Visualizzazione post con etichetta Specchi. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Specchi. Mostra tutti i post

venerdì 10 giugno 2016

L'estraneo nello specchio

È completamente ossessionato dagli specchi, si è convinto che essi siano il passaggio di una non bene identificata entità maligna che sarebbe pronta ad attaccarlo o stronzate del genere. Beh, certamente un caso di schizofrenia degno di nota, anche se avere a che fare con soggetti psicotici dopo un po’ è meno interessante di come possa sembrare a inizio carriera. 
Non è la prima volta che mi capita di scegliere un libro a caso tra la vastissima offerta dei titoli di genere fantastico che, specialmente in questi ultimi tempi, sembra aver trovato una nuova linfa vitale. È stato il titolo, come potrete certamente immaginare, ad attirare la mia attenzione su questa breve raccolta di “novelle nere” a firma di Vincenzo Abate, e disponibile in vari formati a un prezzo pressoché irrisorio. A volte queste scelte casuali si rivelano delle perle, altre volte delle cocenti delusioni. Questo “L’estraneo nello specchio” si posiziona esattamente a metà fra questi due estremi, offrendo un numero di spunti interessanti sufficiente a convincermi a scrivere questo breve articolo. Vincenzo Abate, come recita la sua biografia in coda al volume, nasce nel 1984 a Cosenza. Grande appassionato di cinema e letteratura, è anche un cultore dei racconti di Edgar Allan Poe, Richard Matheson e H.P. Lovecraft. Collaboratore di cinefocus.it e biblon.it, Vincenzo esordisce nel 2011 con il romanzo noir "Il Faro della Coscienza" (scritto a quattro mani insieme a Giuseppe Oliva), edito dalla casa editrice Montecovello, e si ripropone con questo suo primo lavoro indipendente che pubblica all'inizio del 2014, in formato ebook, con la casa editrice Teomedia.

martedì 12 agosto 2014

Il signore del male

Questo non è un sogno. Non è un sogno. Noi usiamo il sistema elettrico del tuo cervello come una ricevente. Non possiamo trasmettere attraverso interferenze consce. Tu ricevi questo messaggio come se fosse un sogno. Noi trasmettiamo dall'anno uno nove nove nove. Ricevi questo messaggio perché tu possa modificare gli eventi che vedrai. La nostra tecnologia è conosciuta da coloro che hanno delle trasmittenti abbastanza potenti da raggiungere il tuo stato conscio e la tua consapevolezza. Ma questo non è un sogno. Tu vedi quello che succede realmente.

Come possono coesistere due argomenti così lontani tra loro come la religione cattolica e la fisica quantistica? Come si può parlare di creazione, di avvento messianico, di apocalisse e cercare di spiegare il tutto attraverso lo studio dei fenomeni connessi con le energie atomiche e subatomiche e comunicando i risultati per mezzo di particelle superluminali? Tutto e niente, mi verrebbe da rispondere così, di primo acchito. E se poi aggiungessimo alla nostra ricetta un po’ del grandioso immaginario legato allo specchio, quell’oggetto così sinistramente radicato nel folklore e nella mitologia di tutto il mondo, ecco che otterremmo “Il signore del male”!
Prima o poi doveva pur accadere che questo blog dedicasse un po’ del suo spazio al principe delle tenebre. Ma non a un “qualsiasi” principe delle tenebre: il “Prince of Darkness” di cui si parla oggi è l’omonimo film ideato e realizzato sul finire degli anni Ottanta da quel vecchio volpone di John Carpenter. Quel “doveva pur accadere” è molto di più che una frase buttata lì a caso: sono anni che rifletto sull’opportunità di scrivere un mio articolo su “Il signore del male”. Addirittura fantasticavo di scriverne ancora prima di aprire il blog. Non l’ho mai fatto finora solo perché non volevo rischiare di scrivere qualcosa che non fosse più che perfetto, per cui ho rimandato e poi ancora rimandato. Fino a oggi.

giovedì 31 ottobre 2013

On Halloween look in the glass...

