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martedì 11 maggio 2021

Orizzonti del reale (Pt.29)

LA PRIMA PARTE SI TROVA QUI

Questo infatti ho più che mai odiato, aborrito e maledetto: questa soddisfazione, la salute pacifica, il grasso ottimismo del borghese; la prospera disciplina dell’uomo mediocre, normale, dozzinale.” (Herman Hesse, Il lupo della steppa)

Non potevo parlare così a lungo di Timothy Leary senza menzionare quello che possiamo indicare senza alcun dubbio come il suo più perfetto alter ego letterario e cinematografico: Harry Haller, il protagonista di uno dei più famosi romanzi di Herman Hesse, trasposto al cinema dal regista Fred Haines.
A quanto pare, durante la sua latitanza in Svizzera Leary discusse con il regista Fred Haines di una sua partecipazione a “Il lupo della steppa” (Steppenwolf): Leary avrebbe dovuto interpretare il ruolo principale, quello di Harry Haller, appunto. Ma come già sapete, se avete letto i post precedenti, Leary dovette lasciare la Svizzera su pressione del governo degli Stati Uniti perché persona non gradita, e così Haines dovette “ripiegare” su Max von Sydow; quando il film finalmente uscì, nel 1974, Leary si trovava già in carcere. Da cinefilo ammetto che ci è andata bene, anzi benissimo, tuttavia non mi sarebbe dispiaciuto vedere Leary alle prese con un personaggio uscito dalla penna di uno degli autori che più ammirava. 

mercoledì 18 novembre 2020

Orizzonti del reale (Pt.28)

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Se si eccettua una piccola parentesi letteraria e cinematografica che è già scritta e pronta per essere pubblicata, il mio omaggio a Leary doveva terminare la volta scorsa. Tuttavia, tempo fa il buon Etrusco mi ha fatto riflettere sul fatto che ad alcuni di voi potrebbe interessare sapere qualcosa di più sulla sua dipartita. La sua morte annunciata fu un vero e proprio avvenimento mediatico, l’ennesimo della sua vita: attesa, strombazzata, e infine falsata e usata per fare sensazionalismo. Ma andiamo con ordine.
Come detto la scorsa volta, Leary fu testimone della nascita della cultura cibernetica e ne fu entusiasta (il suo libro “Caos e cibercultura” del 1994 è piuttosto famoso); ciò che forse non tutti sanno è che egli non solo si interessò di realtà virtuale fondando una Software House (la Software House Futique Inc., che sviluppò tra gli altri il videogame Mind Mirror, oggi di pubblico dominio), ma fu uno dei promotori della fantascienza Cyberpunk e socio, dal 1988, di due organizzazioni criogeniche: fu la prima celebrità ad aderire alla Alcor (Alcor Life Extension Foundation), fondata nel 1972 e tuttora in attività, per poi passare alla CryoCare.

venerdì 6 novembre 2020

Orizzonti del reale (Pt.27)

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Secondo la versione ufficiale, il Bureau aveva già agenti dislocati in Afghanistan per investigare sul traffico di droga che la Confraternita conduceva nel paese (esportando acido e importando hashish), e stava tenendo d’occhio le carte di imbarco e di sbarco di tutti i cittadini americani, e fu così che scoprì la destinazione di Leary ben prima del suo arrivo. Il Bureau sapeva bene che poiché l’Afghanistan, come la Svizzera, non aveva mai firmato un trattato di estradizione con gli USA, se il fuggiasco fosse riuscito a sbarcare sul suolo afghano non avrebbe più potuto rimpatriarlo, perciò quando l’aereo atterrò all’aeroporto di Kabul prese in consegna Leary e la sua compagna mentre si trovavano ancora fisicamente a bordo; in seguito, proprio per via di questo escamotage, il suo avvocato parlerà di “sequestro” e cercherà inutilmente d’invalidare l’arresto. 
Secondo un’altra versione, i due riuscirono invece a sbarcare a Kabul, ma vennero presi in consegna da alcuni dipendenti dell’Ambasciata travestiti da agenti dell’immigrazione e portati in quello che dissero essere il quartier generale della polizia, dove gli vennero confiscati i passaporti. Confinato in un hotel con la compagna per alcuni giorni, Leary chiese l’assistenza di un legale e la restituzione dei passaporti, ma gli venne detto che questi erano ormai in possesso delle autorità americane e che la sua presenza nel paese non era gradita. 

