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martedì 9 settembre 2025

Nero veneziano

Dodici mesi fa, in occasione della precedente edizione dell’iniziativa “Notte Horror”, mi trovai a giurare che mai più mi sarei impegnato con così largo anticipo a recensire un film che, al momento della decisione, non avevo ancora mai visto. Il rischio, è ovvio, era quello di trovarsi di fronte a qualcosa di non recensibile, vuoi perché privo di spunti da sviluppare, vuoi perché talmente brutto e noioso da rendermi impossibile sopportarne la visione. Eccomi invece qua con lo stesso problema. Ci sono ricascato con tutte e due le scarpe e adesso mi trovo nella condizione di dover scrivere un articolo lungo quanto basti per sembrare il post di un blog. 
Non che manchino gli spunti, quelli magari riesco anche a trovarli, ma “Nero veneziano”, film del 1978 diretto da Ugo Liberatore, è una di quelle esperienze che hanno messo a dura prova le mie palpebre, palpebre che hanno iniziato a cascare dopo pochi minuti, anche in una sera di piena estate, in vacanza, dove la stanchezza di una giornata di lavoro non poteva essere chiamata in causa. Se quindi state cercando una valida alternativa al valium, che magari non volete assumere perché non avete un buon rapporto con la chimica, eccovi servita la soluzione. 

martedì 5 agosto 2025

Profondo rosso

Devo per forza essere impazzito. Non si potrebbe spiegare altrimenti questa mia temeraria iniziativa di voler scrivere a tutti i costi un pezzo su uno dei film più dibattuti del cinema italiano di genere, specialmente in un periodo, quello del cinquantesimo anniversario dalla sua uscita nelle sale, in cui tutti hanno già ampiamente detto la propria. 
Eppure, se non questa volta, prima o poi era inevitabile che sarebbe accaduto. In fondo ho sempre considerato “Profondo Rosso” uno dei più grandi capolavori del cinema nostrano, anche se, e questo devo ammetterlo, con il passare degli anni mi sono dovuto più volte ricredere su certe valutazioni che in prima battuta mi avevano fatto gridare al miracolo. “Profondo Rosso” è un bel film d’impatto, ma certamente non è un capolavoro. E forse non è nemmeno il migliore tra quelli girati dal regista romano. Resta indubbio che si tratti del titolo che, nell’altalenante produzione argentiana, più di ogni altro ha influenzato il mio immaginario, e credo che ciò sia abbastanza evidente per coloro (pochi) che hanno avuto l’ardire di seguire pedissequamente questi quasi quindici anni di blog.

venerdì 20 giugno 2025

Cinema, metacinema, miniature e manie di controllo (Pt.2)

LA PRIMA PARTE SI TROVA QUI

Ma veniamo - senza alcuna intenzione di paragonarle, neppure fra loro, a livello qualitativo, ma solo in merito a come usano l’espediente oggetto del post - a opere ben più recenti. 
Nel bellissimo “Hereditary – Le radici del male” di Ari Aster (2018), la famiglia di Annie è un microcosmo in cui, in un meccanismo da tragedia greca, si manifesta il karma familiare, quel male ereditario che suo malgrado la stessa Annie contribuisce a perpetrare. Non a caso Annie costruisce miniature, e il modellino a cui sta lavorando è proprio la casa del film, come ci mostra la telecamera che, nelle scene iniziali del film, ci porta al suo interno e poi scivola fuori, nella realtà filmica (una tecnica, quella della telecamera che precede gli attori negli ambienti e vi indugia, che sarà usata anche in altri momenti nel lungometraggio). 
Qui la presenza del modello consente un gioco di specchi, non solo in senso fisico ma anche esoterico: ciò che è dentro, è fuori. L’ereditarietà si manifesta anche nella propensione artistica, diciamo così, delle donne di famiglia, nella loro urgenza di rappresentare il reale; ma traslando, il talento di Annie nella figlia si deforma, diventando grottesco (pensiamo all’armonia delle sue miniature a paragone con i brutti e inquietanti ritratti di famiglia abbozzati da Charlie, così come l’aspetto fisico di quest’ultima è una distorsione della bellezza materna).

venerdì 13 giugno 2025

Cinema, metacinema, miniature e manie di controllo (Pt.1)

