venerdì 10 ottobre 2025

Benjamin Nathan: un antico delitto della camera chiusa (Pt.1)

Solo qualche settimana fa, attorno a ferragosto, scrissi una recensione a "I delitti della casa decagonale" di Yukito Ayatsuji che, come spesso accade, specialmente in piana estate, è passato più o meno inosservato. Perché ve ne parlo proprio ora? Semplicemente perché l'incipit di quel post, dove facevo una rapida rassegna dei cosiddetti “delitti della camera chiusa” nella letteratura gialla, ci starebbe a pennello, senza alcuna variazione, anche oggi. Il fulcro di tale sottogenere, come scrivevo nell'altro post, non è quello classico del poliziesco, cioè scoprire il responsabile, bensì scoprire il modo in cui il crimine è stato commesso. Ho citato naturalmente i classici più importanti, da Gaston Leroux a John Dickson Carr, da S.S. Van Dine a Ellery Queen, fino ad arrivare alla regina indiscussa Agatha Christie. Lo scopo di quella carrellata era introdurre un romanzo abbastanza recente che non era difficile non notare sugli scaffali delle librerie nei primi mesi di quest'anno.
La storia che racconterò oggi non nasce però, ahimè, dalla fantasia di uno scrittore di romanzi gialli; la storia è reale, un delitto è realmente accaduto e le circostanze con cui si sono trovati ad avere a che fare gli investigatori rientravano perfettamente nello schema tanto caro ai giallisti citati pocanzi.
Il problema è che nel mondo reale non esiste un investigatore così brillante da poter sbrogliare una matassa così intricata, magari con un “coup de théâtre” che inchioda il colpevole nelle ultime pagine, di solito scelto tra i meno sospettabili. La realtà è che un vero “delitto della camera chiusa”, meno raro di quel che si pensi, raramente viene risolto. 

L'edificio di arenaria al 12 di Wesr 23rd St, scena del crimine
Siamo a Manhattan. L’anno è il 1870. Benjamin Nathan, un ricco agente di cambio cinquantaseienne, viene brutalmente assassinato nella notte tra il 28 e il 29 luglio nella sua elegante casa in pietra arenaria sita al numero 12 di West 23rd Street, casa che egli aveva costruito per sé, per la moglie e per gli otto figli. Siamo davvero a pochi passi dal Madison Square Park, là dove la Broadway si getta nella 5th Avenue. L’edificio oggi è praticamente immutato, e se non fosse per la presenza di un piccolo ristorante vegano le cui vetrine si affacciano sulla trafficata arteria, si direbbe che il tempo si sia fermato al secolo scorso. 
La scena che apparve agli occhi dell’agente di polizia accorso la mattina del 29 sul luogo del delitto era terribile: Benjamin Nathan giaceva a terra in una vasta pozza di sangue, con numerose ferite aperte nel cranio. Il sangue era schizzato sulle pareti e sui mobili e anche una sedia rovesciata lì accanto era imbrattata di sangue. All’appello pare mancassero alcuni gioielli e una piccola somma di denaro, particolare che in seguito portò gli inquirenti ad archiviare il caso come il classico furto finito male, senza tenere granché conto di un aspetto che agli occhi di tutti non poteva affatto definirsi trascurabile: come sarebbero entrati e usciti i ladri? E come poterono le quattro persone presenti in casa non accorgersi di nulla durante il feroce attacco? In effetti, pensandoci bene, l'omicidio di Nathan sembrava più un classico mistero da "stanza chiusa", un mistero che, a distanza di oltre 150 anni, rimane irrisolto. 

Il luglio 1870 faceva un caldo opprimente a New York City e l’intera famiglia di Benjamin Nathan si era trasferita nella loro casa di campagna a Morristown, nel New Jersey, a meno di 60 chilometri dalla Grande Mela. Se oggi, secondo un qualsiasi navigatore satellitare, occorre meno di un’ora per compiere il tragitto, nel 1870 certamente il viaggio era ancora piuttosto impegnativo, nonostante ciò Benjamin faceva regolarmente il pendolare dal New Jersey alla sede della borsa in Broad Street dove aveva il suo ufficio; solo occasionalmente, egli trascorreva la notte nella sua casa sulla ventitreesima strada, dove invece risiedeva stabilmente Anne Kelly, la governante, e William Kelly, suo figlio illegittimo. Quest’ultima fu comunque sorpresa, la sera del 28 luglio, nel vedere sopraggiungere, senza alcun preavviso, Benjamin con due dei suoi figli, Frederick (26 anni) e Washington (22). La stanza di Benjamin, quella sera, non era agibile poiché era in fase di ristrutturazione (c’erano imbianchini e muratori ovunque), e la donna dovette improvvisargli un giaciglio al secondo piano, nel piccolo studio adiacente all’ufficio del suo principale, il quale, disse, aveva del lavoro da sbrigare prima di coricarsi. I figli di Nathan alloggiavano nelle loro stanze al terzo piano, la signora Kelly in una stanza nella parte posteriore del secondo piano e William Kelly dormiva al quarto piano. 

