lunedì 22 dicembre 2014

A Natale salva un post!

Ed eccoci finalmente giunti al momento tanto atteso. Natale è alle porte e tra poche righe Obsidian Mirror si congederà da voi per un paio di settimane, forse anche tre. Riprenderemo le danze a gennaio con il consueto elenco di buoni propositi che, anche se verranno come mia abitudine in buona parte disattesi, sarà sempre divertente mettere nero su bianco (ehm.. bianco su nero) e magari sarà ancora più divertente rileggere ad un anno di distanza. 
Prima di scambiarci gli auguri però c’è ancora questo post odierno, un altro post in cui mi rilasserò a parlottare del più e del meno, sulla falsariga del precedente che tante visite ha generato: per la prima volta nella storia di Obsidian abbiamo superato la fatidica soglia dei 50 commenti, un risultato eccezionale che ha stracciato nettamente il precedente record. 
Chi l’avrebbe mai detto che sarebbe successo? Chi mai avrebbe potuto pensare, in quei remoti giorni quando questo blog arrancava nell’indifferenza generale, che prima o poi sarebbero stati superati simili traguardi? Non vi tedierò, state tranquilli, con numeri e statistiche (quelli ormai annoiano più me che voi). Parleremo invece proprio di commenti ma, prima di andare a spiegare con maggior precisione cosa intendo (incluso il significato del titolo), lasciatemi raccontare una storia, un pezzettino della storia di questo blog.

mercoledì 17 dicembre 2014

Di blog e di bloggers

Penultimo post prima delle festività natalizie. Nell’attesa che il vostro Obsidian Mirror riesca prendersi qualche giorno di riposo, cosa che mi auguro possa capitare anche a voi, è tempo di sparare le ultime cartucce di questo 2014 bloggheresco. Tra pochi giorni saremo tutti in tutt’altre faccende affaccendati e di conseguenza non c’è motivo per non abbassare la serranda di ossidiana su questo angolo di web. Ci attendono grandi abbuffate, qualcuno riceverà magari un regalo dalla propria moglie/marito/amante, stapperemo una bottiglia di spumantino, che quella non ce la toglie neanche la crisi, e cercheremo di essere tutti più buoni. Nel frattempo continuiamo con le nostre solite attività, di lavoro o di studio che siano, cercando di non pensare ai giorni che mancano all’alba. 
Quello che occorre in questo finale di stagione è magari un post più “leggero” rispetto agli standard a cui vi ho abituati. Che ne dite? Va bene se ci dedichiamo solo a parlare del più o del meno come tanti amici al bar? E di cosa parliamo? Lo spunto è quello del famoso post di Nocturnia, uscito solo pochi giorni fa e che tante soddisfazioni ha dato al suo autore (e non solo a lui).

venerdì 12 dicembre 2014

Colui che vide Carcosa

Buon straniero, sto male e mi sono perso. Indicami, ti prego, la strada per Carcosa! (A. Bierce)


Nel suo celebre dipinto “Il sole sul cavalletto” (1973) Giorgio De Chirico ci accompagna in un teatro, la cui essenza viene suggerita dai due tendoni arrotolati ai lati. C’è una poltrona a sinistra e il cavalletto di un pittore sulla destra. Sullo sfondo una finestra si apre su un paesaggio mediterraneo. Sul cavalletto un sole giallo è unito da un filo ad un identico sole nero sullo sfondo. Una luna nera, attraverso un altro filo, è unita ad una luna gialla in primo piano, appoggiata sulle assi di legno del palcoscenico.
Una singolare rappresentazione del doppio a cui sarebbe interessante riuscire oggi a trovare una chiave interpretativa. Il saggio di Willard Bohn "The Rise of Surrealism: Cubism, Dada, and the Pursuit of the Marvelous" cerca una risposta nelle opere del filosofo tedesco Friedrich Nietzsche, il cui pensiero, forse più di quello di chiunque altro, influenzò il pittore. Nelle pagine del saggio l'Autore individua così gli elementi che governano l’intera produzione artistica di De Chirico: da una parte gli elementi che danno corpo all’impulso apollineo, cioè un impulso razionale, che porta equilibrio nell’uomo, dall’altra parte le ispirazioni che assomigliano invece all’ebbrezza estatica e che incorporano l’istinto dionisiaco, un impulso irrazionale alla vita. Le opere di De Chirico rappresenterebbero in quest’ottica una dicotomia, ovvero un perfetto equilibrio tra lo spirito dionisiaco e lo spirito apollineo, un’armoniosa simmetria di contrasti di cui scorgiamo l’emanazione nella dualità degli astri. 

martedì 9 dicembre 2014

Veduta di Carcosa

Si era preso un giorno per riordinare idee e appunti, cercando in Rete altre informazioni sul neopaganesimo e anche su Hastur “l’indicibile”, la misteriosa divinità citata nei libri dei Federici. Non aveva trovato che oscuri riferimenti a una fantomatica creatura che viveva in un posto chiamato “Lago di Hali”, che non era segnato su nessuna cartina geografica. Secondo gli autori di quei siti deliranti, Hastur era uno dei Grandi Antichi, creature stellari giunte sulla terra da un misterioso “universo esterno”. I nomi degli altri Antichi erano ancora più deliranti: Cthulhu, Nyarlathotep, Glaaki, Koth. A detta di un blogger olandese, molte antiche civiltà avevano adottato i culti di quelle creature, spesso mascherandole dietro alle religioni tradizionali, come per esempio il pantheon egiziano, greco e romano. Indubbiamente Brando era stato colpito da tutta quella mole di informazioni bislacche. In alcune illustrazioni poteva, infatti, distinguere dei paesaggi metafisici, con le caratteristiche della geometria non euclidea che anche il Maestro De Chirico aveva dipinto frequentemente.
Quando diversi mesi fa abbiamo iniziato questa serie di post, una delle prime questioni che ci siamo posti accarezzava la possibilità che i paesaggi descritti nel “Re il Giallo” potessero essere (o essere stati) in qualche modo reali. Ad una mente lucida potrà sembrare ridicolo il solo pensare di poter trasportare nel nostro mondo le descrizioni contenute in un libro; tantomeno, come è il nostro caso, poter ricavare qualcosa di concreto da un libro che apparentemente non esiste, uno pseudo libro, ma lo scopo di questa rubrica è proprio quello di analizzare tutte le ipotesi, prima di scartare quelle più assurde.

