraftiana", per usare le parole del comunicato stampa, e in effetti gli uomini-pesce di cui ci aveva riferito il solitario di Providence non sono affatto difficili da riconoscere. Nella locanda di Niko, ai margini della palude, una sera viene servita una cena diversa dalle altre. La voce si sparge e tutti accorrono per verificare di persona, incluso quel bizzarro cavaliere di cui tutti hanno un riguardoso timore. Cosa bolle in pentola? Forse sarebbe meglio non sapere.</div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjOH8wFJKqf3CPPNIK2adJr4DyRT2qHb_TfEu8DvAqP3nHSz5UFEK1Ifo7gtR4SEQ6bMNaj6anjnNty6FT_OtJtCskx2rOLdqryUhwQE2QEorC6lI6l3biBa5EDrx5ToR3-s-Zs7US4XrXp7VUYUcSsOk6D6sa8IpFLxnP9n2VSi-eKb6S-EOLb-I2s1j3j/s600/blacklagoon.JPG" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="300" data-original-width="600" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjOH8wFJKqf3CPPNIK2adJr4DyRT2qHb_TfEu8DvAqP3nHSz5UFEK1Ifo7gtR4SEQ6bMNaj6anjnNty6FT_OtJtCskx2rOLdqryUhwQE2QEorC6lI6l3biBa5EDrx5ToR3-s-Zs7US4XrXp7VUYUcSsOk6D6sa8IpFLxnP9n2VSi-eKb6S-EOLb-I2s1j3j/s16000/blacklagoon.JPG" /></a></div>Una sezione dell’antologia è dedicata a SFIDA, il concorso che RiLL riserva agli autori/autrici giunti almeno una volta in finale al Trofeo. Con SFIDA, RiLL chiede ai partecipanti di scrivere un racconto fantastico che rispetti uno o più vincoli, stabiliti di volta in volta. <span style="text-align: left;">SFIDA 2023 è stata un’edizione speciale del concorso, nato dalla collaborazione fra RiLL e KomunIKON, un’associazione internazionale che unisce linguisti, sviluppatori, grafici e che ha creato IKON, una lingua totalmente visuale (cioè basata su icone/immagini), che permette la comprensione reciproca fra persone che parlano lingue diverse e/o appartengono a differenti culture. Per questo, il tema di SFIDA 2023 (e dei suoi racconti) è stata la comunicazione visuale.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="text-align: left;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;">Quattro i testi selezionati, tra i quali "<i>Assuntina e la Luna</i>" di <b>Laura Silvestri</b> è di gran lunga il mio preferito, un'originale variante sul tema della licantropia: Assuntina, costretta suo malgrado in sposa a un uomo molto più anziano di lei, è alla disperata ricerca di un modo sicuro per nascondere al consorte la verità sulla sua illibatezza. L'unica soluzione pare però quella di affidarsi alla Luna.</div><div style="text-align: justify;">Notevole anche "<i>Segni di pista</i>" dell'onnipresente <b>Nicola Catellani</b>, protagonista tra l'altro della "personale" di quest'anno. Alcuni giovani boy-scout al campeggio estivo si trovano loro malgrado catapultati, attraverso un non meglio specificato passaggio temporale, nel pieno della seconda guerra mondiale, tra partigiani in fuga e camicie nere lanciate al loro inseguimento. Chiudono la sezione "<i>Dove i morti viaggiano veloci</i>" di <b>Alessandro Izzi</b>, un'avventura in un paesaggio popolato dalle anime dei morti, e "<i>Petricore</i>" di <b>Marta Bonaventura</b>, una commovente riflessione sulle malattie degenerative del nostro secolo.</div><div style="text-align: justify;"><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhC1B_O5JUNtDsV2pBr4cQdETe8dAnGWDvav2DLh49fBfdkcmOqyXkmaZDs2k9MKxBYrHF_0Ik8SU1wMHVNK1hWuQtI6bIDAA-KUADpjohpPbMQ8iClHrkLb2XjLglJ6IpVq9eSFmHSO7Viy7GH3Pa22dEnzkiumKorwFZ0yHLMMWfqCb7GbRt51ea7zRBY/s600/girlwolf.JPG" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="282" data-original-width="600" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhC1B_O5JUNtDsV2pBr4cQdETe8dAnGWDvav2DLh49fBfdkcmOqyXkmaZDs2k9MKxBYrHF_0Ik8SU1wMHVNK1hWuQtI6bIDAA-KUADpjohpPbMQ8iClHrkLb2XjLglJ6IpVq9eSFmHSO7Viy7GH3Pa22dEnzkiumKorwFZ0yHLMMWfqCb7GbRt51ea7zRBY/s16000/girlwolf.JPG" /></a></div>Infine, il più recente volume della collana "<i>Mondi incantati</i>" ospita i migliori racconti provenienti da concorsi letterari esteri con cui il Trofeo RiLL è gemellato. Numerosi spunti di riflessione ci vengono offerti da "<i>La Pinza storica</i>" di <b>Talita Isla </b> (vincitrice del Premio Visiones 2023, organizzato in Spagna da Pórtico - Asociación Española de Fantasía, Ciencia Ficción y Terror), un racconto che ci porta in un futuro remoto, dove l'umanità si è estinta e le coscienze di pochi sopravvissuti, trasferite in un universo totalmente virtuale, continuano a vivere esperienze come giocatori in un videogame. Il transumanesimo più estremo è alla base de "<i>I fiori che sbocciano nel deserto</i>" di <b>Guilherme Pire Correia</b> (vincitore del Premio Ategina 2022, bandito dalla casa editrice portoghese Imaginauta). In un futuro in cui gli uomini si sono ormai definitivamente fusi con le macchine e hanno perduto la memoria del loro passato, un androide addetto alla raccolta di rottami si imbatte in un fiore. Inizia un commovente viaggio alla ricerca di quanto di umano è rimasto nei suoi banchi di memoria. Chiude la serie "<i>Substrato</i>" di <b>Philip Machanick</b> (vincitore della NOVA Short-Story Competition 2022, bandita dall’associazione SFFSA - Science Fiction and Fantasy South Africa), un lavoro che definire anomalo è poco: Machanick non scrive un racconto, ma redige un articolo di geopolitica (tra l'altro manifestamente di parte) mascherandolo in una piuttosto furbetta forma narrativa. Sarebbe senz'altro da considerarsi un buon pezzo se pubblicato di spalla su un quotidiano, ma è completamente fuori contesto in un concorso di narrativa fantascientifica (e no, l'alieno che si palesa nell'ultima riga non è abbastanza, mio caro).</div><div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjiO6kByWUaokac35M2DHlkAOuP4FPP9QZFMT9G_1ZXO6BT9u1vJ7tvNKbuFv4PzZh0dznglQc2oZ46hyphenhyphenotX6Ug0vgUUYRNW0BQMtpcgOBsyUhYeTcfWXday-Uig8KtzUQ8tWU-NDDk7_G2V-a3GSarvP92JWQURxZOthbL3s7wUaQFd38b3AwnNfK7cOqp/s523/Futuri%20Inattesi_cop_LQ.jpg" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="523" data-original-width="373" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjiO6kByWUaokac35M2DHlkAOuP4FPP9QZFMT9G_1ZXO6BT9u1vJ7tvNKbuFv4PzZh0dznglQc2oZ46hyphenhyphenotX6Ug0vgUUYRNW0BQMtpcgOBsyUhYeTcfWXday-Uig8KtzUQ8tWU-NDDk7_G2V-a3GSarvP92JWQURxZOthbL3s7wUaQFd38b3AwnNfK7cOqp/w285-h400/Futuri%20Inattesi_cop_LQ.jpg" width="285" /></a></div>Ormai da diversi anni gli appuntamenti con le proposte RiLL, come avrete notato, sono per me irrinunciabili. Anche quest'anno la proposta è stata di alto livello, con pochissimi punti deboli, ma come sapete io ho sempre un debole particolare per le antologie personali, e quella di quest'anno ancora una volta è particolarmente gustosa: si tratta di "<i>Futuri Inattesi</i>" di <b>Nicola Catellani</b>, tredicesimo libro della collana “Memorie dal futuro”, anch'esso curato dall’associazione <i>RiLL Riflessi di Luce Lunare</i> in compagnia dell'onnipresente <b>Acheron Books</b>.</div><div><b>Nicola Catellani</b><b> </b>non è certo un nome nuovo nell'universo RiLL: lo avevamo già incontrato lo <a href="https://insidetheobsidianmirror.blogspot.com/2023/01/quel-signore-nel-salotto-e-altri.html" target="_blank">scorso anno</a>, in occasione della vittoria, nell'ambito del XXVII Trofeo RiLL, del suo racconto "<i>Quel signore in salotto</i>", inquadrabile come racconto di fantasmi ma anche come testimonianza della solitudine che accompagna gli ultimi anni della nostra vita. In <a href="https://insidetheobsidianmirror.blogspot.com/2022/03/la-via-duscita-e-il-bar-subito-dopo.html" target="_blank">precedenza</a> lo avevamo incontrato con il racconto "<i>Il bar subito dopo", </i>storia di un individuo che si trova precipitato in un ambiente urbano completamente deserto, e<i> "Urne elettorali</i>", ambientato in un futuro distopico nel quale è divenuto reale il diritto di voto dei morti. Non mi dilungherò su tali racconti, classificati rispettivamente al primo e secondo posto del XXVII Trofeo RiLL (casomai potete andare a leggere ciò che ne scrissi all'epoca), ma due parole su "<i>F.lli Marziani, dal 1947</i>", terzo classificato al XXIV Trofeo RiLL, è il caso di spenderle, visto che, sorprendentemente, nulla ne scrissi all'epoca della sua uscita. In un assolato pomeriggio di fine giugno del 1947 un boato scuote il cielo sopra l'immaginario paese di Pontorso. Il giorno successivo tre misteriosi individui fanno la loro comparsa in paese. Nessuno sa da dove vengano, ma quel che è subito chiaro e che non dovrebbero, e nemmeno vorrebbero, essere lì. La vicenda è narrata mezzo secolo più tardi da un testimone dei fatti che, osservando la tomba dove l'ultimo dei tre visitatori riposa, prova a ricostruire gli anni della loro presenza in quella parte di mondo, i loro tentativi di integrazione con i locali e parallelamente i loro infruttuosi tentativi di tornarsene a casa. Il finale, come Catellani ci ha ormai abituato, è sorprendente. E saremmo potuti arrivarci da soli sin dall'inizio, se avessimo subito compreso che quel "marziani" nel titolo non era che una mera semplificazione.</div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjvL2aVj24XMOBAWISOQ_Etazfqepgp5JYRIK1KAjqx5Cq9kEioclnIriHgPSglJiYyKjSzkwMRtrviNceVAAXHimcescJSrbyO6awJKEzmzWw5Sn1tEvMsQNkcEVifBO0vpkBaqkji6udLefXvpqqWBx3elMIDUZaXkCfLf1i6rPclQJIA9Yk2-TGR8gKZ/s600/timetraveller.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="337" data-original-width="600" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjvL2aVj24XMOBAWISOQ_Etazfqepgp5JYRIK1KAjqx5Cq9kEioclnIriHgPSglJiYyKjSzkwMRtrviNceVAAXHimcescJSrbyO6awJKEzmzWw5Sn1tEvMsQNkcEVifBO0vpkBaqkji6udLefXvpqqWBx3elMIDUZaXkCfLf1i6rPclQJIA9Yk2-TGR8gKZ/s16000/timetraveller.jpg" /></a></div>"<i>Spesso cerco di terminare le mie storie proprio con un finale che scompigli le carte della trama</i> - scrive l'Autore in coda al volume - <i>e che getti una nuova luce su tutto quel che è stato letto fino a quel momento. In effetti, non inizio a scrivere finché non ho in mente un finale che mi appaia soddisfacente.</i>”</div><div>In effetti, i finali di Catellani sono invariabilmente dei piccoli terremoti, e forse è proprio per questo motivo che i suoi racconti, pur nell'anonimato, hanno così spesso affascinato i giudici del Trofeo RiLL. Ritroviamo i quattro suddetti racconti in questa antologia personale (e, credetemi, si rileggono sempre volentieri), ma ovviamente la carne al fuoco è parecchia e c'è davvero di che leccarsi i baffi. </div><div>Si parte subito con il botto: "<i>Tutto calmo, tutto lucente</i>" è la scelta ideale per aprire l'antologia: uno di quei rari racconti che ti trascinano immediatamente con sé sin dalla prima riga, e non c'è nulla di più piacevole, lo giuro, che affondare le chiappe in un divano e farsi trascinare nei mondi immaginari descritti da Catellani. Qui veniamo trasportati fra le strade di un borgo poggiato sulle Alpi, dove c'è una chiesetta arroccata in cima a un sentiero che solo la fede tenace di pochi può giustificare. Ma c'è anche qualcos'altro, qualcosa che turba le previste celebrazioni natalizie, qualcosa che forse non è esattamente di questa terra. </div><div>Con "<i>Le notti degli Into</i>" ci spostiamo nientemeno che a Gardaland in un imprecisato futuro. Alcune notti d'estate, nel luna park più famoso d'Italia, sono diverse dalle altre: la struttura chiude al pubblico e piccoli gruppi di misteriosi visitatori, provenienti da chissà dove, possono godere in esclusiva delle sue mirabolanti attrazioni. Finché, ovviamente, non succede qualcosa di imprevisto. </div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjmk4JAMFVa7aixeYDgWE_AUcBxPLWtMkC6Cck518uFzPhZ_WgYX32XKFtG9vOAtHoq2AUxallq9Ba9851njx0g2TmrXFX6SyyMGmAxDm7UNbygoCpTc2UHPVDvzWW53HIS3lAwTjowSoXNC-tyqlkwTODu9qN55wJFPBK-aEyHT-ZheKTwAXxbmF3L0aSG/s596/portrait-photograph-possibly-taken-by-william-hope-a-young-news-photo-1602448179.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="596" data-original-width="400" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjmk4JAMFVa7aixeYDgWE_AUcBxPLWtMkC6Cck518uFzPhZ_WgYX32XKFtG9vOAtHoq2AUxallq9Ba9851njx0g2TmrXFX6SyyMGmAxDm7UNbygoCpTc2UHPVDvzWW53HIS3lAwTjowSoXNC-tyqlkwTODu9qN55wJFPBK-aEyHT-ZheKTwAXxbmF3L0aSG/w269-h400/portrait-photograph-possibly-taken-by-william-hope-a-young-news-photo-1602448179.jpg" width="269" /></a></div>Ne "<i>L'album dei ricordi sbagliati</i>" ci ritroviamo catapultati in uno scenario fatto di universi paralleli e delle piccole tracce che questi hanno lasciato impresse sui negativi fotografici lasciati in eredità da uno zio defunto. Un racconto di dolore ma soprattutto di speranza, perché se è vero che le cose qui possono andare anche drammaticamente male, non è detto che altrove non siano potute andare meglio.</div></div><div>Ne "<i>Il fantastico binomio e le sua magiche parole</i>" troviamo tutta la malinconia dell'invecchiare e del non sentirsi più al passo con i tempi. Oggi, è vero, le cose sono molto diverse da solo qualche decennio fa, quando anche la semplice boa dei cinquant'anni era sinonimo di obsolescenza, ma lo scisma generazionale rimane tuttavia per certi versi invalicabile. E il linguaggio è, di questo, l'aspetto più evidente. </div><div>Un linguaggio, quello delle generazioni precedenti, che si cinge di sacralità ne "<i>Il vecchio blaterone</i>", una realtà futuristica nella quale l'umanità, esodata da secoli dal suo pianeta natio, conserva la memoria delle proprie origini nelle registrazioni (oggi le chiameremmo "audiolibri") di vecchi testi fantastici.</div><div>Una fuga indifferibile dal nostro pianeta morente è anche alla base de "<i>La grande impresa</i>", ma la destinazione verso la quale il genere umano sta viaggiando non è esattamente quella promessa. Chiude questa piccola rassegna "<i>Intruso lunare</i>", dove i dissapori fra le solite note potenze mondiali si trasferiscono sul terreno brullo e inabitabile del nostro satellite. Soliti problemi, solite soluzioni.</div><div>Un'antologia che si legge d'un fiato e un talento, quello di <b>Nicola Catellani</b>, che non rivedremo nelle pagine di una pubblicazione RiLL per via di una regola che impedisce agli autori che ottengono una "personale" di partecipare a concorsi futuri. Poco male. Vorrà dire che lo seguiremo altrove.</div></div>Obsidian Mhttp://www.blogger.com/profile/00077330887101732002noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-7447467916007164549.post-29508610184916691362024-01-15T07:30:00.007+01:002024-01-15T11:23:07.175+01:00Traditi dalla fretta #39<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://4.bp.blogspot.com/-ZF1xxt-jq2M/WI5RaqyUa5I/AAAAAAAAKZU/Ar96gd1EoR08-ya5ujRAz0eYniDjoEmvgCPcB/s1600/TRADITIDALLAFRETTACOVER.PNG" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="400" src="https://4.bp.blogspot.com/-ZF1xxt-jq2M/WI5RaqyUa5I/AAAAAAAAKZU/Ar96gd1EoR08-ya5ujRAz0eYniDjoEmvgCPcB/s400/TRADITIDALLAFRETTACOVER.PNG" width="271" /></a></div>
<div style="text-align: justify;">Ed eccoci di nuovo qua. Anche la Befana ormai è lontana anni luce e chi scrive (ma non solo io, credo) ha già messo un piede abbondante nel 2024, anno in cui cadrà il tredicesimo compleanno del blog. Porterà fortuna oppure sfortuna? Direi che è presto per dirlo, e comunque, a pensarci bene, di numeri tredici, nella vita, me ne sono lasciati alle spalle già parecchi senza che nulla di particolarmente fortunato o sfortunato sia accaduto. Lasciamo quindi questa cosa dei numeri ai superstiziosi. Noi ci concentriamo invece su altri numeri, ovvero quelli che qui nella colonna di destra testimoniano la mia produttività. L'anno che è appena terminato ha visto materializzarsi il fatidico (ma prevedibile) record negativo di post pubblicati, inferiore anche al 2011, l'anno dell'esordio, che può comunque appellarsi al fatto di essere partito solo ad aprile. Nessuna sorpresa, come dicevo, e non avrebbe potuto essere altrimenti considerata la frequenza di pubblicazione che da questa parti è andata via via diradandosi. Oggi si pubblica solo una volta la settimana, il lunedì mattina, mentre solo pochi anni fa si produceva praticamente il doppio. Ora si tratta solo di capire se la tendenza continuerà oppure ci sarà un'inversione. Mi piacerebbe, non lo nego, che si avveri la seconda ipotesi, ma siamo già a metà gennaio e la mia partenza, come è facile notare, non è stata certamente tipica da centometrista. Vedremo col tempo. Magari faremo altri due conti tra sei mesi. Oggi ripartiamo e lo facciamo (e anche in questo temo di essere piuttosto prevedibile) con un nuovo episodio di "<i><a href="http://insidetheobsidianmirror.blogspot.com/search/label/Traditi%20dalla%20fretta" target="_blank">Traditi dalla fretta</a></i>", appuntamento bimestrale con tutto ciò che annoto sulla mia wish-list libraria e non solo. Buon anno e buone letture!</div><div style="text-align: justify;"><span><a name='more'></a></span></div><div style="text-align: justify;"></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div></div><div style="text-align: justify;"><div style="text-align: center;"><div style="text-align: justify;"><div style="text-align: center;"><div style="text-align: justify;"><div style="text-align: center;"><div style="text-align: center;"><div style="text-align: left;"><div style="text-align: center;"><div><b style="color: orange;">Segnalazioni, divagazioni, varie ed eventuali </b><br /><span style="color: orange; font-size: x-large;"><b>OSCURE RADICI</b></span></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgSPPXHUshCMWpT42iRTWuDYFuFqzsE03R-xdoxHsvZX9fD0OhoCPfkgMdlMcYRLf1p835c_U67X08ZvCc1dDNzP16vLmJLuXBs29XMvuxo2oDh72oPNOckVmKeeZikMcq-dIwWSXsu0JmZkdgKCX4PZgKmB_8RUVDGg1o649RMcW623bKqiCq6Ud4VCrHm/s567/oscureradici.jpg" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="567" data-original-width="400" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgSPPXHUshCMWpT42iRTWuDYFuFqzsE03R-xdoxHsvZX9fD0OhoCPfkgMdlMcYRLf1p835c_U67X08ZvCc1dDNzP16vLmJLuXBs29XMvuxo2oDh72oPNOckVmKeeZikMcq-dIwWSXsu0JmZkdgKCX4PZgKmB_8RUVDGg1o649RMcW623bKqiCq6Ud4VCrHm/w283-h400/oscureradici.jpg" width="283" /></a></div><b>Howard Phillips Lovecraft </b>(1890-1937) è unanimemente riconosciuto come il nume dell’orrore cosmico letterario. Le sue terribili e fascinose visioni hanno lastricato i percorsi della moderna narrativa dell’immaginario, rendendolo un autore di culto e un punto di riferimento per generazioni di scrittori successivi. Ma furono unicamente le letture e l’irripetibile arte del solitario sognatore di universi a ispirare i suoi capolavori, o magari anche qualche oscuro ingrediente celato nella sua antica linea di sangue, di cui lo stesso Lovecraft potrebbe essere venuto a conoscenza attraverso racconti e allusioni in famiglia? </div><div>Ricostruendo le vicende del suo parentado mediante l’utilizzo di rare fonti giornalistiche d’epoca, in qualche caso riemerse per la prima volta da un oblio secolare, questo studio individua e suggerisce connessioni intriganti tra le atmosfere dello scrittore di Providence e le sinistre vicende di vari suoi antenati e consanguinei.</div><div><div>Strani incidenti, suicidi, bizzarre società segrete, violenze, superstizione, follia ereditaria… un maelstrom gotico-genealogico in cui il destino crepuscolare della schiatta dei Lovecraft si presenta ai contemporanei come un’ulteriore prova di quanto fantasia e realtà storica possano strizzarsi l’occhio a vicenda. Con un saggio introduttivo di Pietro Guarriello e una nota finale di Sebastiano Fusco. </div><div><b>Adriano Monti Buzzetti Colella</b> (Roma, 1968), giornalista e scrittore, è responsabile della Redazione Cultura del TG2. Da oltre un trentennio si occupa di letteratura fantastica con articoli, saggi e opere di narrativa. Ha realizzato il primo reportage della RAI su H.P. Lovecraft e numerosi approfondimenti televisivi dedicati ad autori come Clark Ashton Smith, Michael Moorcock, Isaac Asimov ed altri celebrati maestri del fantasy, della fantascienza e del weird. È direttore editoriale della storica rivista di lettura dell’immaginario Dimensione Cosmica (Tabula Fati) e di recente ha collaborato all’organizzazione della prima mostra italiana su J.R.R. Tolkien.</div></div><div>"Oscure radici. Delirio, morte e leggenda nell'albero genealogico di Howard Phillips Lovecraft" lo trovate come al solito su <a href="https://www.amazon.it/leggenda-nellalbero-genealogico-Phillips-Lovecraft/dp/889613370X" target="_blank">Amazon</a>, su <a href="https://www.ibs.it/oscure-radici-delirio-morte-leggenda-libro-adriano-monti-buzzetti-colella/e/9788896133705" target="_blank">IBS</a> e sul <a href="https://www.editricelatorre.it/index.php?option=com_virtuemart&view=productdetails&virtuemart_product_id=112&virtuemart_category_id=23&Itemid=101" target="_blank">sito dell'editore</a>.</div><div><br /></div><div><div style="text-align: center;"><div style="text-align: left;"><div style="text-align: center;"><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><div style="text-align: justify;"><div style="text-align: center;"><span style="color: orange;"><b>Segnalazioni, divagazioni, varie ed eventuali </b></span></div><div style="text-align: center;"><b style="color: orange;"><span style="font-size: x-large;"> I SALMI DELL'APOCALISSE</span></b></div><div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div></div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><div style="text-align: justify;"><div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjtFSxCoKPBb8ipk5iH_jkQWDTmTcjM1cBYEd-eOMMtxxJzMmBG7VefjiD3VIYklDNaNMjdt8YQwgeiWIVe469jzyngSsIgnK8J5ce6QY2kheBr7Uh9c2EpXIKxBTm57Sea1dXxw-xa8eI784qvA7WhYB7gfIV2oTGbh7eG32EJEhCwwYa4EIHs0T8wRcP5/s533/salmiapocalissepalombi.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="533" data-original-width="400" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjtFSxCoKPBb8ipk5iH_jkQWDTmTcjM1cBYEd-eOMMtxxJzMmBG7VefjiD3VIYklDNaNMjdt8YQwgeiWIVe469jzyngSsIgnK8J5ce6QY2kheBr7Uh9c2EpXIKxBTm57Sea1dXxw-xa8eI784qvA7WhYB7gfIV2oTGbh7eG32EJEhCwwYa4EIHs0T8wRcP5/w300-h400/salmiapocalissepalombi.jpg" width="300" /></a></div>Uscito poco prima di Natale, per la collana k_noir, diretta da Paolo Di Orazio, «I salmi dell’apocalisse» è il nuovo romanzo di <b>Miriam Palombi</b>, un romanzo che scruta nelle viscere del tessuto storico di Roma per indagare i recessi più nascosti di un villino borghese in cui si nascondono inquietanti iati tra le dimensioni. La copertina è di <b>Ksenja Laginja</b>.</div><div>Villa Daleth svetta tra le altre dimore borghesi di un distinto quadrante di Roma. È stata progettata nella sua forma ottocentesca dall’architetto Coppedè, famoso per aver dato il nome all’omonimo quartiere liberty. Ma il palazzo ha il suo senso, diverso da quello che si aspetterebbero i suoi garbati ospiti, e vive di un paradigma proprio, cruento: è il Male a dettare le regole nella palazzina che, pur ristrutturata e razionalizzata, conserva intatta la sua potenza malevola. E poi la numerazione degli appartamenti in cui è suddiviso l’edificio ha una sua logica inspiegabile. E perché le connessioni di questo palazzetto affondano anche in altri luoghi dell’Italia, rincorrendo i fili tenaci e sottili della Storia? E cosa c’entra, infine, la psichiatria di Wilhelm Reich?</div><div><b>Miriam Palombi </b>nasce a Milano nel 1972. Autrice di narrativa horror, dark fantasy e mistery. Le sue opere esplorano un universo macabro e spettrale, ispirandosi ai temi più classici del genere. Impegnata nella divulgazione della cultura horror, Miriam Palombi è curatrice della collana horror della <a href="https://www.dark-zone.it/" target="_blank">DZ Edizioni</a>, cofondatrice del blog “<a href="https://horrorcultura.wordpress.com/" target="_blank">Horror Cultura</a>” ed è tra i redattori della rivista “<a href="https://www.lanuovacarne.it/categoria-prodotto/riviste/" target="_blank">Massacro</a>”. "I salmi dell'apocalisse" lo trovate come al solito su <a href="https://www.amazon.it/I-salmi-dellApocalisse-Miriam-Palombi/dp/8832179857/" target="_blank">Amazon</a>, su <a href="https://www.ibs.it/salmi-dell-apocalisse-libro-miriam-palombi/e/9788832179859" target="_blank">IBS</a> e sul <a href="http://www.kipple.it/prodotto/i-salmi-dellapocalisse-miriam-palombi/" target="_blank">sito dell'editore</a>.</div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div><div><div style="text-align: center;"><div style="text-align: justify;"><div style="text-align: center;"><div style="text-align: justify;"><div style="text-align: left;"><div style="text-align: center;"><div style="text-align: justify;"><div style="text-align: center;"><div style="text-align: justify;"><div style="text-align: center;"><span style="color: orange;"><b><br /></b></span></div><div style="text-align: center;"><span style="color: orange;"><b>Segnalazioni, divagazioni, varie ed eventuali </b></span></div><div style="text-align: center;"><b style="color: orange;"><span style="font-size: x-large;"> NON TUTTI CERTO MORIREMO</span></b></div><div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div></div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><div style="text-align: justify;"><div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg1h4Ittw3-TMUBDP-d5WFQSx7cGTPG4lFMhf04jqGNuTd7Yp6PybSGY8D28hCRpg_qWxS0L0fUJoGSe-nLeAuhzJ8embWfJt1g3qJb5wUrPXwdCg2OCcBK5weargJztwIOAoV3h7xoTRTmBSLD7QM1K5XIcSHwCoNQU0KmeA4nPMlbuNscAb-ADGrLdlMu/s542/nontutticertomoriremo.jpg" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="542" data-original-width="400" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg1h4Ittw3-TMUBDP-d5WFQSx7cGTPG4lFMhf04jqGNuTd7Yp6PybSGY8D28hCRpg_qWxS0L0fUJoGSe-nLeAuhzJ8embWfJt1g3qJb5wUrPXwdCg2OCcBK5weargJztwIOAoV3h7xoTRTmBSLD7QM1K5XIcSHwCoNQU0KmeA4nPMlbuNscAb-ADGrLdlMu/w295-h400/nontutticertomoriremo.jpg" width="295" /></a></div>«Non tutti certo moriremo» è un romanzo sulla Fine del Mondo, un testo che racconta di un tempo che scorre in modo irregolare, contraddittorio, individuale. La vita dei personaggi è un flusso che si muove intrecciando storie e mescolando presente, passato, futuro. </div><div>La scrittura stratificata e affascinante di <b>Alessandro Forlani </b>ci accompagna in un caleidoscopio di eventi e di esperienze che rende «Non tutti certo moriremo» un romanzo a mosaico, un testo in cui iniziare la storia (le storie) da qualsiasi capitolo e che è possibile leggere in ordine casuale, per trovarsi a riconsiderare la narrazione da nuove prospettive con inaspettate connessioni.</div><div><b>Alessandro Forlani </b>ci porta a valutare ogni esistenza come parte di un unico destino messo in scena su un folle palcoscenico, un percorso che genera, distrugge, salva, condanna, unisce, emargina. Perché non tutti, certo, moriremo, ma tutti saremo infine trasformati.</div><div>«Non tutti certo moriremo» è disponibile in libreria dallo scorso 6 settembre ed è possibile leggerne un <a href="https://www.zona42.it/wordpress/non-tutti-certo-moriremo-di-alessandro-forlani/" target="_blank">estratto gratuito</a> sulla pagina che la casa editrice <b>Zona 42</b> gli ha dedicato.</div></div><div>Scrittore di fantastico e fantascienza, insegnante di sceneggiatura, drammaturgia e scrittura creativa presso le Accademie di Belle Arti di Venezia e Macerata e all’Università di Bologna, <b>Alessandro Forlani</b> ha vinto il Premio Urania e il Premio Kipple con il romanzo "I senza-tempo", pubblicato da Mondadori. </div><div>"Non tutti certo moriremo" lo trovate come al solito su <a href="https://www.amazon.it/tutti-certo-moriremo-Alessandro-Forlani/dp/B0C1M7WZPT" target="_blank">Amazon</a>, su <a href="https://www.ibs.it/non-tutti-certo-moriremo-libro-alessandro-forlani/e/9791280868275" target="_blank">IBS</a> e sul <a href="https://www.zona42.it/wordpress/non-tutti-certo-moriremo-di-alessandro-forlani/" target="_blank">sito dell'editore</a>.</div><div><br /></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div><div style="text-align: justify;"><div style="text-align: center;"><span style="color: orange;"><b>Segnalazioni, divagazioni, varie ed eventuali </b></span></div><div style="text-align: center;"><b style="color: orange;"><span style="font-size: x-large;"> ESISTENZE DONDOLANTI SOPRA IL BRODO NERO</span></b></div><div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div></div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhN1cNgz8e75i0zpNaIzL2Gmp97e7Gkl7At3sO_I_cygSFbAsV8mRju60sOpwtIQcxsjhsH0awGiKMLac6RIqzsfPKCFUNR9pSDqsU16lLKTLhzGND9U1Wj87wE0rnCWm2cOw2WkwIELv4q737b-jRNI85iSuKL7rwDE-HwQrNxyxFOFcu9I6-6ypqIAA92/s617/esistenze%20dondolanti.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="617" data-original-width="400" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhN1cNgz8e75i0zpNaIzL2Gmp97e7Gkl7At3sO_I_cygSFbAsV8mRju60sOpwtIQcxsjhsH0awGiKMLac6RIqzsfPKCFUNR9pSDqsU16lLKTLhzGND9U1Wj87wE0rnCWm2cOw2WkwIELv4q737b-jRNI85iSuKL7rwDE-HwQrNxyxFOFcu9I6-6ypqIAA92/w259-h400/esistenze%20dondolanti.jpg" width="259" /></a></div>Ciò che rappresenta la letteratura weird è insito nell’essenza stessa del termine, eppure la sua evoluzione ha esteso i propri tentacoli in molteplici direzioni. E se questi, di frequente, si sono rivolti verso l’alto, in direzione dell’orrore cosmico, nei racconti di <b>Antonio Pilato</b> assumono un andamento orizzontale o addirittura geocentrico.</div><div style="text-align: justify;">Così, partendo da un mondo distorto, fatto di radici oscure, generato dalle proiezioni dei presagi e dei terrori che sfuggono alle menti dei protagonisti, gli orrori divengono tangibili, anche se sotto forma di presenze indefinibili, seppur dedotte da un mondo infestato dall’ignoto. Tuttavia, le paure peggiori divengono estensione di noi stessi che le amplifichiamo, ombre esterne proiettate dalla nostra stessa bestialità, dove il punto focale si sposta di continuo, senza mai essere messo a fuoco.</div><div style="text-align: justify;">Così, vediamo inquietanti statue di cera che rivelano una macabra interiorità, esecrabili riti frammisti a grottesche e oscene sperimentazioni chirurgiche, loop temporali, orride realtà striscianti, viaggi su battelli attraverso acque che acqua non sono, sfidando la fisica e il senso del reale. Questi e altri racconti ci portano in località inesistenti che l’Autore ha plasmato, contenitori di una densa quanto perturbante materializzazione di suggestioni che strizzano l’occhio, nel vero senso fisico del termine, all’inquietudine.</div><div style="text-align: justify;">Prefazioni di <b>Luis G. Abbadie</b> e <b>Vincenzo Barone Lumaga</b>. Copertina di <b>Riccardo D’Ariano</b>. Lo trovate su <a href="https://www.amazon.it/Esistenze-dondolanti-sopra-brodo-nero/dp/B0CPW5V3ZW" target="_blank">Amazon</a>, su <a href="https://www.ibs.it/esistenze-dondolanti-sopra-brodo-nero-libro-antonio-pilato/e/9791280144508" target="_blank">IBS</a> e sul <a href="https://www.hortidigiano.com/pubblicazioni/?v=cd32106bcb6d" target="_blank">sito dell'editore</a>.</div><div style="text-align: justify;"><div style="text-align: center;"><br /></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div><div style="text-align: justify;"><div style="text-align: center;"><div style="text-align: justify;"><div style="text-align: center;"><div style="text-align: justify;"><div style="text-align: left;"><div style="text-align: center;"><div style="text-align: justify;"><div style="text-align: center;"><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><div style="text-align: justify;"><div style="text-align: center;"><span style="color: orange;"><b>Segnalazioni, divagazioni, varie ed eventuali </b></span></div><div style="text-align: center;"><b style="color: orange;"><span style="font-size: x-large;"> L'AMARO IN BOCCA</span></b></div><div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div></div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><div style="text-align: justify;"><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhxFCl8PISC3csvy2LKN454rfgal-7T-BYH4MvU8MG69xVqnZ_fm3WBGJV1AEXE15ylQOapQjkbCmlyPmxXdfbnGPUHXV_SGAqhhn9whmHpBQuPN7ZCzXwicfFGz2H5DwRDpiPaIYmZoWAybomWmu3oZx7llse3IOc_dnEbJqKzY9Q8UxVAGw-R3oqo0H-I/s605/amaroinbocca.JPG" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="605" data-original-width="400" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhxFCl8PISC3csvy2LKN454rfgal-7T-BYH4MvU8MG69xVqnZ_fm3WBGJV1AEXE15ylQOapQjkbCmlyPmxXdfbnGPUHXV_SGAqhhn9whmHpBQuPN7ZCzXwicfFGz2H5DwRDpiPaIYmZoWAybomWmu3oZx7llse3IOc_dnEbJqKzY9Q8UxVAGw-R3oqo0H-I/w265-h400/amaroinbocca.JPG" width="265" /></a></div>Avevo già accennato tempo addietro al <a href="https://t.me/Lovecraft_ITA" target="_blank">Gruppo Telegram</a> "Lovecraft Italia", quasi certamente il più importante in Italia dedicato al solitario di Providence. In tale gruppo, a cui sono iscritto da secoli ma che frequento poco o niente, ogni tanto scopro iniziative piuttosto interessanti come la realizzazione di questa antologia intitolata "<i>L'Amaro in Bocca</i>", pubblicata sotto Natale dai tipi di Colomò nella collana Officina Onirica. Il volume raccoglie le escursioni letterarie di diversi scrittori appartenenti al suddetto Gruppo Telegram nei reami dell'imprevisto e dell'inquietudine.</div><div><div>"<i>Nella seconda decade dell'anno duemila abbiamo assistito alla rinascita del genere Weird, termine che in ambito estetico indica lo strano, il bizzarro, lo inusuale. Guardando al Belpaese, senza intenti provinciali, un nome svetta quale scrittore dell'inquietudine e dell'imprevisto: <b>Dino Buzzati</b>, i cui racconti sono la pietra miliare della via italiana al Bizzarro, una via data non da abissi cosmici ma dalla città quale scena per le opere di un destino tanto beffardo quanto implacabile.</i></div><div><i>Su queste coordinate, tracciate dal maestro bellunese–meneghino, vi presentiamo codesta raccolta che ci auguriamo possa traghettarvi attraverso "notti difficili" e sbarcarvi arricchiti di maggiori dubbi e minori certezze, affinché possiate guardare la realtà con occhi nuovi, financo al prezzo di lasciarvi con l'amaro in bocca.</i>"</div><div>Con i racconti di Thomas Andrigo, Mirko Badalino, Flavio Deri, Barbara Guarnieri, Mauro Palazzi, Francesco Rosati, Davide Russo, Natan Sergio, Paolo Sista, Marco Zanelli.</div></div></div><div style="text-align: justify;">Lo trovate come al solito su <a href="https://www.ibs.it/amaro-in-bocca-racconti-dell-libro-vari/e/9791281430075" target="_blank">IBS</a> o su <a href="https://www.amazon.it/Lamaro-bocca-Racconti-dellimprevisto-dellinquietudine/dp/B0CR2KBT6X" target="_blank">Amazon</a>.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div style="text-align: center;"><span style="color: orange;"><b>Segnalazioni, divagazioni, varie ed eventuali </b></span></div><div style="text-align: center;"><b style="color: orange;"><span style="font-size: x-large;"> PAROSSISMO DARKZINE #1</span></b></div><div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div></div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjtfauQUN97vR-ASEX8SzsDBbqtUb7tvfWUDAddviVzh26_q1xm9ckhYZBERj6GQPfz6ISU5tkcPMgdqkCaUcGjazD8NK_HDBJWu6cJxCZsM4FLtZxCYfgL_0xFtB2U6EwaNPQQJLUk7zW3OtAbuFLUibZOJIVNy1BCVkeNy5y-X-qGcBxUzgEwkG2BecwO/s630/parossismo1.JPG" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="630" data-original-width="400" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjtfauQUN97vR-ASEX8SzsDBbqtUb7tvfWUDAddviVzh26_q1xm9ckhYZBERj6GQPfz6ISU5tkcPMgdqkCaUcGjazD8NK_HDBJWu6cJxCZsM4FLtZxCYfgL_0xFtB2U6EwaNPQQJLUk7zW3OtAbuFLUibZOJIVNy1BCVkeNy5y-X-qGcBxUzgEwkG2BecwO/w254-h400/parossismo1.JPG" width="254" /></a></div><div>Dagli ideatori del progetto letterario <b>Parossismo</b>, arriva una nuova rivista che tratta i generi horror, sex, slasher, home invasion, splatter e gore. Racconti, news, recensioni e tanto altro. Da un’idea e un progetto di <b>Ivo Gazzarrini</b>, una delle menti e delle penne horror italiane più stimolanti e interessanti del panorama underground, arriva la rivista <b>Parossismo – Darkzine</b>.</div><div>La rivista in questione è dedicata al mondo dell’horror e a tanti suoi sottogeneri come sex, slasher, home invasion, splatter, gore e tanto altro. La rivista prende le mosse dalla serie di racconti che portano proprio il nome di <b><i>Parossismo – La serie</i></b> e che ha visto nelle prime uscite pubblicare ebook come "<i>La stanza chiusa</i>" di Pietro Gandolfi, "<i>Reservoir Cocks</i>" di Samuele Fabbrizzi, "<i>Fatisfaction</i>" di L. Filippo Santaniello, "<i>Lo scrigno dei sogni</i>" di Ivo Gazzarrini.</div><div>In ogni numero troverete racconti di autori italiani, il racconto dimenticato, recensioni di libri, film. Verranno, inoltre, analizzate le opere dei maestri dimenticati italiani, autori di quelle collane che popolavano le edicole dalla seconda metà degli anni ‘50 fino alla prima metà degli ‘80 come "<i>I racconti di Dracula</i>", "<i>KKK i classici dell’orrore</i>", "<i>I narratori americani del brivido</i>", "<i>I gialli dello schedario</i>", "<i>I gialli dell’ossessione</i>", oppure i fumetti "<i>Oltretomba</i>", "<i>Terror</i>", solo per citarne alcuni.</div></div><div style="text-align: justify;">Nel numero 1 di "<b>Parossismo – Darkzine</b>" troverete racconti di Miriam Palombi, Ivo Gazzarrini, Stefano Rossi, Giacomo Ferraiuolo, Lorenzo Lepori e Simone Giusti</div><div style="text-align: justify;">La versione digitale la trovate come al solito su <a href="https://www.amazon.it/Parossismo-DarkZine-1-Ivo-Gazzarrini-ebook/dp/B0CJ8FMCDH" target="_blank">Amazon</a>. Maggiori informazioni, incluse le istruzioni per l'invio di monoscritti, le trovate sul <a href="https://parossismo-la-serie.jimdosite.com/" target="_blank">sito del progetto letterario</a>.</div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div>Obsidian Mhttp://www.blogger.com/profile/00077330887101732002noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-7447467916007164549.post-82504900674737885192023-12-25T00:00:00.023+01:002023-12-26T18:17:29.325+01:00Non molto da festeggiare<div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjl5a_nC1w2iuB-cy5s3JLHGob0qJC3RvUVt2fZgq11QO4unfHXUQJ349pqZCmaUfKkERzBqh5uFF4seBrw9tSf0FZdF3QsvXGLnHKG0L3WyMRqxXJJ0IxUqQ2izx5dTYk0OVk5kJi8Dw_YvnYid_DtSs7w8F3aO3NFFnVzGXq7FQEbxfoL9MpWmJfHZWAj/s736/angeli.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="736" data-original-width="600" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjl5a_nC1w2iuB-cy5s3JLHGob0qJC3RvUVt2fZgq11QO4unfHXUQJ349pqZCmaUfKkERzBqh5uFF4seBrw9tSf0FZdF3QsvXGLnHKG0L3WyMRqxXJJ0IxUqQ2izx5dTYk0OVk5kJi8Dw_YvnYid_DtSs7w8F3aO3NFFnVzGXq7FQEbxfoL9MpWmJfHZWAj/s16000/angeli.jpg" /></a></div>Il blog si prende comunque una pausa e tornerà, come d'abitudine, solo quando questa grande ipocrisia chiamata natale sarà ampiamente archiviata...</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><p></p>Obsidian Mhttp://www.blogger.com/profile/00077330887101732002noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-7447467916007164549.post-54045554352864417552023-12-18T08:00:00.002+01:002023-12-18T08:00:00.177+01:00Il mistero della stanza 1046 (Pt.4)<div style="text-align: justify;"><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgpi8_gLjZfJXaUFcSt1nTy1TVKekTFma3QUz_phFK0kUEwaUJmHMEb3uT4o-Un8sV2y1laM3u_rPtBJwE5-Ca5vZAMmz50jgTi_0GBc-dzEr8c879ezWMnn77oP2yR_Iw9REUInft4bOcNRrjAvdRlpCsPS0xLXsXwUpL2bd2Kho-OGCxXlC1Vjmrg3Hfr/s577/flowers%20owen.JPG" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="577" data-original-width="400" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgpi8_gLjZfJXaUFcSt1nTy1TVKekTFma3QUz_phFK0kUEwaUJmHMEb3uT4o-Un8sV2y1laM3u_rPtBJwE5-Ca5vZAMmz50jgTi_0GBc-dzEr8c879ezWMnn77oP2yR_Iw9REUInft4bOcNRrjAvdRlpCsPS0xLXsXwUpL2bd2Kho-OGCxXlC1Vjmrg3Hfr/w278-h400/flowers%20owen.JPG" width="278" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><span style="color: #fcff01; text-align: justify;"><i>Negli stessi giorni, qualcuno si <br />prende la briga di inviare dei fiori...</i></span></td></tr></tbody></table><div style="text-align: center;">LA PRIMA PARTE SI TROVA <a href="https://insidetheobsidianmirror.blogspot.com/2023/11/il-mistero-della-stanza-1046-pt1.html" target="_blank">QUI</a></div></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Se le circostanze che circondano l'omicidio possono, così come le ho descritte finora, sembrare piuttosto ordinarie (non abbastanza bizzarre, voglio dire, per legittimare un articolo così lungo), quello che accade in seguito certamente giustifica lo sforzo, sia mio di scrivere, sia vostro di leggere.