On Halloween look in the glass, your future husband’s face will pass. Olivia si era ritirata in camera sua eccitatissima quella sera. Ancora poche ore e sarebbe giunto il giorno del suo quindicesimo compleanno, il che significava davvero molto per lei. Aveva trascorso l’intera giornata ad aiutare sua madre ad intagliare zucche per la ricorrenza che cadeva, guarda caso, quella notte stessa. Eh sì, era davvero singolare che il caso avesse fatto coincidere la vigilia del suo compleanno con la notte di Halloween, una delle feste più amate dai bambini. Olivia però quell’anno non si sentiva più una bambina. Si era lasciata alle spalle tutte quelle sciocchezze, le streghe e i fantasmi, e non aveva ceduto alle insistenze delle sue amiche che, anche quell’anno, avrebbero trascorso il loro tempo bussando di porta in porta e ripetendo la solita filastrocca del “dolcetto o scherzetto”.
Ormai era grande. Una vera signorina. Quindici anni erano un traguardo che aspettava da tempo, dal giorno in cui sua madre, tanti anni prima, le aveva detto che l’età che rimpiangeva di più era quella dei suoi quindici anni. Non se lo era mai dimenticato e, anzi, da allora aveva cominciato a tenere il conto, con incredibile assiduità, dei giorni che la dividevano da quell’evento. Il conto alla rovescia era ormai quasi terminato. Da domani si sarebbe aperto un mondo nuovo per Olivia, almeno questo era quello che si augurava e su cui aveva fantasticato tanto. Sua madre aveva conosciuto l’uomo che sarebbe diventato suo padre a quindici anni e forse, chissà, anche Olivia avrebbe incontrato il suo futuro marito. Magari non lo avrebbe sposato subito, quello no, non era ancora pronta per sposarsi né tantomeno per avere dei bambini veri, però magari lo avrebbe incontrato, così per caso, magari davanti alla gelateria, o passeggiando per il parco o magari sulla strada della scuola. Lo avrebbe incontrato e lo avrebbe (su questo non aveva alcun dubbio) riconosciuto al primo sguardo.

martedì 26 marzo 2013

Riflessioni (Pt.2)

Nel celeberrimo film “L’occhio che uccide” (Peeping Tom, 1960), un assassino uccide le sue vittime con una telecamera, sulla quale ha installato una lama retrattile, mentre le riprende, costringendole ad osservarsi in uno specchio per vedere il proprio volto contratto dalla paura. Questo gesto simboleggia da un lato il voyeurismo insito del cinema, dall’altro il suo potere, e l’associazione dello scatto fotografico al gesto omicida, concetto che si rifà alle credenze popolari  menzionate prima ed è ancora più calzante nel caso del cinema, a causa della maggiore invadenza della telecamera rispetto ad una macchina fotografica. L’essenza del film sta tutta nella frase “Tutto quello che riprendo, per me è perduto…” pronunciata dal protagonista.
In “Come in uno specchio” (Säsom i en spegel, Ingmar Bergman, 1961) si fa riferimento all’idea che lo specchio rappresenti per antonomasia la maschera, l'apparenza, e, per esteso, la doppiezza umana. Un’isola del Mar Baltico fa da scenario alla vacanza da incubo di Karin e della sua famiglia: il marito medico, il padre scrittore e il fratello minore. Il film affronta molti temi drammatici come le dinamiche familiari, le finalità della scienza e dell'arte, l'incesto, ma soprattutto la malattia e la spiritualità. Perché Karin è schizofrenica e ossessionata dalla ricerca di Dio, che crede fermamente le si rivelerà per unirsi a lei e diventare un tutt'uno con lei, e alterna l’esaltazione mistica e allucinatoria a periodi di lucidità durante i quali sembra dominata dall’odio; ma quando infine ottiene la tanto agognata rivelazione, Dio le appare come un essere ripugnante, mostruoso, che cerca di possederla.

venerdì 22 marzo 2013

Riflessioni (Pt.1)