giovedì 4 dicembre 2014

Ore d'orrore: Frankenstein (Pt.2)

Eccoci nuovamente a noi, piccoli mostriciattoli. Non pensiate di poter farla franca nascondendovi dietro il vostro modem o infilando la testa nella tastiera virtuale del vostro tablet.
Non sarà certo un semplice schermo capacitivo a proteggervi da questo nuovo episodio di "Ore d'orrore", rubrica curata dal Fiero Alleaten Herr Doktor Lup Mann Marcus Lazzaren, ovverossia lo scienziato in camice bianco che in questo preciso istante sta già affilando le sue provette e i suoi alambicchi per lo scontro finale che si terrà poche righe più in basso.
Se una connessione lenta potrebbe, in via del tutto teorica, rimandare di qualche nanosecondo il vostro inevitabile destino, state però certi che il Van Helsing della Bassa, qui presente, farà di tutto per rimandare il più possibile la vostra fine.
Il che, se guardiamo il tutto da un'altra prospettiva, potrebbe significare solo un prolungamento delle vostre agonie... ma diciamo che per il momento è meglio non pensarci. Chi vincerà questo secondo e ultimo round? Non vi resta che mettervi comodi in poltrona, avvicinare quella vasca di popcorn che sta scoppiettando nel forno a microonde, agguantare quella fantastica birra gelata che fa capolino dallo sportello del frigorifero e poi... via le scarpe, copertina tattica, micio sulle ginocchia e... stare a guardare!
Bling, blong! Intermezzo pubblicitario: se vi sarà piaciuto lo spettacolo odierno, non dimenticate che, per la seconda serata, potete gustarvi le repliche di due miei vecchi post: quello sul Golem e quello sul Frankenstein preistorico delle isole Ebridi.

domenica 30 novembre 2014

Ore d'orrore: Frankenstein (Pt.1)

Ben ritrovati, o piccoli lettori che nulla ormai temete. Solo poche settimane sono trascorse dall'avvincente battaglia tra il vampiro e il nostro Van Helsing piemontese, il dottor Marco Lazzara, conclusasi come tutti ricorderete con la vittoria di quest'ultimo. Nemmeno il tempo di tirare il fiato ed ecco che all'orizzonte si staglia una nuova entusiasmante sfida. Questa volta la sfida sarà "dottore contro dottore". Questa volta non ci sarà alcun vantaggio per il nostro blogger itinerante. Il nostro eroe dovrà misurarsi con un personaggio che è padrone della scienza almeno quanto lui. Signore e signori, sta per affacciarsi su questo blog la macabra figura del dottor Victor Frankenstein, il quale cercherà di opporre la sua agghiacciante creatura, assemblata utilizzando pezzi di cadavere, al coraggio di colui che già vinse il vampiro! Riuscirà la scienza odierna ad avere la meglio sulla scienza dei primi anni del XVIII secolo? Riuscirà Marco Lazzara  a proteggere voi ignari lettori da questa nuova minaccia? Lo scoprirete tra pochi istanti, giusto il tempo di sistemare il testo, posizionare le immagini e di programmare il post. Quando lo leggerete io sarò ormai lontano, nascosto in un luogo sicuro ad attendere fiducioso l'esito dello scontro. E voi? Avete il coraggio di stare a guardare? Ebbene, se è così, questo è il momento di dimostrarlo. Buona fortuna!

mercoledì 26 novembre 2014

Il castello della purezza

Ho imparato a conoscere gli uomini osservando il comportamenti dei topi. Uomini e topi sono la stessa cosa! Ecco perché io non voglio che tu abbia alcun contatto con il mondo. È meglio rimanere rinchiuso qui con i miei topi, piuttosto che avere a che fare con ciò che c'è là fuori. Perché dici questo? Non dovresti parlare così. Non si può paragonare la gente con i ratti. Inoltre, hai sempre amato i nostri bambini. Sì, ma loro sono diversi. Come potrebbero non esserlo dal momento che non hanno mai lasciato questa casa? Non ti rendi conto? Sono 18 anni che io e i ragazzi non usciamo di qui. In 18 anni non abbiamo mai nemmeno visto la strada. Hai anche il coraggio di lamentarti? Al contrario, sono sempre stata molto felice con te. Non c'è niente di meglio che vivere con un uomo come te. Non ho bisogno di niente altro. Questi 18 anni sono stati meravigliosi. Tu sei tutta la mia vita. Non ho bisogno di andare fuori. Ti ricordi quando siamo venuti in questa casa? Utopia era appena nata. Voluntad e Porvenir non hanno mai visto altro che queste mura. Non c'è nient’altro per loro al di fuori di questo. Se non fosse stato per questo, chissà cosa sarebbe stato di noi. Tu conosci il mondo. Te lo ricordi. Tu sai com’è. È ancora così, perché quando io esco lo vedo con i miei occhi. Fidati. La decisione è stata ottima e lo prova il fatto che i bambini qui sono al sicuro, sono puri, sono felici. Al contrario, nel mondo le loro anime sarebbero già stati corrotte.