Siamo intanto arrivati a un punto morto. La polizia si rende conto che l’uomo della camera 1046 si è registrato al President sotto falso nome e ogni speranza di risalire rapidamente alla sua famiglia va subito in frantumi. </div><div style="text-align: justify;">Viene quindi interrogato il personale del <b>Muehlebach Hotel</b>, la struttura presso la quale il misterioso individuo aveva più volte accennato di aver alloggiato in precedenza. Non risulta nessun <b>Roland T. Owen</b> ma, quando venne fornita una descrizione dell’uomo, il personale la collega a un ospite registrato con il nome di <b>Eugene K. Scott</b>. Niente da fare: come avrete di sicuro immaginato, si tratta di un altro nome falso. Pista chiusa e tanti saluti. </div><div style="text-align: justify;">Per quasi due mesi il suo corpo viene conservato presso la <b>Melody McGilley Funeral Home</b>. Poiché nessuno era venuto a reclamarlo, era previsto che fosse sepolto nella fossa comune, dove trovavano posto i resti mortali di quelli così poveri da non potersi nemmeno permettere una sepoltura. <span><a name='more'></a></span></div><div style="text-align: justify;">Qualche giorno prima della tumulazione, tuttavia, l'impresa di pompe funebri riceve una telefonata da una persona che, senza identificarsi, dice: "<i>Non seppellite Roland in una fossa comune. Voglio che lo seppelliate al Memorial Park, così sarà vicino a mia sorella. Invierò io quanto serve per coprire le spese del funerale</i>". Il 23 marzo il denaro arriva, impacchettato in anonimi fogli di giornale. </div><div style="text-align: justify;">Negli stessi giorni, qualcuno si prende la briga di inviare dei fiori, accompagnati da un biglietto che recita: “<i>Love Forever, Louise</i>”. </div><div style="text-align: justify;">Numerosi detective del web, le cui teorie spesso strampalate rimbalzano in rete grazie alla cassa di risonanza offerta da blogger e podcaster, sostengono che l’anonimo interlocutore avrebbe precisato che “<i>Roland aveva una relazione con una donna mentre era impegnato con un’altra</i>”, aggiungendo, prima di riattaccare, una frase ad effetto: “<i>i traditori ottengono sempre ciò che meritano</i>”. Sinceramente, vedo la cosa improbabile per almeno un paio di buoni motivi: 1) dubito che una persona normale, che decide di fare una telefonata del genere, con il rischio di venire identificata, possa essere davvero scesa così nei dettagli con un impiegato delle pompe funebri; 2) faccio fatica a immaginare l’infedeltà come molla per un’aggressione così feroce, anche perché “Owen/Scott”, non dimentichiamocelo, è stato trovato praticamente incaprettato, il che se non sbaglio è una consuetudine mafiosa. </div><div style="text-align: justify;">A conferma dell’inconsistenza della pista sentimentale, la polizia archivia il caso e inizia a dedicarsi ad altro. Fine della storia, per il momento. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEim4VHzYw4yo5NUJiGVk1-iPVSW4f9yOy_0ntfS2oJ6UKBBbDi25KA6kprrezwKgBLjSrlTswFYvfX2CK_s0eSuDzt19QfJ7bOIrqFn8gPZp1ErkOpLsSG7wEd7rcnipdAwu1v-lmactEE-CW_lFwwcdV949e5-cQ1Cack9pm5bqqtNERkTX6SCDGAxPLMI/s600/giornale.JPG" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="351" data-original-width="600" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEim4VHzYw4yo5NUJiGVk1-iPVSW4f9yOy_0ntfS2oJ6UKBBbDi25KA6kprrezwKgBLjSrlTswFYvfX2CK_s0eSuDzt19QfJ7bOIrqFn8gPZp1ErkOpLsSG7wEd7rcnipdAwu1v-lmactEE-CW_lFwwcdV949e5-cQ1Cack9pm5bqqtNERkTX6SCDGAxPLMI/s16000/giornale.JPG" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><i><span style="color: #fcff01;"><span style="text-align: justify;">A maggio </span><b style="text-align: justify;">The American Weekly</b><span style="text-align: justify;"> pubblica un articolo sull'omicidio intitolato "</span><span style="text-align: justify;">Il mistero della stanza n. 1046</span><span style="text-align: justify;">",</span></span></i></td></tr></tbody></table>Nei mesi successivi l’interesse dei media sembra però non avere alcuna intenzione di scemare, e a metà maggio la rivista <b>The American Weekly</b> pubblica un articolo sensazionalistico sull'omicidio intitolato "<i>Il mistero della stanza n. 1046</i>", con tanto di fotografie della vittima scattate, presumibilmente, sul tavolo del coroner. Sarà proprio quest’articolo che, l’anno successivo, porterà gli inquirenti a dare finalmente un nome al misterioso estinto. </div><div style="text-align: justify;">È l’autunno del 1936 e in una città del profondo sud una donna di nome <b>Ruby Ogletree</b> si imbatte proprio in quel vecchio numero del <i>The American Weekly</i>, e riconosce suo figlio nella foto dell’uomo del President.
La donna si mette quindi in contatto con il dipartimento di polizia di Kansas City e il 2 novembre 1936, esattamente venti mesi dopo il giorno in cui il defunto si era presentato alla reception del President, i quotidiani di tutto il paese annunciano ai propri lettori che il nome dell’uomo della camera 1046 era <b>Artemus Ogletree</b>, 17 anni, originario di Birmingham, Alabama. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right; margin-left: 1em; text-align: right;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhmVA7tqk8Ce0DyosigwgHYBSGafDVc2k77DsfeAcIJUEB_BTXpJN3ORKjoyxgWp3hl-9NfSjnhd4X7YYpB2qTcIX6mSWOW5YGPzGWCHfFS3Zpt5eRPsDGmsSwObNS7Jd6wgeNxcNN4t43-mtT5HwetoN8oXqCJVoc16vhCXRIrSiTeHluuRdxwrL_X_yO-/s764/daily%20news.JPG" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="764" data-original-width="400" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhmVA7tqk8Ce0DyosigwgHYBSGafDVc2k77DsfeAcIJUEB_BTXpJN3ORKjoyxgWp3hl-9NfSjnhd4X7YYpB2qTcIX6mSWOW5YGPzGWCHfFS3Zpt5eRPsDGmsSwObNS7Jd6wgeNxcNN4t43-mtT5HwetoN8oXqCJVoc16vhCXRIrSiTeHluuRdxwrL_X_yO-/w336-h640/daily%20news.JPG" width="336" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><i><span style="color: #fcff01;">Una pagina del periodico "Daily News",<br />3 novembre 1936</span></i></td></tr></tbody></table>Il giovane Artemus aveva lasciato la casa materna all’inizio del 1934 con l’intento di girare il paese in autostop in cerca di fortuna assieme ad un amico, tale <b>Joe Simpson</b>. Come ormai sappiamo, purtroppo, la ricerca di quella fortuna si interruppe per lui tragicamente, un anno più tardi, a un migliaio di chilometri da casa. </div><div style="text-align: justify;">Durante i suoi primi mesi di viaggio, Artemus inviava regolarmente lettere a sua madre, aggiornandola su dove si trovasse e sulle sue condizioni. Ma con il passare dei mesi, le lettere diminuiscono fino a cessare del tutto.
Un giorno poi, all’inizio del 1935, in data quindi successiva alla tragica notte del President, Ruby riceve una nuova lettera da Chicago. Il mittente afferma di essere il figlio e di essere in procinto a trasferirsi a New York ma, a differenza delle precedenti, quest’ultima lettera è dattiloscritta e scritta in un linguaggio non coerente con quello tipico del figlio. Ciò, per ovvi motivi, incuriosisce non poco Ruby, la quale decide però di soprassedere. </div><div style="text-align: justify;">Nell’aprile 1935 arrivano altre due lettere, entrambe da New York, nelle quali il mittente annuncia un suo imminente trasferimento via nave in Francia. Il 12 agosto del 1935, Ruby riceve infine una telefonata da Memphis da parte di un uomo che dichiara di chiamarsi <b>Godfrey Jordan</b> e di essere un caro amico di Artemus. L’uomo sostiene che Artemus era stato coinvolto in una rissa in un bar e aveva perso un dito, motivo per cui aveva in seguito dovuto usare una macchina da scrivere; aggiunge inoltre che Artemus si era trasferito al Cairo, dove aveva sposato una donna egiziana di alto ceto sociale.
Quell’ambigua telefonata, anziché tranquillizzare Ruby, la mette subito in allarme: la donna si getta in una disperata ricerca del figlio presso il dipartimento di stato, presso le autorità doganali di New York e presso il consolato americano al Cairo. Arriva anche al punto di scrivere all’FBI e al presidente Roosevelt, ma nessuno sarà mai in grado di confermare la versione del presunto <b>Godfrey Jordan</b>.
Sarebbe stato necessario attendere fino a novembre, come abbiamo già detto, per giungere alla verità: <b>Artemus Ogletree</b> sarebbe stato identificato per via della grande cicatrice sul lato della testa, che sua madre riferì essere il risultato di un’ustione che Artemus ebbe all’età di undici mesi. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Questa è la storia dell'omicidio di <b>Artemus Ogletree</b>, avvenuto nella stanza 1046 del President Hotel di Kansas City, Missouri, in una fredda mattina di gennaio del 1935. Quasi un secolo dopo ancora non si conosce il nome del suo assassino, non si conosce il movente e non si conoscono le circostanze che hanno portato alla sua morte. Gli ultimi rapporti di polizia risalgono ormai agli anni ’50 ed è decisamente inverosimile che nuovi elementi possano emergere e consentire una riapertura del caso. Quasi un secolo dopo non è stato possibile identificare i misteriosi personaggi che sono entrati e usciti di scena in quella fatidica notte, così come non è stato possibile identificare il fantomatico “Don”, il fantomatico “Jordan”, la fantomatica “Louise” e, non ultimo, quel fantomatico individuo che finanziò il servizio funebre. Non è nemmeno mai stato possibile trovare una collocazione precisa a numerosi altri dettagli, quali le misteriose impronte insanguinate, la boccetta di acido solforico, la forcina per capelli o l’etichetta di una cravatta. E che dire della sparizione degli abiti, degli oggetti del bagno e dell’arma del delitto?
L’unica cosa che sappiamo ormai per certo è che parecchie erano le persone che sapevano e che cercavano in tutti i modi, anche intrattenendo corrispondenze post-mortem con la madre, di nascondere la verità. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Tutti gli indizi mi porterebbero a teorizzare che l’omicidio sia stato compiuto da professionisti, gangster legati magari a una rete di incontri di boxe clandestini, se vogliamo considerare come indizio anche il grave ematoma all’orecchio notato su Ogletree già nei giorni precedenti.
Si spiegherebbe in questo modo anche il comportamento ansioso e preoccupato di Ogletree e, soprattutto, si spiegherebbe quella sua ostinata omertà, osservata fino all’ultimo istante di vita, per proteggere la madre da una sicura ritorsione. </div><div style="text-align: justify;">In tutto questo, è sorprendente il fatto che i detective non abbiano ritenuto opportuno riporre fiducia in una piccola, ma potenzialmente indicativa, intuizione di <b>Ruby Ogletree</b>, la quale era ragionevolmente convinta che la voce dell’uomo che le aveva telefonato fosse curiosamente somigliante a quella di <b>Joe Simpson</b>, il ragazzo che era partito da Birmingham tre anni prima con suo figlio. Ruby raccontò anche che, quando ebbe finalmente l’opportunità di incontrarlo, lo guardò dritto negli occhi e gli disse che avrebbe riconosciuto ovunque la voce che gli parlava da Memphis. A quelle parole Joe non rispose, ma arrossì e abbassò lo sguardo.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEirb38mMGo1UBojTRZRG0P03eid50IB3fQUsH-z82RRfIOblwVoMBX3szKf6P3RBQhYVT3UDc5fCEPqHPWZLOc7kEnFpv5F4KncFxTlKwGhKG9SOVIyu_FcSlnd0pByEbWbAySDx2QpJpG1yPYpWBm8WWW7-CLCgB-dcRXkWFVUu3lmgNDcy9a3Och2apll/s600/whathappenedonjustice.JPG" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="376" data-original-width="600" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEirb38mMGo1UBojTRZRG0P03eid50IB3fQUsH-z82RRfIOblwVoMBX3szKf6P3RBQhYVT3UDc5fCEPqHPWZLOc7kEnFpv5F4KncFxTlKwGhKG9SOVIyu_FcSlnd0pByEbWbAySDx2QpJpG1yPYpWBm8WWW7-CLCgB-dcRXkWFVUu3lmgNDcy9a3Och2apll/s16000/whathappenedonjustice.JPG" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><i><span style="color: #fcff01;">Una pagina del periodico "The Atlanta Constitution", 12 maggio 1940</span></i></td></tr></tbody></table><br /><div style="text-align: justify;"><span style="color: #ffa400;">Fonti:</span></div><div style="text-align: justify;"><div><div><span style="color: #ffa400; font-size: x-small;">https://pendergastkc.org/</span></div><div><span style="color: #ffa400; font-size: x-small;">https://kansascitymag.com/news/longform/the-owen-case/</span></div><div><span style="color: #ffa400; font-size: x-small;">https://www.historicmysteries.com/roland-t-owen-murder-room-1046/</span></div><div><span style="color: #ffa400; font-size: x-small;">https://factschology.com/mmm-podcast-articles/artemus-ogletree-roland-t-owen</span></div><div><span style="color: #ffa400; font-size: x-small;">https://en.wikipedia.org/wiki/Murder_of_Artemus_Ogletree</span></div><div><span style="color: #ffa400; font-size: x-small;">https://trove.nla.gov.au/newspaper/article/167645421</span></div><div><span style="color: #ffa400; font-size: x-small;">https://trove.nla.gov.au/newspaper/article/133934437/14769999</span></div><div><span style="color: #ffa400; font-size: x-small;">https://kchistory.org/blog/mystery-room-1046-pt-1-roland-t-owen</span></div><div><span style="color: #ffa400; font-size: x-small;">https://kchistory.org/blog/mystery-room-1046-pt-2-love-forever-louise</span></div><div><span style="color: #ffa400; font-size: x-small;">https://trove.nla.gov.au/newspaper/article/133934437/14770365</span></div><div><span style="color: #ffa400; font-size: x-small;">https://www.newspapers.com/article/28166426/daily_news/</span></div><div><span style="color: #ffa400; font-size: x-small;">https://www.newspapers.com/article/the-atlanta-constitution-roland-t-owen/57708767/</span></div></div></div>Obsidian Mhttp://www.blogger.com/profile/00077330887101732002noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-7447467916007164549.post-65883169957475548612023-12-11T12:00:00.005+01:002023-12-11T12:00:00.128+01:00Il mistero della stanza 1046 (Pt.3)<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhsfBYBSgJyqxIr5-GELtvp2hDl9jGu1LE270o0zE51-AC9_LIdkiZIwFRMQYng3yeRJUtgBy6MzBZqjHxGB_rfpZJHJpQQOklGVW0Xghws4TpMKmQ_JXAfjVZ8wNcJzYsGPvceBv0-FDTIty-9WIOz83DNHLqNQRNkXaiHA20hPP7bDzDDPfQ3Kmi21k8E/s524/owen%20items.JPG" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="524" data-original-width="400" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhsfBYBSgJyqxIr5-GELtvp2hDl9jGu1LE270o0zE51-AC9_LIdkiZIwFRMQYng3yeRJUtgBy6MzBZqjHxGB_rfpZJHJpQQOklGVW0Xghws4TpMKmQ_JXAfjVZ8wNcJzYsGPvceBv0-FDTIty-9WIOz83DNHLqNQRNkXaiHA20hPP7bDzDDPfQ3Kmi21k8E/w305-h400/owen%20items.JPG" width="305" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><i><span style="color: #fcff01;">Sopra: la scheda di registrazione di Owen al<br />President. - Sotto: alcuni curiosi oggetti<br />ritrovati nella stanza 1046</span></i></td></tr></tbody></table><div style="text-align: center;">LA PRIMA PARTE SI TROVA <a href="https://insidetheobsidianmirror.blogspot.com/2023/11/il-mistero-della-stanza-1046-pt1.htmll" target="_blank">QUI</a></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Questa è la storia dell'omicidio di <b>Roland T. Owen</b>, avvenuto nella stanza 1046 del <b>President Hotel</b> di Kansas City, Missouri, in una fredda mattina di gennaio del 1935.
<b>Roland T. Owen</b> viene ritrovato gravemente ferito, ricoperto di sangue ma lucido. Quando il dottor Flanders del Kansas City General Hospital arriva, lo trova legato mani e piedi, con degli strani segni attorno al collo (*), chiaro indizio di un tentativo di strangolamento andato a vuoto, numerose ferite da arma da taglio al petto e una vasta ferita alla testa. Il dottor Flanders, accingendosi a liberare i polsi di Owen, gli chiede “<i>Chi ti ha fatto questo?</i>”. “<i>Nessuno</i>”, risponde Owen. Alla domanda, poi, sui motivi di tutto quel casino, Owen risponde di essersi ferito accidentalmente, cadendo in bagno e sbattendo la testa contro la vasca. L’uomo perde quindi conoscenza e viene trasferito in ospedale, dove muore poco dopo la mezzanotte del 5 gennaio.
Perché <b>Roland T. Owen</b>, nei suoi ultimi istanti di lucidità, decide di negare l’evidenza, attribuendo tutto quel casino a uno sciocco incidente domestico? Chi, o cosa, cercava di proteggere? Di chi, o di cosa, aveva paura? <span><a name='more'></a></span></div><div style="text-align: justify;">Partono immediatamente le indagini. Senza indugio gli agenti di polizia passano la camera al setaccio alla ricerca di indizi. Viene ritrovata l'etichetta di una cravatta (**), una forcina per capelli (***), una spilla da balia, una sigaretta non fumata e una bottiglietta di acido solforico diluito. Vengono inoltre rinvenuti due bicchieri di vetro, di cui uno in frantumi nel lavandino, mentre l’altro, in camera, sul quale vengono rilevate quattro impronte insanguinate (****), le cui dimensioni sembrano appartenere a una donna, o comunque a una persona minuta. </div><div style="text-align: justify;">Ma la cosa che più spiazza gli agenti non è ciò che trovano, bensì ciò che non trovano. Non c’è alcun capo di abbigliamento in tutta la stanza (la vittima, lo ricordo, era stata trovata completamente nuda). Non c’è il soprabito, non ci sono le scarpe, niente pantaloni, niente camicia, niente di niente. Inoltre, sono completamente assenti tutte le dotazioni standard di una camera d’albergo: niente asciugamani, niente saponette, niente boccettine di shampoo, niente di niente (*****). Dell’arma (o armi) del delitto neanche a parlarne.
Chi ha rimosso tutti quegli oggetti? Perché? Cosa avrebbero potuto rivelare se fossero stati trovati? E quando erano stati rimossi? Prima o dopo l’aggressione? Sono tutti quesiti senza risposta. </div><div style="text-align: justify;">Nel frattempo, dall’ospedale giungono i risultati dell’esame autoptico: la causa della morte, ma a questo ho già accennato, è da attribuire alle tre gravi ferite alla testa e al perforamento di uno dei polmoni con un’arma da taglio. In base all’analisi delle tracce ematiche, viene stimato che le prime ferite risalgono a un orario compreso tra 5 e le 6 di mattina di quel venerdì.
Quest’ultimo è un particolare piuttosto interessante, perché suggerisce che <b>Randolph Propst</b>, alle 7 di mattina, aveva comunicato, attraverso la porta chiusa, con qualcuno che con tutta probabilità non era Owen! </div><div style="text-align: justify;">Non resta a questo punto che cercare di ricostruire gli avvenimenti occorsi tra il tardo pomeriggio del giovedì e la mattina del delitto e, nello specifico, i movimenti del personale e degli altri ospiti della struttura, con particolare attenzione al decimo piano. Riportiamo qui di seguito i risultati della ricerca. </div><div style="text-align: justify;">Attorno alle ore 18 di giovedì 3 gennaio, una donna di nome <b>Jean Owen</b> (nessuna parentela con la vittima), proveniente dalla periferia sudest di Kansas City, dopo aver fatto shopping in centro per alcune ore, accusa un malessere e decide di non rientrare a casa quella notte. Si presenta alla reception del President e chiede una stanza. Le viene assegnata <b>la 1048</b>, esattamente adiacente a quella in cui alloggia <b>Roland T. Owen</b>. Alle 21:20 la donna riceve in camera il fidanzato e si intrattiene con lui per circa due ore. Più tardi, quella stessa notte, la Owen viene svegliata da rumori provenienti forse proprio dalla 1046: voci maschili e femminili stanno litigando tra loro, o quantomeno discutendo ad alta voce utilizzando un vocabolario, a suo dire, particolarmente volgare. Il frastuono sarebbe durato, a suo dire, tutta la notte. </div><div style="text-align: justify;">Ora, poiché pare ci fosse una festa in un'altra stanza, <b>la 1055</b>, i rumori sarebbero anche potuti arrivare da lì, ma questo fatto non fu mai confermato. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgBsXOVMBIThQEzN0MZUZ2gwxz2Wz2kfK8dENgskhTfQl5kipZnY43cLnAJq0XhA9WhsQoWt2qvbIkoR6NwV4qL-SaekV-JMwdWgkHrc33D3ofNVWW_O4qQzaALEmXYXLSp0MWhx0loXEJwdOLW9EBRJ4dvlOrg5HIxu0IZ-pW0jmLyXxg8BxGHni2K-jZ7/s600/room.jpeg" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="458" data-original-width="600" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgBsXOVMBIThQEzN0MZUZ2gwxz2Wz2kfK8dENgskhTfQl5kipZnY43cLnAJq0XhA9WhsQoWt2qvbIkoR6NwV4qL-SaekV-JMwdWgkHrc33D3ofNVWW_O4qQzaALEmXYXLSp0MWhx0loXEJwdOLW9EBRJ4dvlOrg5HIxu0IZ-pW0jmLyXxg8BxGHni2K-jZ7/s16000/room.jpeg" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><i><span style="color: #fcff01;">Una camera del President Hotel negli anni del caso Owen. Alcune fonti sostengono che quella<br />raffigurata sia la 1048 e che quella sullo sfondo, oltre la porta comunicante, sia la fatidica 1046.<br />Tale versione purtroppo fa a pugni con la planimetria riportata nella prima parte di questa serie di post.</span></i></td></tr></tbody></table><i>Jean </i>Owen</b> non è l'unica persona a notare un'insolita attività notturna al decimo piano del President: il ragazzo dell'ascensore, <b>Charles Blocher</b>, che aveva iniziato il suo turno a mezzanotte, ha riferito in seguito un gran movimento di gente nel corso della notte.
Blocher ricorda, in particolare, una donna che già in altre occasioni aveva visto in albergo far visita a uomini soli. La donna, chiaramente una prostituta, viene descritta come alta circa 170 cm e piuttosto magra, capelli scuri e abbigliamento curato (un "<i>cappotto di foca nera o una sua imitazione</i>"). </div><div style="text-align: justify;">La misteriosa dama fa il suo ingresso al President poco dopo la mezzanotte e chiede al ragazzo dell’ascensore di accompagnarla al decimo piano. Sta cercando <b>la camera 1026</b>. Blocher l’accompagna e torna nell’atrio.
Dopo solo pochi minuti, Blocher riceve una chiamata dal decimo. Quando l’ascensore giunge al piano, la stessa misteriosa donna gli si rivolge preoccupata, perché l’uomo che le ha dato appuntamento <b>alla 1046</b> (!) non risponde al suo bussare.
Blocher si scusa per non poterla aiutare e probabilmente (ma non è certo) le fa notare l’incongruenza del numero di camera. Dopodiché ritorna nuovamente nell’atrio, mentre la donna si intrattiene al decimo per un ulteriore tentativo. </div><div style="text-align: justify;">Solo dopo un’ora abbondante l’ascensore viene chiamato di nuovo al decimo. La donna scende con Blocher e si allontana dall’albergo.
Trascorre ancora circa un’ora (sono da poco passate le due del mattino) e la stessa donna si ripresenta in compagnia di un uomo, chiedendo di essere accompagnata con lui al nono piano. Blocher esegue senza farsi troppe domande, talmente evidente è ormai la professione della visitatrice.
Verso le 4 del mattino la donna lascia l'albergo senza una parola, seguita circa un quarto d'ora dopo dall'uomo. Quest’ultimo si rivolge brevemente a Blocher, giustificando quella sua uscita notturna con il fatto che non riusciva a dormire e aveva bisogno di prendere una boccata d’aria. La coppia non è mai stata identificata. </div><div style="text-align: justify;">Pur non essendo affatto certo che avessero a che fare con il delitto, la loro presenza ai piani alti del President per un arco di tempo così ampio (nonché quel piccolo pasticcio sul numero di camera) lascia la porta spalancata a numerosi sospetti. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjEIdehrYwVS1Dc5RgQBD9hi8-iqz8JEySou5VGMJsxjYd-H8jYSK4J6ua_k58EP3LjTcykbm46XxHivd54wqflrAGU4aj_-JsUd5-I3xdLysYbSqPsai5hN9KE4UpkMf3MVuLpfX6vC3puF4IEPAQ_k6mq7BHsmyRIO8HM4lJ_uBbZx4ElY89JLEdtwHZL/s600/whos.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="402" data-original-width="600" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjEIdehrYwVS1Dc5RgQBD9hi8-iqz8JEySou5VGMJsxjYd-H8jYSK4J6ua_k58EP3LjTcykbm46XxHivd54wqflrAGU4aj_-JsUd5-I3xdLysYbSqPsai5hN9KE4UpkMf3MVuLpfX6vC3puF4IEPAQ_k6mq7BHsmyRIO8HM4lJ_uBbZx4ElY89JLEdtwHZL/s16000/whos.jpg" /></a></div>Quando la mattina del 5 gennaio la notizia del delitto al President Hotel uscirà su tutti i giornali, saranno ovviamente numerosissimi i mitomani che chiameranno il dipartimento affermando di essere a conoscenza di particolari utili a far luce sul caso. Alcuni asseriscono con certezza di aver visto la vittima in compagnia di due donne in un bar sull’adiacente dodicesima strada, altri sostengono di averci addirittura parlato. </div><div style="text-align: justify;">La testimonianza più originale, e forse proprio per questo motivo quella che merita più attenzione, è però quella di un tizio di nome <b>Robert Lane</b>. Quest’ultimo afferma che la sera del 3 gennaio, attorno alle 23, sta transitando in auto a pochi isolati dal President quando un individuo vestito, nonostante il freddo intenso, solo di boxer e canottiera lo ferma, scambiandolo per un tassista. Lane, viste le sue condizioni, decide di aiutarlo e lo fa salire in auto per accompagnarlo al parcheggio dei taxi più vicino, sulla dodicesima.
Nel corso del breve tragitto Lane, attraverso lo specchietto retrovisore, nota una profonda ferita sul braccio dell’uomo, ferita che corrisponderebbe a una identica che sarà poi rilevata sul cadavere di Owen. “<i>Sembra che tu non te la stia passando bene</i>”, dice Lane. “<i>Domani qualcuno morirà per questo</i>”, risponde lo sconosciuto, prima di rifugiarsi nel silenzio. </div><div style="text-align: justify;">Esistono numerose altre fonti secondo le quali l’episodio appena descritto risalirebbe alla sera precedente, quella del 2 gennaio, e non alle ore immediatamente precedenti l’omicidio. A supporto di queste versioni alternative ci sarebbero le testimonianze del personale dell’albergo, che giurerebbero che il loro ospite, la fatidica notte, non avrebbe mai lasciato la sua stanza. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiMqflPV5idBiTMhdm-PLZURG3uOUDNL-vIM3Qmh6_142EYEBUIhQXwv8AUWtXlkd5fDawom_Z524l1wlUovOSni8c9DnbmpT0EcWlKG5cGUU_h9p2XxiON2Qi1GO6KtwMF5sSI7lFdPKL26oBN5em8z0yvjGzrsbRpOuwf09v1NhtQxxjfJwcpKd4mGbnZ/s600/kc1930.JPG" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="384" data-original-width="600" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiMqflPV5idBiTMhdm-PLZURG3uOUDNL-vIM3Qmh6_142EYEBUIhQXwv8AUWtXlkd5fDawom_Z524l1wlUovOSni8c9DnbmpT0EcWlKG5cGUU_h9p2XxiON2Qi1GO6KtwMF5sSI7lFdPKL26oBN5em8z0yvjGzrsbRpOuwf09v1NhtQxxjfJwcpKd4mGbnZ/s16000/kc1930.JPG" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><i><span style="color: #fcff01;">Kansas City, Missouri, 1930 ca.</span></i></td></tr></tbody></table>Questo è più o meno tutto quello che il dipartimento di polizia riuscì a raccogliere nelle ore successive al delitto. Non molto, come certamente concorderete. Non sappiamo ancora nulla di Owen, almeno per il momento, né tantomeno sappiamo qualcosa di quel misterioso Don, l’unico contatto certo che Owen ebbe a Kansas City nei giorni immediatamente precedenti la sua morte.
