LA PRIMA PARTE SI TROVA QUI
L’illustrazione che ho riportato in chiusura dell’articolo precedente sembra smentire del tutto la
planimetria diffusa dagli inquirenti, e che li aveva messi in difficoltà come solo il più classico
mistero della “camera chiusa” potrebbe fare. Al di là di alcuni dettagli marginali, quali la posizione
della cassaforte, orientata diversamente rispetto alla planimetria ufficiale, salta subito agli occhi
una seconda porta di accesso allo studio di Benjamin, una porta che porterebbe direttamente al
corridoio con la scalinata e da qui all’esterno.
Se mai fosse confermata la fedeltà dell’illustrazione,
allora non ci sarebbe proprio alcun mistero e sarebbe incredibile come per oltre 150 anni centinaia
di investigatori da poltrona si siano scervellati su questo delitto.
La realtà è che è molto improbabile
che quella seconda porta sia mai esistita. Preferisco credere a una libera interpretazione del
disegnatore, sebbene alcuni particolari secondari (tipo il giaciglio di fortuna fatto di materassi
sovrapposti) non siano affatto lì per caso.
Certo, direte voi, per chiarirsi ogni dubbio basterebbe
andare a vedere (visto che l’edificio è ancora lì), ma caso vuole che una fuga di gas quasi
distrusse l'edificio una mattina di marzo del 1914 (mentre il piano terra rimase sostanzialmente
indenne, "la distruzione dei piani superiori era praticamente completa", scrisse il Times). Niente
sopralluogo, quindi, e comunque l’avrei certo fatto solo per togliermi questo sassolino dalla scarpa.
Osservando la planimetria, tra l’altro, mi viene da pensare che la finestra sul lato sud, quella della
stanza adiacente a quella di Anne Kelly, sia una via d’uscita perfettamente verosimile. Essa si
affaccia infatti su un cortile interno ed è lecito pensare che, a differenza di quelle sulla strada,
potesse disporre di una scala antincendio di facile attacco (se ne notano ancora oggi diverse
curiosando con Street View dal lato della 22nd St).
Rimane la questione della governante, che
difficilmente avrebbe potuto ignorare qualcuno a passeggio da quel lato della casa (a meno che
non fosse sotto l’effetto di un sonnifero, il che spiegherebbe anche altre cose).
In seguito, aggiungo per dovere di completezza, si scoprì che la porta del seminterrato era aperta,
anche se non si poté provare che qualcuno fosse entrato o uscito da lì proprio la notte
dell’omicidio.
Siamo quindi a un punto morto. Per proseguire, trascurando per un momento la teoria del ladro
non resta dunque che passare al setaccio i protagonisti per vedere se casomai tra loro possa
esserci qualcuno sospettabile.
A sinistra: vista dall'alto dell'edificio (in giallo) - A destra: scale antincendio sulla 22° strada |
La signora Anne Kelly, la governante, non è mai stata tra i sospetti. Non era fisicamente in grado di
fornire il tipo di “servizio” ricevuto da Benjamin Nathan, e inoltre non aveva nulla da guadagnare
dalla sua morte: l'omicidio infatti la lasciò disoccupata e senza casa. All'inchiesta, la governante
dichiarò di essersi coricata verso le 22:15, dopo aver consegnato a Benjamin una brocca d'acqua
ghiacciata proprio mentre egli si preparava per andare a letto. Accanto a lui, i suoi vestiti erano
ammucchiati su una sedia. Nei pantaloni, la chiave della cassaforte.
Frederick Nathan neppure è mai stato seriamente considerato un sospetto. Era devoto a suo
padre e fu seriamente devastato dalla sua morte. In qualità di broker di successo, inoltre, Frederick
non aveva bisogno di soldi e non avrebbe pertanto avuto necessità di uccidere per l’eredità. Certo,
a mio parere il gesto di gettarsi sul corpo del padre e di imbrattarsi di sangue, sebbene
umanamente comprensibile, avrebbe potuto far sorgere più di una domanda, ma così
evidentemente non è stato.
William Kelly, il figlio della governante, era al contrario un personaggio losco: un tipo taciturno e di
poche parole, un ubriacone che viveva ai margini della legalità e un “bounty-jumper”, ovvero un
individuo che si arruolava volontario nell’esercito per ricevere una ricompensa, per poi disertare e
ripetere il processo con un altro reggimento e ottenere ulteriori ricompense (il “bounty-jumping” era
una pratica molto diffusa durante la Guerra Civile Americana e le stesse autorità militari erano
perfettamente a conoscenza del fenomeno). Nonostante ciò, nessuna accusa fu mai presentata
nei suoi confronti, e ciò nonostante girasse la voce che avesse in precedenza derubato e ucciso
uno dei suoi numerosi datori di lavoro.
La mattina del 29, occorre aggiungere, pare che i due
fratelli, uscendo dalla stanza dopo la macabra scoperta, avessero incontrato William Kelly con le
scarpe in mano, e quando gli dissero che il padre era stato ucciso il giovane non abbia detto nulla,
limitandosi a fissarli.
Sinceramente, la mia opinione è che qualsiasi tentativo di spostare l’attenzione su Kelly sia
facilitato (e guidato) dalla particolare vulnerabilità di una persona di bassa estrazione sociale.
