lunedì 19 giugno 2023

Orizzonti del reale (Pt.38)

LA PRIMA PARTE SI TROVA QUI

Chi tra di voi ha avuto modo di leggere l'articolo precedente, sa che conclusi dicendo che non sarebbe stato nelle mie intenzioni addentrarmi in considerazioni sui vari mezzi che l’uomo ha mai inventato per raggiungere la trascendenza. Affermai anche che la meditazione, non essendo un processo intellettuale, non può essere compresa con l’intelletto, ma si può soltanto farne esperienza. 
Per ricollegarmi a quanto detto, oggi apro con una piccola parentesi: Maharishi si distacca dalla tradizione buddhista e dai suoi Maestri perché non considera il desiderio come un ostacolo al progresso spirituale, bensì un mezzo essenziale per la sua completezza – il che gli valse l’accusa di voler incoraggiare l’edonismo e spiega, forse, la grande attrattiva generata da questo guru nei confronti dei Fab Four e di molte grosse celebrità degli anni ‘60 e ‘70. 

Ma torniamo a noi. Quello su cui vorrei interrogarmi è se le esperienze mistiche indotte dalla MT o dalla meditazione in generale sono in tutto e per tutto paragonabili a quelle indotte con altre tecniche, per esempio – per restare in tema con questa serie di post - l’uso delle droghe. È arduo affermare, in effetti, che le droghe producano sempre esperienze mistiche: molto spesso si tratta di allucinazioni, soprattutto quando il dosaggio è basso (con la sola eccezione della DMT). Non è un caso che i servizi segreti americani, com’è stato ormai ampiamente provato, abbiano usato gli psichedelici per fare il lavaggio del cervello ai soggetti delle sperimentazioni. Inoltre le droghe agiscono sui neurotrasmettitori naturali ai loro siti recettori, e sembrano quindi avere un effetto localizzato e non coinvolgere l’intero cervello; ma anche questo può voler dire tutto e niente, considerato quanto poco sappiamo ancora oggi del funzionamento del cervello. E ancora, tutti gli asceti sono concordi nel dire che la localizzazione della personalità, della mente, nella testa è puramente simbolica, perciò... 

Al di là di ciò che ognuno di noi può pensare, la verità è che le esperienze sono soggettive proprio perché siamo tutti diversi, e il “terreno di coltura” su cui l’”attivazione” va ad agire non è il medesimo e lo stesso può dirsi nell’ambito fisico: non considerare questo è precisamente il motivo per cui la medicina moderna è così fallace, e in molti casi persino nociva; la medicina allopatica vuole sconfiggere la malattia, anche mentale, e nella convinzione che ogni evento mentale debba avere una controparte fisica, molti psichiatri non ricercano la causa del disturbo, ma prescrivono tranquillanti e antidepressivi per eliminare il sintomo.

Osho Rajneesh (1931-1990)
Per Leary le droghe erano un modo “democratico” per superare quel gap (il famoso “terreno di coltura” di cui sopra) e consentire a chiunque l’esperienza psichedelica: chi avesse preso la droga avrebbe cambiato (in meglio) la sua vita, e una società di individui consapevoli, che avessero sperimentato l’amore e l’unità con il Cosmo e col Creato, avrebbe costruito un mondo migliore; McKenna sosteneva che l’uomo debba rivolgersi con umiltà al regno vegetale per avere la chiave d’accesso alla “matrice di Gaia” cui tutto, inclusa la vita umana, si ricollega, e che le esperienze non indotte dalle piante fossero addirittura non auspicabili. 
Negli ambienti dove si pratica la meditazione si crede invece che le esperienze mistiche indotte dalla droga o da altre pratiche non siano affatto equivalenti a quelle provocate dalla meditazione, e inferiori “qualitativamente”, in più di un senso. Se Osho Rajneesh (1931- 1990) non consentiva le droghe nel suo ashram, comunque, non era tanto per non infrangere la legge, quanto perché asseriva che chi medita è già all'apice della beatitudine e non ne ha bisogno (la meditazione è di per sé “una droga senza alcun componente chimico”). In questo video fa un distinguo fra chi medita e quindi “vive sulla cima” e chi non lo fa e, vivendo nelle “valli”, ha bisogno della droga. Con logica ineccepibile, afferma che proibendo le droghe non si fa altro che aumentarne il fascino e incrementarne l’utilizzo, e sostiene che i governi dovrebbero invece impegnarsi per rendere disponibili droghe che diano “più euforia, più gioia e nessun effetto collaterale”; per esempio, l’LSD potrebbe essere purificato e reso disponibile senza ricetta medica tramite le farmacie e gli ospedali... 
Ci sono però anche maestri di meditazione e yoga che assumono droghe. Certo, non tutti sono dei “guru” famosi in tutto il mondo e con milioni di seguaci, quindi la domanda sorge spontanea: sono meno “illuminati” degli altri o hanno solo scelto una strada differente? 