Le uniche cose di cui abbiamo preso nota finora sono una serie di movimenti, nemmeno troppo bizzarri se ci pensate bene, avvenuti nottetempo nei corridoi del President. Non abbiamo nemmeno alcun riscontro su quell’ipotetica festa che si sarebbe tenuta la notte del delitto all’interno della <b>camera 1055</b> e, ahimè, mentre io stesso cercavo informazioni non sono stato in grado nemmeno di trovare alcuna planimetria dell'hotel che mi permettesse di capire quanto distante fosse la 1055 dalla 1046, giusto per verificare se Jean Owen, ospite della 1048, potesse essersi sbagliata. Tutto ciò che sappiamo è che aveva un affaccio sul cortile interno, e quindi possiamo immaginare, gettando uno sguardo a <a href="https://www.google.com/maps/@39.0975397,-94.5837496,3a,75y,267.92h,126.97t/data=!3m6!1e1!3m4!1sR33OGMbbWW6c8qWiSi8LMQ!2e0!7i13312!8i6656?hl=it&entry=ttu" target="_blank">Google Maps</a>, che si trovasse da qualche parte lungo il perimetro orientale dell’edificio. </div><div style="text-align: justify;">A proposito di Google Maps, sono piuttosto sconfortato dal non essere riuscito a ricostruire il tragitto che <b>Robert Lane</b> fece quella sera con a bordo il nostro uomo. Secondo la mai abbastanza precisa wikipedia, Lane avrebbe raccolto l’uomo sulla 13th St. vicino a Lydia Av. e lo avrebbe lasciato al parcheggio di taxi all’incrocio tra la 12th St. e Troost Av. </div><div style="text-align: justify;">Il punto di partenza è però inesistente: Lydia Avenue si trova circa 15 chilometri a sud della dodicesima e oggi di sicuro le due strade non si intersecano da nessuna parte (magari era vero in passato, ma ho fatto due rapide ricerche e non ho trovato tracce di variazioni nell'odonomastica); viceversa, esiste davvero un incrocio tra la tredicesima e la Troost Avenue, ma il <a href="https://www.google.com/maps/@39.0995463,-94.5698602,3a,75y,263.3h,87.66t/data=!3m7!1e1!3m5!1sS-JvwqB-bVGPV5GchJJYRw!2e0!6shttps:%2F%2Fstreetviewpixels-pa.googleapis.com%2Fv1%2Fthumbnail%3Fpanoid%3DS-JvwqB-bVGPV5GchJJYRw%26cb_client%3Dmaps_sv.tactile.gps%26w%3D203%26h%3D100%26yaw%3D50.884193%26pitch%3D0%26thumbfov%3D100!7i16384!8i8192?hl=it&entry=ttu" target="_blank">punto in cui si intersecano</a> è piuttosto periferico (oltre lo svincolo della Route 70) e non mi pare affatto che sia un punto in cui un tassista ambirebbe sostare. Tuttavia sul favoloso sito "<a href="https://pendergastkc.org/" target="_blank">The Pendergast Years</a>" una foto d'epoca che ritrae lo stesso incrocio cambia nettamente le carte in tavola e lo presenta molto più interessante di quanto non sia oggi.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Se le circostanze che circondano l'omicidio in sé possono, a un poliziotto esperto, sembrare abbastanza ordinarie, quello che accade in seguito certamente non lo è. Ma torniamo al punto in cui ci eravamo interrotti: una delle prime cose che un buon investigatore fa in casi come questo, una volta interrogati tutti i testimoni, è quella di scavare nel passato della vittima. Nella fattispecie, il detective <b>Otto Higgins</b>, del dipartimento di polizia di Kansas City, ha un unico punto di partenza: l’indirizzo di Los Angeles indicato da Owen al momento del check-in. </div><div style="text-align: justify;">E qui le indagini già subiscono un brusco stop, perché non si tarda a realizzare che un uomo di nome <b>Roland T. Owen</b> non esiste, e non è mai esistito, né nella città degli angeli né in tutta la California. </div><div style="text-align: right;"><a href="https://insidetheobsidianmirror.blogspot.com/2023/12/il-mistero-della-stanza-1046-pt4.html" target="_blank">CONTINUA</a></div><div style="text-align: right;"><br /></div><div style="text-align: left;"><span style="color: #ffa400; font-size: x-small;">(*) Altre fonti riferiscono che i segni attorno al collo sarebbero stati causati da una corda da bucato, la stessa con cui Owen fu legato mani e piedi; ulteriori fonti darebbero invece per certo che i segni attorno sarebbero stati provocati dal cavo del telefono.</span></div><div style="text-align: left;"><span style="color: #ffa400; font-size: x-small;">(**) Una cravatta certamente non appartenente alla vittima. L'etichetta indica che la cravatta era stata realizzata da un'azienda del New Jersey.</span></div><div style="text-align: left;"><span style="color: #ffa400; font-size: x-small;">(***) Cherchez la femme!</span></div><div style="text-align: left;"><span style="color: #ffa400; font-size: x-small;">(****) Le impronte furono trovate su un paralume; altre ancora riferiscono che furono trovate sulla cornetta del telefono.</span></div><div style="text-align: left;"><span style="color: #ffa400; font-size: x-small;">(*****) Gli asciugamani, noi già sappiamo, che erano a lavare, ma secondo altre fonti gli asciugamani sarebbero stati usati per ripulire il sangue dalla stanza (e poi buttati a lavare) dopo che gli agenti se ne erano andati.</span></div><div style="text-align: left;"><span style="color: #ffa400; font-size: x-small;"><br /></span></div><div style="text-align: left;"><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiAxsQUVli0gTNZPCCxo6o2rA5VYPrQY3BHzG12BlJukFkOrZHFtgcnpW1LdppvUC7UXJ26ule5sqpq2gud3_1lwZZzDmrOp-16FjmkJZwCJ7IuMJ3HEHeaP0u_sc3X5DXOtBa35eXiWSEqLHHnmHK8wQLggnuP7btmkQzaMQkXYUB4WWk5mL19JmRbRo6b/s600/journal.JPG" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="366" data-original-width="600" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiAxsQUVli0gTNZPCCxo6o2rA5VYPrQY3BHzG12BlJukFkOrZHFtgcnpW1LdppvUC7UXJ26ule5sqpq2gud3_1lwZZzDmrOp-16FjmkJZwCJ7IuMJ3HEHeaP0u_sc3X5DXOtBa35eXiWSEqLHHnmHK8wQLggnuP7btmkQzaMQkXYUB4WWk5mL19JmRbRo6b/s16000/journal.JPG" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><i><span style="color: #fcff01;">Una pagina del periodico "The World's News", 6 marzo 1943</span></i></td></tr></tbody></table><br /><span style="color: #ffa400; font-size: x-small;"><br /></span></div>Obsidian Mhttp://www.blogger.com/profile/00077330887101732002noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-7447467916007164549.post-88803139871578634382023-12-04T16:00:00.003+01:002023-12-08T21:36:27.200+01:00Il mistero della stanza 1046 (Pt.2)<div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgkrIp6HNTKjXccNttGBn-EnQv4tgUnmJAgyQ5chiIcngydgA-nddeu4U9b1GLltvn2ElJqNmACAF_zLBxZZn-jGOu-1Gfv_dzwoBAyP3OHUZMgGOpbPxQodLKeD3f9wRMM8Z95n14ldDKgoMqE91odlay2so4JUdQgcIqY4HlX9f-gaKNvqsrqlk0tUBY4/s639/president-post2.JPG" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="639" data-original-width="400" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgkrIp6HNTKjXccNttGBn-EnQv4tgUnmJAgyQ5chiIcngydgA-nddeu4U9b1GLltvn2ElJqNmACAF_zLBxZZn-jGOu-1Gfv_dzwoBAyP3OHUZMgGOpbPxQodLKeD3f9wRMM8Z95n14ldDKgoMqE91odlay2so4JUdQgcIqY4HlX9f-gaKNvqsrqlk0tUBY4/w250-h400/president-post2.JPG" width="250" /></a></div><div style="text-align: center;">LA PRIMA PARTE SI TROVA <a href="https://insidetheobsidianmirror.blogspot.com/2023/11/il-mistero-della-stanza-1046-pt1.html" target="_blank">QUI</a></div></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Baltimore Avenue, Kansas City, Missouri, Stati Uniti. 1935. È il primo pomeriggio di mercoledì 2 gennaio 1935. Un uomo con un soprabito scuro dall’aspetto molto giovane fa il suo ingresso al <b>President Hotel</b>. </div><div style="text-align: justify;">Non ha con sé alcun bagaglio. Si avvicina alla reception e chiede una stanza, possibilmente a un piano alto e con vista sul cortile interno. Dice di chiamarsi <b>Roland T. Owen</b>. Si registra con un indirizzo di Los Angeles, paga una notte in anticipo e si vede assegnata la stanza 1046, decimo piano, unica stanza libera con le caratteristiche desiderate. L’uomo, preciserà in seguito il personale dell’albergo, ha i capelli castani e folti, una cicatrice ben visibile sulla tempia e un grave <b>ematoma pericondrale</b>. Per inciso, tale patologia, comunemente detta “<i>orecchio a cavolfiore</i>”, è una deformità dell’orecchio generalmente causata da un evento traumatico ed è molto comune in chi pratica sport di contatto come la boxe. </div><div style="text-align: justify;">Concluse le operazioni di check-in, un fattorino di nome <b>Randolph Propst</b> lo accompagna al decimo piano, fino alla porta della sua stanza, la 1046. Durante il tragitto, Owen dice di aver trascorso la notte precedente al vicino <b>Muehlebach Hotel</b>, ma di averlo trovato troppo costoso. I due entrano in camera e il fattorino vede Owen estrarre dalle proprie tasche e riporre sul lavandino del bagno pochi oggetti essenziali, un dentifricio, uno spazzolino e un pettine. <span><a name='more'></a></span>Visto che la stanza non è ancora pronta, al termine di quella rapida operazione i due si allontanano assieme e il fattorino consegna a Owen la chiave della camera. Il primo torna quindi al suo lavoro, mentre il secondo esce dall’albergo e si allontana. </div><div style="text-align: justify;">Poco più tardi, quello stesso giorno, <b>Mary Soptic</b>, una delle cameriere dell’albergo, viene mandata alla 1046 per riassettare la camera. Quando entra, rimane quasi scioccata nel vedere il nuovo ospite presente, seduto su una sedia al buio. Mary si scusa, ma lui le chiede di non preoccuparsi e di procedere con le pulizie. Mary avrebbe detto in seguito che l’uomo sembrava spaventato, o seriamente preoccupato per qualcosa. Sentiva, in altre parole, che c'era qualcosa di strano. Dopo pochi istanti, Owen si alza, indossa rapidamente il soprabito e si accinge ad allontanarsi. Sulla porta dalla camera si volta e chiede a Mary la cortesia di lasciare la porta aperta, una volta terminato, perché da lì a poco arriverà un suo amico. Mary, rimasta sola, spalanca le tende, fa entrare la luce del giorno e inizia la sua attività. </div><div style="text-align: justify;">Verso le 16:00, Mary entra ancora una volta per portare gli asciugamani puliti. La porta è aperta, ma la stanza è nuovamente immersa nell’oscurità. L’ospite è ora sdraiato sul letto, vestito. Mary non dice nulla, lascia gli asciugamani e se ne va velocemente. In quei pochi istanti fa però in tempo a notare un biglietto in un angolo che recita le seguenti parole: “<i>Caro Don, torno tra 15 minuti, aspetta</i>". </div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgQLQnNdyXHA5cEOZvkYXwoB-vox04rSase6YkbCoNnIj8CJ5NuZElfX8NrKZt3UgHg3evtJRZqwIVCJ8CiSF81HJORWLM87O9F0qh16QkapRxO5uiwaKDCSJWtHFsZBcnzsWMRQBs8FicQTNylt1NBoAgXBFkHhq7SkKzfixKPzIFKTHU71uMlieLqHuUz/s600/door.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="373" data-original-width="600" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgQLQnNdyXHA5cEOZvkYXwoB-vox04rSase6YkbCoNnIj8CJ5NuZElfX8NrKZt3UgHg3evtJRZqwIVCJ8CiSF81HJORWLM87O9F0qh16QkapRxO5uiwaKDCSJWtHFsZBcnzsWMRQBs8FicQTNylt1NBoAgXBFkHhq7SkKzfixKPzIFKTHU71uMlieLqHuUz/s16000/door.jpg" /></a></div>Il mattino seguente, 3 gennaio, la donna ritorna verso le 10:30. Questa volta la porta della camera è chiaramente chiusa dall'esterno. Mary tira un sospiro di sollievo pensando che questa volta non dovrà incontrare quell’uomo bizzarro, ma aprendo la porta lo trova invece seduto sulla solita sedia, al buio. </div><div style="text-align: justify;">Squilla il telefono. Owen afferra la cornetta e dopo qualche istante Mary lo sente dire alla persona all’altro capo del telefono: "<i>No, Don, non voglio mangiare. Non ho fame. Ho appena fatto colazione. No, non ho fame</i>". Mary inizia le pulizie mentre l’ospite cerca di scambiare con lei qualche frase di circostanza (le chiede qualcosa del suo lavoro e si lamenta anche con lei dei prezzi dell’altro hotel). La donna, presa dall’ansia, termina alla svelta il suo lavoro e si dilegua. </div><div style="text-align: justify;">Quello stesso pomeriggio, ancora verso le 16:00, Mary deve però tornare per portare in camera gli asciugamani freschi di lavanderia. Coglie, attraverso la porta, le voci di due uomini parlare tra loro, per cui decide di bussare. Una delle due voci, con un tono piuttosto sostenuto, chiede “<i>Chi è?</i>”. Mary risponde: "<i>Sono io, Mary. Ho portato gli asciugamani puliti</i>". La stessa voce, indubbiamente non quella di Owen, dice: "<i>No, non ne abbiamo bisogno</i>". Mary si allontana perplessa. Sa benissimo che in quella stanza non ci sono asciugamani, poiché quelli del giorno precedente li ha portati via lei stessa quella mattina. </div><div style="text-align: justify;">Non ci sarà alcun altro contatto tra il personale dell’albergo e il misterioso ospite della 1046. Almeno, non ci sarà alcun contatto fino al mattino del 4 gennaio, quando <b>Randolph Propst</b> (sì, proprio lo stesso fattorino che lo aveva accompagnato in camera dopo le operazioni di check-in) lo troverà in fin di vita all’interno di una stanza inondata di sangue. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhkCmsHnOFZf0rXfAovQ9wwG5TG7FQdn2lrxNZi7atvu9F7-ctpiJ_JB5f4RBA33uXUHUoH-3v_Rm1e2XrUwnAF6OXhslHlQqYa03fQMJvvIi7RtVXt-xYSwqpok1wN5l8gNZ1GWY0w-da7d1JaWzDvtluKQQL7AhlBhM1V5Ygq-bssmM1q-IGSkdGWbAGY/s600/hotelmap.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="376" data-original-width="600" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhkCmsHnOFZf0rXfAovQ9wwG5TG7FQdn2lrxNZi7atvu9F7-ctpiJ_JB5f4RBA33uXUHUoH-3v_Rm1e2XrUwnAF6OXhslHlQqYa03fQMJvvIi7RtVXt-xYSwqpok1wN5l8gNZ1GWY0w-da7d1JaWzDvtluKQQL7AhlBhM1V5Ygq-bssmM1q-IGSkdGWbAGY/s16000/hotelmap.jpg" /></a></div>Appare subito chiaro come gli avvenimenti dei primi due giorni siano tutto sommato piuttosto insignificanti, e che sarebbero stati rapidamente dimenticati dai loro protagonisti se non fosse stato per le circostanze che abbiamo descritto nell’articolo precedente.
<b>Mary Soptic</b>, la donna incaricata delle pulizie, sostiene di essere rimasta turbata dal comportamento di <b>Roland T. Owen</b>, ma, se ci pensate, non vedo nulla di veramente strampalato in un uomo che decide di trascorrere le sue ore in una camera d’albergo al buio con le tende tirate. Sì, ammetto che è insolito, ma potrebbero benissimo esserci mille spiegazioni, tra cui un momento stanchezza, una depressione, una fobia sociale, un episodio di agorafobia e, non ultima, una ipersensibilità anomala alla luce causata da una patologia oculare (e no, escluderei sin da ora l’ipotesi del vampiro). </div><div style="text-align: justify;">Non vedo nemmeno nulla di strano nel presentarsi in albergo senza bagaglio, se l’idea è quella di fermarsi una sola notte. Io stesso, nei miei viaggi di lavoro più brevi, tendo a viaggiare leggero, portando con me lo stretto necessario, ovvero dentifricio, spazzolino e deodorante. Di solito tendo anche a mettere nello zainetto perlomeno una mutanda pulita, un paio di calzini di ricambio e una maglietta non sudata, ma capisco, anche se non condivido, la scelta di chi non lo fa. </div><div style="text-align: justify;">Oggi viaggiare senza un minimo di bagaglio sembra una scelta ancora più estrema, visto che dobbiamo portarci dietro anche smartphone, smartwatch, tablet, laptop e qualche chilometro di cavo di ricarica, ma, a quanto pare, anche nel 1935 un uomo che viaggiava con un dentifricio nella tasca del soprabito doveva sembrare quantomeno bizzarro. </div><div style="text-align: justify;">Anche le parole che l’ospite avrebbe scambiato con quel fantomatico “Don” (“<i>torno tra 15 minuti</i>” e “<i>non vengo a mangiare</i>”) non mi pare abbiano nulla di straordinario. Stupisce piuttosto il fatto che una cameriera se le sia appuntate, talmente poco pregne di significato queste erano.
Resta quell’ultima scena, quella in cui una voce sconosciuta rifiuta l’assistenza di Mary. Ancora una volta, non vedo nulla di strano nel chiedere alla cameriera di un albergo di non disturbare, e potrebbe essere stata solo una svista quella di ritenere di essere a posto con gli asciugamani. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right; margin-left: 1em; text-align: right;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhIOS82nHLLeprJyrp_dRZoEmHMXiEjO6fH-3Hs2F0oO66GIjObUr35AhFZphM7rLFX7J8O2gUVmrqMb09DcL8XjKZCcUelMltq6y7QKgJ93npxWXyKJ8PSeqyAOVqvQMV34Z35gngUxQgyBFunpZf1b_i3UxK-LokwtZlxC6_Wjqv_XQVWxS_d7No327w4/s597/obitorio.JPG" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="597" data-original-width="400" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhIOS82nHLLeprJyrp_dRZoEmHMXiEjO6fH-3Hs2F0oO66GIjObUr35AhFZphM7rLFX7J8O2gUVmrqMb09DcL8XjKZCcUelMltq6y7QKgJ93npxWXyKJ8PSeqyAOVqvQMV34Z35gngUxQgyBFunpZf1b_i3UxK-LokwtZlxC6_Wjqv_XQVWxS_d7No327w4/w268-h400/obitorio.JPG" width="268" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><i><span style="color: #fcff01;">Una foto della vittima scattata sul<br />tavolo dell'obitorio</span></i></td></tr></tbody></table>Quello che invece è un pelino più strano è che Owen fosse in camera con uno sconosciuto. Solitamente, gli alberghi odierni tendono a scoraggiare i propri ospiti dal far salire gente in camera, anche se poi non è così difficile farlo, ma immagino che nel 1935 tale attività fosse ben più tollerata (lo proverebbe il fatto che a un certo punto Owen, andandosene, chiede a Mary di lasciare la porta aperta perché sarebbe arrivato qualcuno). </div><div style="text-align: justify;">Ancora più strano è quel particolare dove si dice che Owen è in camera, seduto al buio, con la porta chiusa dall’esterno. Qui sono molto perplesso, poiché non riesco a capire come sia possibile distinguere una porta chiusa dall’interno da una chiusa dall’esterno: a meno che non ci siano catenacci e catenelle, quando si ha in mano una chiave, la porta si apre uguale da qualunque parte ci si trovi, o sbaglio? O forse Mary riteneva fosse chiusa dall’esterno proprio per l’assenza di catenacci e catenelle? Mi sembra strano. </div><div style="text-align: justify;">Io sono uno di quelli che, viaggiando per alberghi, tendenzialmente non si barrica in camera: lascio che la porta si chiuda alle mie spalle e quando la sento scattare sono a posto. Forse è per quel motivo che tante volte ho visto cameriere fare irruzione nei momenti più indelicati, ma il mio vizio di lasciar chiudere la porta automaticamente e fregarmene non equivale a dire che qualcuno mi ha chiuso dentro contro la mia volontà.
Non credo occorra sottolineare il fatto che il sottoscritto non ha alcuna esperienza con le serrature vintage, ma se fosse vero che un passepartout nel 1935 era in grado di aprire una porta solo se chiusa a chiave dall’esterno (e ciò equivale a dire che la stanza è vuota), bisognerebbe allora rileggere sotto questa nuova luce gli avvenimenti della mattina del 4 gennaio. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Nel corso di quella tragica mattina, due diversi fattorini (rispettivamente alle 8:30 e alle 10:30) si erano recati alla 1046 e avevano aperto la porta con un passepartout, trovando, entrambe le volte, l’ospite all’interno. Significa che l’aggressore era già fuggito chiudendosi la porta alle spalle con un giro di chiave? E per quale motivo prendersi la briga di chiudere a chiave?
E di chi era quella voce che alle 7 di mattina aveva invitato il fattorino a entrare? Era la voce di Owen? In tal caso potrebbe reggere l’ipotesi che l’aggressione sia avvenuta tra le 7:00 e le 8:30. Ma allora come avrebbe fatto quel telefono, risistemato alle 8:30, a finire di nuovo a terra alle 10:30?
Tante domande e poche certezze. Solo qualche ipotesi non verificabile. </div><div style="text-align: justify;">Ma l’unico vero grande mistero, in questo momento, è un altro: perché <b>Roland T. Owen</b>, nei suoi ultimi istanti di lucidità, con un polmone perforato e il cranio fratturato in tre punti, decide di negare l’evidenza, attribuendo tutto quel casino a uno sciocco incidente domestico? Chi, o cosa, cercava di proteggere? Di chi, o di cosa, aveva paura? </div><div style="text-align: justify;">Dopo quelle poche parole, come detto, <b>Roland T. Owen</b> perde conoscenza e viene trasferito in ospedale, dove muore qualche ora più tardi. Partono immediatamente le indagini. Senza indugio gli agenti di polizia passano la camera al setaccio alla ricerca di indizi, e ciò che non verrà trovato sarà ancora più strano di ciò che verrà trovato... </div><div style="text-align: right;"><a href="https://insidetheobsidianmirror.blogspot.com/2023/12/il-mistero-della-stanza-1046-pt3.html" target="_blank">CONTINUA</a></div><div style="text-align: right;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh7OhWEfSdAnnTbve2urSEeIt4v7mrAxU8VuYepATouJcBIKqLF45ZNySW1f41dApmwmmX-SBOOHNk10d7AyuaTGYZgvsCkCQt1tI4KOOntP9sLuBKJpyrO21P8l5QmDiwvdOmhdcDknsWVhJDxRA8vZ9e88xIreIOzvbaacYBZUmvR2EA7vqi-kw1k4BB3/s600/owen-oggetti.JPG" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="400" data-original-width="600" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh7OhWEfSdAnnTbve2urSEeIt4v7mrAxU8VuYepATouJcBIKqLF45ZNySW1f41dApmwmmX-SBOOHNk10d7AyuaTGYZgvsCkCQt1tI4KOOntP9sLuBKJpyrO21P8l5QmDiwvdOmhdcDknsWVhJDxRA8vZ9e88xIreIOzvbaacYBZUmvR2EA7vqi-kw1k4BB3/s16000/owen-oggetti.JPG" /></a></div><br /><div style="text-align: right;"><br /></div>Obsidian Mhttp://www.blogger.com/profile/00077330887101732002noreply@blogger.com4tag:blogger.com,1999:blog-7447467916007164549.post-2498665945633269672023-11-27T19:44:00.002+01:002023-11-27T20:16:42.439+01:00Il mistero della stanza 1046 (Pt.1)<div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhoUiF7fSZOxBib4Goe9FCMdFjkCMcnMrqd9bjUF-RB_WloJVFDh2fo47d9LGuPzDrvzITgEToULJiwpG9o5QvIrOlu6BojR581xFIHWqPY55P8td_Q4-Rd7b7eBGkSkBDMa5sJfHUe8vOnM2P6pqkqpBZiMYPQsaRzbBo7Eja9rGe9lABfHbzmb_HgVThU/s602/hotel-president.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="602" data-original-width="400" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhoUiF7fSZOxBib4Goe9FCMdFjkCMcnMrqd9bjUF-RB_WloJVFDh2fo47d9LGuPzDrvzITgEToULJiwpG9o5QvIrOlu6BojR581xFIHWqPY55P8td_Q4-Rd7b7eBGkSkBDMa5sJfHUe8vOnM2P6pqkqpBZiMYPQsaRzbBo7Eja9rGe9lABfHbzmb_HgVThU/w266-h400/hotel-president.jpg" width="266" /></a></div>È un fatto singolare, ma forse non più di tanto, che un numero spropositato di omicidi, il più delle volte irrisolti, siano andati in scena tra le mura impersonali di una camera d’albergo. Credo di non essere completamente fuori strada se dico che è l’ambiente stesso dell’hotel, così freddo, anonimo, distaccato, a essere ispiratore dei crimini più efferati. Il suo essere uno spettatore imparziale, testimone silenzioso di piccoli frammenti di esistenza che durano lo spazio di una notte e poi finiscono, per lasciare il posto ad altri frammenti, diversi ma uguali nella sostanza, lo rende uno scenario perfetto per irrompere nelle vite delle persone e farle a brandelli, spesso anche in maniera non figurata. </div><div style="text-align: justify;">Basti pensare al famigerato <b>Cecil Hotel</b> di Los Angeles, che nell’arco di un secolo ha ospitato un paio di serial killer e ha assistito a oltre quindici fra omicidi, suicidi e strani incidenti che hanno finito per appassionare migliaia di detective da tastiera e ispirare serie tivù come “<i>American Horror Story</i>” e, più recentemente, la docu-serie Netflix “<i>Sulla scena del delitto</i>”, incentrata sul caso di <b>Elisa Lam</b>. <span><a name='more'></a></span></div><div style="text-align: justify;">Abbiamo <a href="http://insidetheobsidianmirror.blogspot.com/search/label/Elisa%20Lam" target="_blank">ampiamente parlato</a> di quest’ultimo caso (che, per inciso, non è nemmeno il più recente avvenuto tra le mura del Cecil) anni fa qui sul blog, così come abbiamo altrettanto <a href="http://insidetheobsidianmirror.blogspot.com/search/label/Kenneka%20Jenkins" target="_blank">ampiamente parlato</a> della strana, e per certi versi analoga, morte di <b>Kenneka Jenkins</b>, avvenuta tra le pareti del <b>Crowne Plaza O'Hare</b> di Chicago. I casi appena citati sono indiscutibilmente tra i più terrificanti e per certi versi attraenti di questo inizio di secolo, e, come sono sicuro di aver già detto in passato, sono stati i casi, assieme a quello di <a href="http://insidetheobsidianmirror.blogspot.com/search/label/Missy%20Bevers" target="_blank">Midlothian</a>, in cui il coinvolgimento emotivo del sottoscritto, mentre giravo tutte le carte e ne scrivevo per il blog, è stato assoluto. </div><div style="text-align: justify;">Oggi provo a gettarmi a pesce su un altro misterioso delitto ad ambientazione alberghiera. Siamo sempre negli Stati Uniti (ovviamente, mi verrebbe da aggiungere), ma ci allontaniamo decisamente dalla costa per tuffarci nelle atmosfere più rarefatte del Midwest, e più precisamente presso l’<b>Hotel President</b> di Kansas City, Missouri.
Ma c’è un’altra non trascurabile differenza tra questo caso e quelli di Chicago e Los Angeles narrati in precedenza: qui non abbiamo videocamere di sorveglianza installate e pertanto nulla che ci possa portare una testimonianza di prima mano di quanto è realmente accaduto. Non che sia servito a molto poter disporre di riprese video, nei casi Lam e Jenkins, ma sicuramente gran parte del loro essere “intriganti” deriva proprio da quel particolare. </div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgSW7Jr9f7YuK45n0lyMxaZPWJ7iNjzvjC_MPUz02O5ZdsuHVa4s4Fph2eonAxgX8rPSPoFefaoZL3K3ddT0fynJ1FE4GVSCvXRV4s0qi1SAHi-jpzycF8BILsLKcU-Yi6KBh8MBNERsYEk1JYknmXN9azCdj4avkBLRMxJMD9QCbogpVhZY0wBjdIc8GCt/s600/Kansas-City-Shootout.jpg" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="337" data-original-width="600" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgSW7Jr9f7YuK45n0lyMxaZPWJ7iNjzvjC_MPUz02O5ZdsuHVa4s4Fph2eonAxgX8rPSPoFefaoZL3K3ddT0fynJ1FE4GVSCvXRV4s0qi1SAHi-jpzycF8BILsLKcU-Yi6KBh8MBNERsYEk1JYknmXN9azCdj4avkBLRMxJMD9QCbogpVhZY0wBjdIc8GCt/s16000/Kansas-City-Shootout.jpg" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><i><span style="color: #fcff01;">Un'immagine del "Massacro di Kansas City" del 17/6/1933 nei pressi del deposito ferroviario di Union Station </span> </i><br /></td></tr></tbody></table><div style="text-align: justify;">A Kansas City non ci sono invece telecamere e il motivo è molto semplice: siamo negli anni Trenta del ventesimo secolo. La città, all’epoca, non era molto diversa dalla Kansas City odierna, per lo meno in termini demografici (già allora contava 400.000 abitanti), ma era sicuramente molto diversa la vita che conducevano i suoi cittadini. Kansas City, come d’altra parte tutta la contea di Jackson, era alla mercé di <b>Thomas Joseph Pendergast</b>, un imprenditore locale di estrazione democratica che utilizzava la sua influenza per garantirsi lauti guadagni attraverso ogni sorta di possibile attività illegale, dal gioco d’azzardo al commercio di alcolici. Erano gli anni successivi alla ratifica del XVIII emendamento, che stabiliva il divieto di fabbricazione, vendita e consumo di alcolici in tutto il paese. Il cosiddetto <b>proibizionismo</b>, nome con cui è meglio nota la modifica costituzionale voluta dal deputato <b>Andrew Volstead</b>, aveva visto la crescita di grandi imperi mafiosi per i quali l’atto, destinato a moralizzare la società americana, fu un'inaspettata occasione di guadagno. </div></div><div style="text-align: justify;">Mentre tra New York e Chicago il sistema era controllato da gangster di assoluta fama, sui quali anche il mezzo cinematografico si sarebbe in seguito spesso soffermato, nella “piccola” Kansas City <b>Thomas Pendergast </b>faceva il suo senza il fastidioso fardello dell’attenzione mediatica nazionale. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh6nSf_2R2hKGFCTJ_crX4FQIHfRGVh7cCMjxydBj4gD51jivGxGC5Mc9lHkJGkZ3sL3ycUrJeiJmnTDSc-gitF8RFTktDUoNS48OekfZ4tMTKO9NY3c1PNYfnlQICI-6iniF-fZhC_0dzxSKt5ySgPjbMgJvDwUXS5jB64MlVOPS8oo9mz9ARtBQrpGeP8/s500/pendergast.jpg" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="500" data-original-width="418" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh6nSf_2R2hKGFCTJ_crX4FQIHfRGVh7cCMjxydBj4gD51jivGxGC5Mc9lHkJGkZ3sL3ycUrJeiJmnTDSc-gitF8RFTktDUoNS48OekfZ4tMTKO9NY3c1PNYfnlQICI-6iniF-fZhC_0dzxSKt5ySgPjbMgJvDwUXS5jB64MlVOPS8oo9mz9ARtBQrpGeP8/w335-h400/pendergast.jpg" width="335" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><i><span style="color: #fcff01;">Harry S. Truman, a sinistra, con Thomas J.<br />Pendergast alla Convention Democratica del 1936</span></i></td></tr></tbody></table>Grazie a vari intrallazzi e alla corruzione dell’intero corpo di polizia, Pendergast riusciva a gestire i suoi affari alla completa luce del sole, a collocare, attraverso elezioni pilotate, molti dei suoi amici (tra cui <b>Harry Truman</b>, che dieci anni più tardi sarebbe diventato il 33° Presidente degli Stati Uniti) ai vertici delle istituzioni, e tramite questi a esercitare una forte influenza sul governo dello stato e, per estensione, dell’intero paese. In cambio di tali favori, le aziende di sua proprietà potevano ottenere importanti contratti governativi, da cui derivava nuova ricchezza e nuovo potere, in un circolo senza fine. </div><div style="text-align: justify;">In uno scenario del genere, risse e sparatorie fra le vie della città erano ovviamente all’ordine del giorno, ed è indiscutibilmente in questo contesto che andrebbero letti gli avvenimenti di cui andremo fra poco a parlare. Siamo però già nel gennaio del 1935 e l’era del proibizionismo si è conclusa tredici mesi prima con l’abrogazione del famigerato emendamento. </div><div style="text-align: justify;">Se da un lato migliaia di gangster videro andare in fumo, da un giorno all'altro, un business da milioni di dollari, dall’altro lato milioni di americani poterono finalmente acquistare alcolici liberalizzati e regolarmente tassati. Ma, è cosa nota, in provincia i cambiamenti ci mettono un po’ di più ad arrivare e all’inizio del ’35 Kansas City era ancora un paradiso di dissolutezza, un luogo dove i club rimanevano aperti fino all'alba e il vizio dilagava sovrano sotto l’occhio attento e imperturbabile del suo padrino. </div><div style="text-align: justify;">Kansas City era, in altre parole, il tipo di luogo che avrebbe attirato un ragazzo di vent’anni, un ragazzo che nel primo pomeriggio di mercoledì 2 gennaio 1935 si registra come <b>Roland T. Owen</b> alla reception dell’Hotel President, proprio nel cuore del <b>Power & Light District</b>, un quartiere che ancora oggi rappresenta il polo della movida cittadina. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEimP2vZ517TaLj0jGKWWvhye-Ij-816Los1HLMqiOHZ2altKwmhZs5fVcz-xbaH4-cOj90LR9r2VIqFe8nN_CIqy2UeWaHiFF1zzu54wRbrCdd0b1Zp_IrRc-S4UBsRIQaUs52kIoqEFK-2ReRX5d0iDSRmSreVT2Bi24AEXQtd78IO1ieYZM1KZBkCwhGR/s600/corridoio.JPG" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="335" data-original-width="600" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEimP2vZ517TaLj0jGKWWvhye-Ij-816Los1HLMqiOHZ2altKwmhZs5fVcz-xbaH4-cOj90LR9r2VIqFe8nN_CIqy2UeWaHiFF1zzu54wRbrCdd0b1Zp_IrRc-S4UBsRIQaUs52kIoqEFK-2ReRX5d0iDSRmSreVT2Bi24AEXQtd78IO1ieYZM1KZBkCwhGR/s16000/corridoio.JPG" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><i><span style="color: #fcff01;"><span style="text-align: justify;">...nel primo pomeriggio di mercoledì 2 gennaio 1935 un ragazzo si registra come </span><span style="text-align: justify;">Roland T. Owen...</span></span></i></td></tr></tbody></table>Ma facciamo un piccolo salto in avanti. Sono le 7 di mattina del 4 gennaio. <b>Della Ferguson</b>, la centralinista del President, si accinge a chiamare la stanza 1046, in quanto l’ospite la sera prima aveva richiesto la sveglia a tale ora. Vedendo il telefono della camera sganciato, la Ferguson incarica un fattorino di nome <b>Randolph Propst</b> di recarsi al decimo piano e bussare alla porta. Sulla porta della stanza un cartello "<i>Non disturbare</i>" è appeso alla maniglia. Il fattorino decide comunque di bussare e, qualche minuto più tardi, una voce dall'interno lo invita ad entrare; tuttavia, ciò non si rivela possibile, poiché la porta è chiusa a chiave. La stessa voce gli dice, dopo pochi istanti, di accendere le luci, evidentemente ignorando il fatto che il fattorino fosse ancora nel corridoio. Alla fine, Propst decide che l’ospite della 1046 sta smaltendo una sbronza e si allontana, non senza prima consigliargli, attraverso la porta, di riagganciare il telefono. </div><div style="text-align: justify;">Alle 8:30 il telefono è però ancora sganciato. Un altro fattorino, <b>Harold Pike</b>, viene mandato al decimo piano con un passepartout per verificare se l’ospite abbia, per caso, bisogno di aiuto.
La porta è sempre chiusa e il cartello "<i>Non disturbare</i>" è ancora al suo posto. Pike, dopo aver bussato inutilmente, seguendo le istruzioni ricevute apre la porta ed entra. La stanza è completamente al buio. La luce del corridoio illumina solo una piccola porzione della stanza, ma quanto basta affinché Pike possa notare un uomo sdraiato nudo sul letto e delle strane macchie scure sulle lenzuola. Invece di accendere la luce, Pike si avvicina al mobiletto del telefono e nota che quest’ultimo è caduto a terra. Lo risistema rapidamente al suo posto e altrettanto rapidamente si allontana chiudendosi la porta alle spalle, senza guardarsi in giro, senza farsi troppe domande e senza riferire alcuna stranezza in reception. </div><div style="text-align: justify;">Alle 10:30 il telefono è ancora sganciato. <b>Randolph Propst</b>, il primo dei due fattorini, viene inviato nuovamente alla 1046, questa volta con un passepartout. Tutto sembra identico a prima, ma questa volta Propst può entrare e, bontà sua, decide di accendere la luce e getta uno sguardo all’interno.
La scena è raccapricciante. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjOllufpOFb4P1U6gNIxIvyHTufl1FtjrFaR6TxuHnOJFaKaDBxAQLc_w3RfAHm285zo8pwvcfFDQnlMQF44FLVxA7az60sKUh03aFTmGzAUF0K8XCiS9LuDvuNXJXLw4n2ROIpu-TLgIvBNc5v-DS6A-DypG3rML3ZuW2AcJBkVD1oKa4H6isERrzNrh5L/s600/map%20room.JPG" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="374" data-original-width="600" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjOllufpOFb4P1U6gNIxIvyHTufl1FtjrFaR6TxuHnOJFaKaDBxAQLc_w3RfAHm285zo8pwvcfFDQnlMQF44FLVxA7az60sKUh03aFTmGzAUF0K8XCiS9LuDvuNXJXLw4n2ROIpu-TLgIvBNc5v-DS6A-DypG3rML3ZuW2AcJBkVD1oKa4H6isERrzNrh5L/s16000/map%20room.JPG" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><i><span style="color: #fcff01;">Una planimetria dell'epoca della camera 1046</span></i></td></tr></tbody></table>C'è sangue ovunque, sul letto, sul pavimento, sulle pareti, persino sul soffitto. Anche il bagno adiacente all’ingresso è completamente impregnato di liquido ematico. L’ospite della 1046 è proprio lì, a mezzo metro da Propst, a terra carponi, completamente nudo, vivo ma con un'orribile ferita alla testa. Il fattorino per un attimo rimane stordito da quella scena drammatica, poi arretra, si volta e si precipita giù per le scale alla ricerca di aiuto, non senza prima chiudersi prudentemente la porta alle spalle.