“C’era una volta un re, seduto sul sofà, che chiese alla sua serva: “Raccontami una storia”, e la serva incominciò: “C’era una volta un re, seduto sul sofà, che chiese alla sua serva: “Raccontami una storia”, e la serva incominciò...”
Questa storiella è stata un vero e proprio tormentone della mia infanzia. La conoscete? Sono certo che ne esistono molte varianti, ma la solfa è la medesima. Tutte le volte che la sera, prima di dormire, chiedevo a mia madre di raccontarmi una fiaba e lei non ne aveva voglia, intonava questa litania con il preciso intento di farmi annoiare in meno di due minuti. Ora che sono adulto capisco che non era cattiveria, la sua, che forse quelle volte era solo troppo stanca per dedicarmi più di quei due minuti, e ci rido su, ma all'epoca mi arrabbiavo molto. Anzi, mi infuriavo proprio! E lei a sua volta fingeva di mettere il muso, dicendomi che la storia prevista quella sera era quella e se non mi andava bene non me ne avrebbe raccontata nessun’altra, e poi ne approfittava per spegnere la luce e defilarsi, lasciandomi da solo nel mio letto a smaltire il nervoso.
Alla storiella della serva e del re non pensavo ormai da moltissimi anni, e quando l’ho fatto mi ha colto, improvvisamente, la consapevolezza che la sua struttura a scatole cinesi si fonda su una serie di rimandi che si autoalimentano virtualmente all’infinito, come in un gioco di specchi. Una versione meno colta, e semplificata, dei racconti de “Le mille e una notte”…

sabato 1 settembre 2012

Carta velina intinta nella porpora


Come un papavero tra le pagine di un libro, il piccolo libro di Marcella Andreini ha la stessa essenza della carta velina intinta nella porpora. Delicata ma allo stesso tempo sanguigna. Apparentemente fragile e innocua, ma sgocciolante di spunti e riflessioni che solo una profonda passione per la vita può trasmettere. Sono affascinato da quante righe mi sono scoperto a leggere e rileggere più volte, per cercare di capire, per fare miei i pensieri di un’altra persona. Sono inciampato per caso nel blog dell’Autrice e da allora non me ne sono più allontanato. Tanti pensieri, apparentemente slegati l’uno dall’altro, ma accomunati da un unico comun denominatore: la curiosità.
Ho ricevuto “Volevo solo essere adorata” in omaggio. Graditissimo omaggio, posso confermare oggi a posteriori, dopo averlo letto. Urge quindi scrivere un post prima che ne svaniscano i sapori. Da che parte cominciare? Direi dalla trama che, così come la leggo sulla quarta di copertina, è davvero semplice: due studentesse che abitano nella stessa strada si conoscono perché le loro finestre sono l’una di fronte all’altra. In breve tempo nasce un’amicizia profonda, ed è soprattutto Emilia ad arricchire il rapporto, grazie ad un’intelligenza vivace, a una geniale vena artistica, a uno spirito ricco ma incapace di adeguarsi a una vita mediocre. Una quarta di copertina che non rivela quindi nulla del contenuto del libro. Ma non potrebbe essere altrimenti, dico io. Questo non è un libro che si può riassumere in due parole, non è nemmeno un libro che possiede una trama nel senso comune del termine. Accadono, questo è vero, delle cose che messe in fila una dietro l’altra si potrebbero superficialmente definire con il termine “trama”, ma non è questo il punto. Il punto è che “Volevo solo essere adorata” è un libro nel libro: la trama è un espediente per mettere nero su bianco i propri pensieri, le proprie emozioni, i propri dolori, le proprie perdite, la propria solitudine.