Il metacinema, ovvero il cinema che parla di se stesso, che si svela o si cita, sia nella struttura operativa che nel linguaggio e negli intenti, è probabilmente un fenomeno vecchio quanto il cinema stesso. Non ho dati oggettivi, ma quantomeno non ho dubbi che non sia cosa recente, se è vero che uno dei primi esempi risale a detta di molti addirittura agli anni ‘50 (proprio del 1950 è infatti “Viale del tramonto”, il film in cui Billy Wilder fa recitare Gloria Swanson nella parte di una diva, appunto, sul viale del tramonto, ovvero nella parte di se stessa; operazione ripresa – tra l’altro – dalla regista Coralie Fargeat in “The Substance”, del 2024). 
È un tipo di narrazione che si contrappone a quella classica, diegetica, in cui lo spettatore viene cullato nella finzione filmica, senza vedere l’artificio che rende possibile il prodigio e senza la necessità, in realtà, di doversi sforzare in alcun modo per capire quanto viene messo in scena, perché i personaggi agiscono in modo lineare seguendo pattern ben consolidati che li portano all’inevitabile conclusione della storia, lieta o tragica che sia. 

venerdì 30 maggio 2025

Mystics in Bali: tra mito e frattaglie volanti

Sono passati quasi dieci anni dallo speciale thailandese “Bangkok Haunted” e ancora sono convinto si tratti di una delle cose migliori che abbia mai pubblicato qui sul blog. E non parlo di scrittura (non ho mai pensato di scrivere particolarmente bene), ma del fatto che credo di aver tratto il massimo dal poco materiale cinematografico a mia disposizione (come scrissi allora, “il cinema tailandese è molto restio a rivelarsi per intero.”). 
All’epoca avrei voluto proseguire nell’esplorazione del cinema folk horror del sudest asiatico, ma avevo sempre altro da fare e, semplicemente, la cosa mi è passata di mente, riaffiorando solo nei momenti meno opportuni. Faccio ammenda con questo timido tentativo, partendo da un film indonesiano che omaggia la figura che all’epoca più di tutte aveva colpito la mia immaginazione: Leyak/Leak, detta anche Palasik o Kuyang (il nome varia nei tre principali gruppi etnici del paese e anche la grafia a volte cambia, benché l’indonesiano usi in gran parte l’alfabeto latino). Leyak altro non è che l’equivalente della thailandese Krasue, un essere che si presenta sotto forma di una testa femminile con appese delle interiora sanguinanti che vaga di notte alla perenne ricerca di donne incinte per succhiare il sangue dei feti o dei neonati (vedi qui). Queste premesse sul folklore sono necessarie, altrimenti lo spettatore che fosse del tutto a digiuno di questi temi rimarrebbe spiazzato e finirebbe per capire ben poco di quello che sta guardando. 

venerdì 16 maggio 2025

Possibly in Michigan

Quello che andiamo ad analizzare oggi è un perfetto esempio di "horror analogico", o analog horror, un sottogenere dell'horror di cui ignoravo l'esistenza sino a poco tempo fa, ma che ho scoperto avere una larga schiera di estimatori. No, in realtà non è esatto dire che non lo conoscevo; diciamo piuttosto che ignoravo fosse mai stato classificato come un genere a se stante. Di cosa si tratta? Semplicemente di un'opera che si basa sull'idea che la tecnologia analogica possa essere utilizzata per catturare eventi paranormali o soprannaturali, creando un'atmosfera di mistero e terrore. Nel contempo, e per quanto mi riguarda è la cosa più interessante, nonostante il mistero e il richiamo alla metafisica si tratta di una tecnica cinematografica che fa leva su timori fin troppo reali e concreti, come quello di essere osservati senza saperlo oppure di poter perdere la percezione di cosa è reale e cosa non lo è.
Sebbene il formato più comune dell'horror analogico sia quello del cortometraggio (e quindi pensato per un pubblico di nicchia), non mancano esempi in cui i media analogici possono ritagliarsi, in una sorta di metacinema, uno spazio all'interno di film veri e propri, spesso riuscendo a diventare l'elemento centrale della trama. È il caso della videocassetta maledetta di "The Ring", che è un perfetto esempio di come la tecnologia analogica possa essere utilizzata per creare un'atmosfera ansiogena, o di quei lungometraggi che utilizzano la forma del "found footage", quali "The Blair Witch Project" (1999), "V/H/S" (2012), "Paranormal Activity" (2007), "The Last Broadcast" (1998) o "Grave Encounters" (2011). 