martedì 13 ottobre 2020

Orizzonti del reale (Pt.26)

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Quello che dirò da ora in avanti sarà forse meno interessante, perché si tratta di fatti che più o meno potete trovare esposti sul web ovunque, anche in maggior dettaglio. Tuttavia, giacché sono arrivato fino a qui con la storia di Leary, credo che sia giusto anche portarla a termine. 
Dunque, prima di cominciare la panoramica delle sue opere, avevamo lasciato il nostro alle prese con la fine dell’esperimento Concord, con lo sfratto da Millbrook e con il lento ma inesorabile distacco dall’amico Richard Alpert. Ho già accennato all’arresto di Leary avvenuto a Millbrook durante un’incursione notturna dei federali nell’aprile del ’66, ma non fu quello il primo dei suoi guai con la legge. 
Nel 1965, di ritorno con la famiglia dal Messico, la sua macchina viene fermata alla frontiera e i doganieri trovano della marijuana addosso a sua figlia Susan. Leary viene incriminato e condannato a 30 anni di prigione, ma presenta un ricorso basato sulla presunta incostituzionalità del Marijuana Tax Act: vincerà la causa nel ‘69. 
Poco prima però, alla fine del ’68, viene arrestato di nuovo a Laguna Beach, in California, dove si è trasferito l’anno prima. Inizia un contenzioso legale che si conclude nel ’70 con la sua condanna a 10 anni di prigione per il possesso di due mozziconi di sigaretta di marijuana, cui in seguito vengono aggiunti altri 10 anni (dei 30 originari) per l’arresto del ‘65. 

domenica 13 settembre 2020

Orizzonti del reale (Pt.25)

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Nella sua vita Leary ebbe numerosi detrattori, ma il suo nemico numero uno furono i media. Molti degli attacchi che la stampa gli rivolse negli anni ’60 si basavano sul fatto che molti psichiatri provavano una vera avversione per LSD, mescalina e psilocibina; di conseguenza, la stampa definiva queste sostanze senza mezzi termini delle “armi biochimiche” in grado di scatenare sintomi psichiatrici più o meno gravi come ansia, depressione, confusione, paranoia, psicosi. A volte tuttavia erano attacchi più subdoli, perché il giornalista di turno riportava opinioni o commenti fuori contesto. In particolare, spesso s’insinuò che, a dispetto della sua immagine da istituto di ricerca “serio”, l’IFIF (International Federation for Internal Freedom) non fosse altro che una copertura per favorire il libero scambio di droghe. 
Nel 1966 l’IFIF cambiò nome in League for Spiritual Discovery (prestate attenzione all’acronimo!), e quando verso la fine dell’anno lo stato della California rese l’LSD illegale, dando il là ad altri stati che ne seguirono l’esempio, Leary ne chiese l’iscrizione all’elenco delle religioni organizzate dello stato di New York. Benché avesse dichiarato che non avrebbero ammesso nuovi membri oltre agli attuali 360, al grido di “Start your own religion!” (*) Leary invitò le persone a creare dei gruppi similari perché la libertà di culto garantita dalla legge gli consentisse di continuare a utilizzare l’LSD in qualità di “sacramento” della loro Chiesa. 

mercoledì 26 agosto 2020

Orizzonti del reale (Pt.24)

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Con le mie divagazioni e con la chiusa dello scorso post devo aver dato l’impressione che non ci sia più un granché da dire a proposito di “The Politics of Ecstasy”, ma in realtà non è così. Diciamo che pagina dopo pagina il libro diventa più scorrevole e dà l’occasione per fare qualche altra riflessione, il che richiederà il ricollegarsi (di nuovo) ad altri scritti di Leary. È il caso delle due interviste riportate nei capitoli 7 e 11, rilasciate nel 1966 a Playboy e al Realist e pubblicate nelle rispettive edizioni di settembre. 
A mio parere sono entrambe interessanti ma la prima delle due, per due motivi, è anche molto controversa. Il primo motivo riguarda il punto dove Leary definisce l’LSD, oltre che una sorta di panacea per impotenza e frigidità, una cura per l’omosessualità, all’apparenza basandosi su quanto detto da Allen Ginsberg a proposito del fatto di aver cambiato orientamento sessuale dopo aver preso a fare sedute regolari di LSD. Un’affermazione che resta lì, come incisa sulla pietra, ma che ebbe modo di rimangiarsi qualche anno più tardi. Prendiamo ad esempio ciò che scrisse, nel 1988, in “Musings on Human Metamorphoses”:

martedì 9 giugno 2020

Orizzonti del reale (Pt.23)