Pochi istanti dopo Propst è di nuovo di fronte alla porta della 1046, con il vicedirettore dell’albergo giunto in suo soccorso. La porta questa volta si apre con difficoltà poiché l’ospite, nel frattempo, è crollato a terra e sta ostruendo il passaggio. Riescono comunque a entrare e a soccorrere il malcapitato, che non solo è ancora vivo, ma addirittura cosciente. I due notano che l’uomo ha polsi e caviglie legati da una corda da bucato: lo aiutano a sedersi sul bordo della vasca da bagno, mentre il detective <b>Otto Higgins</b>, del dipartimento di polizia di Kansas City, e il dottor <b>Harold Flanders</b>, del Kansas City General Hospital, vengono allertati. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b>Roland T. Owen</b> è gravemente ferito, ricoperto di sangue ma lucido. Quando il dottor Flanders arriva, nota anche degli strani segni attorno al collo, chiaro indizio di un tentativo di strangolamento andato a vuoto. Sono evidenti anche numerose ferite da arma da taglio al petto, alcune solo pochi centimetri sopra il cuore. Una di queste ferite, si saprà più tardi, gli ha perforato un polmone. Le ferite più gravi restano comunque quelle alla testa, tre diverse fratture al cranio provocate evidentemente da un oggetto contundente. Il dottor Flanders, accingendosi a liberare i polsi di Owen, gli chiede “<i>Chi ti ha fatto questo?</i>”. “<i>Nessuno</i>”, risponde Owen con un filo di voce. Alla domanda, poi, sui motivi di tutto quel casino, Owen risponde di essersi ferito accidentalmente, cadendo in bagno e sbattendo la testa contro la vasca. Dopo quelle parole, l’uomo perde conoscenza. Morirà in ospedale poco dopo la mezzanotte del 5 gennaio. </div><div style="text-align: justify;">Questa è la storia dell'omicidio di <b>Roland T. Owen</b>, avvenuto nella stanza 1046 del <b>President Hotel</b> di Kansas City, Missouri, in una fredda mattina di gennaio del 1935. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgFvuHqgpsGl7XjRHelUMvuGdRtoSB3GAW5aWHIvf0CamISRAwhPJVlaTuc9jJceryMh6tonIs3Zl7ykG0Ss0YH38yTROVrTuzJIC45paFTxwEanIy6Qm5b2H2RMTAYoF4Cxj2I635wBkNuafnPfYvBCySF4d3cpFmnJd88BditbGIiS2pJXL2ej9Y8NHuE/s600/injuries.JPG" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="331" data-original-width="600" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgFvuHqgpsGl7XjRHelUMvuGdRtoSB3GAW5aWHIvf0CamISRAwhPJVlaTuc9jJceryMh6tonIs3Zl7ykG0Ss0YH38yTROVrTuzJIC45paFTxwEanIy6Qm5b2H2RMTAYoF4Cxj2I635wBkNuafnPfYvBCySF4d3cpFmnJd88BditbGIiS2pJXL2ej9Y8NHuE/s16000/injuries.JPG" /></a></div><br /><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: right;"><a href="https://insidetheobsidianmirror.blogspot.com/2023/12/il-mistero-della-stanza-1046-pt2.html" target="_blank">CONTINUA</a></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div>Obsidian Mhttp://www.blogger.com/profile/00077330887101732002noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-7447467916007164549.post-4747966173146097582023-11-20T07:30:00.412+01:002023-11-20T07:30:00.147+01:00Country Zombie Apocalypse<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjk3tgQWYH7Xf4mZGXQ6pfgjaTanFSrG9lu83brmC3xJO8MfNeSoNCmgSdvc-Y3ax_F0-zP8fqLtwlCwAlA60RehM6YGnX23U9pJy2w2tZnHSdtwwNfk7m2eF-f_5BLOxf8XOC1xogGff6jZfVkpLO_Ex2HgUdvIAi47_ZnTlkDSRgOsVRjSZ1ENsW5St0N/s500/cza1.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="500" data-original-width="357" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjk3tgQWYH7Xf4mZGXQ6pfgjaTanFSrG9lu83brmC3xJO8MfNeSoNCmgSdvc-Y3ax_F0-zP8fqLtwlCwAlA60RehM6YGnX23U9pJy2w2tZnHSdtwwNfk7m2eF-f_5BLOxf8XOC1xogGff6jZfVkpLO_Ex2HgUdvIAi47_ZnTlkDSRgOsVRjSZ1ENsW5St0N/w285-h400/cza1.jpg" width="285" /></a></div><div style="text-align: justify;">Morti viventi al cinema ne ho visti tanti. Ne abbiamo visti tanti. Il mio percorso è iniziato ormai un milione di anni fa quando, nella piccola sala cinematografica del mio paese, che raggiungevo da ragazzino solo attraversando la strada, passavano i rassegna decine di horror a tema zombesco, dai capolavori indiscussi e indiscutibili del genere (*), a ottime vie di mezzo (**), a tutta una serie di nefandezze fulciane che avrebbero contribuito ad affossare il genere, relegando gli zombi da geniali elementi di critica sociale, così come li aveva immaginati <b>Romero</b>, a dozzinali mostriciattoli indistinguibili dai tanti antagonisti bestiali del cinema di quei tempi. Si sarebbe dovuto attendere il 2004 per resuscitare il genere, grazie soprattutto agli innovativi zombi corridori di <b>Zack Snyder</b> (***), ma da lì in avanti, e spiace dirlo, non si è fatto altro che mettere in scena, con titoli diversi, sempre lo stesso film. Un'immutabilità di cliché che, seppur riesca ancora a portare qualche spiccio al botteghino, spesso solo grazie alla presenza di volti noti (****), ha intorpidito il genere più di quanto abbia fatto il buon vecchio <b>Fulci </b>con i suoi zombi di cartapesta.<span><a name='more'></a></span></div><div style="text-align: justify;">Ecco quindi che i cacciatori di novità hanno iniziato a rivolgere lo sguardo alle "<i>zombie comedies</i>", in grado, se non di portare una ventata d'aria fresca, perlomeno di tenere svegli gli spettatori. Tranne poche rare eccezioni (*****), la parte del leone in ambito "<i>zombie comedy</i>" oggi la stanno facendo gli orientali (******). Niente di sorprendente, visto che per la cultura orientale gli zombie sono esseri surreali e poco credibili (a differenza dei fantasmi, che sono invece presi molto sul serio). </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Ma perché vi sto parlando di questo? Lo vediamo tra un attimo. Lasciatemi prima spendere due parole sullo zombi in letteratura, anche perché qui il fenomeno è diametralmente opposto. Nel senso che non mi pare vi sia una solida tradizione nel genere. Se provo a sforzarmi, mi viene in mente giusto "<i>I am legend</i>" di <b>Matheson</b>, ma quelli erano indiscutibilmente vampiri, e non zombi come quel famoso film con <b>Will Smith</b> ha cercato di farci credere. Eh no, libri a tema zombi in senso stretto proprio non me ne vengono in mente, a parte qualche sciocco manuale di sopravvivenza o giusto quei pochi racconti (ancor più raramente romanzi) che hanno iniziato ad apparire qua e là negli ultimissimi anni; se penso a un libro come "<i>Orgoglio e pregiudizio e zombie</i>" di <b>Seth Grahame-Smith</b> (da cui l'omonimo film del 2016), che personalmente considero un piccolo gioiello dell'ucronia, devo però ammettere che si tratta di un caso più unico che raro. Perché tutto questo? Provo a pensarci e mi rispondo che evidentemente non è così facile e la colpa di ciò, in questo, non è tanto nell'inabilità degli Autori, quanto nel massiccio immaginario cinematografico che ha permesso agli zombi di nascere, crescere e diventare ciò che sono, senza concorrenza alcuna. Difficile scrivere una storia di zombi con la presunzione di guidare altrove le immagini che si formano nella mente del lettore: esse andranno sempre e sistematicamente a visualizzare scene di film visti in precedenza. È in pratica un monopolio mediatico senza eguali. </div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjP9W9jWXZuXiGQEolgCFbxWJMBgPRoND66xeHTUm35HQPxjYYoXHGyucSlRlDRpUIn79nZVIdTmEmTXEhLTTfg_jY6pj_DZazeqcZl4uKJ2b7fzf5i0LcQVO4qZ1jetd00ieW7dNoH0_14ZlgiKWz3y0ACy5C-4OthUag9tcMTF8PaLCO12VYUwEP09NBS/s600/dontopendeadinside.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="257" data-original-width="600" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjP9W9jWXZuXiGQEolgCFbxWJMBgPRoND66xeHTUm35HQPxjYYoXHGyucSlRlDRpUIn79nZVIdTmEmTXEhLTTfg_jY6pj_DZazeqcZl4uKJ2b7fzf5i0LcQVO4qZ1jetd00ieW7dNoH0_14ZlgiKWz3y0ACy5C-4OthUag9tcMTF8PaLCO12VYUwEP09NBS/s16000/dontopendeadinside.jpg" /></a></div>Chi prova oggi a sgretolarlo è <b>Filippo Santaniello</b>, autore e sceneggiatore romano che presenta, per i tipi di Delos Digital, una coppia di romanzi brevi (o racconti lunghi, se preferite) a tema "revenant" ambientati tra i verdi paesaggi dell'Umbria. E naturalmente si tratta di una zombie comedy (anzi, due), dove la rappresentazione dell'orrore scivola via un po' defilata perché tanto, ormai lo abbiamo capito, non è più necessario spenderci troppe parole.</div><div style="text-align: justify;"><div><i>Tra chiamate d’emergenza, cascine infestate di morti viventi e teste che saltano come tappi a Capodanno, le sanguinose avventure di Alessandro e suo nonno Igino alle prese con l’Apocalisse zombie più spassosa che sia mai stata raccontata. Quindicenne, patito di cinema e letteratura dell’orrore, Alessandro ha imparato tutto sui ritornanti da film e serie tv, e proprio da lì, quando se ne presenta l'occasione, non perde tempo e decide di formare la sua personale squadra anti zombie. Come braccio destro sceglie l’unico aiutante a disposizione: suo nonno Igino. Ottantenne col vizio dell’alcol. E al centralino piazza nonna Clotilde. È proprio lei, durante una giornata in cui la canicola grava come un cappotto sui colli umbri, a rispondere alla chiamata d’emergenza che segnerà per sempre il loro destino.</i></div><div><br /></div><div>In un'epoca in cui tutti, giustamente, prendiamo la vita dannatamente sul serio, è impossibile non apprezzare il bizzarro equipaggio di questa storia che, armato solo delle proprie stramberie, si erge in difesa di ciò che è rimasto di quel piccolo mondo adagiato sulle colline, un mondo distante, e non solo da un punto di vista geografico, dal resto della civiltà, una civiltà che non ci è nemmeno dato sapere se sia ancora tale (e comunque non è nemmeno importante). </div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi-46YidR5DEV-1Dyr3MEn80WCmyZByyuyAm1G1OfPx7veJzZs544_fsXJFrrIwFfar03UGSfzqDjyl_r7d4j1Inj7-dBhLyDRsNgcAsfomxFzuFt5mYigsqgN2BYnWMlg2eM_LayaPS5_9NdE77_uabgbYaniwNa40gMCnxvy9dKDGB_ZkeNxnBOO4tRBP/s510/cza2.jpg" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="510" data-original-width="364" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi-46YidR5DEV-1Dyr3MEn80WCmyZByyuyAm1G1OfPx7veJzZs544_fsXJFrrIwFfar03UGSfzqDjyl_r7d4j1Inj7-dBhLyDRsNgcAsfomxFzuFt5mYigsqgN2BYnWMlg2eM_LayaPS5_9NdE77_uabgbYaniwNa40gMCnxvy9dKDGB_ZkeNxnBOO4tRBP/w285-h400/cza2.jpg" width="285" /></a></div>Il primo dei due testi, pubblicato all'inizio dello scorso anno, descrive anche con chiarezza le cause che avevano dato inizio all'apocalisse-zombi, dettaglio quest'ultimo ormai definitivamente accantonato dal mezzo cinematografico: c'era stata un'emergenza sanitaria e la stragrande maggioranza della popolazione, terrorizzata, era corsa a farsi inoculare un siero salvifico. Quest'ultimo, accidentalmente, aveva rivelato possedere un orribile effetto collaterale: gli inoculati morirono così uno dopo l'altro per poi risorgere dalle loro tombe, affamati della carne e del sangue dei sopravvissuti. </div><div>In estrema sintesi, <b>Filippo Santaniello</b>, in una sessantina di pagine ricche di trovate esilaranti, caratterizzate da un'ironia e un cinismo insieme rozzi e sofisticati, è riuscito a realizzare un'opera dissacrante che affronta temi di attualità attraverso il filtro dell'ironia.</div><div>Giusto il mese scorso, infine, l'Autore esce a sorpresa con il sequel delle avventure della nostra banda di matti. Pur essendo anch'esso graffiante e provocatorio come il suo antesignano, il secondo capitolo aggiunge una buona dose di malinconia e di incertezza verso tutte le cose, con una scrittura che fa breccia senza sconti, riuscendo ad osare ciò che pochi autori horror, anche i più sanguinari, riescono a osare. Perché se c'è una regola non scritta da rispettare, almeno per noi che viviamo di pane e horror, è che al cinema (in questo caso in letteratura) i protagonisti possono morire tutti, buoni e cattivi, anche nei modi più cruenti, ma che nessuno tocchi il cane.</div><div>Entrambi i volumi sono acquistabili, in formato rigorosamente digitale, sulla solita <a href="https://www.amazon.it/gp/product/B0CLY8XF2G?ref_=dbs_p_pwh_rwt_anx_b_lnk&storeType=ebooks" target="_blank">Amazon</a> oppure sul <a href="https://www.delosstore.it/ebook/autori/8774/l-filippo-santaniello/" target="_blank">Delos Store</a>.</div></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b>Filippo L. Santaniello</b> è autore e sceneggiatore. Nato nel 1983, vive e lavora a Roma. Ha pubblicato storie per Nero Press, Delos Digital, Playboy, Cut-Up Publishing, Dunwich, ecc. Da sue sceneggiature sono nati cortometraggi di successo come <i>Sarcophaga</i> (8 milioni di visualizzazioni su YouTube) e lungometraggi thriller/horror distribuiti al cinema e home video come <i>The Slider</i>, con cui ha ottenuto una menzione d’onore ai California Film Awards, e <i>Fade out</i>, disponibile su Amazon Prime Video.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><i><span style="color: #ffa400; font-size: x-small;">(*) Mi riferisco ovviamente alla classica trilogia "of the dead" di <b><a href="https://insidetheobsidianmirror.blogspot.com/2017/09/george-of-dead.html" target="_blank">George A. Romero</a></b> </span></i></div><div style="text-align: justify;"><i><span style="color: #ffa400; font-size: x-small;">(**) Mi viene in mente l'ottimo "<a href="https://insidetheobsidianmirror.blogspot.com/2017/07/non-si-deve-profanare.html" target="_blank">Non si deve profanare il sonno dei morti</a>" (Italia/Spagna, 1974) di <b>Jorge Grau</b> (uscito nelle sale con il pessimo quanto ingannevole titolo di "Da dove Vieni? Zombi 3") </span></i></div><div style="text-align: justify;"><i><span style="color: #ffa400; font-size: x-small;">(***) L'alba dei morti viventi (Dawn of Dead, USA, 2004)</span></i></div><div style="text-align: justify;"><i><span style="color: #ffa400; font-size: x-small;">(****) Vedi il superfluo "World War Z" di <b>Marc Forster</b> (USA, 2013) con <b>Brad Pitt</b></span></i></div><div style="text-align: justify;"><i><span style="color: #ffa400; font-size: x-small;">(*****) Vedi il geniale "Cockneys vs Zombies", Regno Unito, 2012</span></i></div><div><i><span style="color: #ffa400; font-size: x-small;">(******) Giusto per fare qualche esempio, "Zombie Ass, toilet of the dead" (Giappone, 2011), "One Cut of the Dead" (Giappone, 2017), "Trip Ubusan" (2017, Filippine), sfacciata parodia del pluripremiato "Train to Busan" coreano (2016) o il recentissimo "Zombie 100 - Cento cose da fare prima di non-morire" (Giappone, 2023), credo ancora disponibile su Netflix</span></i></div>Obsidian Mhttp://www.blogger.com/profile/00077330887101732002noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7447467916007164549.post-68100953365032352482023-11-14T08:00:00.000+01:002023-11-14T08:00:00.135+01:00Traditi dalla fretta #38<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://4.bp.blogspot.com/-ZF1xxt-jq2M/WI5RaqyUa5I/AAAAAAAAKZU/Ar96gd1EoR08-ya5ujRAz0eYniDjoEmvgCPcB/s1600/TRADITIDALLAFRETTACOVER.PNG" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="400" src="https://4.bp.blogspot.com/-ZF1xxt-jq2M/WI5RaqyUa5I/AAAAAAAAKZU/Ar96gd1EoR08-ya5ujRAz0eYniDjoEmvgCPcB/s400/TRADITIDALLAFRETTACOVER.PNG" width="271" /></a></div>
<div style="text-align: justify;">Ridendo e scherzando siamo già a metà novembre e quello che va in scena oggi è l'ultimo appuntamento dell'anno con l'inossidabile rubrica "<i><a href="http://insidetheobsidianmirror.blogspot.com/search/label/Traditi%20dalla%20fretta" target="_blank">Traditi dalla fretta</a></i>", appuntamento bimestrale con tutto ciò che annoto sulla mia wish-list libraria, e non solo. Inossidabile direi anzi che è proprio la parola giusta, visto che in passato raramente, se non proprio mai, sono riuscito a portare avanti un'iniziativa in modo regolare come questa. Questo mese, nonostante la rubrica giunga con una settimana di ritardo a causa della lunga "coda" riservata ai corti di Halloween, è come al solito ricca di contenuti che spero e mi auguro possiate apprezzare. Da parte mia, la wish-list libraria si sta allungando a dismisura e temo possa peggiorare anche di molto. </div><div style="text-align: justify;">Qualche mese fa, infatti, mi sono fatto un bell'esame di coscienza e ho rallentato parecchio le mie spese, anche in virtù del fatto che anni di acquisti compulsivi mi hanno messo in una condizione disperata di sovraffollamento cartaceo (di quello digitale non mi preoccupo) e di diradamento monetario. Ho deciso quindi di dare priorità a quello che ho già in casa, in modo da sfoltire la mia lista delle cose da leggere, prima di scatenare di nuovo il dilapidatore che c'è in me. </div><div style="text-align: justify;">Nel frattempo continuo a prendere nota delle cose che mi sembrano più interessanti (tra cui quelle riportate qui sotto) nell'ottica di poterle recuperare più agevolmente quando il borsellino tornerà ad aprirsi. </div><div style="text-align: justify;">Tra l'altro, la mia recente decisione di aprire un profilo <a href="https://www.instagram.com/theobsidianmirrorblog/" target="_blank">Instagram</a> non mi sta aiutando a frenare le mie voglie librarie, e ciò potrebbe diventare un problema, avendo di fatto il social in questione moltiplicato le tentazioni. Come va piuttosto la nuova avventura con <a href="https://www.instagram.com/theobsidianmirrorblog/" target="_blank">Instagram</a>? Credo abbastanza bene. Non che avessi grandi aspirazioni: è un progetto ancora molto giovane, che un giorno forse troverà il suo spazio e la sua ragione di esistere, ma che per il momento sta solo cercando di orientarsi e sopravvivere nel marasma di una rete che sembra anni luce avanti. Faremo meglio i conti più avanti. Ora è il momento di "<i><a href="http://insidetheobsidianmirror.blogspot.com/search/label/Traditi%20dalla%20fretta" target="_blank">Traditi dalla fretta</a>".</i></div><div style="text-align: justify;"><span><a name='more'></a></span></div><div style="text-align: justify;"></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div></div><div style="text-align: justify;"><div style="text-align: center;"><div style="text-align: justify;"><div style="text-align: center;"><div style="text-align: justify;"><div style="text-align: center;"><div style="text-align: center;"><div style="text-align: left;"><div style="text-align: center;"><div><b style="color: orange;">Segnalazioni, divagazioni, varie ed eventuali </b><br /><span style="color: orange; font-size: x-large;"><b>FELIS INCUBI</b></span></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhSTqNkzMSQX9cNAEhClBmN1V8BwyaicMNEHRstuJnaVXR676oFVY6ZQizfWKz_ZUa4qWlBwdwp2RW-Z1WwWgrigkqYmdr2jXSLHsuuhLps9pIOZOH4DZhlkd3BjVfFP1wtKuSa3hi84d704VkDhrdieb2-ElwRvl_R8h8FIqbdRB5li0QqwoLaSknKyW4h/s540/FELISINCUBI.JPG" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="540" data-original-width="400" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhSTqNkzMSQX9cNAEhClBmN1V8BwyaicMNEHRstuJnaVXR676oFVY6ZQizfWKz_ZUa4qWlBwdwp2RW-Z1WwWgrigkqYmdr2jXSLHsuuhLps9pIOZOH4DZhlkd3BjVfFP1wtKuSa3hi84d704VkDhrdieb2-ElwRvl_R8h8FIqbdRB5li0QqwoLaSknKyW4h/w296-h400/FELISINCUBI.JPG" width="296" /></a></div><div>“Esiste un dominio silenzioso. Esistono forme di pericolo celate, che vanno oltre la memoria; più antiche del primo sogno; antiche come il primo incubo. Esiste una quiete illusoria, una schiera di angeli dipinta su un’orda di demoni che bramano uno spiraglio di tenebra; la furia negli occhi di una statua. Esistono maschere tanto seducenti quanto fatali, sguardi che ammaliano la notte, in grado di squarciare l’oscurità. Noi abitiamo il buio. La nostra quiete è un riflesso, supremo inganno del giorno. La nostra mano ha graffiato l’eterna pietra, il nostro grido ha echeggiato nelle notti di battaglia. Siamo i segreti dominatori dei popoli; il nostro calore ha allietato i sogni di Cleopatra, gli incubi del Gran Khan. La vostra storia non è che la nostra Ombra.”</div><div>A chi, scorrendo pagine social, non è capitato di imbattersi in un dolce gattino dagli occhi teneri? Ma siamo proprio certi che l’amabile bestiola non stia tramando qualcosa, che con l’approssimarsi delle tenebre non decida di rivelare la sua vera natura…? </div><div>La collana “<i>Ombre e Creature</i>” di ABEditore si allarga, dunque, per far spazio al più amato – perlomeno fino alla lettura del volume, sia ben inteso – fra i compagni di vita. Gatti e altre bestialità feline troveranno spazio tra pagine irte di maledizioni, intrise di malvagità e crudeltà, immortalati dalle penne educate di Marcel Prévost, Algernon Blackwood, Rémy De Gourmont, Mary E. Wilkins Freeman, Barry Pain, Edward Frederic Benson e molti altri, magistralmente introdotti dalla prefazione di Daniele Palmieri.</div><div>Lo trovate come sempre nelle librerie fisiche e digitali e sul <a href="https://www.abeditore.com/prodotto/felis-incubi/" target="_blank">sito dell'editore</a>.</div><div><br /></div></div><div style="text-align: justify;"><div style="text-align: center;"><span style="color: orange;"><b>Segnalazioni, divagazioni, varie ed eventuali </b></span></div><div style="text-align: center;"><b style="color: orange;"><span style="font-size: x-large;"> DORMONO SULLA COLLINA</span></b></div><div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div></div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgqCJEI0RhQooIqsKXylPZV4AGncsgBX6hSvjiPOFc2SyKh3K5YkJOORXqBoYCcDlNcM9RoThXZzy7iRGn0eCitQGhPslCwTrXB_2CVFYwqO9Jm0b2DXyXx_Ea6TFi-ULjFQIfHSQVjBe1lhrk4iAErqx6XVAUDqFtgodLY3grZFRudjs8yJxoJUV8CqYwi/s533/dormonosullacollina.jpg" style="clear: left; float: left; font-style: italic; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="533" data-original-width="400" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgqCJEI0RhQooIqsKXylPZV4AGncsgBX6hSvjiPOFc2SyKh3K5YkJOORXqBoYCcDlNcM9RoThXZzy7iRGn0eCitQGhPslCwTrXB_2CVFYwqO9Jm0b2DXyXx_Ea6TFi-ULjFQIfHSQVjBe1lhrk4iAErqx6XVAUDqFtgodLY3grZFRudjs8yJxoJUV8CqYwi/w300-h400/dormonosullacollina.jpg" width="300" /></a><div style="text-align: justify;">Da vecchio ammiratore del grande genovese che risponde al nome di <b>Fabrizio De Andrè</b>, la mia attenzione non poteva non posarsi su questa curiosa antologia pubblicata da quelle vecchie volpi di <b>Kindle Officina Libraria</b>.</div><div style="text-align: justify;">"<i>Dormono sulla collina</i>" è la rilettura in chiave fantastica dell’<i>antologia di Spoon River</i> di <b>Edgar Lee Masters</b> e dell’album "<i>Non al denaro non all’amore né al cielo</i>" di <b>Fabrizio De André </b>(che, come sappiamo, prelevò alcune poesie di Masters, le adattò <span style="text-align: center;">alle musiche e, in alcuni casi, le modificò o addirittura ampliò)</span>, che affida a nove racconti la voce di altrettanti defunti provenienti da un futuro lontano. Ascolterete i loro racconti, conoscerete i loro visi e le loro virtù e scoprirete, forse, come il rapporto tra la società contemporanea e i propri defunti potrebbe radicalmente cambiare.</div><div style="text-align: justify;">A cura di <b>Alessandro Napolitano</b> e <b>Fabio Aloisio</b>, "<i>Dormono sulla collina</i>" include racconti di Davide Del Popolo Riolo, Emiliano Maramonte, Maico Morellini, Lorenzo Davia, Alessandro Napolitano, Fabio Aloisio, Veronica De Simone, Axa Lydia Vallotto, Damiano Lotto, Simonetta Olivo, Roberto Furlani, Giovanna Repetto. La copertina è di Ksenja Laginja. Lo trovate su <a href="https://amzn.eu/d/1jr5hSS" target="_blank">Amazon</a> e sul <a href="http://www.kipple.it/prodotto/dormono-sulla-collina-aa-vv/" target="_blank">sito dell'editore</a>.</div></div></div></div></div></div></div></div></div></div><div style="text-align: justify;"><div style="text-align: center;"><div style="text-align: justify;"><div style="text-align: center;"><div style="text-align: justify;"><div style="text-align: left;"><div style="text-align: center;"><div style="text-align: justify;"><div style="text-align: center;"><div style="text-align: justify;"><div style="text-align: center;"><span style="color: orange;"><b><br /></b></span></div><div style="text-align: center;"><span style="color: orange;"><b>Segnalazioni, divagazioni, varie ed eventuali </b></span></div><div style="text-align: center;"><b style="color: orange;"><span style="font-size: x-large;"> SEIĐMAĐUR - LO SCIAMANO</span></b></div><div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div></div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><div style="text-align: justify;"><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgU1xBOgqMlwJYHLRq2d8rovUC7HwovwuEbMhpYi0yhCBO-53gexrx_n3ZQ-uMQAPievwrjuPKEgOi0Dk7epEaD6E-aUPKOT1DNrWTsEsiTyxLtQi-zIxXcsMCRKYzvxthSD-1lgZFtcuJ7d8XeDNJnPn0JO8Mhk0Qg_riGQWjh2kSZ0-n6DsG1O9K4GU19/s584/Seidmadur.jpg" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="584" data-original-width="400" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgU1xBOgqMlwJYHLRq2d8rovUC7HwovwuEbMhpYi0yhCBO-53gexrx_n3ZQ-uMQAPievwrjuPKEgOi0Dk7epEaD6E-aUPKOT1DNrWTsEsiTyxLtQi-zIxXcsMCRKYzvxthSD-1lgZFtcuJ7d8XeDNJnPn0JO8Mhk0Qg_riGQWjh2kSZ0-n6DsG1O9K4GU19/w274-h400/Seidmadur.jpg" width="274" /></a></div><div>Un passato tormentato, un presente di morte. Una caccia serrata a un incubo che affonda le radici nella cupa e ancestrale realtà dello sciamanesimo nordico, un thriller a tinte soprannaturali che tiene incollati sino all’ultima pagina.</div><div>Erlen è una giovane donna erosa da un passato che rinnega ogni giorno, ma che le è impossibile dimenticare.</div><div>La necessità di fare i conti con se stessa la spinge sin nella remota Islanda, terra natale di una madre che ha perso da tempo, e al casuale incontro con Óttar, un bizzarro sessantenne dalle credenze quantomeno insolite. La ragazza si ritroverà così, suo malgrado, a deviare da una strada che pareva già segnata e a dare la caccia a qualcosa che mai avrebbe immaginato potesse esistere. Qualcosa di orribile e che ogni giorno diventa sempre più potente, sino a trasformare quel placido angolo di mondo in un girone di dolore e morte.</div><div>Dalle strade silenziose dell’austera Reykjavík, fino alla natura più selvaggia con i suoi campi di lava, spiagge nere e leggende dimenticate, Erlen verrà trascinata in un serrato inseguimento in cui vecchi fantasmi si sovrappongono a una miriade di spaventosi sogni a occhi aperti. Un incubo che potrebbe riportarla proprio al cuore di ciò da cui ha sempre cercato di scappare.</div><div><b>Maddalena Marcarini</b> è nata e vive a Milano, dove lavora come traduttrice. Dopo alcune pubblicazioni in antologie corali, nel 2020 vince il premio “<i>Ghirlanda’s Choice</i>” con la sua raccolta di racconti illustrata Schegge (Felici Editore, 2021). Due anni dopo vede invece la luce il suo primo romanzo breve, <i>Diario di un cadavere</i> (Dark Abyss Edizioni, 2023). Porta avanti fin dall’università studi approfonditi di filologia germanica, religioni comparate, mitologia ed esoterismo, con particolare attenzione alle culture precristiane del Nord del mondo.</div></div><div>"Seiđmađur – Lo Sciamano" lo trovate come al solito su tutte le piattaforme digitali e sul <a href="https://www.agenziaalcatraz.it/prodotto/seidmadur-lo-sciamano/" target="_blank">sito dell'editore</a>.</div><div><br /></div></div><div style="text-align: justify;"><div style="text-align: center;"><b style="color: orange;">Segnalazioni, divagazioni, varie ed eventuali </b></div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><div style="text-align: justify;"><div style="text-align: center;"><b style="color: orange;"><span style="font-size: x-large;"> ALL'OMBRA DELLE MACCHINE MALATE</span></b></div><div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div></div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><div style="text-align: justify;"><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiiv_L76ldv2TdXI6UX0XGZClcdNCYawPlfx5JcXszdJIOdHLtY6dLuSS5YHMaM4fIvZQcivC7MxGNc7ZLAbHVzs3Bx_3DgoykqX2PvawRMWDYgB-ZVoG_D79YLom9QBmUDxuxTyXVuefyTQ5u7t18NsC-N8x_I8ZI5NdDWoCUkZ5FeWfqmUcK7zddTss2-/s653/Allombra-delle-macchine-malate.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="653" data-original-width="400" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiiv_L76ldv2TdXI6UX0XGZClcdNCYawPlfx5JcXszdJIOdHLtY6dLuSS5YHMaM4fIvZQcivC7MxGNc7ZLAbHVzs3Bx_3DgoykqX2PvawRMWDYgB-ZVoG_D79YLom9QBmUDxuxTyXVuefyTQ5u7t18NsC-N8x_I8ZI5NdDWoCUkZ5FeWfqmUcK7zddTss2-/w245-h400/Allombra-delle-macchine-malate.jpg" width="245" /></a></div><div>Dall’autore di "T.A.Z.", una critica radicale dei media e di Internet, le “macchine malate”, frutto di una magia capitalista che ci spinge a rinunciare alla dimensione reale delle relazioni umane, dell’arte e in ultima analisi della vita.</div><div>L’Immediatismo è una contro-strategia di accesso al piacere attraverso la quale “vogliamo controllare i nostri media, non essere controllati da loro”. A dimostrazione che questo non solo è possibile ma necessario, vengono allora esposti diversi modelli storici di strutture culturali e sociali, tra cui le organizzazioni segrete cinesi Tong, i potlatch delle popolazioni tribali, il dadaismo, il teatro rituale, e altre organizzazioni non gerarchiche e di stampo libertario.</div><div>Guru suo malgrado del cyberpunk, <b>Hakim Bey</b> ripercorre senza sconti il delirio tecnologico della nostra epoca, dove l’acme della comunicazione è diventato il fallimento della comunicazione stessa.</div><div>Computer, video, radio, macchine da stampa… questi oggetti sono buoni giocattoli, ma terribili dipendenze. Alla fine ci rendiamo conto che non possiamo “raggiungere e toccare qualcuno” che è presente in carne e ossa. Questi mezzi di comunicazione possono essere utili alla nostra arte, ma non devono possederci, né devono frapporsi, mediare o separarci dal nostro io animale/animato.</div></div><div>Lo trovate come sempre nelle librerie fisiche e digitali e sul <a href="https://shake.it/libri/allombra-delle-macchine-malate-immediatismo-per-una-critica-radicale-dei-media/" target="_blank">sito dell'editore</a>.</div><div><br /></div><div><div style="text-align: center;"><span style="color: orange;"><b>Segnalazioni, divagazioni, varie ed eventuali </b></span></div><div style="text-align: center;"><b style="color: orange;"><span style="font-size: x-large;"> MEYRINKIANA</span></b></div><div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div></div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><div style="text-align: justify;"><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgu2-wOSHkF4rQ6yxvlHb_ozqmOKArF5d_cGXTDSvkMwTDFQDQrsU2drYZ_YHWz_jw52cZ-q0TXvioL-MX2vlYJxA0PBNkpUBnYuAANX8N_nO8L10AbEO9xxYlF_8VVWyGWQg6bX6ZBpMtr4UNjH2310luMAZITHgcpGpwVnFkRx14AG_vYU35pw85qfNUm/s607/Meyrinkiana.jpg" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="607" data-original-width="400" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgu2-wOSHkF4rQ6yxvlHb_ozqmOKArF5d_cGXTDSvkMwTDFQDQrsU2drYZ_YHWz_jw52cZ-q0TXvioL-MX2vlYJxA0PBNkpUBnYuAANX8N_nO8L10AbEO9xxYlF_8VVWyGWQg6bX6ZBpMtr4UNjH2310luMAZITHgcpGpwVnFkRx14AG_vYU35pw85qfNUm/w264-h400/Meyrinkiana.jpg" width="264" /></a></div>Uscito quasi inosservato lo scorso mese di agosto, ecco a voi il primo numero della rivista "<i>Meyrinkiana</i>", curata dell’esperto e studioso di Meyrink <b>Vittorio Fincati</b>, e dedicata allo scrittore ed esoterista austriaco celebre soprattutto per "<i>Il Golem</i>", che riprende una vecchia leggenda ebraica di Praga, ma anche per opere di assoluto valore come "<i>Il volto verde</i>", "<i>La notte di Valpurga</i>", "<i>Il domenicano bianco</i>" e l'imprescindibile "<i>L'angelo della finestra d'occidente</i>", uno strano romanzo intriso di immagini e idee alchemiche, ermetiche, occulte e mistiche che intrecciano la vita del mago elisabettiano dottor John Dee con quello di un suo immaginario discendente moderno.</div><div>In questo primo numero di "<i>Meyrinkiana</i>" viene presentato molto materiale inedito, tra cui il racconto "<i>La donna senza bocca</i>", uno scritto ispirato ad un dipinto di Gyula Batthyány. </div><div>Nella saggistica è da segnalare un articolo di <b>Vittorio Fincati</b> sul rapporto controverso fra Meyrink e il mistico bavarese Alois Mailänder e un approfondimento sulle fonti della setta degli Yezidi (adoratori del demonio) descritti dal Meyrink ne "<i>La casa dell’alchimista</i>“. Maggiori informazioni, di cui l'editore pare essere piuttosto avaro, le potete ottenere dalla recensione che l'ottimo Cesare Buttaboni ha pubblicato sulla fanzine digitale <a href="https://www.versacrum.com/vs/2023/09/meyrinkiana-memorie-testimonianze-ricerche.html" target="_blank">Ver Sacrum</a>. Per l'acquisto fate invece riferimento al <a href="http://www.tipheret.org/product/meyrinkiana-1-2023/" target="_blank">sito dell'editore</a>.</div><div><br /></div><div><div style="text-align: center;"><span style="color: orange;"><b>Segnalazioni, divagazioni, varie ed eventuali </b></span></div><div style="text-align: center;"><b style="color: orange;"><span style="font-size: x-large;"> XXIX Trofeo RiLL</span></b></div><div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div></div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><div style="text-align: justify;"><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhE1fn4HeXqstJgNzk7vIPSN7ufaz3J3A8j9jKoxdfPyvmStgxENlp8I1ePiJPeenqbIK2KEvjci6hWy-p07OdgKQSZmgJNVXcJgxkDHgmiLc1yVyIrkNM67sNcpZ7xS4eqj1BjedsW18-5-6d13PIv8EyQchLAE9uJLo6l1UihxOtLo-R747rVJfKvOtws/s484/MI2023_cop.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="484" data-original-width="342" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhE1fn4HeXqstJgNzk7vIPSN7ufaz3J3A8j9jKoxdfPyvmStgxENlp8I1ePiJPeenqbIK2KEvjci6hWy-p07OdgKQSZmgJNVXcJgxkDHgmiLc1yVyIrkNM67sNcpZ7xS4eqj1BjedsW18-5-6d13PIv8EyQchLAE9uJLo6l1UihxOtLo-R747rVJfKvOtws/w283-h400/MI2023_cop.jpg" width="283" /></a></div>Venerdì 3 novembre, alle 18:00, si è svolta la premiazione del <b>XXIX Trofeo RiLL</b> per il Miglior Racconto Fantastico, concorso letterario bandito dall’associazione RiLL - Riflessi di Luce Lunare.</div><div>La cerimonia ha avuto luogo nell’ambito del festival internazionale <b>Lucca Comics & Games</b>, presso la sala incontri “Giovanni Ingellis” di Lucca Games (padiglioni di viale Carducci).</div><div>Il Trofeo RiLL è uno dei principali premi italiani per racconti fantastici; è dedicato a storie fantasy, horror, di fantascienza e, in generale, a qualunque storia sia, per trama e/o personaggi, “al di là del reale”. Al concorso partecipano più di 300 racconti all’anno. Nel 2023 i testi ricevuti sono stati 410 (scritti da oltre 300 autori/autrici, residenti in Italia e all’estero): un risultato che fa della ventinovesima edizione la terza per numero di partecipanti nella storia del premio. Il Trofeo RiLL è patrocinato da Lucca Comics & Games, che da sempre ospita la premiazione.</div><div>Durante la premiazione è stato presentato il libro “LE CASE CHE ABBIAMO PERSO e altri racconti dal Trofeo RiLL e dintorni”: la nuova uscita della collana Mondi Incantati, che dal 2003 pubblica ogni anno i migliori racconti del Trofeo RiLL e di SFIDA (altro concorso organizzato da RiLL). L’antologia, curata da RiLL, è edita da <b>Acheron Books</b>. La copertina è dell’illustratrice <b>Valeria De Caterini</b>.</div><div>“LE CASE CHE ABBIAMO PERSO e altri racconti dal Trofeo RiLL e dintorni” include anche la sezione RiLL World Tour, che dal 2013 propone i racconti fantastici vincitori dei concorsi esteri con cui il Trofeo RiLL è gemellato: il premio Visiones (Spagna); il premio Ataegina (Portogallo); la NOVA Short Story Competition (Sud Africa).