venerdì 2 maggio 2025

The Lady in the Sea of Blood

Non so nemmeno perché mi sto mettendo a scrivere di ‘sta roba. Forse solo perché ho un post da pubblicare oggi, e non avendo nulla di pronto scrivo qualcosa che richiede il minimo impegno; conto infatti di scrivere questo post in una decina di minuti, considerato che non mi occorre nemmeno perdere tempo con il film in oggetto, talmente superflua ne è la visione. 
In realtà qualche minuto ce lo persi qualche tempo fa, ma lo feci in maniera smart. Detto in altri termini, un cortometraggio di trenta minuti scarsi guardato ai tempi con velocità 8x (ma a posteriori avrei potuto osare anche di più) mi ha rubato giusto il tempo di un caffè espresso, ed è esattamente il tempo che ho sacrificato io. 
Partiamo dal titolo, “The Lady in the Sea of Blood” (血の海の美女), che riassume perfettamente il contenuto di questa assurda creazione: c’è appunto una donna e c’è un mare di sangue. Sarebbe bastato che nel titolo il regista avesse aggiunto “in the bathroom”, specificando appunto l’ambiente dove si svolge l’intera vicenda, e non ci sarebbe stato più nulla da spoilerare. 
La locandina è quanto di più truculento un essere umano possa concepire, e ammetto di essere stato combattuto fino all’ultimo sul fatto di postarla qui sul blog oppure andarci giù pesante con la censura. Alla fine ho optato per lasciarla così com’è (nessuna censura da queste parti), ma credo che dovrò trovare una soluzione diversa quando (e se) deciderò di spammare l’esistenza di questo post sui social.  

venerdì 18 aprile 2025

Libro Vs. Film: The Shout

Sono appena riemerso dalla lettura di “L’urlo” (The Shout) (sono almeno alla quinta o sesta in una decina d’anni: è un testo molto breve) come si riaffiora dopo un’immersione prolungata, o come una foglia che ripiombi a terra dopo essere stata a lungo in balia del vento. E già le mie dita cercano la tastiera, perché voglio fissare le mie impressioni prima che svaniscano, frastornato da quello che forse è poco più che un gioco letterario e tuttavia è pieno di suggestioni, e che mescola il sogno e l’inconscio, ma anche immagini, oggetti e parole ricorrenti. L’Autore di questo racconto, Robert Graves (ovvero Robert von Ranke Graves, 1895 – 1985), professore e poeta inglese, fu anche un apprezzato saggista e un romanziere. Alla sua attività di saggista ho già accennato in passato (per esempio, qui e qui), e certo ne avrei parlato ancora, se una certa serie di post non si fosse arenata nelle sabbie mobili della mia mancanza di tempo e d’ispirazione; stavolta mi dedico invece a una sua opera di narrativa (che è anche l’unica incursione nel fantastico di una carriera in prosa che conta quasi solo romanzi storici), e alla trasposizione per il cinema che ne è stata tratta. 

venerdì 28 marzo 2025

Rape Zombie: Lust of the Dead

Non so che dire. Era un bel po’ che non mi accomodavo davanti allo schermo davanti a un bel film di zombi. Questo principalmente per il fatto che non ho più grandi speranze di trovare materiale abbastanza buono là fuori che possa spingermi serenamente a premere il tasto play. 
Voglio dire, non che mi dispiaccia, nelle sere in cui la mia priorità è spegnere il cervello, assistere all’ennesima carneficina non-morta, ma un minimo di novità ogni tanto mi piacerebbe che ci ci fosse. Non dico di originalità, perché quella ormai non la vedo probabile, ma perlomeno un particolare, anche secondario, che mi strappi un’emozione, fosse anche una risata, e che mi faccia dire che non tutto quello che ho visto è da buttare nel cesso. 
Negli ultimi anni ho tirato lo scarico innumerevoli volte e senza alcun rimorso, eccezion fatta per un paio di pellicole a tema zombi di provenienza asiatica che sono state in grado di aggiungere un pizzico, ma giusto un pizzico, di sale sull’insalata. Penso alla zombi-comedy giapponese “Zombie 100. Cento cose da fare prima di non-morire” (Zom 100: Bucket List of the Dead, 2023), tanto per fare l’ultimo esempio in ordine cronologico, ma potrei citarne altre.

