In un futuro imprecisato, o forse piuttosto in una realtà alternativa, l’uomo è geneticamente progettato per l’immortalità virtuale: il suo invecchiamento cessa a 25 anni. Ma c’è un rovescio della medaglia: dopo i 25 anni è possibile vivere solo un anno in più, a meno che non si riesca a guadagnare, prendere in prestito o rubare altro tempo. In una realtà distopica in cui il tempo ha sostituito il denaro come valuta corrente, c’è un mondo che corre a due velocità, separato anche fisicamente da caselli per il pedaggio che solo i ricchi possono permettersi di valicare: nel ghetto, la gente ha pochi giorni, spesso poche ore a disposizione, ed è costretta a correre per sopravvivere, convivendo con la costante paura di venire “azzerati”; mentre nei quartieri alti i ricchi possono permettersi l’unico vero lusso possibile, la lentezza. Il mantenimento dell’ordine costituito viene garantito dai Custodi del Tempo, mentre un meccanismo di continuo aumento del costo della vita permette di preservare lo status quo, con le masse che continuano a morire perché l’élite della società possa vivere per sempre. Un uomo e una donna, novelli Robin Hood, si ribellano al capitalismo darwinista imperante, rubando il tempo ai ricchi per donarlo ai poveri. Un milione di anni rubati basterà per sovvertire l’ordine delle cose? Il finale, consolatorio alla maniera americana, fa intravedere la speranza: il seme è stato gettato e c’è la possibilità che attecchisca. Perché sono le rotture che predominano nell’evoluzione.