L'unico che fu messo sotto inchiesta fu Washington Nathan |
L’unico protagonista della vicenda che a un certo punto fu messo sotto inchiesta fu Washington
Nathan, per via di alcune discussioni da lui avute col padre a causa delle sue abitudini di vita
(Washington amava alzare il gomito, giocare d’azzardo, trascorrere il suo tempo con le prostitute e
spendere denaro in maniera sconsiderata). Tra l’altro, Washington confessò di aver trascorso parte
di quella stessa serata in un bordello, facendo esattamente ciò che suo padre disapprovava. Il fatto
poi che emotivamente Washington non apparisse affranto del lutto quanto il fratello non giocava a
suo favore. Tuttavia, nemmeno lui ebbe un gran giovamento dalla morte del padre, soprattutto
perché, nonostante i diverbi, Benjamin non aveva mai negato nulla al figlio dal punto di vista
finanziario. A conferma di ciò, un articolo del quotidiano “The American Israelite” descriveva la
vittima come "uno dei cittadini ebrei più in vista, ricchi, altruisti e amati", che “aveva accumulato
una fortuna a Wall Street” e che "in casa, era sfarzoso fino all'eccesso, circondando sé stesso e la
sua famiglia di ogni comfort e lusso che il denaro potesse procurare", pur non spendendo molto
per sé. Una clausola del testamento, inoltre, precisava che la quota di patrimonio destinata a
Washington sarebbe stata elargita solo nel momento in cui il figlio “avesse messo la testa a posto”
e “sposato una brava ragazza di confessione ebraica”, il che equivale a dire che egli fu l’unico degli
otto figli a non passare all’incasso, perlomeno non nell’immediato.
Riassumendo, nessuno dei quattro, per un motivo o per l’altro, era incriminabile. Non resta quindi
che tornare alla più banale ipotesi del ladro, che per quanto poco affascinante resta anche la più
probabile. Anche perché, è bene sottolinearlo, un ricco banchiere ebreo con i braccini corti è
proprio il tipico soggetto che attira l’attenzione di qualsiasi malfattore si trovi a transitare nei
paraggi.
Un indizio a sostegno dell’ipotesi del furto è la presenza di operai in casa, che sinora
ho citato solo “en passant” e che fa terno con l’arma del delitto e con l’avvistamento di un uomo
“vestito da muratore” da parte del venditore di giornali alle cinque di quella mattina. Non mi
stupirebbe nemmeno la presenza di un qualche tipo di impalcatura a facilitare l’incursione, anche
se mai citata da alcuna fonte.
Gli operai in questione erano tutti immigrati irlandesi, e tra loro furono interrogati Michael McEwan
(idraulico), Morris Williams (muratore) e Richard King (operaio tuttofare). Quest’ultimo fece
chiarezza sulla questione della porta del seminterrato: lui stesso utilizzò più volte quella strada per
andare e venire dalla casa, infilando una mano attraverso la grata della porta e azionando il
chiavistello dall'interno.
Fin dall'inizio la polizia aveva comunque ritenuto che l'omicidio fosse stato commesso da
professionisti. Vennero setacciati tutti i banchi dei pegni della città alla ricerca della refurtiva e
interrogati una trentina di individui con precedenti per furto con scasso, senza però pervenire ad
alcun risultato.
D’altra parte, mi viene da pensare, il valore dei beni sottratti era piuttosto esiguo per
dei professionisti e, non ultimo, un’aggressione di tale violenza mal si sposava con quel tipo di
criminalità. Più logico pensare a un dilettante, non trovate? O magari no. O magari fu davvero un
lavoro ben pianificato, il lavoro di qualcuno che mise in scena un furto di denaro per nascondere
qualcosa di più importante, come per esempio la sottrazione di un qualche documento
compromettente conservato nella cassaforte della vittima. In fondo cosa ci sarebbe di strano nel
pensare che Benjamin Nathan, un faccendiere milionario tra i più in vista di New York, disponesse
di informazioni tali da tenere in scacco un suo qualche rivale? Una sorta di confronto finale tra
ricattato e ricattatore, detto in due parole.
Quel che resta, dopo oltre 150 anni, è un omicidio irrisolto, un omicidio del quale sono rimasti un
mistero non solo il colpevole, ma anche le dinamiche con le quali è avvenuto. È indiscutibile che, al
netto delle ipotesi più strampalate, l’aggressione sia avvenuta in una stanza dalla quale nessun
essere umano avrebbe potuto uscire senza lasciare dietro di sé una scia di sangue. L’evidenza,
oltre che dalle tracce ematiche, deriva anche da piccoli particolari come i cassetti interni della
cassaforte trovati abbandonati sul letto di Benjamin, segno che la vittima era già tale quando
l’omicida si mise a rovistare con il dovuto metodo.
L'edificio teatro del delitto all'epoca dei fatti (a sinistra) e oggi ( a destra) |
Dopo i fatti, Washington Nathan continuò a vivere quella vita borderline che il padre gli
rimproverava: continuò a bere, a scommettere e ad andare a mignotte. Si prese anche un proiettile
nella mascella da una delle sue amanti, proiettile che non fu mai rimosso. Quando nel 1879 la
madre morì, e lui intascò una seconda eredità, il suo patrimonio personale superava i 200.000
dollari: cinque anni più tardi aveva già speso tutto. Rimase senza amici, si trasferì a Londra e poi a
Parigi. Nel 1892, a soli 44 anni e coi capelli già completamente imbiancati, morì in solitudine
passeggiando lungo la spiaggia di Boulogne.
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