venerdì 21 novembre 2014

Outside the Wall


Solo poche ore dopo aver portato a termine la lettura di “The Wall”, il concept-book di cui abbiamo parlato qui, mi stavano già balenando nel cervello un milione di domande. L’Autrice aveva raccontato molto di sé ma, allo stesso tempo, aveva lasciato aperte un sacco di questioni. Chi era quella ragazza e perché aveva deciso di affidare la sua anima alle pagine di un libro? Cosa si nascondeva dietro a tutti quei “te lo dico ma non troppo”, a quelle frasi lasciate a metà, a quei riferimenti sottili che parevano nascondersi tra le pieghe della carta?
Il passo successivo è stato quasi automatico: Ornella Spagnulo vive a pochi blog di distanza da me e quindi non è stato difficile accendere il computer e bussare alla sua porta. Ornella si è resa immediatamente disponibile a parlare di sé e del suo ebook qui su Obsidian Mirror, e quello che state per leggere è il resoconto del tempo trascorso insieme dietro la tastiera. Non aspettatevi domande piccanti da parte mia o risposte eccessivamente rivelatrici da parte di Ornella: il bello di “The Wall”, nel caso non si fosse capito, è proprio nel “non detto”, nella flessibilità di un racconto che chiunque, leggendo la storia di una ragazza come tante, può far proprio ed adattare alla propria esperienza personale.
Lascio senza altro indugio le chiavi del blog a Ornella Spagnulo che, vedrete, ne farà buon uso e le cui parole, ne sono certo, non mancheranno di affascinarvi.

martedì 18 novembre 2014

Inside the Wall

“Soli, o a coppie, quelli che davvero ti amano camminano su e giù fuori dal muro. Qualcuno mano nella mano, qualcuno si riunisce in gruppi. I cuori sanguinanti e gli artisti resistono e, quando hanno dato tutto ciò che potevano, alcuni barcollano e cadono. Dopo tutto non è facile sbattere il tuo cuore contro uno stupido fottuto muro.”
Ora, nella mia stanza, ascolto queste parole […] dei Pink Floyd. E capisco che non sapevo ci fosse un muro intorno a me, ma ora che lo so spero tanto che qualcuno passeggi freneticamente su e giù là fuori, e che magari si prenda un tè nel frattempo che mi aspetta, e che non si lamenti se sono una capra che non sa rendersi conto dell’amore, e che passeggi ancora un po’ e che non si stanchi.
Ho impiegato un tempo che non mi spiego per leggere questo minuscolo ebook firmato da quella giovane e simpatica collega blogger che risponde al nome di Ornella Spagnulo. Un anno e mezzo durante il quale quella leggerissima manciata di byte non ha fatto altro che traslocare continuamente da un supporto digitale all’altro, per atterrare definitivamente in quell’e-reader che mi ero regalato la scorsa estate. Sono infine bastate solo poche righe perché mi rendessi conto di quanto era celato in quel piccolissimo spazio di memoria. Il racconto di una vita intera, dai primi anni della fanciullezza sino all’età della consapevolezza, passando da amori tribolati ad amicizie contrastate, descritti come tutti noi vorremmo essere capaci di descriverci pur non sapendolo fare.
No, non è banalmente il recupero delle pagine ingiallite del diario di una ex adolescente pentita, di quelle che cercando bene se ne trovano ormai a milioni in rete. Se così fosse, probabilmente non sentirei il bisogno di parlarne qui sul blog. The Wall è una matura introspezione compiuta a posteriori, un’analisi accurata di trent’anni di vita trascorsi in perenne oscillazione tra certezze e dubbi, gioie e dolori, audacie e paure. Non mancano naturalmente quei piccoli turbamenti e quei piccoli batticuori che trascinano il lettore, quasi in apnea, sino all’ultima riga.

giovedì 13 novembre 2014

Twin Visions (Pt.5)

La prima parte si trova qui.

Jerome Witkin, Jesus (A disbeliever's vision)
In questa rivisitazione delle varie facce dell'Olocausto non possono mancare rappresentazioni di Cristo, l'agnello sacrificale per eccellenza, la vittima predestinata: la vittima ebrea. È il caso di “Jesus (A disbeliever's vision)”, in cui Gesù è calato in un paesaggio urbano decadente, violento; se ne sta in piedi, intento a leggere qualcosa, mentre sottili e inquietanti segnali di minaccia lo circondano (un uomo nell’atto di gettare qualcosa verso di lui, la motosega poggiata per terra, perfino il muro scrostato e pericolante). Nel pannello di destra ci sono un tavolo, quelli che sembrano attrezzi da carpentiere, pezzi di legno a forma di croce, e di nuovo Gesù, questa volta ritratto senza braccia: un Gesù inerme, ma con un serafico sorriso sul viso, forse perché sullo sfondo una scala dorata sembra indicare una possibile via di fuga per lui e, con lui, per tutta l’umanità? Curiosamente, anche in questo dipinto è presente uno dei leitmotiv di Witkin, la valigia.

martedì 11 novembre 2014

Twin Visions (Pt.4)

Jerome Witkin, The Devil as a Tailor
La prima parte si trova qui.

Ma eccoci di nuovo alle prese con “l'altra faccia della medaglia”: Jerome Witkin. Le sue opere sono un'infinità, e anche se tra di esse non mancano ritratti e autoritratti i suoi temi ricorrenti sono le cronache di eventi ordinari e straordinari, inseriti di preferenza in paesaggi urbani. Nel corso della sua lunghissima carriera ha rappresentato normali scene di vita domestica in quadri familiari sconfortanti, ma soprattutto una lunga parata di vittime – dell'Olocausto, del terrorismo, della droga, dell'AIDS – di calamità naturali e causate dall'uomo, riuscendo a convogliare un messaggio di universalità anche alle tragedie più intime.
Che siano opere di piccole dimensioni oppure polittici formati da più pannelli, i suoi sono dipinti drammatici, emotivamente intensi, le emozioni rese tramite un estremo dinamismo.
Per ottenere un effetto narrativo quasi cinematografico, Jerome sviluppa spesso la scena in senso orizzontale su più pannelli, ove le tele utilizzate hanno dimensioni diverse per creare una sorta di piano focale sulle scene prescelte; le pennellate e l'uso del colore fanno il resto. Per questo, per definire la sua pittura si alternano gli aggettivi “narrativa” e “percettiva”. Lui stesso, a rischio di sforare nell’ossimoro, viene definito un pittore figurativo che mescola elementi della pittura classica all’Espressionismo (percepibile soprattutto nei suoi primi lavori) e al Realismo - il Realismo moderno, quello riemerso sul finire degli anni ’60 e nei primi anni ’70 dopo il lungo predominio dell’Astrattismo e della Pop Art, che però nel suo caso non è solo una scelta stilistica, ma anche di significato in quella che sembra, a tutti gli effetti, un’esplorazione dell’umana sofferenza, della sua dimensione intima e spirituale contestualizzata nella storia e nella contemporaneità, inclusi i suoi aspetti più paurosi. Come se per lui l’esperienza visivo-estetica fosse fondamentale anche se non è foriera di bellezza né armonia, ma solo di bruttezza e dolore.

domenica 9 novembre 2014

Twin Visions (Pt.3)

Joel-Peter Witkin, Night in a Small Town
La prima parte si trova qui.