</div><div><br /></div><div>“LE CASE CHE ABBIAMO PERSO e altri racconti dal Trofeo RiLL e dintorni” contiene 12 racconti.</div><div>Aprono il volume le cinque storie premiate del XXIX Trofeo RiLL, scelte da una giuria di scrittori, giornalisti, accademici, esperti e autori di giochi:</div><div><br /></div><div>Vincitore del XXIX Trofeo RiLL:</div><div>Le case che abbiamo perso, di <b>Francesco Corigliano</b> (Vibo Valentia)</div><div>Un racconto molto originale per spunto e suggestioni, che si regge su un’idea spiazzante: edifici vuoti e cadenti vagano (muovendosi sulle loro zampe) in una steppa senza fine, dove gli uomini vivono a stento, in piccole oasi. Echi di Miyazaki, di Salvador Dalì, del mito slavo di Baba Yaga, per una storia sospesa fra il fiabesco e il tragico che, sottilmente, rovescia il dramma delle migrazioni.</div><div><br /></div><div>Secondo Classificato:</div><div>Tutt’apposto, di <b>Giorgio Cappello</b> (Palermo)</div><div>Un racconto horror solido nell’impianto, divertente nello sviluppo, curato nello stile (anche nell’uso del dialetto siciliano). Si inserisce in una consolidata tradizione di storie di trasformazioni periodiche di esseri umani in animali, riuscendo a riportare il mito in uno scenario regionale, attualizzandolo.</div><div><br /></div><div>Terzo Classificato:</div><div>I colori del Campo Santo, di <b>Giorgio Smojver</b> (Padova)</div><div>Come lo stesso autore dichiara nelle prime righe, è il racconto che Boccaccio non ha scritto per il Decameron. Porta lettori e personaggi letteralmente dentro i celebri affreschi trecenteschi del Campo Santo di Pisa. Originale, ben sviluppato e con una notevole cura degli elementi storico-figurativi.</div><div><br /></div><div>Quarto Classificato:</div><div>Un ragazzo, di <b>Valentina Schiaffini </b>(Corciano – Perugia)</div><div>Un fantasy minimalista, capace in poche pagine di sviluppare e sviscerare il rapporto fra i due protagonisti, e insieme di parlare di intolleranza, amicizia, dolore e speranza.</div><div><br /></div><div>Quinto Classificato:</div><div>È stata la Palude, di <b>Francesco Pone</b> (Terni)</div><div>Uno spaghetti fantasy ironico e divertente, una storia in stile Armata Brancaleone, ma in salsa lovecraftiana. E in cui, fra le righe, fa capolino il tema della lotta di classe e della solidarietà fra chi Signore non è….</div><div><br /></div><div>Sempre nel corso della la premiazione, è stato consegnato il premio speciale Lucca Comics & Games per SFIDA 2023, il concorso che RiLL riserva dal 2006 agli autori/ autrici giunti una o più volte in finale al Trofeo RiLL. Il nome del premio deriva dalla sfida che RiLL propone: scrivere un racconto fantastico che rispetti uno (o più) vincoli, che cambiano di anno in anno.</div><div>SFIDA 2023 è un’edizione speciale del concorso. Nasce infatti dalla collaborazione fra RiLL e KomunIKON, un’associazione internazionale che unisce linguisti, sviluppatori, grafici e che ha creato IKON: una lingua totalmente visuale (cioè basata su icone/immagini), che permette la comprensione reciproca fra persone che parlano lingue diverse e/o appartengono a differenti culture. Per questo, il tema di SFIDA 2023 (e dei suoi racconti) è stata la comunicazione visuale. I quattro racconti vincitori di SFIDA 2023, scelti da RiLL, sono pubblicati nell’antologia “LE CASE CHE ABBIAMO PERSO e altri racconti dal Trofeo RiLL e dintorni”.</div><div><br /></div><div>“LE CASE CHE ABBIAMO PERSO e altri racconti dal Trofeo RiLL e dintorni” è già disponibile presso RiLL, ed è possibile acquistarla (a prezzo speciale) direttamente dal sito RiLL.it</div><div>Da novembre il libro sarà anche su Amazon e Delos Store.</div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div>Obsidian Mhttp://www.blogger.com/profile/00077330887101732002noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7447467916007164549.post-71337930139336996682023-11-07T08:30:00.009+01:002023-11-07T08:30:00.139+01:00Atmosfere di una notte di Tregenda, tra Goethe e De Quincey<div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg5NGw2GdN4lsjnlsZ2f-yxbMcyaHwUPLdVU_vFi98u4eu3T6xwlwtrtx2_VuG9gpBF-t1lFiR37kZ9ipyMCYMwsIcXcV8wkJdjBid_jPCQkXogyzwub37_wzjSq-Uh1QLPrInjl3-6S04NXeD8NgTM3SKTvaEWipb4dGficc6BRP6rd7a07C7SwkxwyUyH/s565/tregenda.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="565" data-original-width="400" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg5NGw2GdN4lsjnlsZ2f-yxbMcyaHwUPLdVU_vFi98u4eu3T6xwlwtrtx2_VuG9gpBF-t1lFiR37kZ9ipyMCYMwsIcXcV8wkJdjBid_jPCQkXogyzwub37_wzjSq-Uh1QLPrInjl3-6S04NXeD8NgTM3SKTvaEWipb4dGficc6BRP6rd7a07C7SwkxwyUyH/w284-h400/tregenda.jpg" width="284" /></a></div>Sono passati ormai alcuni giorni dalla notte di Halloween, e mentre in giro per il web i contenuti horror, che hanno infestato l'intero mese di ottobre, sono ormai evaporati come neve al sole, qui su <i style="text-align: justify;">"The Obsidian Mirror" </i><span style="text-align: justify;">noi andiamo avanti. Non c'è tregua dall'horror per il viandante che bussa suo malgrado a questa porta, ma questo ormai lo sapete. Il blog è anche, o forse dovrei dire, soprattutto, questo. Dopo il piatto forte che vi è stato servito nella notte più <i>spooky</i> dell'anno, vale a dire l'ultimo corto di <b>Luigi Parisi</b>, è arrivata l'ora del dessert. E se il vostro equilibrio mentale è sopravvissuto a "<i>Le cose perdute</i>", qui non troverete alcuno scampo. Il tempo del relax non è ancora giunto. Arriverà, presto o tardi, ma non oggi, perché oggi è un giorno di tregenda. </span>Anzi è il giorno di “TREGENDA”, dal titolo del cortometraggio horror che potrete gustarvi integralmente qualche riga più in basso. E lo faremo in compagnia del regista <b>Giuseppe Coppola</b> che, una volta terminata la visione, si fermerà qualche minuto a chiacchierare con noi.<span><a name='more'></a></span></div><div style="text-align: justify;">Prima di proseguire, tuttavia, concedetemi due righe di antefatto. Qualche tempo fa mi scrive <b>Giuseppe Coppola</b>, che avevo già incrociato tempo addietro in una live, e in quell’occasione mi accenna a un simpatico progetto realizzato dal “<i>Collettivo Chimera</i>” di cui egli fa parte, un piccolo gruppo di persone che, come me e come voi, condivide la passione per il fantastico in tutte le sue forme. <b>Chimera</b>, come capirete meglio tra poco, non è però solo un modo per trovarsi con gli amici e bersi un paio di birre mentre ci si racconta storie di fantasmi attorno al fuoco, bensì un progetto a più ampio respiro che trova la sua compiutezza nella realizzazione di prodotti cineamatoriali a zero budget come, appunto, il cortometraggio “<i>Tregenda</i>”, un “horror esistenziale” (la definizione è mia) la cui regia è firmata da Giuseppe con <b>Alessia Rigasso</b>. Ma Giuseppe (che, diciamolo sottovoce, è uno pseudonimo che si ispira a"<i>L'uomo della sabbia</i>" di <b>E.T.A. Hoffmann</b>) non si è occupato solo della regia del corto, ma anche di uno degli aspetti per me più importanti e sottovalutati del cinema, ossia il montaggio. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Il termine “tregenda”, che identifica, secondo la leggenda popolare, un convegno di streghe, diavoli e anime dannate, è qui utilizzato a mio parere più che altro in senso figurato, e andrebbe interpretato piuttosto come “caos”, o altro concetto equivalente, in riferimento alla tormentata vita della protagonista, intrappolata in una relazione malata, la cui voce narrante (o quella del suo inconscio) fa da sfondo alle immagini altamente evocative che accompagnano le sue vicende. Una voce narrante che pesca le parole a piene mani prima dal “<i>Suspiria De Profundis</i>” dello scrittore britannico <b>Thomas De Quincey</b>, poi dal celeberrimo “<i>Werther</i>” di <b>Goethe</b>. </div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhR_380oSdaeE1C03o7TX1RLv9bqWAUA8BA9coFyPkHVddMnpJ1RnPVNHiBoCJq30TnxdUbRET9BRbe8tpzxSvriOY8S7tKiOYAzxHw7_vFQnh-AfoZ1MiZadI_dnzRvoAsrub-2HZbNS-ybyJ4p1h0GILzOlxlUgzcGlFIG05JgQOGfkk_0YQhiXLJyKVh/s600/3madri7.JPG" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="180" data-original-width="600" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhR_380oSdaeE1C03o7TX1RLv9bqWAUA8BA9coFyPkHVddMnpJ1RnPVNHiBoCJq30TnxdUbRET9BRbe8tpzxSvriOY8S7tKiOYAzxHw7_vFQnh-AfoZ1MiZadI_dnzRvoAsrub-2HZbNS-ybyJ4p1h0GILzOlxlUgzcGlFIG05JgQOGfkk_0YQhiXLJyKVh/s16000/3madri7.JPG" /></a></div>In particolare, l’interpretazione delle "Nostre Signore del Dolore", così come la troviamo qui, è molto aderente all’originale, quasi esegetica, come mai è stata mostrata in precedenza al cinema. Parliamo appunto di dolore, cuore pulsante della visione di <b>De Quincey</b>, benché, nella sua universalità, facciamo fatica a discernere le sfaccettature: esiste il dolore causato da una perdita, solitamente quella di una persona cara, nella sua emanazione più estrema quella di un figlio per la propria madre. Questo è un dolore che colpisce nel più profondo dell’anima e che solo le grida e le lacrime, quelle di un buon pianto, possono vagamente alleviare; ma esiste anche un dolore più subdolo, quello di una persona che non si sente all’altezza, che non si sente pronta per affrontare la propria vita, e per tale motivo abbassa gli occhi, rassegnandosi con un sospiro a un’esistenza incolore; esiste infine un dolore mille volte più atroce, un dolore violento che non si può attenuare né con le lacrime né coi sospiri, un dolore che trascina negli abissi della follia ed è ispiratore di pensieri suicidi.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Alice, la protagonista di “<i>Tregenda</i>”, sembra talora sdoppiarsi, anzi triplicarsi, per sopportare meglio il suo fardello di dolore, una lettura psicanalitica affatto banale: riesce talvolta a distinguere il dolore e a materializzarlo in quei brevi spazi che separano la realtà dal sogno, cercando forse di combatterlo, senza tuttavia dominarlo del tutto, perché, come appunto scrisse Goethe, la vita è non è reale, non è quella che crediamo di vivere; la vita, o perlomeno quella cosa che chiamiamo con questo nome, non è altro che il susseguirsi di una serie di comportamenti in ottica di guadagnare pochi, chimerici attimi di felicità. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjQ55yjRajHgp4JH7xD50OJ4vwji0ELINoOAi-0Pvb58KFQqUccOmKHM22-hJ2zJ3H4h_S3GjHpmb6Hr3RHnMvddeNej6hwdUZ-nja0ocAeBM5l9JZCyZHfzkavsJ6XQh2WZDX5kFY3QYaA8OdPSo0Cjfn2ptONafq2_eBkVmijN4GIaG1eK0Dww3tsE57M/s600/3madri8.JPG" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="229" data-original-width="600" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjQ55yjRajHgp4JH7xD50OJ4vwji0ELINoOAi-0Pvb58KFQqUccOmKHM22-hJ2zJ3H4h_S3GjHpmb6Hr3RHnMvddeNej6hwdUZ-nja0ocAeBM5l9JZCyZHfzkavsJ6XQh2WZDX5kFY3QYaA8OdPSo0Cjfn2ptONafq2_eBkVmijN4GIaG1eK0Dww3tsE57M/s16000/3madri8.JPG" /></a></div>Il "Collettivo Chimera", in questo senso, è molto abile a mettere Alice in condizione di esplicitare il concetto ricorrendo ad artifici che intendono non palesarlo eccessivamente, permanendo sempre sulla linea di demarcazione tra sogno e realtà. “<i>Tregenda</i>” è ricco di simboli, nessuno dei quali (con la sola eccezione di una tavola Ouija, che mi è parsa piuttosto fuori posto) è messo lì a caso. Talismani e tarocchi sono lì per inviare un messaggio, prefigurando a un occhio attento quello che sarà lo svolgimento della storia; i colori, la loro assenza, i loro eccessi sono lì per sottolineare gli stati mentali di Alice, così come gli effetti speciali, piuttosto riusciti considerandone l’artigianalità, ne evidenziano il progressivo distacco dalla realtà. Non è forse un caso che la donna si chiami Alice, come la protagonista del celeberrimo romanzo di <b>Lewis Carrol</b>, il romanzo psichedelico per eccellenza: e quella che vediamo è la sua personale, seppure effimera, discesa nel Paese delle Meraviglie.</div><div style="text-align: justify;">Naturalmente, la maggior parte delle sfumature sono difficili da cogliere e anch’io, nella mia rozza esperienza, non sono sicuro di aver intuito con esattezza ciò che gli Autori intendevano esprimere. “<i>Tregenda</i>”, cortometraggio della durata approssimativa di 15 minuti, lo trovate qui sotto. Spegnete le luci della stanza, e se dalle finestre filtra la luce del sole, oscurate tutto come potete. Buona visione. Ci ritroviamo poco più in basso per una simpatica chiacchierata con l'Autore </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><iframe allowfullscreen="" class="BLOG_video_class" height="400" src="https://www.youtube.com/embed/6xNx6swyh9s" width="600" youtube-src-id="6xNx6swyh9s"></iframe></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">T.O.M.: Ciao Giuseppe, e benvenuto su <i>Obsidian Mirror</i>. Mettiti pure comodo perché oggi parleremo di te e del cortometraggio che ti ha visto coinvolto che, come ti accennavo in tutt’altra sede, ha solleticato la mia curiosità. Iniziamo però dal principio. Come ben immagini, situazioni come questa necessitano di una piccola parte introduttiva. La prima domanda è quindi più che altro una formalità: chi è <b>Giuseppe Coppola</b>? Come ti definisci e, già che ci siamo, cosa ti piacerebbe fare da grande?</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><i><span style="color: #01ffff;">G.C.: Ciao, prima di passare alle tue domande ci tengo a ringraziarti per permettere a realtà piccole e piccolissime come la nostra di poter aver uno spazio, cosa per nulla scontata! Su chi sono e come mi definirei non è facile risponderti, solitamente lascio che siano gli altri a definirmi, sperando che siano clementi; io mi limito a cercare, parafrasando una vecchia canzone, di “invecchiare senza diventare adulto”: ho 42 anni, sono papà di due figlie, faccio l’insegnante, sono appassionato di Storia e nei ritagli di tempo con alcuni amici realizziamo dei “film”. Che cosa farò da grande? Non lo so ancora… </span></i></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">T.O.M.: Passiamo ora a “Chimera”, quello che tu definisci “un piccolo collettivo che condivide l'amore per il fantastico. Di cosa si tratta esattamente? Come e quando nasce “Chimera”? </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><i><span style="color: #01ffff;">G.C.: Tutto è iniziato nel 2019 nei corridoi di una scuola della Bassa Piemontese, dove ho incontrato un collega con una profonda passione e conoscenza per il cinema di genere. Lui in giovinezza aveva partecipato in diverse vesti a molti film amatoriali; appena scoperto che condividevamo la passione per un certo tipo di cinema c’è voluto poco per rimettere su il circo… Insieme abbiamo fatto cinque corti, ad oggi non più disponibili in rete. Poi, per varie vicissitudini, le nostre strade si sono divise. Negli anni successivi il giro di conoscenze si è allargato e attualmente siamo in tre al timone di Chimera. Tra l’altro è appena uscito un nuovo corto: “Io posso vedere”. </span></i></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiSndplg0ayFREw9OxdUPryd43bZ46batRMc8-PlHrXkR1mzmk36K7nogq7G-fBQM7DUY6fIIZ0iknvFBItXfv6-VpLi_OanzcNp_32vrzaXSBoVxHpaR_MrA-rO73XPDcn9_kFeEgl7yD1o_jKFN2-rM6M4NobX3iCsbZAWnWxHISgOpODKm0uOcx5tV_q/s600/3madri4.JPG" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="224" data-original-width="600" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiSndplg0ayFREw9OxdUPryd43bZ46batRMc8-PlHrXkR1mzmk36K7nogq7G-fBQM7DUY6fIIZ0iknvFBItXfv6-VpLi_OanzcNp_32vrzaXSBoVxHpaR_MrA-rO73XPDcn9_kFeEgl7yD1o_jKFN2-rM6M4NobX3iCsbZAWnWxHISgOpODKm0uOcx5tV_q/s16000/3madri4.JPG" /></a></div>T.O.M.: Quando ci siamo scritti la prima volta mi hai presentato “Tregenda” come “un corto ispirato al cinema gotico italiano”. Dopo un paio di visioni, che mi sono state necessarie per scrivere quest’articolo, non posso che considerare quella tua definizione piuttosto sbrigativa. È anche vero che, quando si parla delle tre madri, viene automaticamente in mente <b>Dario Argento</b>, ma è chiaro che qui c’è molto di più. Quali sono davvero le fonti di ispirazione, dando per assodati <b>De Quincey</b> e <b>Goethe</b>?</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><i><span style="color: #01ffff;">G.C.: Siamo partiti con l’idea di omaggiare le atmosfere gotiche e melodrammatiche di film come “La frusta e il corpo” e “Lo spettro”, per poi allontanarci da quelle suggestioni. L’utilizzo di quei cliché è rimasto, soprattutto, per caratterizzare la protagonista Alice: una ragazza con una bruciante passione per l’occulto e il Romanticismo, con un passato idealizzato che diventa il posto sicuro per fuggire da un presente che detesta. Questi fantasmi, però, la porteranno a scollarsi dalla realtà e a vivere in uno stato allucinato in cui non è più chiaro cosa sia reale e cosa no. Per quanto riguarda le fonti di ispirazione, i riferimenti sono molteplici. Sicuramente, oltre a <b>Goethe</b> e <b>De Quincey</b>, c’è un sostrato del pessimismo di <b>Leopardi</b> e il <b>Nietzsche</b> della “morte di Dio”. L’estetica finale è poi contaminata da tantissime altre influenze. Le prime che mi vengono in mente sono i vecchi film della <b>Hammer</b>, i gotici italiani già menzionati, il cinema di <b>Eggers</b>, <b>Bergman</b>, <b>Gaspar Noè</b> e <b>Bessoni</b>, gli scritti di <b>Lovecraft</b>, <b>Poe</b>, <b>Clark Ashton Smith</b>, <b>Blackwood</b>, <b>Ligotti</b>, il Simbolismo pittorico e i dipinti di <b>Lorenzo Alessandri</b>, <b>Enrico Colombotto Rosso</b>. E poi quintali di fumetti: da quelli “neri” italiani a <b>Dylan Dog</b>, passando per <b>Sandman</b> e <b>Alan Moore</b> e a tante altre letture e film. Non ci sono volontà specifiche di citazioni nei nostri lavori, sono echi che riemergono dai meandri della memoria dei miei ormai tanti anni (ahimè) di fruitore di “materiale non conforme” nel momento della creazione della trama o del girato e persino nella fase del montaggio, spesso senza una precisa consapevolezza. Non parliamo poi delle influenze derivate dalla musica… </span></i></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiO_Kf33X2Knl6zaC_l-tAUZ11n6O-CTSMD0K8NADYMxPDcqDQxzsvDUod4Ah_XPA7gz-3HbYfLeHlJ7i8cDQs0uFIPqK1__JxqqQfB2HoTdSSfRtPQrUVDDWBvQ2w0KeMysej9T8BIsM8K2YUXgq2gBljwV6vVG3MTr3rgOh4y0K8Wmy4GOjeY5fOd6Qvn/s600/3madri3.JPG" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="216" data-original-width="600" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiO_Kf33X2Knl6zaC_l-tAUZ11n6O-CTSMD0K8NADYMxPDcqDQxzsvDUod4Ah_XPA7gz-3HbYfLeHlJ7i8cDQs0uFIPqK1__JxqqQfB2HoTdSSfRtPQrUVDDWBvQ2w0KeMysej9T8BIsM8K2YUXgq2gBljwV6vVG3MTr3rgOh4y0K8Wmy4GOjeY5fOd6Qvn/s16000/3madri3.JPG" /></a></div>T.O.M.: A proposito delle madri argentiane, se c’è una cosa che non sono mai riuscito a perdonare al regista romano è quella di aver completamente tradito (o nella migliore delle ipotesi, travisato) le parole di <b>De Quincey</b>, riducendo dei film dal potenziale immenso in opere di semplice intrattenimento. In “Tregenda” mi pare invece che siate riusciti ad esprimere meglio il concetto del “dolore” (così, infatti, lo scrittore britannico definiva le tre madri) come diverse facce della stessa questione. È la mia un’interpretazione corretta?</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><i><span style="color: #01ffff;">G.C.: Interpretazione corretta. Non ho mai pensato alla trilogia di Argento come ispirazione diretta per Tregenda e, come detto, poc’anzi il dolore è sicuramente, insieme alla follia, il fulcro del film. Inoltre, trovo che i nostri lavori siano, per loro natura intrinseca, polisemici e mi è capitato di sentire le più diverse interpretazioni. </span></i> </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">T.O.M.: Quella citazione dal Werther è particolarmente sorprendente e, se attualizzata, sembra quasi una critica sociale. Mi riferisco in particolare a verità indiscutibili secondo le quali “<i>la vita degli uomini è solamente un sogno</i>” (come non pensare a Matrix?), che gli uomini “<i>agiscono non per motivi propri ma si lascino invece guidare dagli altri</i>” e che “<i>la loro attività ha l’unico scopo di procurare la soddisfazione di bisogni i quali, a loro volta, non servono ad altro che a prolungare la loro misera esistenza</i>”. Sembra quasi una visione della società contemporanea che <b>Goethe</b> ebbe con 250 anni di anticipo. Mi chiedo, in virtù di ciò, se la cosa andrebbe interpretata più in chiave personale (nella fattispecie, Alice e i suoi problemi esistenziali) oppure più in chiave universale…</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><i><span style="color: #01ffff;">G.C.: Il passo da te citato è inserito nel corto per spiegare il momento tragico in cui si vede Alice di fronte alla scelta di porre fine al suo dolore col suicidio. Lo fa accompagnata da queste parole così potenti di <b>Goethe</b> che risuonano ancora nel nostro tempo, dopo più di due secoli, e che continuano a porsi in dialogo con ciascuno di noi, come tutte le grandi opere d’arte. Alla luce di questo sicuramente il Werther serve a delineare le passioni di Alice, così care ai Romantici; ma anche, a un livello generale, la condizione del genere umano ieri come oggi. </span></i></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiUWi22Y2Q_ILpofXzC1zohtodCXFeLS9kKIUoV8hpZMWX7mYgNv_hN0L7ZRbhEFrloD7WAL_WwP5rk4JjQRwqQyKJ7hElL4zVGMUD3VwFRH_JONXo46dU_9DTYzfvDikvGkUuLrAtD1ut8u9Nmly7KyW7Gu2FIHgLHWZiUKjddZSBDcoFJhI5Q1DP9auGg/s600/3madri6.JPG" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="201" data-original-width="600" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiUWi22Y2Q_ILpofXzC1zohtodCXFeLS9kKIUoV8hpZMWX7mYgNv_hN0L7ZRbhEFrloD7WAL_WwP5rk4JjQRwqQyKJ7hElL4zVGMUD3VwFRH_JONXo46dU_9DTYzfvDikvGkUuLrAtD1ut8u9Nmly7KyW7Gu2FIHgLHWZiUKjddZSBDcoFJhI5Q1DP9auGg/s16000/3madri6.JPG" /></a></div>T.O.M.: Tregenda è chiaramente un progetto a basso (se non zero) budget. Come è possibile realizzare un’opera interessante e piacevole senza un minimo di liquidità?</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><i><span style="color: #01ffff;">G.C.: Cercando di supplire ai pochissimi mezzi con tanta creatività e voglia di provare a dire qualcosa senza alcuna pretesa. Tutto questo ha un lato positivo: la libertà, facciamo tutto quello che ci pare senza dover rendere conto a nessuno. Questo è il bello di essere dei dilettanti, nel senso etimologico del termine “coloro che si dilettano” a fare qualcosa e che lo fanno per il solo piacere di farlo. Detto questo, bisogna anche dire che sicuramente la tecnologia ci aiuta moltissimo. Pensa: i film precedenti a Tregenda erano girati con un semplice smart phone e qualche luce, poi montati con un programma da due soldi… Cose impensabili solo vent’anni fa. Ma la cosa più importante per la riuscita del progetto è stato lavorare in un gruppo caratterizzato da grande dedizione e serietà, oltre che con attori non professionisti, ma serie e talentuosi. </span></i></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">T.O.M.: Chi si occupa di recensire cinema, sia a livello professionale che amatoriale, solitamente si sofferma sulla regia e al limite sulla sceneggiatura e sulla fotografia. Pochi sono coloro che esprimono pareri a proposito del montaggio, un’arte nascosta, silenziosa, talvolta invisibile, che a me pare in realtà un aspetto da non sottovalutare, anche in virtù del fatto, correggimi se sbaglio, che il montaggio include anche la componente sonora (complimenti, by the way, per aver utilizzato quel favoloso brano di <b>Peter Bjärgö</b>).</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><i><span style="color: #01ffff;">G.C.: Sono più che d’accordo! Soprattutto nei nostri video troviamo un montaggio sperimentale, fatto di sovrapposizioni e molti effetti sia per le immagini sia per i suoni. L’intento è creare atmosfere stranianti, oniriche, partendo dal girato grezzo delle riprese. A volte mi sento un alchimista nel suo laboratorio che trasforma la materia: solve et coagula! Nei nostri video l’aspetto musicale è fondamentale (e mi fa molto piacere che tua bbia apprezzato le mie scelte!) anche perché ho sempre ritenuto i nostri corti affini al linguaggio dei video clip. </span></i></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">T.O.M.: Tra l’altro proprio in“Tregenda” taluni passaggi non sarebbero stati comprensibili senza un montaggio oculato. Mi riferisco in particolare alla scena “psichedelica” campestre, nella quale i dolori di Alice non avrebbero potuto essere espressi altrimenti. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><i><span style="color: #01ffff;">G.C.: Ricreare atmosfere psichedeliche mi ha sempre affascinato, andare a creare dei trip deliranti è una delle cose che più diverte nel montaggio. Ecco, è proprio in qui momenti che mi sento l’apprendista stregone, a cui accennavo nella domanda precedente, che partendo da semplici riprese le stratifica ne varia i colori,le dissolve e le ricompone…. </span></i></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiNCqrqTR_m13n9KQssp0FmQOZagScRKV4yPqAAY7G75uSu8mqNy7A6Q4aWtMOh6WychWll8WgNyDMQ0Qlq5nKkCjLnfx4lsahDK1goU3yHKNruLY1tz5C5mqD36p1IFppb1aBrheC5Epy64Mr7sDCPSEo4qBRjtFqx2eHArydFqL5ggH4NmRpaR9nxarNN/s568/IOPOSSOVEDEREPOSTER.JPG" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="568" data-original-width="400" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiNCqrqTR_m13n9KQssp0FmQOZagScRKV4yPqAAY7G75uSu8mqNy7A6Q4aWtMOh6WychWll8WgNyDMQ0Qlq5nKkCjLnfx4lsahDK1goU3yHKNruLY1tz5C5mqD36p1IFppb1aBrheC5Epy64Mr7sDCPSEo4qBRjtFqx2eHArydFqL5ggH4NmRpaR9nxarNN/w281-h400/IOPOSSOVEDEREPOSTER.JPG" width="281" /></a></div></div><div style="text-align: justify;">T.O.M.: Ora che la mia curiosità è stata ampiamente soddisfatta, caro Giuseppe, non mi resta che ringraziarti per aver accettato di farmi visita sul blog. Come faccio abitualmente in queste occasioni, lascio a te un po’ di spazio dove puoi parlare a ruota libera di tutto quello che vuoi,dei tuoi progetti presenti e futuri (tuoi e di Chimera), o di qualsiasi altra cosa. Un angolino dove l’intervistato può farsi un po’ di pubblicità, anche in maniera spudorata. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: #01ffff;"><i>G.C.: Colgo al volo l’occasione! Prima di tutto vi invito alla visione di Tregenda (anche sul </i><a href="https://www.youtube.com/@Chimera-sf1ub/videos" style="font-style: italic;" target="_blank">nostro canale YouTube “Chimera”</a><i>. Vi saremo grati se avrete piacere di condividerlo e, magari, lasciarci qualche commento o farci sapere le vostre impressioni. Abbiamo anche una pagina </i><a href="https://www.instagram.com/chimera.movies/" style="font-style: italic;" target="_blank">Instagram</a><i> se volete seguirci. Alla vigilia di Ognissanti, tra l'altro, è uscito il nostro ultimo corto “Io posso vedere” e, per chi era in zona vercellese, è stata anche organizzata una proiezione in anteprima </i>(la sera del 27, nei locali di <a href="https://www.facebook.com/vicoloschilke/" target="_blank">Vicolo Schilke</a>, ndr)<i>. </i></span></div><div style="text-align: justify;"><i><span style="color: #01ffff;">Approfitto anche per un minispot personale. Da qualche mese ho un mio progetto Instagram: “<a href="https://www.instagram.com/cantinamacabra/" target="_blank">Cantina macabra</a>”. Il nome è un tributo alla ben più importante “Soffitta macabra” torinese degli anni Sessanta. Come la soffitta, anche questa è realmente una cantina, quella di casa. Tra gli scaffali della dispensa e degli scatoloni con gli oggetti da conservare ho realizzato una postazione per la creazione: un tavolo da lavoro un po’ alla dottor Frankenstein dove assemblo e lavoro materiali diversi come legno, noccioli, noci di galla, pigne e altro,per poi assemblarli creando piccoli esseri sempre diversi. A volte vado oltre al dare loro forma, cerco di animarli attraverso un rozzo passo uno. Ecco,direi che con questo termino la pubblicità spudorata. Ti ringrazio ancora l’interesse e per il tempo dedicatomi! </span></i></div>Obsidian Mhttp://www.blogger.com/profile/00077330887101732002noreply@blogger.com4tag:blogger.com,1999:blog-7447467916007164549.post-91615016136198690902023-10-31T13:00:00.001+01:002023-10-31T13:00:00.132+01:00Alla ricerca delle cose perdute, in compagnia di Luigi Parisi<div style="text-align: justify;"><i><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiIA_lMRgss8l25nDcxLnyD0VuMMWiGM80kctE0wgzHoF3G-d6HNpwrWr7o76iRVkpTU7bzRiVZUMv13oefyVtsfLf7vCy9h1HI2uj5akELEqluCHMOJI7K3UwR4bDVZ6Bh1K03jhkf_y2CnvFAeTAGGJPcx5ffTuHxvVi-0czoxIFqPvqcnsetflAVwGmy/s501/LE%20COSE%20PERDUTE%20international%20Poster%20A3%20DEF%20OK.png" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="501" data-original-width="400" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiIA_lMRgss8l25nDcxLnyD0VuMMWiGM80kctE0wgzHoF3G-d6HNpwrWr7o76iRVkpTU7bzRiVZUMv13oefyVtsfLf7vCy9h1HI2uj5akELEqluCHMOJI7K3UwR4bDVZ6Bh1K03jhkf_y2CnvFAeTAGGJPcx5ffTuHxvVi-0czoxIFqPvqcnsetflAVwGmy/w319-h400/LE%20COSE%20PERDUTE%20international%20Poster%20A3%20DEF%20OK.png" width="319" /></a></div>"You only appreciate things when they're gone." (Kurt Cobain's suicide note).</i></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Analizzando i saggi scritti da <b>Sigmund Freud</b> sul tema della morte, con particolare riferimento a “<i>Lutto e melanconia</i>”
del 1915-1917, si evince che il lutto non è soltanto una reazione alla morte, ma è inteso come reazione alla
perdita. Perdita della giovinezza, perdita di un amore, perdita di un’amicizia, di un affetto, perdita del senso
di Patria, degli ideali, perdita di un lavoro, perdita del proprio status sociale. Perdita anche di un oggetto,
quindi, un oggetto magari particolarmente prezioso legato a un passato dal quale non ci si vuole separare,
un oggetto legato a una persona, anch’essa magari perduta, la cui essenza rivive in esso, unico baluardo che
ci separa dall’oblio. </div><div style="text-align: justify;">Tutti noi abbiamo da qualche parte in fondo a un cassetto un oggetto del genere, una
vecchia pagina di diario, magari una semplice cartolina, di cui non riusciamo e non vogliamo liberarci. Il
classico “<i>cassetto di ricordi e di indirizzi che ho perduto</i>”, quello descritto da un celebre cantautore romano
in una delle sue più belle canzoni, nel quale talvolta ci piace rituffarci per assaporare i bei tempi andati, ma
soprattutto per cercare di resuscitare amicizie e amori persi ormai di vista. <span><a name='more'></a></span></div><div style="text-align: justify;">Tali piccoli comportamenti, che
possiamo facilmente mettere in relazione con il desiderio di possesso, sono in egual misura legati alla
colpevolezza, se l’oggetto è perduto, alla cupidigia, se l’oggetto è ricercato, e alla repulsione, se
dell’oggetto si ha la preoccupazione di volersi sbarazzare per sempre. </div><div style="text-align: justify;"><b>Carl Gustav Jung</b>, che ricollegava il concetto di perdita a una purificazione, un giorno scrisse che la vita non
può essere, in alcun modo, pura rassegnazione e malinconica contemplazione del passato. Ecco, quindi, che
quel cassetto andrebbe utilizzato, sì, ma solo per portare a compimento la nostra vita nel migliore dei modi.
“<i>La vita non vissuta accumula rancore verso di noi</i>”, scriveva inoltre il filosofo svizzero, ed è in questa
semplice frase che possiamo trovare la giusta chiave di lettura dell’ultima fatica di <b>Luigi Parisi</b>. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiHro5_DLGYYzx-Y0DUq7RCAjy1HyRoaHrQzL42iJ790W1IBwkZ3DFmzBryEhpntWzrbCCfeAeIRsK2_jFDLu-h3SP1NtwpdhGchHvhc5VKeFxUFFcyZSty4Yc-4zBE738T-GMimH1vgunc-7jZCYiZRHZsBtpwuZsUqTzVyjsJBL3ksHbPZRHAnc0QLNtQ/s600/LCP%20still%2010.png" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="272" data-original-width="600" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiHro5_DLGYYzx-Y0DUq7RCAjy1HyRoaHrQzL42iJ790W1IBwkZ3DFmzBryEhpntWzrbCCfeAeIRsK2_jFDLu-h3SP1NtwpdhGchHvhc5VKeFxUFFcyZSty4Yc-4zBE738T-GMimH1vgunc-7jZCYiZRHZsBtpwuZsUqTzVyjsJBL3ksHbPZRHAnc0QLNtQ/s16000/LCP%20still%2010.png" /></a></div>Non credo sia necessario presentarvi per l’ennesima volta <b>Luigi Parisi</b>. Già molte volte in passato i suoi
lavori sono stati presentati, spesso in anteprima esclusiva, qui sul blog, e tra questi mi piace giusto
ricordare, ogni volta che ne ho l’occasione, il cortometraggio “<i>Mirror Midnight</i>”, realizzato da Luigi sulla
base della lettura di un raccontino che il sottoscritto aveva scribacchiato eoni fa. </div><div style="text-align: justify;">“<i>Le cose perdute</i>”, di cui vi avevo anticipato il trailer nel giugno dello scorso anno, è un piccolo gioiello che
ben si adatta all’imminente notte di Halloween, indiscutibilmente la notte più creepy dell’anno, non solo
per chi questa simpatica ricorrenza l’ha inventata, ma anche per tutti noi che l’abbiamo adottata. </div><div style="text-align: justify;">Magnificamente interpretato da <b>Maria Letizia Gorga</b> e <b>Margherita Remotti,</b> l’ultimo progetto firmato
<i>Darkside Entertainment</i> è impreziosito da un gemellaggio con la produzione <i>Vivi la Vita srl</i> e l’agenzia
<i>BMore Management</i>. Prodotto da <b>Cecilia C. Maesano Monorchio</b> e <b>Nando Moscariello</b>, “<i>Le cose perdute</i>”
narra le vicende della ricca Alma Sorvino, che riceve nella sua prestigiosa dimora (le location sono gli interni
dello storico Palazzo Brancaccio a Roma) una giovane donna che risponde al nome di Jenna Wilson. La
Wilson, oltre a essere un’insegnante di inglese, ha anche una “singolarità”: il dono di poter ritrovare le cose
perdute (da cui il titolo del film!). Nonostante lo scetticismo della Sorvino, la sensitiva metterà in atto un
rituale esoterico per poter ritrovare un oggetto celato all’interno della villa: un piccolo, prezioso diario. In
una notte temporalesca il rito prende vita sotto gli occhi atterriti della padrona di casa e Jenna Wilson,
attraverso la magia del pendolino, è certa di poterlo portare alla luce. Ci riuscirà davvero…? </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg9Jm5SvWKC7W4HTMXo4RUSDcVf0v3zhOGxRga8KlXzwj_U-257se2EQZNJNNfkI9UBt92vss_MigiA051Sk-Rw_UkQSDitnDs7COXcdlpmuN0NWVBJRkkmvorq6hSQ5_6P1CAnot3nh69VnHTtIrrma7CSchb2MIm_ZxfeTArT5qwUpig9X4vk9itZ_0BN/s600/LCP%20still%2009.png" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="264" data-original-width="600" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg9Jm5SvWKC7W4HTMXo4RUSDcVf0v3zhOGxRga8KlXzwj_U-257se2EQZNJNNfkI9UBt92vss_MigiA051Sk-Rw_UkQSDitnDs7COXcdlpmuN0NWVBJRkkmvorq6hSQ5_6P1CAnot3nh69VnHTtIrrma7CSchb2MIm_ZxfeTArT5qwUpig9X4vk9itZ_0BN/s16000/LCP%20still%2009.png" /></a></div>Non posso ovviamente raccontarvi il resto, ma posso solo indicarvi che laggiù, in fondo a questo articolo,
c’è il tasto Play che vi aspetta e vi permetterà di scoprire da soli il seguito. La mia raccomandazione, come
al solito, è di attendere il tramonto. “<i>Le cose perdute</i>”, per carità, è perfettamente godibile anche in pieno
giorno, soprattutto in queste piovose ore, ma la notte con le sue ombre, i suoi rumori indefinibili, gli
scricchiolii dei mobili e le foglie che sbattute dal vento si infrangono sui vetri delle finestre, non può che
essere un ingrediente essenziale per i vostri brividi. </div><div style="text-align: justify;">E di brividi, ve lo assicuro, ce ne saranno parecchi. Sarà
una tensione continua dal primo all’ultimo fotogramma; un’ansia, quella che proverete, che non vi
abbandonerà nemmeno dopo i titoli di coda.