venerdì 21 febbraio 2025

Le Bunker de la Dernière Rafale

Quando capita che ti ritrovi la sera a casa nel bel mezzo della settimana, si sono già fatte le dieci e mezza e il giorno dopo devi alzarti presto per andare a lavorare, le alternative sono tre: ti metti a cazzeggiare col telefono intossicandoti anima e corpo in un'attività che non porta da nessuna parte, ti rifugi al cesso e ti metti davanti allo specchio alla ricerca di invisibili punti neri oppure, scelta preferita, ti metti a frugare nei tuoi "archivi" alla ricerca di un cortometraggio che ti accompagni verso un'ora più consona per andarsi a coricare. Ci sarebbe anche l'alternativa di mettersi a leggere o a scrivere qualcosa per il blog, che è ciò che sto facendo in questo momento, ma la sera di cui vi sto parlando è un'altra e risale a un periodo ormai imprecisato dello scorso anno. 
Ciò che venne fuori da quella ricerca serale fu un cortometraggio di appena 26 minuti il cui titolo e la cui locandina avevano, in un tempo di molto precedente, già attirato la mia attenzione per una certa dose di "singolarità" che mi aveva trasmesso così, a pelle. Il genere di riferimento è il "grottesco", un genere che ritengo essere sostenibile, ma questo è di certo un mio limite, esclusivamente se il minutaggio complessivo dell'opera non supera quello che una scatoletta di tonno richiedere per essere mangiata di fretta sul lavandino. In realtà, più che grottesco l'avrei definito "cyberpunk" perché, come spero vi sarà chiaro proseguendo nella lettura di questo articolo, certi dettagli non possono che far andare la memoria al cinema di Shin'ya Tsukamoto

venerdì 14 febbraio 2025

Libro Vs. Film: Rosaura alle dieci

Mi accingo alla lettura di questo Sellerio, colto di passaggio sullo scaffale di una libreria lo scorso autunno, mentre attendo l'apertura del gate dal quale partirò a breve. Il volo che mi attende sarà uno di quelli lunghi e un libro dal titolo accattivante sarà, almeno così penso, il miglior compagno di viaggio possibile. Certo, avrei potuto mettere in valigia uno qualunque dei titoli già in mio possesso, magari uno di genere fantastico, di quelli che sono solito divorare uno dopo l'altro in rapida sequenza, ma stavolta ho optato per una casa editrice "generalista", giusto per non perdere l'abitudine. 
Sì, lo so che questo incipit lo avete già letto (infatti è uguale a quello che un paio di settimane fa ha aperto la recensione di "Attraverso la notte" di William Sloane), ma questo di cui sto parlando è il viaggio di ritorno. Stessa modalità di lettura, quindi, e stesse ore da riempire davanti a me, interrotto solo da qualche hostess incaricata di versare qualche caffè o vendere profumi che non interessano a nessuno.
In realtà non sono venuto in possesso di questo titolo in maniera casuale come nel caso di "Attraverso la notte", ma come frutto di una precisa ricerca, facilitata dal fatto che l'editore ha recentemente immesso sul mercato una nuova edizione di un romanzo storico del suo catalogo che era ormai da anni classificato come esaurito. Sto parlando, se non lo si fosse capito, di "Rosaura alle dieci", romanzo d'esordio di Marco Denevi, un'opera che ha portato all'autore argentino un successo immediato e ha gettato le basi per la sua carriera letteraria.