Come i più acuti critici hanno rilevato, chi non ha fede non può essere blasfemo e non stupisce, quindi, leggere di affermazioni come queste rilasciate dal nostro nel corso di varie interviste: Per me queste persone [i freaks, ndr] andavano oltre il normale perché mostravano il genio di Dio e il nostro bisogno di amare, oppure La fede cattolica è sempre stato il mio punto d’osservazione sulla vita; eccetera.
La sua blasfemia, quindi, andrebbe intesa come sintomo di un dualismo interiore (conseguenza della diversa eredità spirituale, cristiana ed ebraica, dei due genitori), di un’insofferenza profonda per la morale e l’estetica cristiana, contro il “peso della religione”, ovvero come tentativo di slegarsi dal conformismo dilagante anche in società che a parole si dichiarano laiche. Ecco allora che le deformità e le anomalie ritratte su cellulosa ed enfatizzate assumono il sapore di un'apocalittica disfatta, il disincanto verso la mortale, fallace e condannata natura umana, una sorta di personale e grottesca danse macabre.

venerdì 7 novembre 2014

Twin Visions (Pt.2)

Joel-Peter Witkin, Crucified Horse
La prima parte si trova qui.

Si può dire che la carriera di Joel-Peter iniziò in un lontano giorno del 1956, quando aveva 17 anni, in un Freak Show di Coney Island, dove tra l'altro si dice che abbia avuto anche le sue prime esperienze sessuali (ma questa è un'altra storia e a noi, in fondo, poco importa). In quell'occasione fotografò nani, ermafroditi, tronchi umani, eccetera - un campionario di umanità triste e reietta, disperata - per la prima volta, e da allora non smise più. Da quel momento, per i suoi scatti ha sempre prediletto soggetti deformi o con qualche tipo di imperfezione o anomalia fisica o psichica. In un'operazione non dissimile da quella fatta nel cinema da un regista come Tod Browning, mette questi “mostri” proprio al centro della scena; e si spinge oltre, mostrando spavaldamente devianze di ogni tipo, incluse pratiche sadomaso o necrofile, “innestando” nei suoi soggetti protesi o parti meccaniche, o travestendoli da personaggi della mitologia greca o romana in composizioni che reinterpretano, stravolgendone il significato, i capolavori della pittura classica e i miti da cui essi derivano, non esimendosi neppure dal ritrarre cadaveri - il tutto condito da una profusione di nudo. Questa scelta (così ricordò, anni dopo) fu per lui istintiva: sua nonna materna - che lo crebbe insieme a sua madre e che lui amava moltissimo - era storpia e fu lei con la sua stessa presenza ad abituarlo alla diversità. Inoltre, nella sua vita ci fu un momento di svolta, un’esperienza che lo segnò nel profondo da bambino, quando vide la testa decapitata di una bambina rotolare sul marciapiede a pochi passi da sé dopo un incidente d'auto avvenuto di fronte a casa.

mercoledì 5 novembre 2014

Twin Visions (Pt.1)

Nascere nella stessa famiglia è come condividere una corsa in autobus, un viaggio a tappe in cui prima o poi ci si ritrova a percorrere parte del tragitto da soli perché ognuno, arrivata la propria fermata, scende e mette della distanza tra sé e gli altri. A volte si tratta di pochi chilometri, a volte di una distanza che pare abissale, ma sempre ci si porta dietro qualcosa di intangibile e indelebile: il legame del proprio DNA. Nascere dallo stesso utero vuol dire avere gli stessi geni, le stesse opportunità, ma tutto questo poi la vita lo plasma in modi spesso imprevedibili. E Jerome Witkin, considerato da molti il più grande pittore figurativo vivente, e Joel-Peter Witkin, il fotografo icona del weird, sono più che fratelli: sono gemelli omozigoti. Il tempo trascorso dall’inizio della loro longeva e straordinaria carriera è testimone che entrambi, in qualche modo, hanno sviluppato una visione artistica inquieta(nte) e originale che non può che derivare dalle comuni radici.
È proprio questo che la mostra “Twin Visions”, inaugurata il primo marzo di quest'anno presso la galleria Jack Rutberg Fine Arts di Los Angeles, ha voluto celebrare. Si è trattato di un evento più unico che raro, dato che i due fratelli non avevano mai esposto nello stesso luogo simultaneamente. Il video di presentazione, se vi interessa, lo trovate in fondo a questa prima parte dell'articolo.

venerdì 31 ottobre 2014

Violoncello

Il destino ha due modi per distruggerci, negare i nostri desideri o realizzarli. (Henri-Frédéric Amiel) 

