venerdì 21 giugno 2019

Invisibili: la sindrome di Dio

LA PRIMA PARTE SI TROVA QUI

Nella prima parte di questo articolo abbiamo fatto la conoscenza di Dante Remus Lăzărescu, un uomo che, oltre a essere completamente solo al mondo, è anziano, vedovo, povero, malato, fisicamente e psicologicamente uno sfacelo, mezzo alcolizzato e definitivamente privo di prospettive.
Sull’invisibilità che un qualsiasi signor Lăzărescu possa sperimentare nel nostro mondo reale credo non ci sia da dubitare, ma ci sono dei casi in cui l’invisibilità trascende la solitudine e tutti gli altri parametri appena elencati e trascina nel suo vortice anche noi (o voi) che pensiamo (pensate) di essere ben integrati nella nostra (vostra) comunità. Uno di questi casi credo l’abbiate vissuto anche voi se, almeno una volta nella vita, avete dovuto ricorrere alle cure di un pronto soccorso (non importa se come pazienti o come accompagnatori): sicuramente vi sarete trovati in quella tipica situazione kafkiana in cui vi fanno accomodare da qualche parte e lì vi fanno rimanere, senza mai dare un cenno di vita per una decina di ore (in codice verde o, peggio, in codice bianco, le prospettive di uscire dall’incubo il giorno stesso tendono inoltre drammaticamente allo zero). L’esempio del pronto soccorso (ma avrei potuto riferirmi a qualsiasi altro ufficio pubblico) non è casuale, perché Dante Lăzărescu, esattamente come il “ghibellin fuggiasco” (cit.) suo omonimo, di ospedale in ospedale vivrà un inferno al cui confronto persino la sua stanca e lenta vita da emarginato sociale gli parrà rosea.

martedì 18 giugno 2019

Invisibili: la morte della dignità

Ci sono diverse cose che mettono angoscia quando si parla di solitudine, e non sto parlando solo di quanto sia spiacevole, per coloro che rientrano in questa categoria, andare al ristorante da soli, andare al cinema da soli o trascorrere le feste comandate senza la compagnia di qualcuno di particolarmente caro.
Uno degli aspetti a mio modo di vedere più terrificanti è dover affrontare in solitudine le grandi tragedie della vita, la malattia, il declino e in ultimo la morte. Vi sembrerò macabro, ma ricordo che rimasi fortemente impressionato quando, molti anni fa, venni a sapere che una persona che avevo avuto modo di conoscere per questioni di lavoro (un cliente di non ricordo quale località del ponente ligure) era stata trovata nel suo letto, morta da due settimane.
Ecco, morire in solitudine è una cosa che non vorrei mai mi capitasse. Non che ci sia molta differenza, direte voi tirando le opportune somme. In fondo, quando arriva il momento di andarsene poco importa ciò che è avvenuto negli istanti precedenti. È un discorso piuttosto irrazionale il mio, lo ammetto, considerando che nessuno mai è tornato a raccontarci com’è andata.

mercoledì 12 giugno 2019

Traditi dalla fretta #13

Mentre su New York calano le prime ombre della sera e qui su Milano calano i primi caldi afosi che mai a questo punto pensavamo potessero calare, "Traditi dalla fretta" torna nuovamente a reclamare il suo spazio. La scorsa volta, giusto un paio di mesi fa come da protocollo, decisi di mettere da parte le segnalazioni per fare qualche riflessione sul futuro di questo blog. Non vi tedierò ulteriormente con le mie seghe mentali, state tranquilli: in quelle avrò modo di coinvolgervi prossimamente, in occasione della pubblicazione del seicentesimo post del blog che ormai, quasi non mi sembra vero, è dietro l'angolo.
In questa tredicesima puntata della rubrica, un po' per bilanciare l'anomalia della dodicesima, mi dedicherò esclusivamente a mettere ordine fra i tanti appunti sparsi qui sul mio tavolo sotto forma di post-it virtuali. Non è per niente facile, ve lo assicuro, dover fare una selezione tra tutto quanto ho visto accadere dal mio angolino, ma se da qualche parte non inizio, da nessuna parte vado a finire. Provo a essere anche insolitamente breve in questa mia introduzione, più che altro perché sta scoccando la mezzanotte e quella dannata sveglia se ne starà buona per non più di altre sei ore. Non avete idea di quanto sia difficile tarpare un discorso sul nascere ben sapendo che le occasioni per riprendere il filo del discorso potrebbero non ripresentarsi. Avevo anche pensato di spendere due righe sul collega blogger scomparso tragicamente un mese fa... ma poi mi sono guardato dentro e quel che ho visto è stato un perfetto signor nessuno. Lascio ad altri, a chi lo aveva conosciuto davvero, il compito di onorarne la memoria. Io timidamente cedo il passo.

giovedì 6 giugno 2019

Prima neve sul Fuji (Pt.2)

LA PRIMA PARTE SI TROVA QUI 

Un altro romanziere, Kazumi, è il protagonista di “Yumiura”. Una donna gli fa visita e gli dice di averlo conosciuto a Yumiura, dove abitava prima di sposarsi, circa trent’anni prima, snocciolando nomi e date e molti altri dettagli. Addirittura, all’epoca Kazumi le avrebbe chiesto di sposarlo, e dopo tanto tempo la donna lo ricorda ancora con molto affetto, al punto da aver intrapreso quel viaggio proprio allo scopo di poterlo rivedere e parlare con lui. Kazumi invece non ricorda affatto quella donna, e consultando un atlante non riesce nemmeno a trovare alcuna traccia di una città chiamata Yumiura nel Kyūshū. Certo, ciò che la donna racconta potrebbe essere una fantasia o il frutto di una mente malata… oppure, quello dei ricordi è un labirinto che divide le persone, e nel quale certi fatti ci sono o non ci sono accaduti a seconda che li ricordiamo o meno. Forse ciò che non conserviamo nella memoria non è mai avvenuto, ed è questo il motivo per cui non è mai possibile condividere con altri il nostro personale mondo dei ricordi. 

domenica 2 giugno 2019

Prima neve sul Fuji (Pt.1)

Il post di oggi vuole onorare un impegno preso con me stesso (ma anche con voi) molto tempo fa e poi rimasto disatteso senza un vero perché. Oggi dunque vi parlerò di “Prima neve sul Fuji”, una raccolta di racconti di Yasunari Kawabata risalente al 1958, ma resa disponibile ai lettori italiani soltanto nel 2000 da Mondadori. 
Avendo ripreso in mano questo volume a distanza di anni dalla prima lettura, mi sono reso conto che alcuni di questi racconti erano ancora ben impressi nella mia mente mentre due o tre li ricordavo appena, e fin qui nulla di strano, se non fosse che in tutti, oltre a una prosa lieve e scorrevole, sono centrali i rapporti umani e i sentimenti, non per forza amorosi, mescolati a temi come la comunione con la natura, il trascorrere del tempo, la vecchiaia e la morte, l’espressione artistica (alcuni dei personaggi principali sono scrittori e probabili alter ego dell’Autore); e questo rende ognuno di loro, anche quelli secondo me meno riusciti, a suo modo diverso e unico. Inoltre credo, anche se forse questo è un altro pensiero banale, che il ritratto dell’umanità che emerge da questi racconti sia universale ma allo stesso tempo sottolinei quelle che per noi sono le maggiori peculiarità giapponesi. 
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