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Le virtù del Dharma, dicevo in chiusura dello scorso articolo, si sono affievolite, e l’umanità brancola nel buio dell’ignoranza, della diffidenza, della corruzione e del declino spirituale. L’Induismo chiama l’era oscura che stiamo vivendo Kali Yuga. Se ho utilizzato questa immagine “orientaleggiante” è perché furono molte le personalità del tempo a mostrare interesse per l’Induismo e il Buddhismo. La più importante di queste fu senz’altro Richard Alpert. Durante il suo soggiorno in India, Alpert assunse un nuovo nome, con il quale nei decenni successivi divenne noto come uno dei più importanti maestri spirituali delle discipline orientali in Occidente: Ram Dass (cioè “servo di Dio).
Forse l’ho già accennato in precedenza, ma anche Leary si lasciò affascinare dall’Oriente e molta della sua teoria è ispirata a queste due religioni (sebbene considerasse il Buddhismo più una filosofia che una religione vera e propria, una posizione un po’ ingenerosa ma abbastanza diffusa). Per esempio, chi ha letto il post che ho dedicato a “Il Gran Sacerdote” sa che all’inizio di ogni capitolo del libro è riportato un esagramma tratto da I Ching, il Libro dei Mutamenti. Inoltre, non è difficile ricondurre la sua definizione di vita come “the game”, il gioco, al “lila” dei Veda, quello che cambia (e di parecchio) è il significato: il lila è l’universo come gioco, manifestazione divina, un’”azione senza azione” spontanea, senza tensioni o conflitti.

giovedì 28 maggio 2020

Orizzonti del reale (Pt.22)

LA PRIMA PARTE SI TROVA QUI

Nel primo capitolo di “The Politics of Ecstasy”, “The Seven Tongues of God”, Leary afferma che fu la sua prima esperienza a Cuernavaca a fargli comprendere fino in fondo le infinite potenzialità del cervello umano, che i funghi sacri attivano a livello cellulare: la descrive come l’esperienza religiosa più profonda della sua vita, che gli permise di raggiungere vette mistiche paragonabili a quelle riportate dai santi e dai mistici, dagli sciamani e dai guaritori. Lui però, sebbene in molti l’abbiano definito un guru, non era un mistico né un santo, perciò affermò che aveva deciso di parlarne con il suo linguaggio e la sua esperienza da scienziato (vedremo poi, nel prossimo articolo, come questa premessa non si sia mai realizzata appieno, né in questa né in altre sue opere).
Non c’è alcuna contraddizione in questo. Se il ritratto delle religioni istituzionalizzate che esce dal libro non è dei migliori, la Psicanalisi e la Psichiatria non ne vengono fuori molto meglio; ma anche se, parole sue, religione e scienza si basano sulla paura e l’ignoranza dei “fedeli”, cui offrono con risposte parziali e spesso fallaci solo “distrazione, protezione illusoria, conforto narcotico”, entrambe in fondo non fanno altro che cercare di dare una risposta ai grandi quesiti esistenziali che l’uomo si pone dalla notte dei tempi; la religione con le sue diverse confessioni, e la scienza con le sue numerose branche che si propongono di sondare l’infinitamente grande, l’infinitamente piccolo e… l’Insondabile: Astronomia, Fisica, Cosmologia, Paleontologia, Biochimica, Genetica, Anatomia, Fisiologia, Neurologia, Epistemologia, Sociologia, Psicologia, Psichiatria, eccetera.

martedì 21 maggio 2019

Orizzonti del reale (Pt.21)