venerdì 7 febbraio 2025

Due “Point Break” e due filosofie a confronto

Ho sempre pensato che ci sono film che non andrebbero mai rifatti, ma al massimo omaggiati. “Point Break” di Kathryn Bigelow (1991) rientra a pieno in questa categoria, e se tempo fa mi aveste chiesto il titolo di un film che per scelta non avrei mai visto, nella lista avrei di certo incluso il suo remake realizzato nel 2015 da Ericson Core, direttore della fotografia e regista specializzato in film d’azione: come si dice in questi casi, era un’operazione, questa, di cui non sentivo nessun bisogno. 
E invece, durante una pigra serata a casa di parenti, sotto le feste di Natale, mi sono rassegnato a guardarlo: le due ore di durata tutto sommato sono volate e qualcosa di positivo nel film (con mia sorpresa) l’ho pure trovato. E ora che sono passati abbastanza anni dal momento della sua uscita da permettermi di compararlo con l’originale senza rischio di farmi influenzare da altri (sono sicuro che all’epoca fioccassero le recensioni, qui sulla blogosfera), posso dire anch’io la mia. Ovvero, innanzitutto, che sono solo lo spunto di base, i nomi dei personaggi e poco altro ad accomunare i due lavori, e questo è allo stesso tempo il difetto maggiore (per chi sostiene che un remake debba essere il più possibile fedele al capostipite) e il maggior pregio di questa nuova versione (per chi è invece alla ricerca dell'originalità a tutti i costi). 

venerdì 24 gennaio 2025

Libro Vs. Film: The Cremator (l'uomo che bruciava i cadaveri)

Ci sono dei momenti nella vita in cui si avrebbe voglia di leggere un’opera di finzione che sia allo stesso tempo aderente ai corsi e ricorsi storici, che ci aiuti a ricordare la storia perché la storia non si ripeta, che parli di scelte e di responsabilità, che sia profonda e commovente, ma sentiamo di non trovarci nello stato d’animo adatto per sopportare il fardello emotivo che una tale lettura comporterebbe. 
Ecco, è proprio in uno di quei momenti che un romanzo come “Spalovač mrtvol” dello scrittore praghese Ladislav Fuks (1923-1994) potrebbe aiutare a superare il blocco del lettore, perché pur trattando un tema spinoso come i prodromi dell’Olocausto è ricco di una buona dose di humor nero grazie al quale l’Autore ha saputo rendere le vicende narrate più grottesche e stranianti che orrorifiche. 
Il finale aperto, poi, può scompaginare un po’ le carte e quella percezione a senso unico dell’epilogo dell’opera che ci si insinua nella mente durante la lettura. 
Il romanzo, del 1967, fu portato in Italia da Einaudi nel ‘72 con il titolo “Il bruciacadaveri”, titolo ripreso anche dall’edizione Miraggi Editore del 2019. Viste le premesse, si tratta con evidenza di un’opera che indaga l’oscurità della mente umana e lo fa tramite la figura del protagonista Karel Kopfrkingl, direttore di un crematorio nella Praga degli anni Trenta del Novecento. Di inusuale Karel non ha tanto il lavoro (dopotutto la cremazione ha una sua utilità e come tutti i lavori sgradevoli, qualcuno li deve pur fare), quanto la passione con la quale lo svolge e le attenzioni al limite del malsano che riserva ai cadaveri, specialmente se di donne giovani e graziose. 

lunedì 28 ottobre 2024

La Grande Abbuffata: epilogo

La parola cibo, dal latino cibus, indica tutto ciò che serve da nutrimento per il corpo”, scrissi nell’articolo introduttivo di questo speciale. E dissi anche, non ricordo se usando esattamente queste parole, che “anche lo spirito va nutrito” perché “così come il cibo è il nutrimento del corpo, l’arte è il nutrimento dello spirito”. Il cinema è oggi la forma d’arte più popolare non solo per le sue caratteristiche intrinseche (non occorre una preparazione culturale specifica per apprezzare la maggior parte dei film, anche se magari non se ne coglieranno tutte le sfumature), ma anche a causa della diffusione prima del televisore (negli anni Sessanta) e più recentemente delle numerose piattaforme di streaming che hanno relegato la visione dei film su grande schermo a un evento occasionale.

lunedì 21 ottobre 2024

La Grande Abbuffata: Švankmajer e il "cinema del dettaglio"