UG Krishnamurti (1918-2007)
UG Krishnamurti
(Uppaluri Gopala Krishnamurti, 1918-2007), con la vena dissacratoria che gli era tipica affermò, tra le altre cose, che molti di quelli che parlano di meditazione non l’hanno mai praticata seriamente, perché la meditazione vera, profonda e prolungata porta alla pazzia o, per voler sperimentare “l’unità”, al suicidio, che chiamano Jala Samadhi; che la base delle religioni è l’esperienza psichedelica; che i Veda furono scritti da persone sotto allucinogeni che spacciarono le loro visioni per esperienze spirituali e che Buddha stesso usava sostanze dagli effetti psichedelici (non vedo lo scandalo, anche se l’identità botanica del Soma, la bevanda sacra induista, non è stata ancora chiarita del tutto, però capisco che siano concetti difficili da far digerire a una parte dei fedeli); e che persino Cristo nei 40 giorni e notti che trascorse nel desertosi si nutrì di funghi, funghi allucinogeni... 

Ma lasciamo da parte, almeno per il momento, il problema di Buddha e di Cristo e anche, per sempre, la disquisizione sulla “qualità” delle esperienze mistiche (questione che, a questo punto, mi sembra irresolubile). Quel che è certo è che, se la meditazione stimola la creatività (la “Scienza dell’Intelligenza Creativa” è un esempio di come la filosofia di Maharishi sia stata sviluppata anche in termini non religiosi), le droghe non sono da meno. La “trance poetica” è un buon esempio di questo. 
Potrei menzionare decine di poeti maudit che nel corso dei secoli scrissero opere ispirate da sogni o visioni indotti da alcol e droghe, ma citerò invece Robert Graves (1895-1985), sebbene io non abbia idea se egli abbia mai assunto droghe (o meditato, se è per quello...). Scelgo Graves per il semplice fatto che il poeta e letterato inglese ricevette molte critiche legate alla genesi de “La Dea Bianca”, saggio del 1948 in cui, com’è noto, partendo dalla successione delle lettere dell’alfabeto irlandese (le iniziali di altrettanti alberi sacri della tradizione celtica) Graves individua, o meglio costruisce, un ritornello in cui si cela il nome di Dio (Tetragrammon). “La Dea Bianca” è anche la storia di come un dio maschile guerrafondaio soppiantò l’antica dea venerata nella terra d’Albione, sconvolgendo l’equilibrio naturale delle cose, ma ciò in questa sede non ci interessa. 

Le critiche derivano dal fatto che questo saggio sarebbe nato da un’intuizione, da una trance, non dissimile da quelle di cui il poeta era preda nel mettere insieme i suoi componimenti poetici. L’appunto sarebbe anche condivisibile – Graves sembra avere una carenza di riscontri letterari o archeologici o di altro tipo a supporto, ammesso che questi siano sempre risolutivi nel dirimere le questioni accademiche - non fosse che per il fatto che nessuno si è mai sognato di contestare le intuizioni di eminenti fisici, medici o matematici (d’altronde, lo stesso Popper sosteneva che la scienza avanza secondo una sorta di tessitura immaginaria di un disegno – cioè tramite un processo che origina nello stato di sogno). Archimede (sia il matematico che il suo omonimo... fumettistico) può a buon diritto esclamare “Eureka!”, ma se a farlo è un filologo, uno studioso dei miti o un archeologo, inevitabilmente la sua scoperta sarà bollata come un errore, un’ingenuità o una mistificazione. 
È evidente che le materie umanistiche, i cui enunciati non sono dimostrabili empiricamente, tramite esperimenti di laboratorio, restino sempre nell’immaginario collettivo “figli di un dio minore”: materie con meno credibilità, meno dignità. Tornando a noi, è ovvio che alcune esperienze mistiche possono avere un’origine patologica, ovvero può esserci una relazione fra misticismo e malattia, come nel caso delle persone che soffrono di epilessia, emicrania o schizofrenia. Ma non può essere questa la regola: se così tante persone ne ricavano beneficio o sollievo questo dovrebbe voler dire che, nella maggior parte dei casi, queste esperienze sono un sintomo di buona salute psicologica.
CONTINUA





6 commenti:

  1. Beh, premesso che come giustamente concludi per certi argomenti come questo non può ovviamente esistere una dimostrazione di tipo matematico / scientifico, è altrettanto corretta la conclusione finale che se tanta gente trae beneficio psicologico da certe esperienze "mistiche", quanto meno hanno una loro utilità, fosse pure con la stessa funzionalità di un placebo. Meglio incanalare le proprie tensioni interiori verso un percorso che poi ti aiuta a superarle (tramite un percorso reale o illusorio che sia) piuttosto che cadere nell'autodistruzione e diventare uno dei tanti "tossicodipendenti" dell'antidepressivo prescritto a scadenze regolari dal medico.

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    1. Come spesso accade, vedo che sei riuscito a condensare il nocciolo del mio post in poche parole. Forse dovrei farli scrivere a te, i contributi di OdR. :D In effetti, l'abuso di antidepressivi (e di antidolorifici) è uno dei mali della società moderna... quantomeno del mondo occidentale.

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  2. Ciao! Non so se ti ricordi di me, passavo da queste parti e volevo lasciarti un salutino 🤗

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    1. Ciao! Certo che mi ricordo! Sei stata una delle prime persone con cui ho interagito quando ho aperto il blog un milione di anni fa!
      Come stai? Spero tutto bene! Hai ripreso ad aggiornare il blog?

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    2. Magariii, ho scritto solo un post per un saluto a voi amici blogger se per caso passavate di lì.
      Gli impegni della vita quotidiana mi prendono troppo tempo, all'epoca avevo tanto tempo libero e quando scrivevo un post lo curavo in ogni minimo dettaglio, ma chissà...mai dire mai nella vita. Intanto sono felice che ti ricordi di me 😊

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