Nell’attesa che le prime ombre della sera si allunghino sulla città, nell’attesa che la notte più spaventosa dell’anno scenda e colga in fallo voi ignari lettori del blog, il vostro Obsidian Mirror tamburella freneticamente le dita sulla tastiera del computer per proporre il proprio menù di Halloween. Davvero pensavate che me ne fossi dimenticato quando avete letto il titolo del post di oggi nel vostro blogroll? Ebbene spero che adesso siate sollevati, perché “violoncello” è la mia proposta odierna per trascorrere in “pace” e “serenità” la vigilia di Ognissanti.
Per l’occasione ci spostiamo in Corea del Sud, uno dei paesi più prolifici per quanto riguarda la nuova frontiera dell’horror cinematografico. Un cinema, quello coreano, che deve sicuramente molto alla più antica tradizione horror giapponese, ma che tuttavia, negli ultimi dieci anni, ha saputo differenziarsi concentrandosi sulla sofferenza e sull'angoscia dei personaggi piuttosto che sull’ormai sdoganato cliché del fantasma vendicativo vestito di bianco e dai lunghi capelli corvini.
Prima che qualcuno me lo faccia notare, mi affretto a precisare che un fantasma vendicativo, vestito di bianco e dai lunghi capelli corvini, lo troviamo anche in questo “Cello” (첼로), e ci regala delle sequenze da brivido, alcune perfino abbastanza originali, ma, come vedremo tra poco, non è questo il punto.

domenica 26 ottobre 2014

Il segno giallo (Pt.2)

Quando vidi per la prima volta il guardiano egli mi voltava le spalle. […] Non gli prestai più attenzione di quanta ne diedi a qualunque altro passante che si trovava in Washington Square, così quando chiusi la finestra e ritornai nel mio studio, me ne dimenticai. Più tardi quel pomeriggio, quando i raggi del sole si fecero più caldi, aprii di nuovo la finestra e mi affacciai per prendere un po’ d’aria. L’uomo era ancora lì, immobile […] Era voltato dalla mia parte ora. Con un movimento perfettamente involontario mi sporsi per guardarlo meglio. Fu in quel momento che egli sollevò la testa e diresse il suo sguardo verso di me.  

Un terzo personaggio si affaccia, in questo ennesimo racconto di Robert W. Chambers, oltre ai due citati qualche giorno fa nella prima parte dell’articolo. L’autore lo chiama “Watchman” e il sottoscritto, senza pensarci troppo sopra, lo ha tradotto con il termine “guardiano", che tanto ricorda il “guardiano della soglia” citato da innumerevoli culture. Il guardiano della soglia, colui che si alimenta delle paure di chi lo affronta, ma che è necessario riuscire a superare per poter poi accedere ai regni oscuri dell’oltretomba o ai livelli più alti della comprensione esoterica. 

martedì 21 ottobre 2014

Il segno giallo (Pt.1)

Avevo già letto tutti i libri della biblioteca ma, tanto per passare il tempo, mi diressi verso le librerie e ne aprii gli sportelli con il gomito. Ero in grado di distinguere ogni volume dal colore della sua copertina. Li passai in rassegna tutti, camminando lentamente accanto agli immensi ripiani e fischiettando per tenermi allegro. Stavo per voltarmi e recarmi in sala da pranzo quando lo sguardo mi cadde su un libro rilegato in giallo, che si trovava in un angolo del ripiano superiore dell'ultima libreria. Non me ne ricordavo e dal pavimento non riuscivo a decifrare la scritta pallida sul dorso, così andai nel salotto fumatori e chiamai Tessie. Ella sopraggiunse dallo studio e, dietro mia richiesta, si arrampicò per arrivare al libro. "Che cos'è?" chiesi. "Il Re in Giallo". Ero sbalordito. Chi lo aveva messo lì? Come era arrivato in casa mia? Da tempo avevo deciso che non avrei mai dovuto aprire quel libro, e mai niente al mondo avrebbe potuto convincermi a comprarlo. Nel timore che la curiosità potesse farmi venire la tentazione di aprirlo, non avevo mai neanche gettato un’occhiata al libro quando ci incappavo nelle librerie. Se mai avevo provato la curiosità di leggerlo, la terribile tragedia del giovane Castaigne, che conoscevo, mi aveva impedito di esplorarne le malvagie pagine. Mi ero sempre rifiutato di ascoltare qualunque descrizione, e in effetti nessuno aveva mai osato discuterne la seconda parte alta voce, così non avevo assolutamente idea di ciò che quei fogli potessero rivelare. Fissai la velenosa rilegatura gialla come avrei fatto con un serpente. 

giovedì 16 ottobre 2014

Ore d'orrore: il vampiro (Pt.2)

Ben ritrovati miei piccoli fifoni. Siamo giunti alla seconda e ultima parte dello speciale "Ore d'orrore" dedicato al principe dei non-morti. Oggi scopriremo se il nostro misterioso guest-blogger (che misterioso ormai non lo è più) riuscirà a vincere lo scontro finale col vampiro. La cruenta battaglia consumatasi solo qualche giorno fa qui sul blog si era conclusa senza vinti né vincitori ma, stavolta, bisognerà assolutamente portare al pettine tutti i nodi. 
Voi cosa dite? Riuscirà il nostro Marco Lazzara, chimico di giorno e cacciatore di mostri la notte, a portare a casa la vittoria?
Ce lo auguriamo tutti. Ce lo auguriamo per lui, visto che ci siamo ormai affezionati al nostro mitico blogger itinerante, e ce lo auguriamo per noi, visto che ben altri mostri, forse ancora più spaventosi, attendono il loro turno. 
Per non saper né leggere né scrivere, il sottoscritto ancora una volta nasconderà la testa sotto la sabbia in attesa che tutto finisca e che il mondo venga liberato da uno dei suoi incubi più atavici. Il mio consiglio, per ora, è quello di non gettare ancora crocifissi e collane d'aglio nella spazzatura perché, nella remota ipotesi Marco Lazzara dovesse fallire nel suo intento, potrebbe tornarci utile ricorrere ai vecchi e classici metodi. Ma basta dilungarsi in pu##anate! Lascio la parola al nostro Van Helsing di fiducia!

domenica 12 ottobre 2014

Ore d'orrore: il vampiro (Pt.1)