Non credo ci sia un altro regista, tra quelli che conosco, che abbia trattato il tema del cibo in maniera coerente e continuativa, fin dagli anni ‘60, come Jan Švankmajer. Avrei potuto inserire questo articolo su di lui in qualunque parte dello speciale, ma se l’ho fatto in questo preciso punto, dopo le parti dedicate alle creature dell’horror, è perché ritengo che Švankmajer in un certo senso superi e surclassi l’horror. Esaminandone solo l’estetica, per quanto inquietante, è difficile classificare a pieno i suoi film come horror, ma i contenuti sono tutta un’altra faccenda. Quello di Švankmajer è un cinema psicanalitico, dove l’orrore affonda le radici nel subconscio (nelle nostre pulsioni e processi organici, nei nostri pensieri e desideri reconditi, nella fascinazione per l’oscuro e l’ondivaga dualità della natura umana) e allo stesso tempo è esterno a noi (nel dialogo amoroso, la dialettica sociale e politica, il progresso, la società dei consumi). Questo orrore è filtrato dalle lenti del surrealismo, inteso come viaggio interiore, dove i desideri e le paure più segrete dell’uomo possono facilmente tramutarsi da sogni in incubi. È un orrore che colpisce emotivamente anche quando la ragione non è in grado di individuarne la causa.

lunedì 14 ottobre 2024

La Grande Abbuffata: scorpacciate da paura (Pt.4: vampiri)

Il sangue è la vita!” (Dracula, Francis Ford Coppola) 

Abbiamo parlato di zombi e di cannibali, e va bene, ma perché inserire un capitolo anche sui vampiri? Cos’hanno a che fare tali creature con questo speciale a tema gastronomico? Purtroppo, nel lungo elenco dei disturbi alimentari tipici di quest’epoca non bisogna dimenticare quello forse più singolare. Sto parlando della cosiddetta Sindrome di Renfield (*), nota anche come ematolagnia o più comunemente come vampirismo clinico, ovvero una parafilia nella quale l'eccitazione sessuale è associata al bisogno compulsivo di ingerire sangue. Per chi ne soffre, l’ematolagnia è un’esperienza molto più profonda e intensa dell’atto sessuale, che termina nel momento dell’orgasmo. Ingerire il sangue del partner, al contrario, soddisfa il desiderio di entrare in comunione con il partner per un tempo virtualmente infinito. Il partner, attraverso il sangue, viene ingerito, posseduto, inglobato, per sigillare in questo modo un rapporto indissolubile, attraverso un meccanismo simile a quello per cui i guerrieri di un tempo ingerivano, possedevano e inglobavano i nemici vinti in battaglia per assorbirne le migliori qualità.

venerdì 4 ottobre 2024

Fuori Speciale: the untold story

“Fuori speciale” è una serie di articoli che vengono scritti di getto nel periodo di pubblicazione dello speciale “La grande abbuffata”. Pur non essendone parte integrante, ciò che viene qui trattato ruota intorno all’argomento principale senza spezzarne il filo logico. Si tratta, in estrema sintesi, di piccoli approfondimenti che non hanno trovato posto nella struttura principale. “Fuori speciale”, in uscita tutti i venerdì, non è una lettura necessaria alla comprensione degli articoli de “La grande abbuffata” (che usciranno invece il lunedì), è viceversa una lettura che può essere ignorata o rimandata, a vostro piacimento. 

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Nei giorni più caldi dello scorso mese di agosto ho fatto uscire su questo blog un breve articolo “True Crime”, passato quasi inosservato per via della stagione. Sto parlando del cosiddetto massacro degli “Otto Immortali”, dal nome del ristorante di Macao in cui erano avvenuti i fatti. Sintetizzando, per chi avesse già letto l’articolo o per chi non avesse voglia di farlo adesso, si tratta di uno dei casi più controversi della storia della penisola cinese che ancora oggi, dopo quasi mezzo secolo, fa discutere e rabbrividire i locali.

venerdì 13 settembre 2024

Fuori speciale: l'entomofagia come volontà e rappresentazione

“Fuori speciale” è una serie di articoli che vengono scritti di getto nel periodo di pubblicazione dello speciale “La grande abbuffata”. Pur non essendone parte integrante, ciò che viene qui trattato ruota intorno all’argomento principale senza spezzarne il filo logico. Si tratta, in estrema sintesi, di piccoli approfondimenti che non hanno trovato posto nella struttura principale. “Fuori speciale”, in uscita tutti i venerdì, non è una lettura necessaria alla comprensione degli articoli de “La grande abbuffata” (che usciranno invece il lunedì), è viceversa una lettura che può essere ignorata o rimandata, a vostro piacimento. 
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Giovanni portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano locuste e miele selvatico. (Matteo 3:4)
Perciò potrete mangiare i seguenti: ogni specie di cavalletta, ogni specie di locusta, ogni specie di acrìdi e ogni specie di grillo. (Levitico 11:22)
Alcuni preferiscono chiamarla distopia, che è un’etichetta ultimamente sin troppo abusata, ma io preferisco utilizzare le parole “narrativa (o cinema) di anticipazione” (*), che per certi versi è simile alla distopia ma porta con sé la capacità di prevedere con esattezza situazioni che avranno, in un futuro più o meno remoto, un preciso riscontro nella realtà.

