LA PRIMA PARTE SI TROVA
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L'espressione religiosa non è qualcosa di immutabile. Di questo, almeno, siamo certi, perché osservando le diverse realtà etniche e sociali del mondo moderno ci accorgiamo che da una matrice comune possono nascere una gran quantità di dogmi e di confessioni diverse: nuove sette, ognuna con il proprio motivo dominante che rappresenta al meglio le esigenze e le idee, se non della sua totalità, quantomeno dei suoi capi religiosi.
Anche nel passato remoto dovette avvenire qualcosa di simile, e molte volte, ma il mutamento più importante coincise con l'avanzare del progresso, quando l'uomo gradualmente acquisì la capacità di intervenire, fino a un certo punto, nei processi della natura, principalmente con l'invenzione dell'agricoltura e degli utensili in pietra più avanzati avvenuta nel Neolitico. Esso sentì che lo scopo della pratica religiosa non poteva più essere semplicemente cooperare con la natura per avere le condizioni meteorologiche idonee alla crescita delle messi. Centrali, allora, divennero l'acquisizione della saggezza e la precognizione perché, naturalmente, l’uomo aspirava a diventare egli stesso una sorta di divinità.
Gli antichi sapevano ciò che la medicina moderna, specie qui in Occidente, sembra aver dimenticato: che l'uomo è un tutt'uno inscindibile di corpo e spirito, e non è possibile guarire l'uno dimenticandosi dell'altro. Nell'antichità la medicina, la negromanzia e l'astrologia non potevano essere disgiunte. Questo avveniva non solo perché, banalmente, con le piante ci si curava, ma anche perché le piante hanno le radici nella terra e si credeva quindi che potessero attingere alla sua saggezza e trasmetterla a coloro che erano degni di riceverla e sapevano come interpretarla. Il ventre della terra era anche il luogo a cui si ritornava da morti: l'Aldilà, un luogo di creazione ove la vita veniva concepita e dopo la morte ricreata, scevro di negatività e di quell'immobilità annichilente, oppure punitiva, la cui idea si deve unicamente al tardo Cristianesimo.