È giunto finalmente il grande giorno. Il momento in cui si scoperchiano le tombe e i passi pesanti di una moltitudine di creature della notte, assetate di sangue, percuotono la terra in cerca di coloro che temono il buio. E voi? Avete paura del buio? Ci sono molte buone ragioni per avere paura del buio, recitava tanti anni fa una celebre commedia horror. 
Ma oggi siamo qui per fare luce su quel buio, siamo qui per allontanare quelle arcane fobie che attanagliano il nostro riposo notturno. Si alza il sipario di "Ore d'orrore", signore e signori! 
Come promesso qualche giorno fa, oggi parte una nuova rubrica curata da un ospite d'eccezione, un ospite il cui nome è rimasto sino ad ora nascosto nell'ombra ma che, finalmente,  verrà rivelato.
Un ospite che vi prenderà per mano e vi porterà in quei territori inesplorati dove i vostri incubi si confondono con la realtà. Un mostro di scienza che cercherà di contrapporsi ai mostri classici della tradizione, portandone alla luce i punti deboli e affondando i propri colpi con la sola forza della ragione. Riuscirà nel suo intento? Non ci è dato di saperlo..... ma voi siete pronti a combattere le vostre paure? Siete curiosi di sapere come andrà a finire? Non vi tedierò oltre, quindi. Anche perché vedo già avvicinarsi il primo nemico... e di conseguenza per me è ora di fuggire in un posto più sicuro. Tornerò quando tutto sarà finito, se ci sarete ancora. In bocca al... vampiro!

martedì 7 ottobre 2014

Terre di Confine Magazine #3

Sono passati altri cinque mesi dall’ultima volta che se ne è parlato (qui) ma nonstante ciò sono certo che la maggior parte dei lettori di Obsidian Mirror se ne ricordano bene. Ebbene, torna oggi la rivista TERRE DI CONFINE, di cui potete ammirare la nuova, stupenda copertina di Renáta Szentirmai. Cos’è “Terre di confine”? L’avevo già scritto le volte precedenti, ma vale la pena ripetersi: in primo luogo è un’associazione culturale no-profit che, citando direttamente lo Statuto, “ha come finalità lo studio, la promozione e la diffusione della cultura, delle scienze e dell’arte – quest’ultima con particolare riferimento ai generi letterari Fantascienza e Fantastico e all’Animazione Giapponese – intese sotto ogni loro forma espressiva”. Sempre citando lo Statuto aggiungo che “oggetto d’interesse sono Letteratura, Cinematografia e Televisione, Animazione e Fumetti, Storia e Arte, Costume e Società, Mistero e Paranormale, Scienza e Tecnologia, e, più in generale, tutto ciò che attiene agli obiettivi summenzionati.
Vi chiederete perché vi sto raccontando tutto ciò, giusto? Semplice: il vostro Obsidian Mirror figura tra i redattori anche in questo terzo numero! Ma non è tutto. Questa volta non si tratta semplicemente di uno o due articoli. Questa volta viene pubblicata integralmente la lunga serie dedicata alla saga di Phantasm di Coscarelli che, lo ricorderete senz'altro, ci ha tenuto compagnia su questo blog per tutto lo scorso mese di aprile. È per me una grande emozione, nonché motivo di orgoglio, vedere uno dei miei lavori più complessi apparire, tra l'altro in assoluta evidenza, su una rivista di tale spessore (e di ciò non posso che ringraziare l'amico Massimo De Faveri, al quale devo riconoscere anche un lavoro di editing eccezionale). 

venerdì 3 ottobre 2014

Un mostro di scienza

L’ho già detto che settembre è finito? Ah sì, l’ho detto nel mio post precedente. Non mi resta quindi che parlare di ottobre, che è appena cominciato, e dei progetti in cantiere da qui alla fine dell’anno. Progetti che in verità non sono moltissimi. Ultimamente, forse per via di qualche strano allineamento planetario, sembra che il sottoscritto non riesca più come un tempo a produrre articoli in quantità sufficiente per poter vivere a lungo di rendita. Solo un anno fa di questi tempi il blog aveva nel cassetto almeno una dozzina di articoli da poter sguainare nei tempi di magra. Oggi ci sono giusto un paio di cose che, sebbene garantiscano ancora quel minimo di “effetto cuscino” per arrivare al fine settimana successivo, non permettono al blogger qua presente di dormire troppo sugli allori. Ed è proprio qui che sale in cattedra colui che, benedetto il nome suo, ha concepito il concetto di “guest blogging”. Ma andiamo con ordine.
La situazione di emergenza in cui mi trovo si può ricondurre a vari fattori, primo tra tutti forse la mancata chiusura estiva del blog. Sono stati diversi infatti i blogger che hanno salutato i propri lettori all’inizio di agosto per poi riprendere belli riposati (ma soprattutto ricchi di materiale postereccio), a settembre. Il sottoscritto si è intestardito a voler lavorare senza tregua, nonostante le statistiche del blog, al netto dello spam, confermavano la sensazione che non ci fosse nessuno in giro. 

martedì 30 settembre 2014

Impressioni di settembre

Ancora solo poche ore e anche questo mese di settembre raggiungerà la sua conclusione. L’estate quest’anno pare non essere ancora cominciata e già ci troviamo catapultati nell’autunno. Ormai anche qui le serate cominciano a farsi fredde e ciò rende meno piacevoli le mie uscite sul terrazzo per la sacrosanta sigaretta rituale del dopocena. Anche le gatte sembrano essersi accorte del freddo e stanno riducendo all’indispensabile le loro scorribande outdoor serali. Meglio così. Mi piace averle vicine sul divano la sera quando mi guardo un film e mi sorseggio nel mentre un qualcosa. Settembre se ne sta andando ed è il momento per un post un pochino più leggero, uno di quei post in cui mi metto a parlare a raffica di cose inessenziali ma che a volte fanno piacere. Il titolo del post, come avrete notato, non è esattamente originale ma mi piaceva l’idea di prenderlo in prestito dai suoi legittimi proprietari. Anzi, diciamo proprio che ho sempre sognato di realizzare qualcosa da poter intitolare “impressioni di settembre”, tre parole semplici nella loro sostanza ma che mi hanno sempre dato la sensazione di poter smussare gli spigoli più duri della stagione in arrivo. E di poterla guardare con meno timore.