Ronald Stark
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Mettiamola così: nessuna delle sostanze che smerciavano veniva considerata da Leary pericolosa per la salute. Tuttavia, l’illegalità richiama altra illegalità, perché il denaro proveniente da attività illecite dev’essere “ripulito” prima di poter essere speso, il che in seno al gruppo costituiva la principale occupazione di Bill Hitchcock. Hitchcock riciclò gran parte dei fondi trasferendoli prima nel paradiso fiscale delle Bahamas e poi in Svizzera e nel Liechtenstein, ma a partire dal 1969 alcuni gravi avvenimenti concorsero ad allontanarlo dal gruppo.
Innanzitutto, la dogana statunitense fermò un commesso viaggiatore che trasportava denaro riciclato dalla Svizzera e questi, in preda al panico, fece il nome di Hitchcock; in seguito, Hitchcock e lo stesso proprietario della banca persero molto denaro in operazioni finanziare dubbie, e a quel punto a Bill non restò che tornare a Millbrook e trovarsi un legale per difendersi dalle accuse di evasione fiscale, frode e illeciti vari.
Ma nel 1969 la Confraternita aveva già perso un altro dei suoi elementi principali, quel John Griggs che aveva invitato Leary e i suoi seguaci a Laguna beach e che li aveva poi seguiti a Idylwild. Quando Griggs morì, si disse che aveva sbagliato a calcolare la sua dose di pillole di psilocibina; Leary, invece, sostenne che Griggs avesse comprato quelle pillole sul mercato nero di Los Angeles e si disse certo che ci fossero agenti federali pagati per smerciare di nascosto droghe adulterate con veleno nell’ambiente della Controcultura e incolpare i suoi membri di queste attività.

giovedì 9 maggio 2019

Orizzonti del reale (Pt.20)

LA PRIMA PARTE SI TROVA QUI

Lo scorso articolo si è chiuso con Leary e Alpert felicemente trapiantati nella tenuta di Millbrook, la Mecca della Psichedelia. Tutto questo era però destinato a finire entro il 1966. Molti dei “pellegrini” in visita a Millbrook erano disposti a pagare bene per il loro trip e facevano molta pubblicità all’attività del gruppo, esponendolo alle ritorsioni della Buoncostume. E difatti, l’FBI effettuava numerose incursioni e arresti, spesso con accuse pretestuose, finché tutta questa attenzione indesiderata non spinse i capifamiglia degli Hitchcock a sfrattare i loro famosi inquilini.
Leary ne fu in qualche modo sollevato, perché la vita a Millbrook non era tutta rose e fiori, caratterizzata com’era da liti e contrasti tra le varie fazioni che nel tempo si erano formate al suo interno. Persino lui e Alpert finirono per separarsi per via della loro visione contrastante della questione spirituale: se quest’ultimo asseriva che il cambiamento interiore cominciasse e finisse all’interno, Leary lo vedeva invece come il primo passo di un’evoluzione che doveva riguardare la società intera. Il significato del motto Accenditi. Sintonizzati. Lasciati andare [Distaccati] (“Turn on, Tune in, Drop out” [1]) e del concetto di Politica dell’Estasi (“Politics of Ecstasy”), che avrebbero dato il nome a due sue famose opere, sta proprio in questo. Leary si cimentò dapprima in un inconcludente dibattito sull’LSD promosso da una Commissione Parlamentare guidata dal senatore Ed Kennedy, per poi concludere, ispirato dal guru dei media Marshall McLuhan, che era forse meglio divulgare le basi del suo pensiero direttamente alle masse con quelli che oggi chiameremmo senza mezzi termini dei veri e propri slogan pubblicitari. Erano molto lontani i tempi in cui Leary avrebbe affidato le sue speranze ai computer e alla cybercultura, ma bisogna dire che oggi ciò che si ricorda maggiormente di lui, spesso senza averli compresi a pieno, sono proprio i suoi “mantra” e le sue frasi a effetto.

venerdì 14 dicembre 2018

Orizzonti del reale (Pt.19)