Clicca per ingrandire
Come avevo già fatto in passato (analizzando il caso “Smuttynose”, ndr), anche questa volta mi sono divertito a tracciare una planimetria del secondo piano dell’edificio, quello incriminato, basandomi in parte sulla logica e in parte su una sommaria bozza tracciata a mano e apparsa su un quotidiano dell’epoca, e naturalmente sulle immagini di Google Maps. Non credo sia difficile farsi un’idea della “impossibilità” del delitto con un semplice sguardo: il corpo della vittima giace proprio a cavallo della porta che collega lo studio al piccolo ufficio, e considerata la vasta chiazza di sangue era praticamente impossibile per chiunque utilizzare quella porta senza lasciarsi dietro tracce più che evidenti. 
Eppure, quella a prima vista pare davvero l’unica via che un killer avrebbe potuto prendere per dirigersi verso la scalinata in corridoio e allontanarsi. Esistono delle finestre, questo è vero, ma sempre grazie a Google possiamo renderci subito conto che si tratta di un salto di almeno sette metri, il che le rende delle vie d’uscita poco probabili. Tecnicamente l’unica persona che avrebbe potuto agire indisturbata sarebbe la governante, ma questa è un’ipotesi priva di logica, come vedremo meglio più avanti. 

La sera del 28 luglio, ad ogni modo, Frederick e Washington uscirono a cena separatamente. Il primo fece rientro intorno alle 23:15 e scambiò due parole con suo padre prima di ritirarsi; il secondo rientrò più tardi, verso le 0:30, e sbirciando oltre la porta aperta della camera di suo padre vide il vecchio che dormiva. La mattina del 29 Washington si alzò di buon’ora e intorno alle 6:00 scese le scale per svegliare suo padre. Lo trovò disteso in una pozza di sangue. Altro sangue era schizzato sulle pareti e sui mobili. Washington urlò per attirare l’attenzione del fratello, che si precipitò al piano di sotto e, vedendo la mattanza, corse verso il corpo del padre e ne prese la testa tra le braccia. Dopo qualche attimo di incertezza entrambi corsero urlando in strada in camicia da notte, quella di Frederick completamente imbrattata di sangue, e attirarono l’attenzione di un poliziotto che transitava da quelle parti. 

Il capo della polizia John Jordan e il detective capo James J. Kelso presero il comando delle indagini. Dallo studio della scena del crimine risultò evidente che Benjamin Nathan fosse stato colpito alle spalle mentre era seduto alla sua scrivania. Il primo colpo non era stato sufficiente a ucciderlo e c'erano evidenti segni di lotta. Due dita della mano sinistra erano fratturate, evidentemente mentre Benjamin aveva tentato di parare un colpo. Erano presenti almeno quindici ferite sulla testa, con schegge ossee e materia cerebrale che fuoriusciva da una dozzina di punti. Nell'ufficio adiacente la porta della cassaforte era spalancata (era a chiave, e non a combinazione): mancavano poche centinaia di dollari in contanti e qualche oggetto d’oro. Alcune delle ferite alla testa di Benjamin erano state provocate da un oggetto contundente, altre invece da qualcosa di appuntito, particolare che fece inizialmente supporre che fossero presenti due assalitori con due armi diverse. Successivamente, però, sul pavimento vicino alla porta d'ingresso venne rinvenuto un attrezzo da carpentiere con tracce di sangue e capelli, una specie di sbarra di ferro da 46 centimetri che avrebbe potuto infliggere entrambi i tipi di ferita. 

L'agente John Mangam, che quella notte era di ronda sulla West 23rd Street, riferì di aver verificato, come era sua abitudine, la porta d'ingresso di casa Nathan due volte, la prima verso la 1:30, la seconda verso le 4:30, e di averla trovata chiusa a chiave entrambe le volte, e inoltre di non aver notato segni che potessero far pensare a un’effrazione. 
John Nies, lo strillone che consegnava i giornali quella mattina, riferì di aver notato la porta d'ingresso aperta alle 5:10; disse inoltre di aver notato un uomo "vestito da muratore" raccogliere un pezzo di carta dai gradini di casa Nathan e allontanarsi con esso. Mettendo insieme tutte le dichiarazioni, fu plausibile quindi ritenere che l'omicidio potesse essere avvenuto tra il rientro a casa di Washington Nathan, attorno alla mezzanotte, e le 5:10 del mattino. Sempre, beninteso, che tutti fossero stati precisi (e sinceri) nelle loro testimonianze. 
In tutto questo, però, l’aspetto che più sconcertava era il modo in cui le quattro persone presenti in casa quella notte fossero riuscite a dormire pacificamente durante quella che era stata chiaramente un’aggressione violenta. Qualcuno forse mentiva? Sicuramente c’è più di una cosa che non quadra in questo scenario, e altrettanto sicuramente la teoria del ladro non è tra le più sostenibili. Oltre a ciò che il mistero della “camera chiusa”, che sconcerta i quotidiani dell’epoca, almeno quasi tutti, perché ho trovato un’illustrazione (che inserisco qui di seguito) che sembra smentire completamente la planimetria che era stata largamente diffusa in quei tragici momenti.

CONTINUA



Nessun commento:

Posta un commento

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...