Splendidamente fotografate dal Maestro <b>Nino Celeste</b> (<i>La Piovra</i>), le atmosfere del film si dipingono della
calda e tremula luce delle candele, sorprese dal frenetico lampeggiare del maltempo. “<i>E’ la prima volta che
dispongo di una piccola ma straordinaria troupe per un corto</i>” - afferma <b>Luigi Parisi </b>- “<i>di solito, mi occupo io
di tutto. Per la fotografia di questo progetto mi sono avvalso della collaborazione di un grande
professionista che ha all’attivo centinaia di film, operando sui set di grandi registi: Pasolini, Fulci, Bava,
Damiani, Lizzani, Risi, Cavani, tanto per citarne alcuni. Io e Nino</i> (Celeste n.d.r.) <i>siamo molto amici e da
tempo sognavamo di fare qualcosa insieme. Finalmente con “Le Cose Perdute” si è presentata l’opportunità
perfetta!</i>” </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjvvcHOVYDYWcePEZiOdeLV74UXVk0ycln0yNzLuC2E9Hv3KN-wQzeyonPEQOeJvc5Jo6fX2EqWs7JYSGKT5-91g3yfnP-S3wm6G6a514EvuUkFgoWpy5iK1Y_at1ezUSmFf5r8hkOieKam2Sr9yGvmYgi1rrQojM5Qnvq3oMrlL_YWftDlS0wSLMCq25E0/s600/20220430_105206.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="270" data-original-width="600" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjvvcHOVYDYWcePEZiOdeLV74UXVk0ycln0yNzLuC2E9Hv3KN-wQzeyonPEQOeJvc5Jo6fX2EqWs7JYSGKT5-91g3yfnP-S3wm6G6a514EvuUkFgoWpy5iK1Y_at1ezUSmFf5r8hkOieKam2Sr9yGvmYgi1rrQojM5Qnvq3oMrlL_YWftDlS0wSLMCq25E0/s16000/20220430_105206.jpg" /></a></div>Un altro motivo per non perdere "<i>Le cose perdute</i>" è anche l'inedita partecipazione di attori totalmente
professionisti, come le splendide <b>Maria Letizia Gorga</b> e <b>Margherita Remotti</b>, rispettivamente nei ruoli di
Alma Sorvino e Jenna Wilson. La prima ha nel suo curriculum numerose produzioni teatrali, tra cui
Pirandello, Brecht, Basile e Camus, numerose produzioni televisive e altrettanto numerose apparizioni sul
grande schermo, tra cui “<i>Youth</i>” (2015) di <b>Paolo Sorrentino</b>, dove ha lavorato al fianco di gente come
Michael Caine, Rachel Weisz, Harvey Keitel e Jane Fonda. La seconda ha portato sul palco, tra gli altri,
Tennessee Williams, Edgard Lee Masters, Robert Louis Stevenson, William Shakespeare e August
Strindberg. Numerose sono anche le produzioni televisive, mentre al cinema ha lavorato fianco a fianco con
Christopher Lambert, Remo Girone e Franco Nero. L’ultima sua fatica è “<i>Fata Morgana. A Hallucination
from the Mad Sensational Life of Nico</i>”, un One Woman Show ideato, scritto e interpretato da lei stessa
che, dopo i consensi ricevuti a Londra, Edimburgo e Milano, sarà in scena al Teatro Lo Spazio di Roma i
prossimi 4 e 5 novembre. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b>Luigi Parisi </b>Luigi Parisi è un regista con esperienza venteennale con lavori realizzati e distribuiti attraverso i principali network-broadcaster italiani ed esteri. È film-director, storyboard artist e know-hower di effetti speciali scenici, ottici e digitali. Ha lavorato nel campo musicale, nella moda, nei commercials, in film TV e serie di successo. Ha maturato considerazione come professionista per RTI-MEDIASET, TMC, RAI. È il regista della saga “<i>L’Onore e il Rispetto</i>”, venduta in oltre settanta paesi nel mondo, delle serie “<i>Il Bello delle Donne</i>” (co-diretta con M.Ponzi e G.Soldati), premiata con il Telegatto, regista delle serie “<i>Il Peccato e la Vergogna</i>”, menzionata al Roma Fiction Festival di Roma, e di “<i>Caterina e le sue Figlie</i>”, acquistato come format in Francia. Attraverso le sue opere ha diretto diversi artisti di calibro nazionale ed internazionale: Paul Sorvino, Ben Gazzara, Angela Molina, Tony Musante, Maria Schneider, Hanna Shygulla, Eric Roberts, Carol Alt, Marisa Berenson, Burt Young, Patricia Millardet, Florinda Bolkan, Virna Lisi, Giuliana De Sio, Giancarlo Giannini, Lina Sastri, Stefania Sandrelli. Ha sostenuto docenze di tecnica e grammatica della Regia presso CINEMALAB ideato e prodotto con Cecilia C. Maesano Monorchio e dell’accademia Action Academy di N. Moscariello e M. Grazia Cucinotta e presso il Conservatorio Teatrale del Maestro G.B. Diotaiuti. </div><div style="text-align: justify;">Oggi però i riflettori sono tutti per “Le cose perdute”, il suo ultimo cortometraggio horror che potete, sempre che ne abbiate il coraggio, ammirare proprio ADESSO!</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div style="text-align: center;"><b><span style="color: #fcff01; font-size: large;">Signore e signori, ecco a voi</span></b></div><div style="text-align: center;"><span style="color: #fcff01; font-size: x-large;"><b>LE COSE PERDUTE!</b></span></div><div><br /></div><div>Nota: per evitare di fare casino, ho preferito lasciare il corto sotto password, per cui mi perdonerete se dopo aver cliccato sul link Vimeo sarete costretti a digitare, senza spazi, la password che trovate qui sotto:</div><div><br /></div><div style="text-align: center;"><b><span style="color: #fcff01;">Password:</span></b></div><div style="text-align: center;"><b><span style="color: #fcff01; font-size: medium;">Wilsonjenna.329</span></b></div><div><br /></div><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://vimeo.com/manage/videos/824364934" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;" target="_blank"><img border="0" data-original-height="263" data-original-width="600" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhDtdSfw4aKtys3P6WudT2tx7WDOSeLQG17xVQGi_d7x6LPYbuOdlKmhQ9_sBlgCt8lwVRpe_oZGXOPSfdWcgPRKeJeTeQit7yCz6-uUBnISw99ekPeGp4IsN3XjuJFNHv72B7MJckpth281YywUzkH0PWRYdylvSX_SHDtfG1P5H2_4vc3LIanq2LguNT2/s16000/lecoseperdutesipario.JPG" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><i><a href="https://vimeo.com/manage/videos/824364934">https://vimeo.com/manage/videos/824364934</a></i></td></tr></tbody></table><div><br /></div></div>Obsidian Mhttp://www.blogger.com/profile/00077330887101732002noreply@blogger.com25tag:blogger.com,1999:blog-7447467916007164549.post-36214775782585840232023-10-27T07:30:00.609+02:002023-10-27T07:30:00.145+02:00Qualcosa di Halloween sta per accadere (non oggi, ma quasi)<div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhte7LBwGDyVAFWxwmp3DoU9Py510tOBTum4vIvMEfdzaN7ThDYDwQ7e_a8hTXY7XOmPOY5ZBfPwc0lO4GOAJTqUaKgs1ZhNAbpAw0Zeyefz62T1foCkSaeiYKsL3Jblt_sd8rkz1dLTeL25UWKG3CGa6yHoa25N_Z61rLtk6peu9SSRaRiQmbG-0hIXREu/s960/somethingspooky.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="960" data-original-width="960" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhte7LBwGDyVAFWxwmp3DoU9Py510tOBTum4vIvMEfdzaN7ThDYDwQ7e_a8hTXY7XOmPOY5ZBfPwc0lO4GOAJTqUaKgs1ZhNAbpAw0Zeyefz62T1foCkSaeiYKsL3Jblt_sd8rkz1dLTeL25UWKG3CGa6yHoa25N_Z61rLtk6peu9SSRaRiQmbG-0hIXREu/s320/somethingspooky.jpg" width="320" /></a></div>Mancano pochi giorni ad Halloween. Anzi, si può dire che ormai, tolto il weekend che vola via in un attimo, mancano una manciata di ore. Chissà se là fuori qualcuno si starà chiedendo se, per puro caso, <i>"The Obsidian Mirror"</i> avrà intenzione di ribadire la sua fama di "somministratore di cose horror" in occasione della notte più spooky dell'anno? Se state leggendo questo articolo probabilmente la risposta ve la sarete già data, altrimenti non starete leggendo nulla. </div><span style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Ebbene sì, anche quest'anno il vostro amichevole Obsy di quartiere non mancherà di proporvi un bel menu, che farà a pezzi la vostra serenità costringendovi ad agghiaccianti e interminabili notti di terrore, nel corso delle quali resterete paralizzati da ogni piccolo rumore in soffitta, da ogni scricchiolio del legno, da ogni sussurro del vento fuori dalla finestra e, la cito per ultima ma è la più terribile, da ogni strana manovra del vostro gatto nella lettiera. Se poi sarete così incauti dal gustare i piatti che vi ho preparato dopo il calare delle tenebre, beh, il vostro equilibrio mentale non sarà più recuperabile. <span style="text-align: left;">Ma tutto ciò non accadrà oggi, per cui rilassatevi che avete ancora qualche giorno di tempo. Oggi è solo il giorno in cui viene rivelato il menù di Halloween! <span><a name='more'></a></span></span></div></span></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div>E cosa succede di solito ad Halloween su questo blog? Risposta quasi scontata: torna <b>Luigi Parisi</b> con il suo ultimo capolavoro horror in formato short! E non dite che è una sorpresa, perché solo qualche tempo fa (ora che ci penso, un bel po' di tempo fa), i più attenti di voi si erano già gustati in anteprima assoluta <a href="https://insidetheobsidianmirror.blogspot.com/2022/06/aspettando-le-cose-perdute.html" target="_blank">il trailer</a> de "<i>Le cose perdute</i>", l'ultima fatica (che oggi non è più l'ultima, ma ai tempi lo era), del regista italiano più sorprendente del secolo (ecco, qui forse ho un tantino esagerato). </div><div style="text-align: justify;">In questi ultimi mesi, dopo essere stato completato e impacchettato, "<i>Le cose perdute</i>" si è fatto tutto il suo bel giro tra i vari festival del fantastico d'Italia e del mondo, ricevendo un po' ovunque applausi spelladita, e finalmente può ritenersi pronto per essere mostrato al grande pubblico. Ovviamente transitando da Obsidian Mirror, perché le vecchie abitudini vanno mantenute!</div><div style="text-align: justify;">L'appuntamento con "<i>Le cose perdute</i>" è quindi fissato il prossimo 31 ottobre. Vi raccomando di non mancare, anche perché in quest'occasione, Luigi Parisi si avvale dell'inedita collaborazione di attori totalmente professionisti. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Ma fermi tutti! Mica è finita qui. Subito dopo Halloween, diciamo una settimana dopo o giù di lì (quando in pratica tutti pensano di essersela scampata), "<i>The Obsidian Mirror</i>" replica con un secondo short horror ugualmente devastante! Questa volta si tratta di un nome totalmente nuovo da queste parti, una persona che ho incontrato casualmente l'anno scorso in una live e che mi ha sottoposto un piccolo "horror esistenziale" (non mi viene in mente un altro modo per definirlo) dal titolo "<i>Tregenda</i>". E no, non è una semplice storia di streghe e demoni danzanti attorno al fuoco (si, in parte lo è, ma non solo questo), ma è qualcosa che vi farà venir voglia di tornare a ripescare, ma con un occhio diverso, un paio di libri che sicuramente avrete letto secoli fa, forse addirittura ai tempi della scuola. Nell'attesa che la verità venga rivelata, tenetevi bene a mente questo nome: <b>Giuseppe Coppola</b>. Sentirete sicuramente parlare ancora di lui.</div>Obsidian Mhttp://www.blogger.com/profile/00077330887101732002noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-7447467916007164549.post-69458976542157767342023-10-23T07:30:00.072+02:002023-10-23T07:30:00.142+02:00Enjoy the silence<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;"><span style="text-align: left;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj4ISrD4Zas2TSPL8-Jk8E8AiDaB4T5UC581Mqj9y9GSlOJlDvoOFIrQnEoqa3zOGj2gHyXx8f0yFIyll4GAFjLo-v26BpMjN9SvCiw7HmdrlTeO1CI0Y73_uapXSd1F84V5CuXvx2mWx8hXa_alZc_M1WcjldYYz9Sdfyr0su2jDe3HilActZwhyWdSx4L/s500/enjoysilence.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="500" data-original-width="313" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj4ISrD4Zas2TSPL8-Jk8E8AiDaB4T5UC581Mqj9y9GSlOJlDvoOFIrQnEoqa3zOGj2gHyXx8f0yFIyll4GAFjLo-v26BpMjN9SvCiw7HmdrlTeO1CI0Y73_uapXSd1F84V5CuXvx2mWx8hXa_alZc_M1WcjldYYz9Sdfyr0su2jDe3HilActZwhyWdSx4L/w250-h400/enjoysilence.jpg" width="250" /></a></div>L’opera di cui andremo a parlare oggi, il cui titolo strizza l’occhio ad una vecchia canzone synth pop, non è
un romanzo, e forse nemmeno un racconto. Sono una cinquantina di pagine mal contate che potremmo
intendere come una raccolta di appunti sparsi o forse, ancor meglio, come un piccolo tutorial, una specie di
“manuale di istruzioni per principianti della vita”. Nulla di universale come ciò che fece </span><b style="text-align: left;">Georges Perec</b><span style="text-align: left;">, che
proprio su un manuale di istruzioni costruì la sua notorietà, ma un “manuale”, quello di </span><b style="text-align: left;">Marta Dieffe</b><span style="text-align: left;">,
destinato prevalentemente a un target di giovanissimi, e non necessariamente femminile.</span></div><div style="text-align: justify;">Cosa c’entro quindi io, vi starete chiedendo, che l’adolescenza l’ho vissuta in un secolo ormai terminato?
Beh, diciamo che quella di tentare un articolo è una specie di sfida con me stesso. Una sfida nella quale un
membro della cosiddetta Generazione X (uno tra i primi, tra l’altro, a potersi fregiare di questo, sempre più
scomodo, titolo) cerca di rintracciare delle similitudini tra la sua esperienza personale e quella di chi è
venuto al mondo giusto quella manciata di decenni più tardi. Avrei forse fatto prima a osservare i miei
nipoti, con tutte le loro insicurezze e le loro piccole manie, ma certamente, mi sono detto, non avrei potuto
aprire certe porte che, di regola, a uno zio sono giustamente precluse (non che ve ne fosse bisogno, visto
che probabilmente sono le stesse porte che io stesso mi indaffaravo a tener sigillate). <span><a name='more'></a></span></div><div style="text-align: justify;">Un testo scritto,
tuttavia, specie se posto sotto forma di autoanalisi, e realizzato da una completa sconosciuta, qualche
sguardo oltre la soglia potrebbe consentirmelo, e così eccomi qua. Com’è andata? Non benissimo, visto che
le mie idee sono ancora piuttosto confuse, ma bene, per i motivi che vi spiegherò alla fine. Per il momento
posso solo dirvi che “<i>Enjoy the Silence</i>” è stato in grado di confermarmi che non sono le generazioni ad
essere diverse le une dalle altre, e questo in parte mi era già chiaro, ma sono solo le scenografie entro le
quali esse si muovono a cambiare vorticosamente. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Una sera di ottobre mi accingo quindi ad aprire il mio reader e a immergermi in “<i>Enjoy the Silence</i>” guidato
da un impulso di curiosità mista a sospetto. Il testo è presentato sotto forma di diario, un diario che Penny,
la protagonista, inizia a scrivere alla vigilia della scuola media e porta avanti tra mille incertezze per una
ventina d’anni. La tecnica a scansione temporale diaristica non è affatto nuova in letteratura e, anzi, alcune
tra le opere più importanti dell’ultimo secolo sono divenute tali proprio per l’aver utilizzato tale tecnica. Mi
riferisco, giusto per portare qualche esempio noto, ad Anna Frank o a Primo Levi, ma non vanno dimenticati
i diari di Cesare Pavese, Thomas Mann, Franza Kafka, Robert Musil, Sibilla Aleramo, Virginia Woolf, Anaïs
Nin e chissà quanti altri che al momento mi sfuggono. I diari di Marta, o meglio quelli della sua alter-ego
letteraria, sono ovviamente lontani anni luce, ma non siamo qui per una gara, per cui li prendiamo per
quello che sono e ce li ficchiamo in tasca nel bene e nel male. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjn5w5q9SbspG4eL5oVEW1_bztv-yIckmwwJDX37VN77PN-Fgj6FNc9qsIJVkztMd4z32igWq2jpuSn7CX72Dvk7THd3_p3fl6EX18Q3nFrlHFJ2m_K4imjeJOanDLmqx7I0Ac9v2mVo4AB2szGMgyCS_wTTLkQv6FHSOs5oeNe8VI7WrrxnHFXeIKXKiyO/s600/diary.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="337" data-original-width="600" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjn5w5q9SbspG4eL5oVEW1_bztv-yIckmwwJDX37VN77PN-Fgj6FNc9qsIJVkztMd4z32igWq2jpuSn7CX72Dvk7THd3_p3fl6EX18Q3nFrlHFJ2m_K4imjeJOanDLmqx7I0Ac9v2mVo4AB2szGMgyCS_wTTLkQv6FHSOs5oeNe8VI7WrrxnHFXeIKXKiyO/s16000/diary.jpg" /></a></div>La scelta della forma diaristica, tuttavia, mi sorprende: ritenevo che il concetto stesso di diario fosse ormai
ampiamente superato a favore di altri mezzi nei quali riporre i propri pensieri. Già negli ultimi decenni del
secolo scorso, ricordo, il diario era qualcosa di mitologico che nessun adolescente avrebbe mai osato
rispolverare (se non in totale segretezza, pena la completa riprovazione sociale). Mi trovo quindi del tutto
spiazzato nell’accingermi a leggerne uno scritto oggi, e dall’impasse non vengo fuori se non convincendomi
che altro non sia che una soluzione artistica come un’altra. </div><div style="text-align: justify;">La scrittura dell’autrice del diario appare subito
incerta e telegrafica. I primi anni vengono liquidati via in fretta, in poche righe, al punto che ci si chiede
perché si parta da così lontano. Ciò che segue non è da meno: la protagonista inizia l’anno scolastico,
incontra qualcuno, si prende, si molla e l’anno scolastico finisce senza nessun dettaglio su quello che c’è
stato in mezzo. Eppure qualche spunto interessante c’è, come la differenza d’età in amore o il classico
tradimento da parte dell’amica del cuore (ah, come poco sono cambiate certe dinamiche!).
Ammetto di essere stato più volte tentato d’interrompere la sterile (almeno in apparenza) lettura, ma
qualcosa mi diceva che dovevo continuare e così ho fatto. La domanda che mi stavo ponendo, per inciso, è
se “<i>Enjoy the Silence</i>” fosse solo una bella copertina con il nulla dentro o se fossi magari io ad essere
“sbagliato”. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Continuo quindi a leggere. La protagonista accenna rapidamente a quello che sembra essere un
tentativo di stupro andato storto e da quel momento inizia la sua discesa negli inferi dell’anoressia,
dell’alcolismo e del (tentato) suicidio, ma io lettore ancora non riesco né a provare alcun trasporto, né a
immedesimarmi in lei, come feci per esempio ai tempi di <b>Christiane F</b>., altra celebre creatura borderline
anni Settanta. </div><div style="text-align: justify;">Penny, la protagonista di “<i>Enjoy the Silence</i>”, non si sforza affatto di rendere piacevole la
lettura del suo diario, anche perché, correttamente, il diario non è destinato a quello scopo. Anzi, ripete
pedissequamente formule strabusate come “<i>imbottirsi di farmaci</i>” (ne ho contate almeno una decina),
segnale evidente di un vocabolario, quello di Penny, piuttosto limitato.
Attenzione però a non confondere lo stile di quest’ultima con quello dell’autrice, ed è proprio su questo
sottile e pericolosissimo filo di rasoio che si muove <b>Marta Dieffe</b>. Eh già, perché come accennato in
precedenza, la lettura di “<i>Enjoy the Silence</i>” ha rischiato più volte di venire abbandonata proprio a causa di
quel lessico così essenziale, e a tratti irritante, che da me, come immagino da molti altri, è stato ritenuto in
prima battuta appartenere a chi le parole le ha messe in bocca alla protagonista.
E nemmeno ci sarebbe da stupirsi, considerata la mole di immondizia che sommerge il variegato mondo
delle autopubblicazioni, ma ecco invece che arriva il delizioso twist che mi fa ricredere, e arriva, badate
bene, oltre la parola fine. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjmFxYdI7e3Jyv3HkszOiMYUmWJKPTIwdfceKLjMyWBW4naTU79v7W8sGzH9wtZTwpN91pvegS0R_lCgvr8cWEUFS7KBLWWJ_7m58t0-TFuE6q3fjZ5TCjkfqu20FVauJbC4ZzPmH4kZt0Hts30hqow4yr5x0gqFY-D0hyphenhyphenRXkHgdD8mqfMtjwQyZKp9socK/s600/whisky.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="300" data-original-width="600" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjmFxYdI7e3Jyv3HkszOiMYUmWJKPTIwdfceKLjMyWBW4naTU79v7W8sGzH9wtZTwpN91pvegS0R_lCgvr8cWEUFS7KBLWWJ_7m58t0-TFuE6q3fjZ5TCjkfqu20FVauJbC4ZzPmH4kZt0Hts30hqow4yr5x0gqFY-D0hyphenhyphenRXkHgdD8mqfMtjwQyZKp9socK/s16000/whisky.jpg" /></a></div>È nel momento delle postfazioni, o dei ringraziamenti finali, che <b>Marta Dieffe</b>
cala la maschera e inizia a parlare con la sua voce, con la proprietà di linguaggio che ovviamente ci si
aspetta da lei, con l’irruenza di una figlia dei suoi anni, con la lucidità di chi si rivolge a un pubblico
complesso ed eterogeneo, e con il coraggio di una ragazza che ha indiscutibilmente scelto la strada più
impervia per entrare nel burrascoso mondo dell’editoria.
Prima di chiudere proviamo però a rispondere all’annosa questione che mi ero posto all’inizio: può “<i>Enjoy
the Silence</i>” essere definito un ritratto delle nuove generazioni, a uso e consumo dei vecchietti che vogliono
provare a capirci qualcosa? </div><div style="text-align: justify;">La risposta è ovviamente no. Ed è no per almeno un paio di buoni motivi: il
primo è che, come detto, non c’è alcuna differenza apprezzabile tra la mia generazione e quest’ultima.
Entrambe apparteniamo a un’epoca, quella emersa dai fermenti del Sessantotto, in cui in cui i giovani
hanno assunto una nuova autorità all’interno della comunità, una comunità dove le dinamiche di
apprendimento sono bidirezionali (gli adulti danno e ricevono allo stesso tempo) e non più, con la sola
eccezione di piccole comunità a carattere religioso e ideologico, dipendenti da quegli eterni e immutabili
schemi del passato. La seconda ragione è che, come lo fu <b>Christiane F</b>. o l’anonima protagonista di “<i>Alice, i
giorni della droga</i>”, anche Penny non è rappresentativa di una generazione. Penny è una persona debole,
esattamente come lo furono le sue “antenate” letterarie (solo si affida a sballi diversi), ma non può che
essere un’eccezione alla regola.</div><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;"><b>Marta Dieffe</b>, nome d’arte di Martina Di Franco, di origini calabresi ma romagnola di adozione, ha 35 anni
e coltiva la scrittura sin dagli anni della scuola, nel corso dei quali già aderiva con entusiasmo ai più svariati
concorsi letterari. “<i>Enjoy the Silence</i>” nasce su Facebook una decina di anni fa, sotto forma di piccoli ma
calibrati “assaggi”, e diventa solo oggi qualcosa di veramente concreto (lo trovate, come spesso accade, su
<a href="https://www.amazon.it/Enjoy-silence-Marta-Dieffe-ebook/dp/B0BYPKXX9S" target="_blank">Amazon</a>. Se volete seguire
Martina la trovate invece, un po’ come il prezzemolo, dappertutto sul web (partendo da <a href="https://linktr.ee/ladymartina" target="_blank">qui</a>).</div>Obsidian Mhttp://www.blogger.com/profile/00077330887101732002noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-7447467916007164549.post-27456022903153710052023-10-16T07:30:00.001+02:002023-10-16T07:30:00.144+02:00The Memoirs of Dr. Carcosa Laveau<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhDiS_ZEnA0HC2ROfT1nBOFGg3T5acpuyg82p8N4qLjNpRcLgcy7zpBjeOsq4NlH6cZ_hjd-rwp24TzQnvBkYwDZ7-D3xY1iJd3Vj43FWx1JVN0XIBZXEmdz62My13jdmXI6fQJXdnvH02UxDKl3AmStQUr5B02Tby7O7q9rOnobTZeSruNVZqscHFXXlaI/s595/drcarcosacover.JPG" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em; text-align: justify;"><img border="0" data-original-height="595" data-original-width="377" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhDiS_ZEnA0HC2ROfT1nBOFGg3T5acpuyg82p8N4qLjNpRcLgcy7zpBjeOsq4NlH6cZ_hjd-rwp24TzQnvBkYwDZ7-D3xY1iJd3Vj43FWx1JVN0XIBZXEmdz62My13jdmXI6fQJXdnvH02UxDKl3AmStQUr5B02Tby7O7q9rOnobTZeSruNVZqscHFXXlaI/w254-h400/drcarcosacover.JPG" width="254" /></a></div><div style="text-align: justify;">Sono più o meno dieci anni che parlo di <b><a href="http://insidetheobsidianmirror.blogspot.com/p/yellow-mythos.html" target="_blank">Yellow Mythos</a></b> su questo blog e mai avrei creduto di
trovare qualcosa di così bizzarro. Sono stato a lungo anche piuttosto combattuto circa l’opportunità
di scrivere quest’articolo, ma visto che in passato ho scritto robe anche più inutili, mi sono detto
“perché no?”, e così ho fatto. Prima di entrare nel cuore della questione, è forse però opportuno un
piccolo riassunto. Dopo tante parole spese sull’argomento, sappiamo tutti ormai abbastanza bene,
anche se ci piace far finta che sia il contrario, che il mitologico “<i>The King in Yellow</i>” non è altro
che un’espediente trovato da <b>Robert W. Chambers</b> per rendere più efficace la sua omonima
antologia di racconti. Nulla di male, visto che molti altri Autori avrebbero seguito il suo esempio in
un periodo successivo, millantando l’esistenza dei più svariati <i>pseudobiblium</i> (*). Addirittura, la
pratica divenne talmente diffusa che a un certo punto uno di essi si rese conto di come fosse
necessario un pubblico chiarimento (**). Noi ci divertiamo lo stesso a indagare sul “<i>Re in giallo</i>”, nella vana (o forse sarebbe meglio dire
“incosciente”) speranza che esso sia qualcosa di più di una completa invenzione. I presupposti ci
sono, o meglio, li abbiamo intravisti, così come intravediamo i sempre più deboli raggi di sole in
queste prime giornate autunnali. </div><div style="text-align: justify;"><span><a name='more'></a></span></div><div style="text-align: justify;">Tanto è stato detto e scritto qui sul blog sui personaggi che si muovono sulla scena e nelle località
che fanno da sfondo alle vicende descritte nel fantomatico testo. Abbiamo rivoltato come guanti i
racconti del ciclo canonico e abbiamo analizzato e cercato di interpretare decine di racconti
successivi che, nell’arco di decenni, altri autori hanno scritto, tentando di portare il loro personale
contributo alla mitologia, ampliandone i confini fino a confonderli, ma nonostante i nostri sforzi,
tutto ciò che abbiamo messo insieme è ancora ben poco. Abbiamo piuttosto compreso che non è
importante la quantità di materiale che si riesce a leggere sul “<i>Re in giallo</i>”, bensì l’opportunità che
da essa deriva di trovare il giusto bandolo della matassa, in un ginepraio di conferme e smentite da
far diventar matti. Un esempio su tutti è l’identificazione di <b>Hastur</b> ora con un luogo, ora con un
personaggio, ora di nuovo con un luogo. Lo stesso <b>Lovecraft</b>, altro grande specialista di
<i>pseudobiblium</i>, nel suo racconto “<i><a href="https://insidetheobsidianmirror.blogspot.com/2016/07/the-whisperer-in-darkness.html" target="_blank">The Whisperer in Darkness</a></i>” posizionò Hastur esattamente a metà
di un lungo elenco di luoghi e personaggi, cosicché sarebbe stato lo stesso suo lettore a dover
decidere a quale categoria assegnarlo. Pare invece non ci siano mai stati
dubbi sulla natura di <b>Carcosa</b>: essa è certamente un luogo, anche se la sua posizione nello spazio e
nel tempo è certamente fonte di discussione. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b>Carcosa</b>, come ormai sappiamo, fu citata per la prima volta nel racconto di <b>Ambrose Bierce</b> “<i><a href="http://insidetheobsidianmirror.blogspot.it/2013/09/un-cittadino-di-carcosa.html" target="_blank">AnInhabitant of Carcosa</a></i>” (1886), e in tal contesto venne descritta come un’antica e misteriosa città,
visitata dal narratore solo dopo la sua distruzione. Il termine <b>Carcosa</b> fu successivamente ripreso e
ampliato da <b>Robert W. Chambers</b> nella sua antologia “<i>The King In Yellow</i>”, senza tuttavia
aggiungere molte informazioni circa la sua esatta natura: nei suoi racconti e nell'opera apocrifa
(intitolata anch’essa “<i>The King In Yellow</i>”) la città è un luogo misterioso, antico e forse maledetto,
adagiato sulle sponde dell’altrettanto misterioso <b>lago Hali</b>, ma la cui effettiva ubicazione è difficile
da determinare, ammesso che abbia effettivamente un'unica ubicazione. L’opera non è infatti
nemmeno molto chiara sulla realtà fisica di <b>Carcosa</b>: potrebbe esistere su questa Terra, su un altro
pianeta o all'interno di un diverso piano dimensionale, come suggerirebbe la singolarità della luna
che transita davanti alle torri delle città invece che dietro di esse. Data la natura aliena dei soli (ve
ne sarebbero due) e delle stelle (sarebbero nere) si potrebbe dedurre che <b>Carcosa</b> non sia di questa
Terra, e la sua associazione con le <b>Iadi</b> non farebbe che confermarlo. Tuttavia, il racconto di Bierce
collocava le rovine della città su un pianeta da cui si potevano vedere le Iadi nel cielo notturno, il
che implicherebbe che quella fosse la Terra. In entrambi i casi il contesto temporale è certamente
successivo al periodo classico, dato che il termine <b>Iadi</b> deriva dalla mitologia greca. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgbZ2DBzwBqbiSCzTtJGPbrBWhM5kQ1FG9S2RCCVfCwsOrVNaoX4hYiDsm3-XbY6wVAIMy-m_lKrXVE5cAsOYM1EjcUf0V20OaaAalXQP2m3zkipqh6aDWX3WsaCvS47QtmUlF2E3rUZi8ut3DFBAeYUBl8rREDlTGDi2h-eyf9Y1zOJYKezuBV00faJQcM/s617/lesreves2.JPG" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="617" data-original-width="406" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgbZ2DBzwBqbiSCzTtJGPbrBWhM5kQ1FG9S2RCCVfCwsOrVNaoX4hYiDsm3-XbY6wVAIMy-m_lKrXVE5cAsOYM1EjcUf0V20OaaAalXQP2m3zkipqh6aDWX3WsaCvS47QtmUlF2E3rUZi8ut3DFBAeYUBl8rREDlTGDi2h-eyf9Y1zOJYKezuBV00faJQcM/w264-h400/lesreves2.JPG" width="264" /></a></div>Sorprende scoprire quindi che, sebbene raramente, il termine <b>Carcosa</b> sia stato anche utilizzato per
identificare un personaggio.
<b>Alan Moore</b>, nella miniserie a fumetti “<i>The Courtyard</i>” (2003), vede un agente dell'FBI indagare su
una serie di omicidi rituali. La sua indagine lo porta in una discoteca dove scopre l’esistenza di una
droga psicoattiva spacciata da un misterioso uomo velato che risponde al nome di <b>Johnny Carcosa</b>.
Nel racconto “<i>Dark Tower Dream</i>” (2014), dello scrittore e poeta statunitense <b>Neal Wilgus</b>, il
narratore viene assunto per consegnare alla Torre Nera (***) "<i>un baule con una strana serratura e
simboli inquietanti su tutti i lati</i>". Seguendo una mappa che mostra il mondo com'era millenni prima
(****), giungerà a destinazione e gli verrà rivelato che in precedenza la Torre era uno splendente
castello dove governava un sovrano di nome <b>Krakosa</b>, ovvio mispelling della città hasturiana. </div><div style="text-align: justify;">Un terzo esempio, decisamente bizzarro, come scrivevo in apertura di articolo, è il breve racconto
“<i>The Memoirs of Dr. Carcosa Laveau</i>” di tale <b>Justin Hoffman</b>. Perché bizzarro? Perché l’utilizzo
di un personaggio ricollegabile agli <b>Yellow Mythos</b> sembrerebbe essere un espediente per spingere
le vendite di un pessimo manuale di auto-aiuto, uno di quei testi spazzatura che pretendono di
insegnare alla gente cose come “come parlare in pubblico” o “come essere più efficaci sul lavoro”.
Nella fattispecie, qui siamo davanti a un ebook autoprodotto il cui contenuto guiderebbe il lettore
nell’ottenimento di un generico “stato di felicità”, qualsiasi cosa voglia dire. Se lo cercate su
Amazon, oggi non lo troverete più (è stato oculatamente ritirato dalla piattaforma Kindle già da
qualche anno), ma se come me lo avevate comprato ai tempi senza leggerlo, e se come me lo state
facendo solo ora, vi ritroverete a rimpiangere quegli spiccioli, fossero anche 99c, che avevate speso. </div><div style="text-align: justify;">L’ipotesi “espediente di vendita” è confortata dall’esistenza di ben quattro diversi titoli con i quali il
medesimo testo è stato propinato al pubblico. Secondo Amazon la sua prima pubblicazione, sotto il
titolo di “<i>The Man in the Mirror Pt.1</i>”, risale al 12/3/2014; il giorno successivo viene pubblicato
“<i>The Memoirs of Dr. Carcosa Laveau</i>” (alias “<i>The Man in the Mirror Pt.2</i>”), il cui contenuto è
esattamente identico se non per una decina di pagine iniziali di cui andremo tra poco a parlare. In
seguito, rispettivamente il 12 giugno e il 9 agosto dello stesso anno, il testo viene riproposto con i
titoli di “<i>Achieve+Purpose!</i>” e “<i>Aristotele’s Fix!</i>”, edizioni caratterizzate da un’immagine di
copertina che tanto ricorda le vecchie figurine che, negli anni Settanta, si potevano trovare nei
fustini di detersivo (le potete visualizzare in fondo a questo articolo). Tra queste, l’edizione che ci
interessa è, come ovvio, quella con l’astuto riferimento agli <b>Yellow Mythos</b>, stratagemma che mi ha
fatto cadere, così come credo sia accaduto a molti altri, nella trappola tesa dall’autore. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgEnT2uWtKCEzoKyw1hkbdiE_H7_N4wa9w8lKWjGx8xp5bkJRR9zL-ywWnqdKadACVrIFgGBUZZTUdtZUnRRYahn-ZRb3fFR-yG36e-PEUhYYvqZLKgHxOsKrisbiZCrcM1s6HBZzdV5moiwRzYBxYhkU-7oNotl1rxpxIBnekefYnlsH1aEJh8c6AHJWa1/s559/lesreves.JPG" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="559" data-original-width="412" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgEnT2uWtKCEzoKyw1hkbdiE_H7_N4wa9w8lKWjGx8xp5bkJRR9zL-ywWnqdKadACVrIFgGBUZZTUdtZUnRRYahn-ZRb3fFR-yG36e-PEUhYYvqZLKgHxOsKrisbiZCrcM1s6HBZzdV5moiwRzYBxYhkU-7oNotl1rxpxIBnekefYnlsH1aEJh8c6AHJWa1/w295-h400/lesreves.JPG" width="295" /></a></div>“<i>The Memoirs</i>” è presentato come un diario, redatto da un anonimo traduttore che un giorno riceve
l’incarico di tradurre un antico testo francese del diciannovesimo secolo intitolato “<i>Les rêves et les
moyens de les diriger</i>” (ossia “<i>I sogni e i modi per controllarli</i>”). L’uomo si trasferisce quindi
dall’Ohio, dove vive, a New Orleans, dove trova alloggio in un hotel del quartiere francese, non
distante dal luogo in cui il giorno successivo dovrà ritirare “<i>Les rêves</i>” dalle mani di un tenente del
dipartimento di polizia. Il tenente in questione non si farà trovare all’appuntamento, ma troverà
comunque il modo di fargli avere “<i>Les rêves</i>” e un fascicolo della polizia riguardante il caso di una
persona scomparsa all’inizio degli anni Settanta, tale dottor <b>Carcosa Laveau</b>. Il libro, si viene a
sapere, era stato ritrovato nel corso di lavori di ristrutturazione dell’hotel Dauphine (guarda caso lo
stesso hotel dove l’anonimo narratore ha preso alloggio) e quindi consegnato alle autorità, in quanto
al suo interno erano stati trovati dei fogli vergati a mano, e ingialliti dal tempo, recanti proprio la
firma di quel <b>Carcosa Laveau</b>. Il compito del narratore sarebbe quindi quello di tradurre tutto il
traducibile, con la speranza, se ne deduce, che si trovi una pista che porti alla soluzione di quel
vecchio “cold case”. L’attività andrà rapidamente a rotoli: procedendo nella traduzione strani sogni
inizieranno a tormentare le notti del nostro protagonista finché, come ampiamente prevedibile, il
diario non si interrompe. I fogli sparsi e ingialliti rinvenuti all’interno de “<i>Les rêves</i>”, come avrete
indovinato, altro non sono che “<i>The Man in the Mirror</i>”. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Ecco quindi che, dopo quelle promettenti
dieci pagine iniziali, il malaugurato acquirente di “<i>The Memoirs</i>” viene abbandonato, suo malgrado,
alla lettura di quel dannato manuale di auto-aiuto, firmato (e questa è davvero l’unica differenza)
non dal <b>Justin Hoffman</b> autore delle altre edizioni, bensì dall’inafferrabile <b>Dr. Carcosa Laveau</b>.