martedì 13 agosto 2024

Il ristorante all'angolo

Mai e poi mai, e questo devo tenermelo bene a mente, annunciare la recensione di un film per la rassegna Notte Horror prima ancora di averlo guardato. Questo perché ora che finalmente (termine ironico) l’ho visto, mi trovo davanti a un foglio bianco che non so davvero come riempire. 
O meglio, un modo ci sarebbe: quello di mettere in sequenza un migliaio di insulti fino a raggiungere una lunghezza decente per un articolo di blog. Potrebbe però essere l’occasione per mettere in pratica un esperimento sociale, che è una cosa che da un po’ mi frulla in testa, per capire quanta gente atterra sul blog, guarda le immagini, legge giusto il titolo e passa alla sezione commenti senza davvero leggere il contenuto. 
Il problema è che i colleghi blogger che partecipano alla Notte Horror i post li leggono davvero e non posso permettermi di tradire la loro fiducia. Ecco quindi che due parole sensate, per questo “Ristorante all’angolo” (Blood Diner, 1987), mi tocca proprio metterle in fila. 
Ho detto poco fa di non aver mai visto questo film prima d’ora, ma riflettendoci non ne sono poi così sicuro. La locandina, questo è un fatto, è un déjà-vu piuttosto solido, e ciò potrebbe significare che in tempi remoti potrei aver avuto a che fare con la VHS in quella vecchia videoteca che frequentavo da ragazzo. 
Ciò non garantisce che io l’abbia noleggiata, ma visto quant’era scarna la sezione horror in quel posto, le probabilità sono tutt’altro che irrisorie. Anche perché, bisogna ammetterlo, quella locandina, con l’insegna al neon e il coltellaccio, è ancora oggi una potente calamita. Comunque sia andata non ricordavo nulla di quel film, anche perché, se l’avessi fatto, non mi sarei certamente avventurato in una nuova visione che chiamare superflua è sin troppo generoso. 

venerdì 21 giugno 2024

Fuori speciale: la colonna portante di ogni colazione vitaminica

“Fuori speciale” è una serie di articoli che vengono scritti di getto nel periodo di pubblicazione dello speciale “La grande abbuffata”. Pur non essendone parte integrante, ciò che viene qui trattato ruota intorno all’argomento principale senza spezzarne il filo logico. Si tratta, in estrema sintesi, di piccoli approfondimenti che non hanno trovato posto nella struttura principale. “Fuori speciale”, in uscita tutti i venerdì, non è una lettura necessaria alla comprensione degli articoli de “La grande abbuffata” (che usciranno invece il lunedì), è viceversa una lettura che può essere ignorata o rimandata, a vostro piacimento. 
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Capita talvolta su questo blog che si postino anche dei contenuti seri. È il caso del post precedente ed è anche il caso di quelli che arriveranno nei prossimi giorni, che lo saranno ancora di più. Spezzare in due tanta serietà con un post frivolo serve a sdrammatizzare e a riportare l’angoscia a livelli più sopportabili. Non so se faccio bene a farlo, visto che un pochino di angoscia non fa mai male, ma mi serviva un articolo “fuori speciale” da scrivere velocemente e non ho trovato di meglio che parlare di temi secondari. La volta scorsa abbiamo parlato di cibo spazzatura, e scrivendo il pezzo mi sono trovato a chiedermi quale potesse essere l’hamburger più noto del cinema. La risposta non poteva essere che una: il leggendario Big Kahuna Burger che Jules (Samuel L. Jackson) aveva tanto gradito in una delle scene più epiche di Pulp Fiction di Quentin Tarantino, una di quelle scene, per inciso, che solo pochi sassi non saprebbero ripetere a memoria. 
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