venerdì 24 luglio 2015

For those about to blog...

Ed eccoci finalmente giunti al momento tanto atteso. Agosto è alle porte e tra poche righe Obsidian Mirror si congederà da voi. Per la prima volta quest'anno il blog ha deciso di osservare una chiusura estiva. È stata una scelta sofferta, ve lo garantisco, ma necessaria. Sono stanco, fuori ci sono 38 gradi, le forze stanno ormai venendo meno e gli ultimi mesi, come sapete, sono stati per me piuttosto complessi. Riprenderemo le danze verso la fine di agosto, forse addirittura all'inizio di settembre. Vedremo come vanno le cose. Meglio non fare ora previsioni che non sarò magari in grado di rispettare. 
Naturalmente non me ne starò completamente con le mani in mano perché, a differenza che per il blog, non ci saranno vacanze per il blogger: avrò modo di gettare le basi di alcuni nuovi progetti che ho in mente (alcuni già piuttosto delineati) e continuerò a mettere da parte materiale da proporvi comodamente nei mesi che seguiranno. I progetti già iniziati, di conseguenza, continueranno il loro percorso prestabilito. Tra questi, spero di riuscire a dare una bella spinta propulsiva alla serie di articoli dedicati agli Yellow Mythos e, a tale scopo, ho appena finito di realizzare una pagina statica riassuntiva, in modo che nessuno possa dirsi impreparato quando si tornerà sull’argomento. Dal punto di vista grafico tale pagina è veramente il minimo della vita, ma credo che sia comunque in grado di assolvere serenamente al suo scopo. Aggiungo, a beneficio di chi se lo stia chiedendo (immagino pochi), che la nuova pagina statica denominata C.C.C. non è altro che il raggruppamento di tre pagine già da tempo esistenti. Su quel fronte niente di nuovo, quindi.

mercoledì 22 luglio 2015

E.N.D. The Movie

Ogni tanto fa bene parlare di cinema italiano, non credete? Ora che ci penso, qui su questo blog se ne è parlato solo in rare occasioni e, tra l’altro, è stato molto tempo fa. Ricordo vagamente alcuni articoli dedicati al cinema cosiddetto “di genere”, quello impreziosito da nomi di elevato spessore quali Giuliano Montaldo, Antonio Margheriti, Brunello Rondi, Mario Bava, Corrado Farina e Alberto De Martino. Tutta gente alla quale dei miei articoli non importa, o non sarebbe importato, nulla. Tutta gente, quella che ho appena citato, che è stata recensita in lungo e in largo, che è stata studiata, esaminata, presa ad esempio e diffusa come le tavole di Mosè. Ma non è quello il cinema italiano di cui parleremo oggi. Oggi parleremo di un cinema, oltre che più recente, un pochino più invisibile, qualcosa che difficilmente un giorno i nostri figli potranno recuperare e apprezzare, sepolti come saranno da migliaia di proposte mainstream dal contenuto discutibile.
Sarebbe facile iniziare questo post con frasi fatte come “c’era una volta il cinema italiano” o “non siamo più bravi come una volta”. In realtà in frasi del genere c’è tanta superficialità se non, in certi casi, un po’ di ipocrisia. Il cinema italiano esiste ancora, forse ancora di più che negli anni dei Bava e dei Margheriti, per non andare a scomodare per forza gli autori neorealisti o i pionieri dell’anteguerra. Magari a prima vista il nostro cinema non è in perfetta salute, questo è vero, ma esiste un sottobosco estremamente fervido che attende soltanto il momento adatto per poter germogliare, crescere e spalancare al mondo tutti i suoi meravigliosi petali. Succederà mai? Bella domanda.

venerdì 17 luglio 2015

Imomushi, storia di un bruco (Pt.2)

Il tema sessuale, così importante nonostante sia appena accennato nel racconto di Ranpo Edogawa, è reso benissimo nelle tavole del mangaka di culto Suehiro Maruo (autore anche de “Il vampiro che ride”, di “Midori. La ragazza delle camelie”, eccetera): quelle al limite del pornografico che mostrano l’intimità tra marito e moglie (che nell’edizione italiana si è tentato di censurare, senza troppa convinzione, con una sorta di alone che dovrebbe coprire i dettagli anatomici più espliciti), e quelle sottilmente erotiche in cui Tokiko sogna che il suo corpo sovreccitato venga tormentato da miriadi di insetti. La graphic novel di Maruo fu pubblicata in Giappone a puntate nel 2009, e proposta in italiano nel 2012 dalla Coconino Press con il titolo “Il bruco”. 
Nell’opera l’autore riesce nella non facile impresa di dare vita ai sentimenti dei due protagonisti principalmente con il disegno, con tratti che sottolineano le pieghe della bocca, l’espressione degli occhi e la curvatura delle spalle, per esempio, un linguaggio del corpo che dice più di mille parole; e questo non solo perché un dialogo verbale tra marito e moglie non è evidentemente più possibile, ma come emblema della scarsa intimità rimasta (o mai esistita) fra i due. Il risultato è spesso una miscela di poesia e grottesco, sia per il contrasto tra la bellezza e il dettaglio delle tavole e ciò che viene rappresentato, sia perché guardandole non si può fare a meno di guardarsi anche dentro per capire le cause del proprio disagio – perché è indubbio che un disagio lo si avverte. Se certe pratiche tra marito e moglie sono la prassi e la normalità nell’ambito sessuale è soggettiva, cos’è che turba tanto? Non sarà che, intimamente, tendiamo a percepire il sesso come appannaggio delle persone “normali”, di corpi perfetti, o perlomeno sani e… interi?