domenica 28 settembre 2014

Estonia, vent'anni dopo

MAYDAY. MAYDAY - State lanciando un Mayday? Estonia, cosa sta succedendo? Potete rispondere?Qui Estonia. Chi c'è laggiù? - Estonia, qui è la Silja Europa.Parlate finlandese? - Sì, parlo finlandese. Abbiamo un problema. Ci stiamo piegando in maniera preoccupante sul lato di dritta, probabilmente di oltre 20 o 30°. Potete inviare assistenza e contattare la Viking Line? - La Viking Line non è lontana da noi e probabilmente a quest'ora ha già appreso la notizia. Comunicatemi la vostra posizione.Abbiamo un blackout e noi… io non posso dire quale sia la nostra posizione in questo momento...  - OK, cercheremo di fare qualcosa.State venendo in nostro soccorso?  - Sì. Puoi darci la tua posizione esatta? - Adesso non è possibile. Abbiamo un blackout a bordo. Gli strumenti sono spenti - OK, proviamo noi a rintracciare la vostra posizione. Solo un momento. Faremo del nostro meglio per venire in vostro soccorso ma dobbiamo prima calcolare le vostra posizione.Adesso posso darvela.  – Bene! Vai! - Latitudine 58, solo un momento. - OK. - 22 - OK, 22°, arriviamo.Volevo dire 59, latitudine 59 e 22'. - 59° 22′. La longitudine? - 21° 40′ Est. - 21° 40′ Est, OK.Qui si sta mettendo male. Si sta mettendo davvero male adesso!!!

martedì 23 settembre 2014

L'anima nera del Totoro (Pt.3)

Image by http://sachsen.deviantart.com/
Per una maggiore comprensione della serie di articoli "L'anima nera del Totoro", che è iniziata qualche giorjno fa qui sul blog, consigliamo di leggere prima i due post dal titolo "L'incidente di Sayama". Se non li avete ancora letti, cliccate qui

Prima di tirare definitivamente le somme, occorre però tentare un serio parallelismo tra l'anime e il caso Sayama. Analizziamo qui di seguito nell'ordine, i luoghi, il periodo storico, i personaggi e il simbolismo che lega tutto assieme.

L'ambientazione è molto simile: la località di Sayama, dove si svolse il delitto della povera Yoshie Nakata, non è lontata da Tokyo e l'anime si svolge nella campagna attorno a Tokyo. Ma forse la spiegazione più semplice è che Miyazaki è originario di quella stessa zona... Che nel film ci sia molto di autobiografico è cosa risaputa: quando Miyazaki era piccolo, sua madre si ammalò di tubercolosi spinale e suo padre si trasferì con lui in campagna. Sembra che all'epoca l'ospedale di Hachikokuyama fosse un centro molto famoso per la cura di questa malattia. Nel film questo non viene mai specificato, ma è generalmente accettato che anche la madre di Mei e Satsuki sia malata di tubercolosi: Hachikokuyama, quindi, sarebbe il modello su cui è stato costruito l'ospedale, fittizio, di  Shichikokuyama, collocato suppergiù nella stessa area geografica.

venerdì 19 settembre 2014

L'anima nera del Totoro (Pt.2)

Per una maggiore comprensione della serie di articoli "L'anima nera del Totoro", che è iniziata qualche giorjno fa qui sul blog, consigliamo di leggere prima i due post dal titolo "L'incidente di Sayama". Se non li avete ancora letti, cliccate qui

In seguito si arriva all’altro nodo importante del film, ovvero la sparizione di Mei. Ormai è diverso tempo che la mamma è assente da casa e c’è grande felicità e attesa per il suo rientro, previsto per quel fine settimana, prima della sua dimissione definitiva. Purtroppo, un giorno prima arriva un telegramma: la donna non sta bene e non può muoversi dall’ospedale. Mei accoglie malissimo la notizia, lei e Satsuki finiscono per litigare e poco dopo la piccola scompare da casa. Satsuki, che è un po’ più grande e intuisce che la situazione della madre potrebbe essere più grave di quanto immagina, non sa come gestire la situazione, con il padre assente per lavoro e la sorella che scalpita e pesta i piedi. Quando si accorge che Mei è sparita, si sente in colpa e realizza che probabilmente la sua sorellina ha cercato di raggiungere da sola l’ospedale, ma si è persa. Gli abitanti del villaggio cominciano a cercarla ovunque; poco dopo un sandalo rosa viene trovato nel fiume, ma per fortuna non è di Mei. Le ore passano veloci, e quando ormai è quasi l’ora del tramonto Satsuki fa l’unica cosa che le viene in mente: chiede l’aiuto di Totoro.

lunedì 15 settembre 2014

L'anima nera del Totoro (Pt.1)

Per una maggiore comprensione della serie di articoli "L'anima nera del Totoro", che inizia oggi sul blog, consigliamo di leggere prima i due post dal titolo "L'incidente di Sayama". Se non li avete ancora letti, cliccate qui

In Giappone gli dei della morte sono detti Shinigami (da shi, morte, e kami, dio/dei) e vengono citati spesso e volentieri nella cultura popolare. Se però l’accostamento con il manga “Death note” (tanto per fare un esempio abbastanza recente) è lampante, quello con un’opera “per famiglie” come “Tonari no Totoro”, di primo acchito, non è affatto evidente. Insomma, sto dicendo che secondo voci insistenti (ma non confermate) il simpatico personaggio creato da Hayao Miyazaki, in realtà, non sarebbe altro che uno Shinigami...!
Basta fare una breve ricerca in rete per accorgersi che sono moltissimi i siti e i blog, anche in lingua inglese, che da tempo sostengono questa tesi e la cosa, com’era prevedibile, ha scatenato le ire dei fan più accaniti, che si sentono defraudati di un mito. Io ho scoperto Totoro solo da adulto, quindi non ho corso il rischio di rovinare un tenero ricordo della mia infanzia, ma posso capirli. Anche voi, naturalmente, siete liberi di pensare che siano tutte bufale, che questa non sia altro che una leggenda metropolitana che, sulla falsariga delle teorie cospirazioniste che ormai spopolano ovunque, cerca di trovare significati nascosti anche ove non ve ne sono. D’altra parte, è vero che quando si vuole trovare a tutti i costi qualcosa la si trova, mentre è impossibile vedere ciò che non si vuole vedere.

martedì 9 settembre 2014

L'incidente di Sayama (Pt.2)

La prima parte di questo articolo si trova qui.