martedì 21 agosto 2012

Two Earths

Lo specchio. Ogni immagine riflessa in uno specchio, anche se apparentemente uguale, viene distorta: la parte destra diventa la sinistra e la realtà si trasforma in realtà illusoria, in un mondo rovesciato. Ma quale dei due mondi è davvero rovesciato? Quello che vediamo nello specchio o il nostro?  Chi sono veramente gli abitanti della realtà che si trova dall’altra parte dello specchio? Chi è quell’individuo a noi gemello, colui che guardiamo negli occhi tutte le mattine quando ci radiamo o ci laviamo i denti? Potrebbe essere qualcosa di più rispetto ad una semplice immagine di noi stessi? E se fossimo noi a vivere dalla parte sbagliata dello specchio? Se fossimo noi l’immagine riflessa di un’altra realtà? Quante volte questo pensiero si è affacciato alla mia mente. Lo specchio mi ha sempre lasciato una strana sensazione di inquietudine. C’è qualcosa che non capisco e che quasi ho paura a capire.  Ma non è di questo che volevo parlare oggi. Almeno, non solo di questo. Volevo parlare di una singolare teoria che qualcuno mi ha proposto quando ero bambino, che sembra non c’entri nulla ma…

lunedì 11 giugno 2012

L'ombra nello specchietto

Giusto un paio di settimane fa ho dato il via ad un piccolo progetto di ricostruzione dei miei ricordi più sbiaditi. L'idea è molto semplice: frugo nella mia memoria, scovo un particolare semi-perduto (anche fosse solo una sensazione) e cerco di tirarne fuori qualcosa. La volta scorso sono partito da un vago ricordo di un vecchio film apparentemente scomparso. Partendo da pochi indizi sono riuscito a risalire a qualcosa di concreto. Voglio provare quindi a ripetere l'esperimento: stavolta voglio riuscire a risalire alle cause di una mia ancestrale paura. Ho detto "ancestrale", ma forse non è esattamente il termine più adatto. Vediamo.... Fobia? No. Angoscia? Nemmeno. Ecco, diciamo che si tratta di un puro e irrazionale terrore che mi assale impovvisamente mentre sto guidando, da solo, in piena notte. Fortunatamente non mi accade spesso, nè di guidare in piena notte, nè tantomeno di essere solo. Succede che improvvisamente la mia attenzione viene catturata dalla presenza dello specchietto retrovisore, quello centrale, proprio sopra i miei occhi. Mi sale un brivido. Vorrei guardarci dentro ma non riesco. Allora lo afferro con una mano e lo sposto, in modo che il mio sguardo non possa inavvertitamente incrociare il suo riflesso. Chi legge il mio blog regolarmente sa che lo specchio riaffiora spesso nel contenuto dei miei post. Immagino che non sia casuale, così come non è casuale che abbia pensato allo specchio quando, oltre un anno fa, ho iniziato a scrivere qui.

martedì 29 maggio 2012

Lo specchio di Giulia

Ho sempre creduto che gli specchi racchiudessero in sé qualcosa di misterioso, di trascendentale, che non fossero semplicemente dei cristalli di materiale riflettente o dei semplici pezzi di arredamento al pari di sedie e tavoli. Gli specchi, secondo il mio modo di vedere, rappresentano dei passaggi, delle porte, e se noi non siamo in grado di attraversarli, o semplicemente non siamo in grado di vedere oltre la banale immagine riflessa di noi stessi, è solo perché abbiamo dei limiti. Non siamo capaci, in altre parole, di superare la barriera che separa il mondo terreno da quello, come dire, ultraterreno. E tutto sommato questa potrebbe essere una fortuna. Vi sono però delle sporadiche eccezioni, alcune scientificamente documentate, altre rimaste allo stadio di leggende metropolitane, che dovrebbero farci riflettere (il gioco di parole, giuro, è involontario). Una di queste eccezioni ha avuto come protagonista una mia cara amica, che mi ha scritto qualche giorno fa pregandomi di prestarle aiuto. Giulia, la chiamerò così, è oggi una splendida quarantenne, ma aveva sì e no otto anni quando si trasferì con la sua famiglia nel condominio alla periferia nord di Milano dove abitavo: uno di quei casermoni mezzi fatiscenti dove tutti conoscevano tutti, ma nessuno si fidava di nessuno. Giulia invece era simpatica ed estroversa. Tutt’altro che una bella bambina, per la verità, con quegli occhialoni troppo grandi per il suo viso e quella pettinatura da maschiaccio. Ad ogni modo facemmo subito amicizia.
Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...