Timothy Francis Leary (1920–1996)
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Il suo primo “viaggio” fu per Leary come morire e poi rinascere. L’esperienza lo sconvolse al punto da convincerlo che l’LSD fosse la cura adatta a malattie che recenti scoperte scientifiche attribuivano ad alterazioni biochimiche, come la schizofrenia, una cura efficace per l’alcolismo, ma anche uno stimolo creativo e un mezzo per progredire nell’esperienza mistica. Occorre tenere a mente una cosa: Leary immaginava la società e i suoi prodotti (economia, politica, religione) come un grande organismo basato su stati di consapevolezza condivisi da tutti i suoi membri, i cui conflitti e difetti derivano da disfunzioni di origine neurologica, pertanto il progresso della società sarebbe stato possibile solo tramite il progresso mentale e spirituale dei singoli. In tal senso, sarebbe stato auspicabile somministrare l’acido a quante più persone possibile per guidarle sui sentieri della pace, dell’amore e dell’illuminazione. 
Si stima che il Progetto Psilocibina, che comprendeva ministri del culto, teologi e psicologi religiosi, tenne circa quattromila sedute con membri della Facoltà e volontari esterni, ma proprio perché aperto a tutti si attirò numerose critiche, in parte anche interne allo stesso movimento psichedelico. Nel tempo si creò una frattura con coloro, Huxley in testa, che pur essendo favorevoli all’uso terapeutico dell’acido come cura biochimica per la schizofrenia, ritenevano che il sentiero dell’illuminazione non potesse essere percorso da tutti, e perciò che l’LSD dovesse essere tenuto fuori dalla portata dalle masse.

domenica 2 dicembre 2018

Orizzonti del reale (Pt.18)

Timothy Francis Leary (1920–1996)
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Nel 1960 le nuove sostanze che permettevano l’espansione della coscienza furono classificate come psicopatomimetiche, perché si riteneva che potessero trasformare degli individui normali in psicopatici, o quantomeno indurli ad agire come tali. Per gli psichiatri sostanze come la mescalina e l’LSD erano degli strumenti tramite i quali era possibile manipolare le persone, aprire un varco tra le loro difese psicologiche e portare alla luce i loro sentimenti più nascosti. 
Leary non concordava affatto con questa visione delle cose, in base alla quale il vero io dell’uomo era fondamentalmente malato e non poteva esistere alcuna visione o rivelazione mistica, e definiva la letteratura psichiatrica “un moderno Inferno freudiano […] austero di angosce e di conflitti”. Fu per questo che, nell’ambito della sua ricerca, si attenne a regole molto particolari. Regole che egli stesso aveva stabilito, ma che qualcuno in seguito giudicò non molto ortodosse.

martedì 20 novembre 2018

Orizzonti del reale (Pt.17)

Timothy Francis Leary (1920–1996)
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È giunto finalmente il momento di tornare a parlare di Timothy Leary, a cui a suo tempo avevo dedicato interamente la quinta e la sesta parte di Orizzonti del Reale. Non sarà facile, dato che si tratta di riprendere il filo di un discorso cominciato nel lontano marzo 2016, e non so se gradirete o storcerete il naso… ma direi che glielo devo, a Leary, a maggior ragione dopo tutto questo tempo, e considerato a quante storture e semplificazioni è sempre stata soggetta la sua figura. 
Molti non hanno ancora deciso se fosse un illuminato o un pazzo, un messia o un ciarlatano; prima di esaminare ancora i suoi scritti proverò quindi a ripercorrere la sua storia. 
Non mi dilungherò sulla prima parte della sua vita. Basti sapere che nacque a Springfield, nel Massachusetts, in una famiglia piuttosto normale, cattolica, e che fu uno studente brillante ma insofferente alla disciplina, con una formazione scolastica piuttosto singolare: dopo il college (una scuola gesuita), su richiesta del padre tentò la carriera militare, ma fu invitato a ritirarsi. (“Il preside della scuola superiore mi guardava calmo. Tu hai sistematicamente ignorato i principi su cui si basa questa scuola. L’imperativo categorico di Kant. Nessuno ha il diritto di fare ciò che, se da tutti fatto, distruggerebbe la società. […] Non voglio più vederti né parlare con te.”)

lunedì 21 marzo 2016

Orizzonti del reale (Pt.6)