Devo ammetterlo: nella speranza di ricavarne qualcosa, quel manuale alla fine me lo sono anche
letto (in fondo sono 60 pagine in tutto), ma come previsto è stata una totale perdita di tempo, oltre
che una noia inimmaginabile. Unico diversivo, la presenza in chiusura di una citazione di <b>William
Blake</b>: “<i>If the doors of perception were cleansed every thing would appear to man as it is, Infinite.</i>”,
che i più attenti avranno riconosciuto come la fonte che ispirò <b>Jim Morrison</b> nella scelta di un nome
per la sua band. In altri contesti avrei anche potuto, con qualche piccola forzatura, ricamare un
nesso tra queste “porte” e la scomparsa del <b>Dr. Laveau</b>, ma almeno per questa volta, visti i
presupposti, preferisco lasciar perdere. </div><div style="text-align: justify;">Termina qui questo articolo che nulla aggiunge e nulla toglie a questa lunga serie, se non fosse per
la curiosità di trovare nuovi significati al termine “<b>Carcosa</b>”. Per quello che ne è venuto fuori, avrei
potuto anche evitare di scriverlo, ma alla fine ho pensato che non fosse nemmeno così sbagliato
portare, tra le altre cose, un piccolo esempio di come ancora oggi il “segno giallo” (chiamiamolo
così) continua a essere efficace. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b>Note:</b></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: #ffa400; font-size: x-small;">(*) Lo scrittore statunitense <b>Lyon Sprague de Camp</b> è stato il primo ad associare il termine pseudobiblia a quei libri che
«n<i>on sono mai stati scritti, ma che esistono solo come un titolo, con magari degli estratti, in un'opera di finzione o
pseudo-fattuale</i>».</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: #ffa400; font-size: x-small;">(**) Mi riferisco a <b>Howard Phillps Lovecraft</b>, che più volte nelle sue corrispondenze sentì la necessità di ribadire il
concetto, evidentemente per il timore di essere considerato un mistificatore. Particolarmente significativa una lettera
inviata a <b>William Frederick Anger</b> (14 agosto 1934): «<i>Regarding the dreaded Necronomicon of the mad Arab Abdul
Alhazred—I must confess that both the evil volume & the accursed author are fictitious creatures of my own—as are the
malign entities of Azathoth, Yog-Sothoth, Nyarlathotep, Shub-Niggurath, &c. Tsathoggua & the Book of Eibon are
inventions of <b>Clark Ashton Smith</b>, while Friedrich von Junzt & his monstrous Unaussprechlichen Kulten originated in
the fertile brain of <b>Robert E. Howard</b>. For the fun of building up a convincing cycle of synthetic folklore, all of our gang
frequently allude to the pet daemons of the others—thus Smith uses my Yog-Sothoth, while I use his Tsathoggua. Also, I
sometimes insert a devil or two of my own in the tales I revise or ghost-write for professional clients. Thus our black
pantheon acquires an extensive publicity & pseudo-authoritativeness it would not otherwise get. We never, however, try
to put it across as an actual hoax; but always carefully explain to enquirers that it is 100% fiction. In order to avoid
ambiguity in my references to the Necronomicon I have drawn up a brief synopsis of its ‘history’... All this gives it a sort
of air of verisimilitude.</i>” (altri esempi su https://www.hplovecraft.com/creation/necron/letters.aspx) </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: #ffa400; font-size: x-small;">(***) Ogni riferimento all’omonima serie di romanzi di <b>Stephen King</b> non è affatto casuale. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: #ffa400; font-size: x-small;">(****) Anche in questo caso, il riferimento al racconto di <b>Ambrose Bierce</b> “<i>An Inhabitant of Carcosa</i>” è palese.</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj90PSgyVSfEqHW11eqRexZdWC9W66lG9XVgOJVH74OFiJ4Kg10XwOuzPdXJuMqahTY3lIz-SZPbhOiD3BG2BJ_JZdaZV29y5dviqrz49GI0httHtiwoE1o2upTeU7trgwPPwoUh-yxWtAJt0bMpb9_hQIqEqgkUZlobR1GLxw0ZtksY5KAp1UeAHQnYVAI/s600/manmirror3covers.JPG" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="300" data-original-width="600" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj90PSgyVSfEqHW11eqRexZdWC9W66lG9XVgOJVH74OFiJ4Kg10XwOuzPdXJuMqahTY3lIz-SZPbhOiD3BG2BJ_JZdaZV29y5dviqrz49GI0httHtiwoE1o2upTeU7trgwPPwoUh-yxWtAJt0bMpb9_hQIqEqgkUZlobR1GLxw0ZtksY5KAp1UeAHQnYVAI/s16000/manmirror3covers.JPG" /></a></div><br /><div style="text-align: justify;"><br /></div>Obsidian Mhttp://www.blogger.com/profile/00077330887101732002noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-7447467916007164549.post-41895888364098890052023-10-09T07:30:00.058+02:002023-10-09T07:30:00.143+02:00L’incubo dietro la porta<div style="text-align: justify;"><i><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiWE5JbsbLDSBN_m1SoK0VtklNqzuvy_sQhFhL83BV4wPJCKRactBBgq7pHeZ8gVVY5A-49aCQ4H9rlEKOTww8XBypmo04fkXjCjDhPUU7_kV_hiWgZXLMhAnzvfqkrpL_Rn_yJPHRyFHhDsdrV1tqkkd3j8l8TteYGk5D73oJPHVT3C-mhtYZaJuCkCXIg/s614/incubodietrolaporta.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="614" data-original-width="400" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiWE5JbsbLDSBN_m1SoK0VtklNqzuvy_sQhFhL83BV4wPJCKRactBBgq7pHeZ8gVVY5A-49aCQ4H9rlEKOTww8XBypmo04fkXjCjDhPUU7_kV_hiWgZXLMhAnzvfqkrpL_Rn_yJPHRyFHhDsdrV1tqkkd3j8l8TteYGk5D73oJPHVT3C-mhtYZaJuCkCXIg/w260-h400/incubodietrolaporta.jpg" width="260" /></a></div>"E benché vi siano coloro" scriveva l'arabo pazzo "che hanno osato gettare un'occhiata oltre il Velo,
accettandoLo come Guida, tuttavia sarebbero stati più prudenti a evitare ogni commercio con LUI: poiché
nel Libro di Thoth sta scritto quanto è terribile il prezzo anche di un singolo sguardo.”</i> (Howard Phillips
Lovecraft, “Through The Gates Of The Silver Key”, 1933) </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Mi accingevo a leggere questo nuovo romanzo di <b>Fabrizio Valenza</b>, autore conosciuto solo pochi mesi fa
grazie alla lettura de “<i>L’isola dei Morti</i>” (e relativa intervista), e subito mi veniva da domandarmi quali altri
meravigliosi spunti sarei riuscito a trarne. La speranza non è stata vana, come vedremo tra breve, anche se
temo possa essermi stato complice un pizzico di follia interpretativa. Inizio subito col dire, come i lettori più
assidui certamente sapranno, che provengo dalla recente visione de “<i>La casa con la scala nel buio</i>” di
Lamberto Bava, per cui mi è stato impossibile non visualizzare il protagonista del libro di Valenza con il
volto di Andrea Occhipinti, che nel film citato si aggirava tutto solo in una solitaria villa trasudante misteri,
esattamente come il protagonista del romanzo di cui andremo tra breve a parlare. <span><a name='more'></a></span></div><div style="text-align: justify;">Naturalmente, la mia è
stata una consapevole forzatura, visto che Enrico Malera, il protagonista de “<i>L’incubo dietro la porta</i>”, non
solo non è un fine pianista, ma è un ruvido omone di novanta chili le cui dita, mi è venuto da riflettere,
avrebbero senz’altro avuto qualche difficoltà nell’azzeccare le note sulla tastiera di un pianoforte a coda. Novanta
chili quelli di lui e altrettanti quelli di Black, il mastodontico cane di razza <i>leonberger</i>, razza che fino a ieri
nemmeno sapevo esistesse, che il nostro protagonista si ritrova ad avere come spalla inizialmente non
richiesta, ma, perlomeno nel lungo periodo, apprezzata. </div><div style="text-align: justify;">Con tali elementi, le premesse per montare la
guardia con successo a una villa solitaria ci sarebbero, ma è subito chiaro, sin dal titolo, che la stazza dei
guardiani non è un elemento che può fare la differenza in una storia di questo genere.
Non racconterò un granché della trama, per motivi che certamente i miei lettori comprenderanno, ma
credo che le premesse vadano spiegate come si deve. </div><div style="text-align: justify;">Enrico Malera viene contattato da Gianfranco, un suo
vecchio compagno di università che nel frattempo si è spudoratamente arricchito, e si vede offrire mille
euro per trascorrere un’intera, solitaria settimana nella villa dell’amico mentre questi si trova all’estero per
motivi di lavoro. Enrico, che a differenza dell’amico nella vita non se la passa troppo bene, accetta di buon
grado, arrivando a sacrificare una settimana delle proprie ferie pur di mettersi in tasca il gruzzoletto.
Le prospettive d’altra parte sono piuttosto attraenti: lusso sfrenato, tecnologia di ultima generazione
(Gianfranco è proprietario di un’azienda di domotica), impianto home theatre con schermo da un milione di
pollici, frigorifero a quattro ante traboccante di cibi e bevande, gigantesche biblioteche da esplorare e
molto altro ancora. Nella pratica, ciò che si gli si prospetta sembra essere, più che un lavoro, una settimana
di totale relax all-inclusive. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEguFztJ0V5NrvTZmR0CZYdt6Did_zoff6wbu84DhCgEPi9NlHOISytRARxBUsv2i9akDH8HAb_l_j7N24ab9wd3DnMgiuQPICet8qmCXPgmHoIQX0vmRrOZbGpLjAiVOsRZxU1NGO-RKUL2zTkWv4wRp3cr1Ecv6ptNfD-7tvPzx36UK2Mk4Wq0G7LOI3Oe/s600/rustuclibrary.JPG" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="312" data-original-width="600" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEguFztJ0V5NrvTZmR0CZYdt6Did_zoff6wbu84DhCgEPi9NlHOISytRARxBUsv2i9akDH8HAb_l_j7N24ab9wd3DnMgiuQPICet8qmCXPgmHoIQX0vmRrOZbGpLjAiVOsRZxU1NGO-RKUL2zTkWv4wRp3cr1Ecv6ptNfD-7tvPzx36UK2Mk4Wq0G7LOI3Oe/s16000/rustuclibrary.JPG" /></a></div>Come dire di no? Cosa fareste voi? Io, nel mio piccolo, chiederei anche una
seconda settimana, o un mese, o tutta la vita, tanto più che la solitudine è un elemento che personalmente
non mi dispiace affatto. Il dilemma, per me, sorgerebbe solo nel momento di decidere da che parte
cominciare a godermi il soggiorno, ma credo che sia un tentennamento che sarei in grado di risolvere nel
giro di un quarto d’ora.
È superfluo a questo punto precisare che nel caso di Enrico Malera c’è un increscioso, quanto non
dichiarato, rovescio della medaglia che il nostro eroe scoprirà a sue spese pagina dopo pagina. Strani
fenomeni, come luci spente ritrovate accese, rumori inspiegabili, odori insoliti e, non ultimo, il mistero di
quell’ambigua porta nera che conduce nel seminterrato, l’unica nera in mezzo a decine di porte bianche. A
complicare la questione, una voce al telefono che gli suggerisce di “<i>non guardare, per nessun motivo al
mondo</i>”, riferendosi probabilmente, ma non necessariamente, all’abisso nietzschiano. </div><div style="text-align: justify;">Le cose andranno
ovviamente sempre peggio e ve le lascerò scoprire da soli, nel caso che, colti da un impulso irrefrenabile,
decidiate di mettere nel carrello questo delizioso romanzo che il buon Valenza ha scritto appositamente per
voi. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Se state pregustando di avventurarvi in una magione senza tempo come <i>Malpertuis</i> o in una casa posta
sull’abisso come quella descritta da <b>Hodgson</b>, ne rimarrete, per carità, un pelino delusi, ciononostante vi
saranno offerti alcuni originali spunti di riflessione, primo tra tutti quello di domandarvi quale sia la vera
natura dell’inferno, non più (o non solo) quello descritto nella religione e nel folklore, che lo ritiene essere
un luogo (o uno stato) in un ipotetico aldilà in cui le anime sono sottoposte a sofferenze punitive, bensì una
realtà parallela perfettamente amalgamata all’altrettanto ipotetica realtà che percepiamo (o crediamo di
percepire) con i nostri cinque sensi. </div><div style="text-align: justify;">La questione si può definire in molteplici modi, e almeno inizialmente il protagonista la identifica in un suo
stato alterato di coscienza (leggi: suggestione), ma la risposta può non essere così semplice, anche perché
nella villa sembra esserci, da qualche parte, un interruttore che consente il trasferimento di Enrico da una
dimensione (chiamiamola sbrigativamente così) all’altra e viceversa. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Per spiegarmi meglio, tutti noi
abbiamo certamente sperimentato qualcosa di simile a un trasferimento dimensionale durante il sogno,
esperienza nella quale il nostro alter ego onirico agisce in ambienti simili a quelli reali, distinguibili da questi
ultimi spesso solo per piccoli particolari, ma cosa proveremmo se il passaggio alla fase REM potesse
avvenire azionando intenzionalmente un interruttore? La risposta potrebbero forse darcela quelli di noi,
nemmeno pochi, che riescono ad avere un sogno lucido, a essere cioè talmente coscienti del loro stato da
riuscire addirittura a manipolare a piacimento gli oggetti e gli eventi del sogno. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEizsMUnODpLWxlY8GD2rO6tUsH_RATtleF6G7LBGJjbcyO3TieL_4ktlM5H9q3HPUmNLdxraLlJNjKuFDPJj_EzSnBdOp5RWGht9FPxrd1K0gsH2qAfp8mJBDmRWDAYioPoapiEVftI3xo-gQodTGTYwRhlfZ7zOsBUs2NBpo45rip1SIYetr53cdtPnOYx/s600/pond.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="336" data-original-width="600" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEizsMUnODpLWxlY8GD2rO6tUsH_RATtleF6G7LBGJjbcyO3TieL_4ktlM5H9q3HPUmNLdxraLlJNjKuFDPJj_EzSnBdOp5RWGht9FPxrd1K0gsH2qAfp8mJBDmRWDAYioPoapiEVftI3xo-gQodTGTYwRhlfZ7zOsBUs2NBpo45rip1SIYetr53cdtPnOYx/s16000/pond.jpg" /></a></div>La realtà che vive il protagonista è purtroppo ben più terribile, anche perché quel subdolo interruttore,
innescato per caso, sembra voler agire solo a senso unico, trasferendolo definitivamente in quella che ai
suoi occhi sembra la rappresentazione del regno dei morti (l’inferno, banalmente), elemento su cui filosofi,
scienziati e devoti favoleggiano sin dalla notte dei tempi. </div><div style="text-align: justify;">In estrema sintesi l’inferno di Enrico, che non è altro che una rappresentazione alterata della realtà a lui
nota, potrebbe essere alternativamente una realtà onirica o una realtà fisica. Per estensione, il concetto
stesso di morte potrebbe essere un mero frutto della nostra coscienza oppure uno stato “altro” governato
da principi di meccanica quantistica. Nel primo caso i concetti stessi di spazio e tempo sarebbero semplici
strumenti della mente, nell’altro le alternative sarebbero enormi e potrebbero alterare del tutto il modo in
cui guardiamo alla morte, che non potrebbe esistere in alcun senso reale poiché non potrebbero esistere
veri confini entro cui definirla. </div><div style="text-align: justify;">Se queste mie ultime riflessioni, in cui io stesso mi perdo facilmente, vi hanno disorientato, vi invito a
lasciarle perdere e vi assicuro che non c’è davvero alcuna ragione per indietreggiare. Potete prendere
“<i>L’incubo dietro la porta</i>” anche solo per quello che, fuor di metafora, in effetti è, ossia una storia di
“revenant” brutti e cattivi con un bel mistero da risolvere. Tutt’altro che prevedibile anche il finale, e di
questo rendo merito all’Autore, che avrebbe invece potuto benissimo scivolare nell’ovvio senza nemmeno
penalizzare troppo il risultato. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Nato nel 1972 a Verona, ma di origini siciliane, <b>Fabrizio Valenza</b> si è laureato in Filosofia nel 2003 e in
Scienze Religiose nel 2011. A partire dal 2007 ha iniziato a pubblicare romanzi, prima con il self-publishing e
un buon successo (“<i>Storia di Geshwa Olers</i>”), poi con molti editori, per lo più medio-piccoli. Oggi l’Autore
propone i suoi libri attraverso l’etichetta indipendente “<i>Albero del Mistero</i>”, con la quale ha presentato il
già citato “<i>L'isola dei morti</i>”, testo che rimanda al poema sinfonico di Sergej Rachmaninov e a sua volta
ispirato dai dipinti di Arnold Böcklin. Con questo suo nuovo romanzo <b>Fabrizio Valenza </b>regala ai lettori un
horror “<i>capace di accompagnare il lettore nei suoi incubi peggiori</i>”, un horror che “<i>racconta la paura che ci
spinge a sollevare il lenzuolo per vedere il corpo che vi è nascosto al di sotto</i>”.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg4zDvBLkRCj_2zIYKegu_i9p78id_0iTQRTXjexQwdttj0bTuMlRktIkIFCmKC1WTYa-TiyPSoOfc0Ub_p0RfnFzizRijO0-zFPEU4gV-8gJWcV6c2nMN9Xz93driy8hg9wRYfCnQ9KDbb3UWZeQmDFrkASbYWhB0TnEJMXeZyCynLizVo8y1zs_LGGsTX/s600/blackcellar.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="403" data-original-width="600" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg4zDvBLkRCj_2zIYKegu_i9p78id_0iTQRTXjexQwdttj0bTuMlRktIkIFCmKC1WTYa-TiyPSoOfc0Ub_p0RfnFzizRijO0-zFPEU4gV-8gJWcV6c2nMN9Xz93driy8hg9wRYfCnQ9KDbb3UWZeQmDFrkASbYWhB0TnEJMXeZyCynLizVo8y1zs_LGGsTX/s16000/blackcellar.jpg" /></a></div><br /><div style="text-align: justify;"><br /></div>Obsidian Mhttp://www.blogger.com/profile/00077330887101732002noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7447467916007164549.post-45029530979673027772023-10-02T07:30:00.054+02:002023-10-02T07:30:00.129+02:00Da donna a strega: piccolo intermezzo cinematografico (Pt.2)<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjnJIIJ--AGWVvZ73Lo0ncI4HFDwEHsx8OfRhqZFyNOZhGpS2iAEyHu_bmIeC22yx3XTZgg2i69fgC1Ee9oZ2qR63qM3iKA6U6JMRqT8VPvXyTnPqaICdTGJ1VGad5_voydtCUrgONT8qHncPuLbJDdSgdsu51VS21f36Wsci4bX3iP8tsoV9iav_ES7pae/s800/nighttide.JPG" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="800" data-original-width="504" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjnJIIJ--AGWVvZ73Lo0ncI4HFDwEHsx8OfRhqZFyNOZhGpS2iAEyHu_bmIeC22yx3XTZgg2i69fgC1Ee9oZ2qR63qM3iKA6U6JMRqT8VPvXyTnPqaICdTGJ1VGad5_voydtCUrgONT8qHncPuLbJDdSgdsu51VS21f36Wsci4bX3iP8tsoV9iav_ES7pae/w253-h400/nighttide.JPG" width="253" /></a></div>L'INTRODUZIONE SI TROVA <a href="http://insidetheobsidianmirror.blogspot.com/2017/09/da-donna-strega-introduzione.html" target="_blank">QUI</a></div></div></div></div></div></div><div style="text-align: center;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div>Rieccomi qui con l’attesa (?) seconda parte dell’intermezzo cinematografico pubblicato <a href="https://insidetheobsidianmirror.blogspot.com/2023/09/da-donna-strega-piccolo-intermezzo.html" target="_blank">pochi giorni fa</a>. Sono moltissimi anche i film che non sono proprio a tema “stregonesco”, ma che hanno comunque parecchio a che fare con gli argomenti trattati in questa mia serie di post, anche solo per come dipingono le figure femminili. Anche in questo caso ho dovuto fare una selezione e scegliere alcuni titoli a scapito di altri. Non sarà condivisibile da tutti, ma la mia scelta è questa. </div><div>Parto da un film che da noi è poco conosciuto, forse a causa del fatto che non è mai stato doppiato in italiano: <b><i>“Night tide”</i></b> (<b>Curtis Harrington</b>, 1961). Tuttavia, questo film fantastico, il cui titolo deriva da un verso di "<i>Annabel Lee</i>" di <b>Edgar Allan Poe</b>, un poema che idealizza un amore più tenace della morte, in patria è un piccolo cult anche per la presenza di un giovanissimo <b>Dennis Hopper</b> nei panni di un introverso e inesperto marinaio, un ruolo molto diverso da quelli che interpreterà poi per la maggior parte della carriera. Un ruolo minore è invece affidato a quella <b>Marjorie Cameron</b> di cui ho parlato di straforo nei <a href="https://insidetheobsidianmirror.blogspot.com/2020/04/look-back-in-anger-pt1.html" target="_blank">post dedicati a <b>Kenneth Anger</b></a>, cosa che ha contribuito alla nomea di film occultistico di una pellicola che però, più che dall’occulto, pesca a piene mani dal mito e dal folclore. <span><a name='more'></a></span></div><div>Johnny Drake (Hopper) s’innamora di Mora, una ragazza che si esibisce in un luna park vestita da sirena, ma viene messo in guardia dal frequentarla perché si dice che due suoi precedenti fidanzati siano annegati a causa sua. L’ex Capitano Murdock confessa a Johnny di aver cresciuto Mora dopo averla raccolta su un’isola greca quand’era ancora molto piccola (un antefatto che ricorda un po’ quello di “<i><a href="https://insidetheobsidianmirror.blogspot.com/2017/01/histoire-dune-maison-maudite.html" target="_blank">Malpertuis</a></i>”) e di averle dato quel nome per assonanza con quello di Moira, la personificazione greca del fato o destino. Secondo il Capitano, e la stessa Mora, la giovane sarebbe una vera sirena che uccide allo spuntare della luna piena, quando la marea è al suo apice, e Johnny sarebbe dunque in grave pericolo accanto a lei. Mora è davvero una sirena? E chi è quella donna misteriosa che la segue come un’ombra? Di femme fatale è pieno il cinema, ma accanto a quelle che lo sono per scelta, altre sono solo creature che non possono contrastare la propria natura e, in questo senso, non assurgono mai al ruolo di colpevoli. </div><div><br /></div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEji4XtpOgqkNsNFZ-LQdsuC-eX_P2O747BZDfjl__ANZIkbULdmz1iloBlFGwu9pFMESNB4NkIVZNuk37tmnWYuK07lflRXKibC829NacOqRV5TCUmrbt0cjiFbRfhH-D6i7pMSvXozl2v0mSXhFH7fb8sK1A4joX0qm8oIzRzOX0GdlgDAJLasan5TB8kA/s1231/fruitofparadise.jpg" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="1231" data-original-width="850" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEji4XtpOgqkNsNFZ-LQdsuC-eX_P2O747BZDfjl__ANZIkbULdmz1iloBlFGwu9pFMESNB4NkIVZNuk37tmnWYuK07lflRXKibC829NacOqRV5TCUmrbt0cjiFbRfhH-D6i7pMSvXozl2v0mSXhFH7fb8sK1A4joX0qm8oIzRzOX0GdlgDAJLasan5TB8kA/w276-h400/fruitofparadise.jpg" width="276" /></a></div>La regista ceca <b>Vera Chytilová</b> ci offre invece, con <i><b>“Fruit of paradise”</b></i> (1970), una rivisitazione psichedelica e barocca della storia di Adamo (qui ribattezzato Josef) ed Eva e della cacciata dall’Eden. </div><div>I due si trovano assieme ad altri ospiti in una clinica, un rifugio bucolico di pace nel quale però si aggira anche un uomo perennemente vestito di rosso, l’ambiguo Robert. Eva, come molte altre donne, è affascinata da Robert, che ora la insegue ora la respinge e infine la incita a mangiare il frutto proibito. Mentre Josef a sua volta non sembra immune dal fascino delle altre ospiti, Eva si convince che Robert sia un assassino che ha già mietuto sei vittime, tutte donne, e lo affronta. Liberarsi di Robert non le consente però di ritornare alla clinica, il suo paradiso perduto… Eva allora mangia la mela e la offre anche al marito. </div><div>I critici hanno perlopiù visto nel film la rappresentazione della situazione politica dell’ex Cecoslovacchia del tempo (l’alternarsi tra bianco, rosso e nero sarebbe una metafora del passaggio dallo stato di purezza primigenio al Comunismo e infine alla morte), mentre a me interessa, come avrete forse intuito, per il tema del peccato e della caduta sempre imputati alla donna, se pure tentata dal biblico seduttore. </div><div><br /></div><div>Vale la pena citare anche un’altra opera realizzata dalla regista nel 1966: <i><b>“Daisies”</b></i>. È un film difficile da catalogare, definito ora una commedia femminista che mostra un’idea di donna sovversiva rispetto alle aspettative di una società patriarcale, ora una critica all’edonismo e al consumismo, e che nella pratica è una lunga serie di scene surreali che difficilmente potrebbero considerarsi una trama così come comunemente noi la intendiamo. </div><div>Due amiche, entrambe chiamate “Marie”, un giorno decidono di diventare malvagie perché il mondo stesso è malvagio: la loro malvagità consiste però perlopiù nello sfasciare tutto quello che gli capita a tiro e soprattutto nel mangiare e bere a sbafo, sfruttando degli uomini che trattano nella peggiore maniera possibile per spingerli ad abbandonarle una volta ottenuto ciò che vogliono, o che cinicamente abbandonano per prime. In una scena cult le due mangiano delle pietanze che hanno la forma dei genitali maschili, e che dovrebbe simboleggiare il loro desiderio di castrazione del maschio. </div><div>Non credo mirasse a essere un’incitazione alla violenza, per inciso, ma che fondamentalmente <b>Vera Chytilová</b> abbia con molta ironia voluto dipingere le donne come, sovente, l’universo maschile le rappresenta: sfruttatrici, avide, infantili, stupide. </div><div><br /></div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEid6L6jQQVJSXGOHqUCL2snSOqHqk0KDlvQHozd9bG5d9ISP-d6WPDvwsDuVCEij3hmRWGZzmfx4QmFX47tfwvLkPdDIRiPneA_QnocetHHW23zxWsYXlgKXngFqczaobjIidF5MF_iFDvslDymW56Ua78FfA2QEJ6DvyJ3gJFzkISjlCGo_sV8FiQBL5l2/s596/bambolevetro.JPG" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="596" data-original-width="411" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEid6L6jQQVJSXGOHqUCL2snSOqHqk0KDlvQHozd9bG5d9ISP-d6WPDvwsDuVCEij3hmRWGZzmfx4QmFX47tfwvLkPdDIRiPneA_QnocetHHW23zxWsYXlgKXngFqczaobjIidF5MF_iFDvslDymW56Ua78FfA2QEJ6DvyJ3gJFzkISjlCGo_sV8FiQBL5l2/w276-h400/bambolevetro.JPG" width="276" /></a></div>Restiamo nella ex Cecoslovacchia con un thriller italianissimo, ma ambientato a Praga: <b><i>“La corta notte delle bambole di vetro”</i></b> di <b>Aldo Lado</b> (1971). </div><div>Un reporter drogato e ridotto in stato di morte apparente ripercorre con la mente gli avvenimenti che lo hanno portato sul tavolo di un obitorio: nel tentativo di arrivare alla verità dietro alla morte di una cara amica, l’uomo ha scoperto l’esistenza di un culto satanico dedito a sacrifici e orge i cui adepti, tutti personaggi in vista, hanno trovato il modo di impedirgli di parlare e stanno per disfarsi di lui. Fin qui ho evitato di citare film demoniaci o a tema satanico e potrà sembrare strano che faccia eccezione per un’opera che a conti fatti non tratta troppo male le donne (la malefica setta, infatti, comprende uomini e donne), tuttavia credo che questo film cupissimo, in cui non c’è spazio per alcun tipo di redenzione né di salvezza, meriti una menzione in un contesto come questo. </div><div><br /></div><div>Con questo film facciamo invece un salto temporale di una ventina d’anni. <b><i>“L’albero del male”</i></b> (<b>William Friedkin</b>, 1990), adattamento di un romanzo di <b>Dan Greenburg</b>, è un’opera “minore” di Friedkin, ma comunque meritevole di una visione; è un film che devo aver visto all’epoca della sua uscita, ma che di fatto avevo rimosso dalla memoria e ne devo il recupero al mio vicino di blog <b>Lucius Etruscus</b>, che lo ha <a href="https://ilzinefilo.wordpress.com/2019/07/16/the-guardian-1990/" target="_blank">recensito</a> nell’ambito della rassegna <i>Notte Horror 2019</i>. </div><div>Una coppia di neogenitori assume una tata per poi scoprire che non si tratta affatto di una donna, ma dello spirito di un antico albero che si nutre del sangue di bambini in fasce. Ma c’è una speranza: l’albero e lo spirito sono collegati, e se l’uno muore, morirà anche l’altra… Come menzionato in una didascalia all’inizio del film, presso gli antichi Celti esistette un druidismo femminile, e sebbene in molti si ostinino a definirlo una forma di culto deviato, ascrivibile a non prima del XVIII secolo, fu in effetti una forma di sacerdozio antica quanto quella maschile, menzionata in documenti storici greci e romani e persino nelle saghe irlandesi, se pure con un ruolo un po’ diverso da quello della controparte maschile, maggiormente legato a una funzione oracolare e alle pratiche magiche. Il film sembra ispirarsi alla versione del culto deviato, che qui s’incarna in una minaccia soprannaturale che, ovviamente, si palesa in panni femminili. </div><div><br /></div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiDbS02fwVvZ1Tqu3J3jSB4C7gV5fgj8Qd8GM0D8Tj8wdD8XLcibbgfGxtm38Mq0dPklkiEKIYGhOck28y2IA8OEQVn6kJP0EzcceMcw02ghcJMh2wbPrgCoRa0NuY5Ukjws3RlxA08ujqU7mmg2Krxl9PcUNtn8gRzdN0IRZJ5owQIg_jPfIsi1cdil5aG/s822/wickerman.JPG" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="822" data-original-width="537" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiDbS02fwVvZ1Tqu3J3jSB4C7gV5fgj8Qd8GM0D8Tj8wdD8XLcibbgfGxtm38Mq0dPklkiEKIYGhOck28y2IA8OEQVn6kJP0EzcceMcw02ghcJMh2wbPrgCoRa0NuY5Ukjws3RlxA08ujqU7mmg2Krxl9PcUNtn8gRzdN0IRZJ5owQIg_jPfIsi1cdil5aG/w261-h400/wickerman.JPG" width="261" /></a></div>Occorre un salto ancor più grande, ma questa volta non solo temporale, per approdare a un vero e proprio cult qual è <b>“<i>The Wicker Man</i>” </b>(<b>Robin Hardy</b>, 1973). Cito solo di sfuggita il dimenticabile remake del 2006, un’operazione che, a differenza di quanto fatto con “<i>Suspiria</i>”, in concreto nulla aggiunge e nulla toglie alla vicenda. </div><div>Una denuncia anonima segnala la sparizione di una bambina e un sergente di polizia si reca su una piccola isola al largo della Scozia per indagare. La comunità locale, guidata da Lord Summerisle, è formata perlopiù da contadini che agli occhi del funzionario di polizia, cristiano osservante, appaiono come dei superstiziosi bifolchi, per di più dai costumi sessuali molto liberi. L’uomo è scioccato in particolar modo dal forte retaggio pagano nella vita degli isolani. Al suo sgomento si aggiunge lo sconcerto allorché nessuno di quelli che interroga ammette di conoscere la bambina scomparsa, a partire dalla sua stessa famiglia; l’uomo si convince che la stiano nascondendo perché intendono sacrificarla a qualche divinità per assicurarsi un buon raccolto e non sa che un sacrificio in effetti è previsto, ma non è lei la vittima designata. </div><div>Credo che questo film abbia un’atmosfera davvero unica e che ancora oggi sia in grado di provocare più di un brivido, ma anche che non sia un film per tutti, e certamente non per chi conserva ancora il mito del “buon selvaggio”. </div><div><br /></div><div>Anche se tra l’uno e l’altro sono trascorsi quasi cinquant’anni, sono convinto anch’io come molti altri che il vero erede di “<i>The Wicker Man</i>” sia <b><i>“Midsommar” </i></b>(2019). Anzi, non me ne vogliano i puristi se dico che per me il film di <b>Ari Aster</b> è per certi versi un’opera molto più profonda, che non si limita a guardare diritto nell’abisso (così la mente “illuminata” e “razionale” dell’uomo moderno considera un passato pagano di cui spesso un po’ si vergogna), ma osa cercarvi delle radici psicologiche. </div><div>Il giovane Pelle invita gli amici Josh, Mark, Christian e la ragazza di quest’ultimo, Dani, a trascorrere una vacanza presso il suo villaggio natale, in Svezia, una strana “comune” dove si continua a vivere come centinaia di anni fa, senza nessuna delle conquiste della tecnologia moderna, e dove si terrà una cerimonia per celebrare il solstizio d’estate. Una cerimonia inumana e immorale agli occhi degli ospiti americani del villaggio, che, del resto, sono del tutto fuori posto e finiranno, com’è giusto che sia, come carne da macello. Dani è l’unica a subire davvero il fascino del luogo. Lei, che ha da poco subito un grave lutto, che è psicologicamente prostrata e sofferente, è anche una persona con un lato oscuro, una di quelle donne pronte a giustificare qualunque cosa pur di tenersi il proprio uomo e non dover restare sole; il tipo passivo-aggressivo che però, proprio perché fragile, sente il bisogno di essere amata e accettata senza riserve, e che è quindi l’unica a poter comprendere che una vita dura come quella del villaggio richiede per forza il votare se stessi e la propria esistenza a un ideale più alto, quello della comunità da servire e proteggere, la quale in cambio ti darà la sicurezza del tuo ruolo nel mondo. </div><div>Amore e senso di appartenenza in cambio di lealtà e abnegazione. Molto più di quanto molta gente ottenga dalla vita. Non dico che faccia per me, ma neppure mi sconvolge. Non è così anche per gli animali nel branco? Non riesco neppure a vedere cattiveria nel sacrificio di mezza estate, come non ne ho visto in quello di “<i>The Wicker Man</i>”. Non esiste il giusto o lo sbagliato, è una questione di equilibrio, di vita che ora si dà, ora si toglie. </div><div><br /></div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgs9xHW_l79ndxSKDLPhWT1QbmS65RxfEaVV1g8MM66YMMPhhNQWUChODMd1BMd8mpFaSUX5P1faWJIY7B5SgE7OUpkI_x67pLMn1nK5f4X3JHcUOktCfiaacdlG6fIJE5vYBi01XxQOEgV_RIdzin1PAjhyU9dOjeG4AV0OW2Ll5lnsSAJgt9vds3Xy5LV/s1000/sennentuischi.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1000" data-original-width="716" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgs9xHW_l79ndxSKDLPhWT1QbmS65RxfEaVV1g8MM66YMMPhhNQWUChODMd1BMd8mpFaSUX5P1faWJIY7B5SgE7OUpkI_x67pLMn1nK5f4X3JHcUOktCfiaacdlG6fIJE5vYBi01XxQOEgV_RIdzin1PAjhyU9dOjeG4AV0OW2Ll5lnsSAJgt9vds3Xy5LV/w286-h400/sennentuischi.jpg" width="286" /></a></div>Un altro dei rari film che pescano dalla tradizione popolare europea arriva dalla Svizzera e si chiama <b><i>“Sennentuntschi”</i></b> (Curse of the Alps, 2010), di <b>Michael Steiner</b>. Lo spunto deriva infatti da una leggenda alpina che narra di alcuni pastori che, soli per mesi sui pascoli, costruirono una bambola di paglia che trattavano come una donna vera per soddisfare tutti i loro bisogni, inclusi quelli sessuali, finché un giorno il Diavolo non la rese reale. La “bambola del demonio” si vendicò allora di tutto quello che aveva dovuto subire dai pastori… </div><div>Nel film, ambientato nel 1975, ci troviamo in un remoto villaggio alpino dove un giorno compare una misteriosa ragazza, giovane, bella e muta, che la comunità intera vede come un cattivo presagio e che scatena i peggiori istinti degli abitanti. </div><div>Quello dell’elemento di disturbo che arriva improvviso a sconvolgere gli equilibri esistenti non è un incipit nuovo al cinema, ma questa storia convince per la strisciante inquietudine che trasmette, e per la regia abile nel giostrare fra due opposti in teoria ugualmente possibili, quello dell’essere demoniaco e quello della sventurata vittima della superstizione e del maschilismo imperanti nel microcosmo chiuso e bigotto del villaggio. </div><div><br /></div><div>Il prossimo film di cui voglio parlare è un’altra di quelle opere che rischiano di provocare un dibattito infinito in cui, onestamente, non voglio entrare più di tanto. Io, per inciso, l’ho amato fin da quando lo vidi al cinema, e tuttora lo apprezzo. Parlo di <b><i>“The Neon Demon” </i></b>(2016) di <b>Nicholas Winding Refn</b>. </div><div>La trama, nella sua banalità, è molto semplice: una giovane modella cerca di farsi strada nell’ambiente, ma deve fare i conti con l’invidia di alcuni e la concupiscenza di altri, finendo per diventare vittima della sua stessa bellezza. Quella che non è semplice affatto è la messa in scena, così piena di simbolismi da non consentire una visione univoca del film. La stessa Jesse è del tutto impenetrabile, e fino alla fine non si capisce bene quale sia la sua vera natura. Jesse è una ragazzina ingenua e indifesa, oppure è lei il Demone del titolo, la cui sola presenza basta a scatenare i peggiori istinti? Ma qualcosa indica che la sua vera natura potrebbe anche essere quella di archetipo. C'è infatti una scena che la mostra mentre, con l’orecchio alla parete, ascolta il proprietario del motel mentre stupra e uccide la sua giovanissima vicina di stanza. La scena ha un mood onirico accentuato, è come se si svolgesse fuori dal tempo, come la reminescenza di un omicidio rituale che avviene dalla notte dei tempi, le cui vittime sono sempre individui dalle caratteristiche eccezionali. Sappiamo che presso le società primitive si usava consumare la carne dei nemici uccisi in battaglia per assorbirne le qualità. E di questa ragazza, che non ci è dato vedere, sappiamo solo che ha appena 14 anni ed è bellissima, anche più di Jesse. Entrambe dunque, Jesse e l’altra, e altre ancora a ritroso, potrebbero benissimo essere simboli della bellezza archetipica immolati come divinità su un altare. La morale del tritacarne hollywoodiano che fagocita gioventù e bellezza per continuare a vivere, come un vampiro succhia il sangue, è forse troppo semplicistica, ma non la si può neanche scartare del tutto. Il pasto “cristico” consumato nel finale non stona affatto con questa ipotesi...</div><div><br /></div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjcvAVHpnqZlS3U2ovWsvHd0AU2PNWUrUm3-dCh73fffIZlzhW7cPrro3u9yw_HmeWDmvUWMJb1g85Khx-KAG1afzF0GTHo3UEUJ7zgB8RYHlULI-kdssr7rWWgclv0aS-rvEbdPxYWsPpLswqD6CafSDlMhfE_bzSUcEhPvIwn8wAmzUSJgg5AghDh_ufI/s568/nonsarisola.JPG" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="568" data-original-width="400" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjcvAVHpnqZlS3U2ovWsvHd0AU2PNWUrUm3-dCh73fffIZlzhW7cPrro3u9yw_HmeWDmvUWMJb1g85Khx-KAG1afzF0GTHo3UEUJ7zgB8RYHlULI-kdssr7rWWgclv0aS-rvEbdPxYWsPpLswqD6CafSDlMhfE_bzSUcEhPvIwn8wAmzUSJgg5AghDh_ufI/w281-h400/nonsarisola.JPG" width="281" /></a></div>Chiudo questa piccola rassegna con un titolo del 2022, <b>“<i>Non sarai sola</i>”</b> di <b>Goran Stolevski</b>, in cui il tema della stregoneria è il pretesto per ragionare su cosa significhi essere umani e vivere in una comunità. </div><div>Nella campagna macedone del XIX secolo, Nevena è una giovane strega, una mutaforma che può sostituirsi a chiunque inglobandone gli organi all'interno del suo stesso corpo. Donna, uomo, bambina (...e cane) sono le forme che sceglie per inserirsi nella vita di un villaggio dopo aver vissuto in isolamento in una grotta per tutta la prima parte della sua vita. Ancora una bambina, nell'intimo, scopre tutte le meraviglie di un mondo che vede per la prima volta: la natura, la vita di campagna, l'amicizia, il sesso... e lavare panni, accudire infanti, lavorare la terra, mietere il grano… mentre gli scarni dialoghi si alternano ai lunghi monologhi interiori (per la verità anche troppo insistiti) della protagonista - che essendo muta non può far altro che parlare a se stessa - si passa con disinvoltura dal body horror alle atmosfere intimiste e da fiaba senza soluzione di continuità. Nevena viene sorvegliata dalla "mangiatrice di lupi" Maria, la stessa donna che le aveva tagliato la lingua quando era ancora in fasce e che poi l'aveva sottratta alla madre, dopo che la stessa aveva cercato inutilmente di gabbare la strega celando la figlia agli occhi del mondo per 16 lunghi anni. Nevena però si era ribellata ed era fuggita, e ora Maria, sopravvissuta al rogo, con le sue ustioni è sempre lì a ricordarle cosa fanno gli uomini quando scoprono l'esistenza del diverso, del mostro. Ma Nevena è pronta a rischiare di essere scoperta, scacciata, e persino uccisa, pur di poter vivere un’esistenza da “umana”… </div><div>Sullo sfondo resta il solito tema della subalternità della donna in una società patriarcale, con la strega come elemento di rottura, che tante pellicole di questo genere hanno già esplorato (incluse alcune inserite in questa mia breve carrellata).</div></div>Obsidian Mhttp://www.blogger.com/profile/00077330887101732002noreply@blogger.com6tag:blogger.com,1999:blog-7447467916007164549.post-51486139843848297092023-09-25T07:30:00.005+02:002023-09-25T07:30:00.140+02:00Da donna a strega: piccolo intermezzo cinematografico (Pt.1)<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEivgmj4PTDAFeZqZREQXUSlnTH5FOZ_ctltzvTa9tNf8FCo7hR14Dvse5X36NMoRud8tPT4ZHmc0zQugfARTPC3twi3-gVHVT0-WNQh6yT0Zt82M0CT0Avagxz09D_-ETdGo09t7sGQZT-DcN5oIX2V1sa60SkZvz2PVZDZ61_98FtEyB5PT2vPXXDmmDsp/s631/stagionestrega.JPG" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="631" data-original-width="400" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEivgmj4PTDAFeZqZREQXUSlnTH5FOZ_ctltzvTa9tNf8FCo7hR14Dvse5X36NMoRud8tPT4ZHmc0zQugfARTPC3twi3-gVHVT0-WNQh6yT0Zt82M0CT0Avagxz09D_-ETdGo09t7sGQZT-DcN5oIX2V1sa60SkZvz2PVZDZ61_98FtEyB5PT2vPXXDmmDsp/w254-h400/stagionestrega.JPG" width="254" /></a></div>L'INTRODUZIONE SI TROVA <a href="http://insidetheobsidianmirror.blogspot.com/2017/09/da-donna-strega-introduzione.html" target="_blank">QUI</a></div></div></div></div></div><div style="text-align: center;"><br /></div><div style="text-align: justify;"></div><div style="text-align: justify;"><div>Questo articolo e quello <a href="https://insidetheobsidianmirror.blogspot.com/2023/10/da-donna-strega-piccolo-intermezzo.html" target="_blank">successivo</a>, ve lo anticipo fin d’ora, tratteranno di cinema. Prima però di entrare nel vivo dell’argomento, vorrei condividere una riflessione con voi. Di recente ho riesaminato la storia di <a href="http://insidetheobsidianmirror.blogspot.com/search/label/Da%20donna%20a%20strega" target="_blank">questa serie di post</a> e mi sono reso conto che la media di pubblicazione dei vari articoli che la compongono è imbarazzante: infatti, l’introduzione e il primo articolo risalgono a ben sei anni fa, cioè al lontano 2017, cui sono seguiti 3 post nel 2018, 2 nel 2019, 2 nel 2020, 4 nel 2021 e 2 nel 2022.