lunedì 13 luglio 2015

Imomushi, storia di un bruco (Pt.1)

Uscire dai soliti schemi, sfruttare di ogni storia un potenziale che non sia quello più ovvio e immediato sono tutte caratteristiche note di Ranpo Edogawa e forse anche per questo, a cent’anni di distanza, la curiosità per le sue opere è ancora molto viva. Bizzarre e morbose, intrise di violenza quasi sempre psicologica, si prestano tutte molto bene a un certo tipo di cinema. Inutile dire che tutto questo per me è esaltante, perché significa poter esplorare diverse sfumature di queste storie incluse quelle che io da solo, forse, mai saprei cogliere o concepire. È ciò che accade sempre quando si traspone un libro al cinema, lo so, perché per quanto un significato possa sembrare del tutto universale viene sempre filtrato attraverso le nostre soggettività, e perché chi dà forma ai pensieri e alle ossessioni altrui rischia anche di riplasmarli, sostituendoli con i suoi.
Con Edogawa si va anche oltre, perché le sue non sono storie per tutti, e quando allo sguardo atipico dello scrittore si somma lo sguardo altrettanto atipico del regista di turno il risultato non può che essere qualcosa di davvero insolito. Nel bene e nel male. “Imomushi” (芋虫 , in italiano "Il bruco") ha ispirato non solo un film di Koji Wakamatsu, ma anche una graphic novel di Suehiro Maruo, che però sono tanto diversi nello svolgimento e negli intenti da poter essere considerati a tutti gli effetti due storie distinte. Il vero punto in comune, incipit a parte, è che entrambi propongono una riflessione sull'animo umano che vira nel pessimismo più nero.

mercoledì 8 luglio 2015

Volevo solo essere adorata

Sono trascorsi ormai tre anni dalla lettura di quel minuscolo libro che la mia amica e collega blogger Marcella mi donò. Ricordo che da qualche parte arrivai allora a definirlo la cosa migliore che avessi letto quell'anno e, probabilmente, è stato davvero così. Lessi "Volevo solo essere adorata" nel giro di un paio d'ore, praticamente tutto d'un fiato, completamente rapito da quelle parole che si insinuavano dentro di me come se avessero trovato il loro posto nel mondo.
Quando mi risvegliai dall'incanto ricordo che accesi il computer e scrissi quasi di getto alcuni di quei pensieri che mi ronzavano nella mente, per paura che potessero svanire. Quei pensieri scritti si trasformarono poi in un post, una specie di recensione che volli intitolare "Carta velina intinta nella porpora", prendendo a prestito una frase (più che una frase, quasi un'immagine) che avevo letto nel libro. In coda a quel post Marcella rispose anche ad alcune domande che il sottoscritto, curioso all'inverosimile, le aveva posto.
Capì che le sensazioni che "Volevo essere adorata" mi aveva trasmesso non erano affatto campate in aria, capì che c'era una specie di, come dire, sintonia tra scrittore e lettore. Capì infine che le mia interpretazione del testo (un testo molto personale, come capirete se avrete la bontà di leggerlo) era perfettamente azzeccata, al punto che quando ne sottoposi l'anteprima a Marcella lei mi rispose via mail: "Ma mi conosci?". Ovviamente non la conoscevo, ma ero contento di essere riuscito in qualche modo a... scardinare una porta segreta.

venerdì 3 luglio 2015

Planetary Confinement

Save me, I'm in a sea of beings and there's no deny - the waves are holding me under. I'm drowning in a thousand faces. Alien expressions over and over again. I'm trying to scream but I can't exhale. The world seems to spin as I'm left on this square with no will to hold on. Am I the only one crushed by the weight of the world?
In qualche modo la vita deve andare avanti, e con essa il blog. Resta solo da affrontare la questione sul quale possa essere il modo migliore per ritornare a bloggare normalmente dopo la recente, dolorosa, scomparsa della Dori e, dopo una breve riflessione, ho deciso di andare a vedere cosa feci due anni e mezzo fa quando a lasciare questa casa fu Elvis.
A quel tempo il post del ritorno fu una specie di recensione di un disco di una tristezza infinita: l'album "Lights Out" della band britannica Antimatter. Di conseguenza, anche oggi sarà un album della stessa band ad aiutarmi a riportare questo blog sui suoi binari tradizionali. Tanto più che il suo mood, come si evince da quel bollino tondo applicato sulla cover (vedere immagine a lato), non si discosta moltissimo dal mio stato d'animo ancora ferito.
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