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Il primo impatto di Timothy Leary con l’LSD, avvenuto all’inizio di dicembre 1961, viene narrato nel capitolo 12 de “Il Gran Sacerdote”. Sembra incredibile, ma fino ad allora Leary aveva assunto solo i funghi e la psilocibina ed era restio a provare una sostanza molto più potente; funghi e peyote venivano utilizzati da milenni ma l’LSD era ancora in gran parte, per così dire, un’incognita. Forse era destino che compisse quel passo prima o poi, ma fu la convivenza con un certo Michael Hollingshead a creare le circostanze adatte perché il suo primo trip di LSD potesse avvenire. 
Alla fine di ottobre Leary era stato contattato da Hollingshead, un inglese, che diceva di aver lavorato con un professore di Oxford, di aver provato l’LSD a New York e di averne ottenuta una certa quantità tramite un amico dottore per degli esperimenti. Un conoscente glielo descrisse come un individuo inaffidabile, sempre impegnato a spillar soldi al prossimo, ma nonostante questo Leary decise di ospitarlo per qualche tempo nella sua casa di Boston mentre cercava lavoro, o almeno così diceva, poiché in quel momento era disoccupato. In seguito, in effetti, Hollingshead ebbe qualche problema con la Fondazione di Parapsicologia con la quale aveva collaborato per qualche tempo, e nel 1967 fu incarcerato in Inghilterra, ma finché si frequentarono Leary ammise di aver provato di fronte a lui una certa soggezione. Dopotutto era stato Hollingshead ad “accenderlo” e, benché le sue motivazioni potessero non essere delle più altruistiche, egli prese segretamente a considerarlo come il messaggero di qualche divinità. 

domenica 28 febbraio 2016

Orizzonti del reale (Pt.5)

LA PRIMA PARTE SI TROVA QUI

La bellezza e il colore: ora mi rendo conto di ciò che gli artisti tentano di fare. Cercano di fissare la bellezza su di una tela, il modo come risplende e freme e vive. (Timothy Leary, “Il Gran Sacerdote”, 1968, Trip 4)
Sarà banale a dirsi, ma vi sono sistematiche analogie fra le esperienze psichedeliche dei soggetti più diversi e quel che cambia, casomai, è la loro capacità di raccontarle: chi è più avvezzo all'uso delle parole userà i termini più calzanti ed emozionanti, e in generale chi ha un talento artistico infonderà la sua peculiare sensibilità nelle descrizioni. Come dimostra la citazione posta in apertura, molti soggetti raccontano di aver provato sensazioni intense soprattutto dal punto di vista visivo. Anche il “viaggiatore” citato da Leary poche righe fa si ritrovò a riflettere, di fronte alle proprie inedite visioni, sulle percezioni visive dei pittori, e sul fatto che la maggior parte di questi tenti di rendere la bellezza su tela riuscendovi solo in parte. Poiché - ricordate cosa aveva scritto Huxley nel suo saggio? - […] la gloria e la meraviglia dell'esistenza pura appartengono a un altro ordine che anche l'arte più alta non ha il potere di esprimere. (Per la citazione completa vi rimando a questo post.)

martedì 13 maggio 2014

H.R. Giger (1940-2014)