Sono tutti articoli scritti molto prima del 2017, ma rimaneggiati molte volte prima della pubblicazione, eppure ciò non basta a spiegare il ruolo da “Cenerentola” cui, pur senza farlo apposta, li ho relegati. Forse la ragione è da ricercarsi nel fatto che questo blog tratta molti argomenti diversi, che alcuni di questi, per motivi “di calendario”, hanno sempre finito per avere la precedenza, e anche forse nella mia cronica disorganizzazione. Comunque, quel che mi resta per mandare avanti il progetto, da ora in avanti e con poche eccezioni, sono appunti sparsi slegati fra loro, nulla che possa essere proposto qui così com’è. </div><div>Quindi, siamo al punto in cui questa serie di post potrebbe diramarsi in più direzioni, alcune impreviste, portandomi via molto tempo e lavoro e dilatandosi per chissà quanto altro tempo ancora, oppure cessare del tutto. Non so onestamente quale delle due soluzioni sia preferibile… Ma lasciamo la questione in sospeso e torniamo al cinema. <span><a name='more'></a></span></div><div>Credo sia giunto il momento di proporvi una carrellata di film legati al tema della stregoneria, che traggono ispirazione dal folclore o che più in generale ritengo attinenti a questi post. Lungi da me pensare di poter approfondire e perfino nominare tutte le pellicole che trattano di questi argomenti: sarebbe oggettivamente eccessivo, per le mie forze e per la mia limitata cultura cinefila. Non si tratta proprio di recensioni: semplicemente, ho messo insieme una serie di titoli (sia classici che recenti e/o misconosciuti) che comprendono sia rappresentazioni abbastanza canoniche del fenomeno sia storie che, a mio parere, riescono a esaminare la questione con un taglio originale o sfruttando spunti inconsueti, anche se non si può sempre parlare di film del tutto riusciti. Per ovvi motivi, si tratta quasi sempre di horror. </div><div><br /></div><div>Vi dico già cosa NON troverete qui: tutto quel un filone di film più o meno famosi che affrontano il tema stregonesco nel senso più “ristretto” del patto di un singolo col Diavolo, dal cult “<i>Rosemary’s Baby</i>” di <b>Roman Polański</b> (1968), tratto dall’omonimo romanzo di <b>Ira Levin</b>, fino a “<i>La Macchia della morte</i>” (1971) di <b>Paul Wendkos</b>, solo per citarne un paio; non troverete titoli come “<i>Giovani streghe</i>” (<b>Andrew Fleming</b>, 1996) o “<i>Le streghe di Eastwick</i>” (<b>George Miller</b>, 1987), non perché siano più, diciamo così, mainstream degli altri, ma perché banalmente non li ho mai visti; non troverete tutti i film orientali ispirati al folclore, sia perché ne parlo già anche troppo in altre sedi, sia perché è un ginepraio da cui non potrei mai uscire indenne; non troverete quei film cui ho già dedicato post appositi (“<i><a href="http://insidetheobsidianmirror.blogspot.com/2018/06/da-donna-strega-caotica-ana.html" target="_blank">Caotica Ana</a></i>”, “<i><a href="http://insidetheobsidianmirror.blogspot.com/2022/06/da-donna-strega-madre-o-strega.html" target="_blank">Antichrist</a></i>”, “<i><a href="https://insidetheobsidianmirror.blogspot.com/2023/06/les-garcons-sauvages.html" target="_blank">Les garcons sauvages</a></i>”).
Non è escluso che alcune delle riflessioni che troverete qui possano in futuro essere sviluppate in post a se stanti, anche se al momento mi sembra un’eventualità molto improbabile. E siccome mi piace parlare di cinema, non è neppure esclusa una seconda tornata di film più avanti nel tempo, nel caso dovessi riuscire a colmare alcune mie lacune cinematografiche... </div><div><br /></div><div><b><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiUCf3ryW21NqJSVNaXPCad4AZKGzpzfy4Cv1nYgqgihVWAcElgdiWz7Q4lSVVYVKQBRmvfusYEB13OLrvTbu1cRrnuiPyC9awGlnh68FQTZhqu5avcUYt5wMGETovhEwkrab7CLcZd7-EnYpA2xM9H_X3iRigX52OOaOAgy-98YD-y_pEoML-ONuoR5FUs/s585/dies%20irae.JPG" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="585" data-original-width="400" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiUCf3ryW21NqJSVNaXPCad4AZKGzpzfy4Cv1nYgqgihVWAcElgdiWz7Q4lSVVYVKQBRmvfusYEB13OLrvTbu1cRrnuiPyC9awGlnh68FQTZhqu5avcUYt5wMGETovhEwkrab7CLcZd7-EnYpA2xM9H_X3iRigX52OOaOAgy-98YD-y_pEoML-ONuoR5FUs/w274-h400/dies%20irae.JPG" width="274" /></a></div>“<i>Dies Irae</i>”</b> (1943) di <b>Carl Theodor Dreyer</b> è, a memoria (ma potrei sbagliarmi), il più vecchio film a tema stregonesco che abbia mai visto (se si eccettua “<i><a href="https://insidetheobsidianmirror.blogspot.com/2012/06/haxan.html" target="_blank">Häxan - La stregoneria attraverso i secoli</a></i>” di <b>Benjamin Christensen</b>, del ‘22, che però è un documentario). Ne ho dei ricordi molto sfocati, perciò mi sono affidato al web per ricostruire la trama in modo più preciso. Anne Pedersdotter, morta a Bergen nel 1590, fu una delle più famose vittime dell’inquisizione in Norvegia: la sua storia, adattata dallo scrittore <b>Hans Wiers-Jenssen</b> per il teatro nei primi del ‘900, nel film di Dreyer è invece trasportata in Danimarca, paese di origine del regista, dove la giovane moglie di un pastore protestante è invischiata in una relazione con il figliastro, quando il marito lo scopre e muore d’infarto. La suocera la accusa di stregoneria e blandisce e minaccia il nipote perché si schieri con lei. La vedova viene portata a giudizio in tribunale ma, addolorata dall’atteggiamento del giovane amante, rinuncia a difendersi, scegliendo di attribuirsi una colpa che non ha e di lasciarsi condannare al rogo. </div><div>Un capolavoro, ma soprattutto un film struggente e terribile che, oltre a puntare i riflettori su una pagina orribile della storia europea e mondiale, racconta molto dell’animo umano e delle vette e delle bassezze che questo riesce a raggiungere. </div><div><br /></div><div><b>“<i>La maschera del demonio</i>”</b> (1960) è l’esordio di <b>Mario Bava</b>, un classico del cinema gotico in cui una vampira/strega ritorna per caso dall’aldilà dopo duecento anni e cerca di prendere possesso del corpo di una sua discendente, che le somiglia come una goccia d’acqua, per vendicarsi di coloro che la misero al rogo. Entrambe le donne sono interpretate dalla scream queen per eccellenza, <b>Barbara Steele</b>, per meglio esplicitare il tema del doppio e il contrasto tra bene e male. È un film datato che per certi versi non resiste alla prova del tempo (i dialoghi, certe lungaggini un po’ noiose), ma che ancora oggi colpisce per le atmosfere malsane e la resa visiva. Il racconto da cui fu tratta la sceneggiatura, “<i>Vij</i>” di <b>Nicolai Gogol</b>, è la summa di diverse tradizioni folcloriche, di origini letterarie ma anche orali, leggendarie, riconducibili prevalentemente (ma non solo) a quella della pànnočka, che è al contempo strega (perché incanta gli uomini) e vampiro (perché succhia il sangue). Questo racconto è stato trasposto in modo anche più fedele negli omonimi lungometraggi del 1967 e 2014; quello del ‘67, di <b>Georgij Kropačëv</b> e <b>Konstantin Eršov</b>, è considerato il primo film horror del cinema sovietico; il secondo, di <b>Oleg Stepchenko</b>, si chiama in effetti “<i>Viy 3D</i>” e, come suggerisce il titolo, fu girato in 3D. </div><div><br /></div><div><b><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEil6q97Ae5F4A3-MCFGtZx3eNdKbPqmVcMo4uVCdlEiMRcSJwKZ-bza-Im8uqr8Y9HCpnSobzg7KHxqRSwguv8GL56XKFL-504DXvtL7WdoTsQyxQzAa8CT4DnEIxzHvZKsYq8cXZxla4BruMgUsl8VSd9vZe39falb5auQAjpkBIBYJZ1g-pqP6i0DThoj/s565/grandeinquisitore.JPG" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="565" data-original-width="400" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEil6q97Ae5F4A3-MCFGtZx3eNdKbPqmVcMo4uVCdlEiMRcSJwKZ-bza-Im8uqr8Y9HCpnSobzg7KHxqRSwguv8GL56XKFL-504DXvtL7WdoTsQyxQzAa8CT4DnEIxzHvZKsYq8cXZxla4BruMgUsl8VSd9vZe39falb5auQAjpkBIBYJZ1g-pqP6i0DThoj/w284-h400/grandeinquisitore.JPG" width="284" /></a></div>"<i>Il grande inquisitore</i>"</b> di <b>Michael Reeves</b> e <b>"<i>Black Horror - Le messe nere</i>"</b> di <b>Vernon Sewell</b> sono entrambi del 1968. Il primo è vagamente ispirato alla figura storica di <b>Matthew Hopkins</b>, il più celebre inquisitore britannico responsabile della morte di oltre trecento donne fra il 1644 e il 1646: censurato perché particolarmente crudo ed esplicito per l’epoca, finì (anche per questo) per divenire un cult. Il secondo è un adattamento de “<i>I sogni nella casa stregata</i>” (“<i>La Casa Delle Streghe</i>”) di <b>H.P. Lovecraft</b> e vede un uomo, Robert, raggiungere un vecchio maniero alla ricerca del fratello scomparso, dove potrà assistere alla rievocazione storica della condanna al rogo di una strega. Durante la notte demoni spaventosi popolano i suoi incubi e, indagando, Robert si convince che nei sotterranei del castelli avvengano delle messe nere. Un film virato sullo psichedelico, a tratti divertente ma con alcune scene al limite del trash, imprescindibile solo per i fan più incalliti dell’immancabile <b>Barbara Steele</b> e di <b>Boris Karloff </b>(qui a fine carriera). </div><div><br /></div><div><b>George A. Romero</b> ha dedicato al tema della stregoneria uno dei suoi titoli minori e meno riusciti, <b><i>“La stagione della strega”</i></b> (1972). La protagonista è Joan, una casalinga che dopo l’incontro con Marion, una donna che pratica la stregoneria ed è a capo di una setta, diventa essa stessa (o crede di diventare) una strega: comincia a fare vita mondana, si trova un amante, si disfa del marito. Il taglio sociale dato al racconto, la cifra stilistica del regista in tutti i suoi lavori, è anche qui preponderante, perché in questo film la stregoneria è per Joan un modo per emanciparsi da una vita monotona accanto a un compagno autoritario e assente, ma il finale è amaro: per tutti, Joan resta sempre e solo la “<i>Signora Mitchell</i>”. </div><div><br /></div><div><i><b><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiPXupx6mCA52yqnb3TSJUIwj6h522relcnr8jdQ3Tv4oL_CSTOZtQonadrNnlo3gaQVxGho1dsZPt_52qDjoj9e8Mfzqdn7eC63y-5ZJKEqp9tlXLxjUM_y0ZQPQ0zgP_w8Nj1ox2XkEQ1j_36Lv-af5V5X0qf7_CBbYewIgb9uuFPDsSjFP7-2LM63tlN/s556/blairwitch.jpg" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="556" data-original-width="400" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiPXupx6mCA52yqnb3TSJUIwj6h522relcnr8jdQ3Tv4oL_CSTOZtQonadrNnlo3gaQVxGho1dsZPt_52qDjoj9e8Mfzqdn7eC63y-5ZJKEqp9tlXLxjUM_y0ZQPQ0zgP_w8Nj1ox2XkEQ1j_36Lv-af5V5X0qf7_CBbYewIgb9uuFPDsSjFP7-2LM63tlN/w288-h400/blairwitch.jpg" width="288" /></a></div>“The Blair Witch Project – Il mistero della strega di Blair”</b></i> di <b>Daniel Myrick</b> e <b>Eduardo Sánchez</b> è un film che alla sua uscita, nel 1999, accolsi come una ventata d’aria fresca: erano lontani i tempi in cui i cosiddetti "<i>mockumentary</i>" avrebbero cominciato a darmi sui nervi e avrei cominciato a evitarli come la peste. Com’è necessario per rendere la narrazione efficace in questo tipo di film, ci si concentra su pochi personaggi, immersi in un ambiente che da bucolico e rassicurante diventa inquietante in men che non si dica al calar del sole. Sono dei ragazzi che si recano a campeggiare in un bosco del Maryland per girare un documentario sulla leggenda della strega locale: la strega di Blair, appunto. </div><div>Giacché si lascia ad intendere che si tratti di una storia vera, ciò che vediamo è esattamente quanto da loro girato nel bosco con la telecamera in spalla, senza, ovviamente, l’ausilio di supporto basculante, allo scopo di rendere il risultato finale il più realistico possibile, oltre che per generare malessere e nausea allo spettatore L’orrore è suggerito, rimane sempre fuori campo, e l’immaginazione dello spettatore galoppa. Questo ha consentito di utilizzare un budget molto ridotto, il che, a sua volta, è la ragione principale per cui i <i>mockumentary</i> (e più in generale le riprese in modalità POV) sono diventati in seguito così diffusi. Si può dire che, se da un lato i due registi hanno saputo fare di necessità virtù, inaugurando un nuovo filone horror, dall’altro questa è una forma di film-making molto democratica, giacché consente a chiunque di realizzare il suo film anche senza avere grossi produttori alle spalle, anche se senza una buona idea di partenza il rischio è di rifare sterili copie di cose già viste... Oggi siamo più smaliziati e “<i>The Blair Witch Project</i>” non fa più paura come vent’anni fa, ma il finale è entrato nella leggenda ed è ancora maledettamente efficace. </div><div><br /></div><div><i><b><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjcaYLouboQU8jD8S2OnSJ8ytLmifUABvgdDqS48XLr-U8IaEaOJowXGuoNrIngGNVcOOR6vcFq71C4lazndr_gL7y5FT3sqVwLZRU_VDqsirn_S4Ck-mbfQo9aWOhgj7beH4VtbBzC0s_Z_c7v-_QABI1lM560G0-w9kPG8lZD7sYoJF5na7ErJoLtTk4O/s514/witchednight.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="514" data-original-width="400" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjcaYLouboQU8jD8S2OnSJ8ytLmifUABvgdDqS48XLr-U8IaEaOJowXGuoNrIngGNVcOOR6vcFq71C4lazndr_gL7y5FT3sqVwLZRU_VDqsirn_S4Ck-mbfQo9aWOhgj7beH4VtbBzC0s_Z_c7v-_QABI1lM560G0-w9kPG8lZD7sYoJF5na7ErJoLtTk4O/s320/witchednight.jpg" width="249" /></a></div>“Witches Night”</b></i> (<b>Paul Traynor</b>, 2007) è un film poco noto che ha però diversi elementi di interesse per chi ama certe tematiche, benché sia penalizzato (tra le altre cose) da una certa monodimensionalità dei personaggi. Del resto il film non ha pretese autoriali, è solo un’opera di onesto artigianato che si propone soprattutto di intrattenere, e a mio parere lo fa egregiamente. </div><div>È il weekend di Halloween, e quattro amici decidono di trascorrerlo a campeggiare. Nel bosco incontrano quattro belle e disinibite figliole che, naturalmente, sono delle streghe. Due di loro ne vengono subito irretiti, ma gli altri due riescono a sfuggire, almeno temporaneamente, al diabolico influsso. Come fanno? Beh, hanno addosso felpe ridicole e, per nasconderle, le indossano al rovescio… </div><div>Anticamente, si credeva che indossare i vestiti al contrario servisse come protezione contro le streghe: chissà se il regista lo sapeva, e ha effettuato un’operazione filologica sottile e sopraffina, o se la sua è stata solo fortuna sfacciata… </div><div>Ma nel film c’è anche il tema dell’acqua, che non mi pare sia mai stato molto sfruttato in questo tipo di pellicole: i ragazzi sono accampati sulle rive di un lago e, poiché le streghe risiedono dall’altra parte e non possono attraversare gli specchi d’acqua, sono costrette ad attirarli dall’altra parte; e il finale non è poi così scontato. </div><div><b><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div>Álex de la Iglesia</b> ha invece scelto di sdrammatizzare il tema: <i><b>“Le streghe son tornate”</b></i>, la sua commedia horror del 2013 ispirata alla vera vicenda delle streghe di <b>Zugarramurdi</b>, teatro di un famoso processo alle streghe nel ‘600, è colorato, esagerato, sguaiato, un bell’esempio di cinema pop e degli eccessi. </div><div>Comincia con due amici che rapinano un negozio e scappano prendendo come ostaggio un tassista e il suo passeggero e portando con sé il figlio di uno di loro, mentre la sua ex moglie e due ispettori di polizia li inseguono nella fuga verso il confine francese. Ma la strada passa per il paese di Zugarramurdi, dove esiste una vera congrega di streghe che… beh, diciamo che un’enorme, mostruosa e antica divinità femminile che defeca bambini non è una cosa che si vede facilmente sullo schermo. Come dicevo è una commedia, quindi c’è il lieto fine (più o meno). In sottofondo resta l’accenno al potere femminile come agente trasformatore, anche quando l’apparenza sembrerebbe indicare il contrario. </div><div><br /></div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjcYpqlWoSWchoAw3HMsauixTspEmRSNUs--SJSIBMpzxnU193oC3NuNVGMVTE2QCRCEG1HIqANK_jmUkosC-RQb5Frvow_yNTr19GroMR9Cp1HMJehp2uDKlgsAJRu07i3zz7AqyA-x2TfkWcV6LhMO0NLPl7CFOg-Xl4cKk56ATagTV6WIcy8I1N1pQ9e/s592/the-lords-of-salem-poster.jpg" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="592" data-original-width="400" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjcYpqlWoSWchoAw3HMsauixTspEmRSNUs--SJSIBMpzxnU193oC3NuNVGMVTE2QCRCEG1HIqANK_jmUkosC-RQb5Frvow_yNTr19GroMR9Cp1HMJehp2uDKlgsAJRu07i3zz7AqyA-x2TfkWcV6LhMO0NLPl7CFOg-Xl4cKk56ATagTV6WIcy8I1N1pQ9e/w270-h400/the-lords-of-salem-poster.jpg" width="270" /></a></div>Come Álex<b> </b>de la Iglesia, anche <b>Rob Zombie</b> ha attinto a fatti del proprio paese risalenti al ‘600, ma mentre il primo ha voluto calare il tema della stregoneria in un presente moderno e frenetico, l’altro ha dato vita a un prodotto dall’estetica settantiana e dall’incedere lento e opprimente. </div><div>Ne <b><i>“Le streghe di Salem”</i></b> (2012), Heidi fa la DJ radiofonica a Salem, nel Massachussetts, e un giorno si trova ad ascoltare la demo di un gruppo chiamato “<i>The Lords</i>”. L’ascolto la sprofonderà in un incubo fatto di allucinazioni e ricordi di un lontano, oscuro passato (un suo avo, infatti, era stato coinvolto nei famosi processi alle streghe), che rischia di farla precipitare nuovamente nel baratro della droga. Il bello arriva quando il brano musicale viene trasmesso per radio, tutte le donne che sono all’ascolto ne restano come ipnotizzate e il passato sembra ripetersi… </div><div><br /></div><div>Due film particolarmente interessanti dal punto di vista filologico sono anche <i><b>“The VVitch”</b></i> (<b>Robert Eggers</b>, 2015) e <b><i>“La sposa del diavolo”</i></b> (<b>Saara Cantell</b>, 2016). Il maggior pregio di “<i>The VVitch</i>” a mio parere è che, come anche nel caso delle vere vicende di caccia alle streghe, non è chiaro a cosa ci si trova davanti, perché la narrazione è volutamente ambigua, fino al finale. </div><div>Nel New England, negli anni Trenta del ‘600, una famiglia è troppo integralista perfino per la puritana comunità a cui appartiene, tanto da doversene allontanare per andare a vivere isolata nei pressi di un bosco. La scomparsa del figlio più piccolo scatena i peggiori istinti in tutti i membri della famiglia, fra liti, recriminazioni e pruriti pre-puberali. Quando uno dei fratelli incontra una strana donna nel bosco e la natura sembra divenire ostile (il raccolto si secca, la capra non dà più latte, e così via), la situazione deraglia fino al finale che affoga tutto nel sangue. </div><div>Il regista sfrutta abilmente diversi elementi dell’iconografia demoniaca (il caprone, le visioni mortifere che forse sono reali e forse sono invece il frutto della disperazione e della perdita progressiva della fede, eccetera), ma il sabba finale attorno al fuoco è anch’esso interpretabile in un doppio senso, reale e metaforico (molti studiosi ad esempio affermano che le streghe fossero convinte di sollevarsi in aria e volare a causa dell’ingestione di allucinogeni, e le congreghe stesse possono essere viste semplicemente come un’unione di tante solitudini: quelle di donne giovani e meno giovani decise a trovare riscatto dalla superstizione, dalla calunnia, dall’isolamento e dalla persecuzione). In ogni tempo e luogo una donna libera è sempre stata additata come strega, ma, per quanto mi riguarda, il primo e più importante senso del film è che streghe e mostri sono spesso generati dallo stesso pensiero che li aborre. </div><div><br /></div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh_BQBjFbg0UFcs3EsBiU_foT8whBEVGML74lcGpWEya017eqF17LNIHCZamhkAWvypEfjSZ_V5rePMwCkqPEi7t28aaWM_u4xPAUVau4a30hO9L7Nm0xjD3Y51fLs2S8xpZNGGUhxXu5M1mkcLHINFN0Gx4RfEuhw7TA9eg5gh0pAGqhB2EGLLfIXEUuYe/s600/ddas1-1.JPG" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="278" data-original-width="600" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh_BQBjFbg0UFcs3EsBiU_foT8whBEVGML74lcGpWEya017eqF17LNIHCZamhkAWvypEfjSZ_V5rePMwCkqPEi7t28aaWM_u4xPAUVau4a30hO9L7Nm0xjD3Y51fLs2S8xpZNGGUhxXu5M1mkcLHINFN0Gx4RfEuhw7TA9eg5gh0pAGqhB2EGLLfIXEUuYe/s16000/ddas1-1.JPG" /></a></div>“<i>La sposa del diavolo</i>” è ispirato al primo processo alle streghe nella storia della Scandinavia, che si svolse in un piccolo villaggio situato su un’isola della Finlandia. Nel suddetto villaggio c’è chi insiste a perpetrare antiche tradizioni e l’antico folclore e chi vorrebbe invece dare un colpo di spugna a tutto quanto in nome della religione cristiana. </div><div>Tuttavia, la purezza non va sempre a braccetto con la reputazione delle persone (l’ostetrica fa del bene ma è malvista, mentre il prete perbenista è in segreto un maniaco sessuale). Il nuovo giudice, osservante e fanatico, si propone di sradicare pratiche ormai considerate eretiche, come la divinazione o l'utilizzo di erbe a scopo curativo. Ne farà le spese una giovane mamma accusata di stregoneria dall’ex amante respinta dal marito, una ragazza appena sedicenne e immatura accecata dalla gelosia. Ma un twist ribalta la situazione: Anna, l’amante, ha una presa di coscienza, si pente e si redime. E se un lieto fine non è possibile, come del resto non ce ne fu mai uno nella realtà, il film ha il pregio di riscattare, se pure in minima parte, il carico di ingiustizie e di dolore piovuti sullo spettatore con un epilogo nel quale la pietà e la solidarietà femminile si intrecciano. E non è poco. </div><div><br /></div><div><b><i><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg5EZJQuvfuqkgBqUoAIqa4HznObKHsfHczGHxsbGrk2SlmE1vk9GhnCpZbuOg5x5B0Q0m-e41NDfCkoQArlsxW1FvcxEz9DrkPiTPX4VhvzufLakGAA2gUydlI_SfGg1wBDIDXgauGuw7FLDRyrUMp-5HYcijzm_bl8xe-YjNWHv2ssJlPWKooKExptIy4/s370/Hagazussa_(2017)_poster.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="370" data-original-width="250" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg5EZJQuvfuqkgBqUoAIqa4HznObKHsfHczGHxsbGrk2SlmE1vk9GhnCpZbuOg5x5B0Q0m-e41NDfCkoQArlsxW1FvcxEz9DrkPiTPX4VhvzufLakGAA2gUydlI_SfGg1wBDIDXgauGuw7FLDRyrUMp-5HYcijzm_bl8xe-YjNWHv2ssJlPWKooKExptIy4/w270-h400/Hagazussa_(2017)_poster.jpg" width="270" /></a></div>“Hagazussa”</i></b> (<b>Lukas Feigelfeld</b>, 2017) è un altro di quei film che, forse perché è ambientato nel Medioevo, forse per il suo incedere molto lento, a quanto pare è piaciuto solo a me. </div><div>Il film fa suo il tema della giovane reietta additata come strega che conosce le erbe, è figlia di nessuno e finirà, come la madre prima di lei, per diventare una ragazza madre. Quando sembra che possa forse integrarsi nella comunità, viene fuori che in realtà le hanno solo preparato un crudele tiro mancino. </div><div>Ho letto da più parti che, alla fine del film, la protagonista versa del sangue nel ruscello vicino al villaggio per “fare un dispetto” a quelli che le hanno fatto del male, ma non è questo il vero significato del suo gesto. Lei è una vera strega, o almeno crede di esserlo, e come tale usa la magia. Magia “simpatica”. Lei sparge il sangue per portare la morte. È l’apice e la scena cardine della narrazione, non comprenderla vuol dire togliere al film il suo senso. </div><div><br /></div><div>Nel 2018 esce invece <b><i>“Hereditary – Le radici del male”</i></b> di <b>Ari Aster</b> (del suo successivo “<i>Midsommar</i>” parleremo la prossima volta), uno dei miei horror preferiti degli ultimi anni perché unisce al brivido il dramma in modo esemplare. </div><div>In una famiglia la cui storia è da sempre funestata da una serie di malattie mentali e di morti improvvise, Annie perde in breve tempo la madre Ellen e poi la figlia tredicenne Charlie, morta tragicamente sulla macchina guidata dal fratello Peter. L’impatto di questo secondo evento, in particolare, è devastante per l’intera famiglia, finché Annie non coinvolge i suoi familiari in una seduta spiritica per mettersi in contatto con lo spirito di Charlie. </div><div>Sappiamo bene che, nei film horror, questa non è mai una buona idea. Si scopre inoltre che Ellen aveva un interesse segreto per l’occulto: credeva infatti in Paimon, un demone che può incarnarsi a patto di trovare un corpo maschile adatto allo scopo. Ma la leggenda è molto più reale di quanto non si pensi, un terribile segreto che la famiglia nasconde da generazioni, e che spiega il legame speciale tra Ellen e sua nipote Charlie, il fato di Charlie e gli incubi che perseguitano Peter, fino al finale rivelatorio e scioccante. </div><div><br /></div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhBOaT0W1unUBD_DiQDJkraVRcn2gjRGjClpy-m_52FpodgYq8UiANHx3rpg4XYpFKqgQkcPeNi4SrjDLU4r49lKND_jmULc9UBb9j10uCBCrUHgFaoaSnj19CFWY8pL4ntvKwPojB-Fgl-Sq-Z2yKIDOnxF2E_fNJfJ_M6kvg2VMHtqXB3tsjDPjgH_Pg0/s600/ddas1-2.JPG" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="283" data-original-width="600" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhBOaT0W1unUBD_DiQDJkraVRcn2gjRGjClpy-m_52FpodgYq8UiANHx3rpg4XYpFKqgQkcPeNi4SrjDLU4r49lKND_jmULc9UBb9j10uCBCrUHgFaoaSnj19CFWY8pL4ntvKwPojB-Fgl-Sq-Z2yKIDOnxF2E_fNJfJ_M6kvg2VMHtqXB3tsjDPjgH_Pg0/s16000/ddas1-2.JPG" /></a></div>Ma un post come questo non potrebbe dirsi completo senza menzionare la streghe per eccellenza, le Tre Madri di <b>Dario Argento</b>, personaggi derivati dalla lettura di <b>Thomas de Quincey</b>. Se <b><i>“Suspiria”</i></b> (1977) e <b><i>“Inferno”</i></b> (1980) sono dei classici senza tempo, bellissimi esteticamente, capaci di spaventare oggi come allora, <i><b>“La terza madre”</b></i> (2013) è stata un’operazione a cui il regista romano è stato in qualche modo costretto: necessario per completare la trilogia ma dal risultato imbarazzante. La trama, la recitazione, tutto: mi riesce difficile salvare qualcosa in questo film, se si eccettuano alcune scene di omicidio in cui si vede ancora la mano del maestro. A suo tempo uno dei miei blogger preferiti, <b>Ivano Landi</b>, dedicò ai film di Argento una meravigliosa serie di post, che vi invito a recuperare <a href="http://ivanolandi.blogspot.com/2016/04/trilogia-delle-madri-1-le-origini.html" target="_blank">a partire dal primo</a>. </div><div>Poiché mi intimidisce sempre parlare di classici, preferisco spendere qualche parola in più per il remake di “<i>Suspiria</i>” di <b>Luca Guadagnino</b>, uscito nel 2019 fra mille polemiche. Si può apprezzare o meno il tentativo di incasellare le vicende del film nella situazione socio-politica della Germania degli anni Settanta (oggettivamente superflua ai fini della storia), tuttavia va dato atto a Guadagnino di aver fatto delle scelte non facili, e di aver molto rischiato nel tentare di dare una nuova veste a un classico che per molti è intoccabile. A me il risultato, seppur distante dall’originale, è piaciuto, e non solo per le sue indubbie qualità estetiche. Se il film di Argento indaga forze ataviche e soprannaturali, quello di Guadagnino ci mostra la Madre dei Sospiri al vertice di una congrega di streghe che sembra paradossalmente costituire un umanissimo baluardo difensivo contro la società di fuori. Non so quanto spirito femminista, o di sorellanza o di corporazione sia realmente infuso nel film, ma la deriva che l’autore dà alla storia non mi pare né scontata né banale. </div><div style="text-align: right;"><a href="https://insidetheobsidianmirror.blogspot.com/2023/10/da-donna-strega-piccolo-intermezzo.html" target="_blank">CONTINUA</a></div></div>Obsidian Mhttp://www.blogger.com/profile/00077330887101732002noreply@blogger.com8