Giger, la mia primitiva lingua prescientifica dispone di poche espressioni per comunicare i fatti orribili e terrificanti che tu mi riveli. Giger, tu tagli il mio tessuto cellulare in parti sottilissime, per mostrarle al mondo. Giger, preciso come la lama di un rasoio, tu sezioni parti del mio cervello e le trasferisci sulle tue tele. Giger, tu sei un estraneo appostato nel mio corpo, dove deponi le tue uova miracolose che predicono il futuro. Hai avvolto intorno a te fili di seta di larve per penetrare profondamente la parte del mio cervello in cui domina la saggezza. Giger, tu vedi, più di noi, addomesticati. Provieni da una specie superintelligente? Sei un visitatore infetto, che con gli occhi a petalo di papavero guarda dentro i nostri organi riproduttori? August Kekulé di Stradonitz, scopritore della tetravalenza del carbonio, sognò del serpente che si morde la coda, dando così inizio all'epoca d'oro della chimica. Einstein sognò di fluttuare in un ascensore, capì il principio della relatività e diede inizio così all'epoca d'oro della fisica. Ed ora Giger. Egli evidentemente ha attivato i circuiti del suo cervello che controllano la politica monocellulare del nostro corpo, delle nostre tecnologie botaniche, delle nostre macchine di aminoacidi. Giger è diventato ritrattista ufficiale dell'epoca d'oro della biologia. L'opera di Giger ci sconcerta per la sua enorme dimensione evoluzionistica e ci appare spettrale. Ci mostra fin troppo chiaramente da dove veniamo e dove andiamo. Si riallaccia ai nostri ricordi biologici. Paesaggi ginecologici. Cartoline intrauterine. Giger va ancora più indietro, penetra nel nucleo delle nostre cellule. Ti piacerebbe sapere che aspetto ha il tuo DNA? Vorresti vedere come il tuo RNA forma cellule e tessuti in massa e come clona spietatamente la struttura della nostra carne? Come Hieronymus Bosch, come Peter Breughel, Giger ci mostra spietatamente la formazione e la decomposizione delle nostre realtà. In queste opere ci vediamo come embrioni striscianti, come creature fetali, larvali, protette dall'involucro dei nostri ego, in attesa del momento della metamorfosi e della rinascita. Vediamo le nostre città, le nostre civilità come arnie, formicai popolati da creature striscianti. Vediamo noi stessi. 
Timothy Leary, Hollywood, Giugno 1981 - dalla prefazione di "HR GIGER ARh+" (Taschen)

lunedì 10 settembre 2012

Nevermore (Pt.2)

Continua oggi la nostra esplorazione dell'universo Nevermore, iniziata il mese scorso. Per chi se la fosse persa, la prima parte di questo post è disponibile qui. Dopo “Dreaming…” venne “Dead Heart in a Dead World”. Era ormai il 2000. Per molti questo disco rappresenta il picco creativo della band; io non sono del tutto d’accordo, ma ammetto che si tratta una pietra miliare della loro discografia. Sicuramente si tratta del loro disco più melodico e “radiofonico”, se mi permettete l’azzardo; e include anche una cover di “The sound of silence” di Simon e Garfunkel, ma così stravolta da sembrare una vera e propria canzone dei Nevermore. Anche in “Dead heart…” le tematiche più prettamente filosofiche si mischiano a quelle politiche e ad amare osservazioni sulla realtà e sulle (mancate) qualità intrinseche dell’umanità. In tal senso, il titolo del disco è abbastanza esplicativo… "How did it come to this, Narcosynthesis" (Narcosynthesis) Il disco si apre subito con una decisa presa di posizione contro la nostra società (la narcosintesi, o narco-ipnosi, consiste nell’uso psichiatrico di sostanze stupefacenti, in genere scopolamina o barbiturici, combinate con tecniche di ipnosi, per curare disturbi da stress post-traumatico, ma anche casi di schizofrenia ed ossessione. L’efficacia di tale pratica è ancora dibattuta, per non parlare dei suoi aspetti etici).

venerdì 17 agosto 2012

Nevermore (Pt.1)

L’esistenza è un ciclo: si nasce, si vive, si muore (eccetera eccetera, a seconda dei punti di vista...). Questo riguarda le persone e tutta la sfera delle attività umane: progetti, idee e quant’altro nascono e muoiono con chi li ha creati. Se c’è qualcosa però che può aspirare all’immortalità, perlomeno nel senso terreno del termine, quella è l’arte. Ancora oggi noi possiamo ammirare opere d’arte concepite e realizzate centinaia, migliaia di anni fa. E le macchine e le banche dati oggi a nostra disposizione permetteranno di preservare ancora meglio le opere contemporanee, o perlomeno quelle di tra esse che possono essere digitalizzate perché totalmente immateriali. Come la musica. Finché esisterà il mondo così come noi lo conosciamo, o in una forma più evoluta come mi auguro, l’arte umana potrà sopravvivere ai propri creatori.
Con questo pensiero nella mente, e decisamente in ritardo, mi sono finalmente deciso a lasciare nella blogosfera il mio piccolo tributo ai Nevermore, gruppo thrash-power-prog di Seattle da molti anni tra le mie band preferite, che si formò nel lontano 1992 e si è sciolto nel 2011 tra recriminazioni varie. 
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