Quale che sia la verità, bisogna ammettere che le prove a carico di Kazuo Ishikawa erano, come minimo, indiziarie. Per citarne alcune, la sua scrittura aveva delle peculiarità in comune con quella del rapitore (ad esempio, il vezzo di scrivere alcune parole in katakana anziché in hiragana, di scrivere le date usando in parte i numeri arabi e in parte i numerali cinesi, ecc.); un guidatore di risciò asserì di averlo incrociato nei pressi della casa dei Nakata dopo che egli avrebbe lasciato accanto alla porta la richiesta di riscatto, ma la polizia identificò il testimone solo dopo la confessione di Ishikawa; a un altro testimone, un contadino, il sospettato quel giorno avrebbe chiesto indicazioni per raggiungere la casa dei Nakata; Tomie e uno dei poliziotti affermarono di riconoscere nella voce del rapitore, che avevano udito la notte della tentata consegna del denaro, la voce di Ishikawa; una penna appartenente alla vittima fu ritrovata nell’abitazione di Ishikawa; e così via. L’indizio più grave, a detta degli inquirenti, fu però il falso alibi fornito da Ishikawa per il giorno della tentata estorsione, ma il giovane potrebbe aver mentito per paura. Ci sono altrettanti indizi che indicherebbero però la completa estraneità di Ishikawa ai fatti. Il più importante è che, come molti Burakumin a quell’epoca, egli aveva avuto un’educazione scolastica minima e di certo non poteva essere l’autore di una lettera di riscatto che, come quella ricevuta dalla famiglia Nakata, era palesemente il frutto di una mano avvezza a scrivere e infarcita di ideogrammi. Inoltre si appurò, attraverso analisi più accurate, che la calligrafia non poteva essere la sua e, tra l’altro, non furono rilevate le impronte di Ishikawa né sul foglio né sulla busta.

giovedì 4 settembre 2014

L'incidente di Sayama (Pt.1)

La vicenda che mi accingo a raccontare, e che passerà alla storia come "The Sayama Incident", ebbe inizio il primo di maggio del 1963. Era il giorno del sedicesimo compleanno di Yoshie Nakata, studentessa della Kawagoe High School di Irumagawa, un distretto della città di Sayama, sito a non più di una cinquantina di chilometri dalla capitale Tokyo.
Quel giorno, un mercoledì, come d’abitudine, la giovane Yoshie uscì di casa e si incamminò lungo il breve tratto di strada che divideva l’edificio scolastico dalla sua abitazione. Nessuno l’avrebbe più rivista. Verso sera, non vedendola rientrare, il padre Sakuei mandò uno dei suoi figli, Kenji, a ripercorrere la strada da e verso la scuola e nei pressi della stazione, ma la ricerca fu inutile. Fu sempre Kenji, la sera stessa, a trovare infilata in una nicchia accanto alla porta di casa una lettera contenente richiesta di riscatto scritta a mano per una somma di 200.000 yen (meno di 2.000 euro di oggi, equivalenti a circa 350.000 lire dell'epoca).
Nonostante la cifra richiesta fosse tutt’altro che impossibile da sostenere, la famiglia Nakata decise di rivolgersi immediatamente alla polizia, la quale dispose di preparare una borsa piena di ritagli di giornale e, nel fingere di acconsentire alle richieste del rapitore, organizzò una trappola che avrebbe dovuto scattare al momento della consegna. La sorella maggiore di Yoshie, Tomie, accettò di buon grado la proposta di recarsi all’appuntamento che, come da istruzioni del rapitore, sarebbe dovuto avvenire per la mezzanotte del giorno successivo nei pressi del Sanoya, un piccolo supermercato non lontano dall’abitazione di famiglia. Il Sanoya era situato appena fuori città, lungo una strada circondata da campi coltivati. Un luogo perfetto per il rapitore, il quale avrebbe potuto apparire, impossessarsi del denaro, e in un attimo scomparire alla vista del testimone approfittando dell’oscurità.

venerdì 29 agosto 2014

Il fiume dei sogni notturni

«Vorresti leggere per me, mia cara? Lo trovo così rilassante per il corpo e così stimolante per la mente. Ho occupato troppo del tempo che Camilla avrebbe dovuto dedicare ad altri lavori facendola leggere per me per ore e ore». «Certo» .Cassilda ricambiò il sorriso di Camilla quando questa entrò nel salottino per ritirare le tazze del tè. Dalla sua gioia risultava evidente che la cameriera aveva ascoltato dall’ingresso. «Cosa vuole che le legga?». «Quel libro laggiù vicino al lume» . La signora Castaigne indicò un libro rilegato in tela gialla. «È un dramma recente… un’opera curiosa, come ti accorgerai subito. Camilla me lo stava leggendo la sera che sei arrivata da noi». Mentre prendeva il libro, Cassilda sperimentò di nuovo la strana sensazione di “déja-vu”, e si chiese se avesse mai letto prima The King in Yellow, e dove. «Credo che siamo pronte per leggere il secondo atto», le disse la signora Castaigne.

Sono trascorsi altri due mesi dall’ultima volta che abbiamo parlato degli Yellow Mythos qui sul blog. Pensavo di risucire a metterci mano prima ma il tempo incredibilmente sembra sfuggirmi di mano. Gli Yellow Mythos, già….  c’è qualcuno che si ricorda da dove eravamo partiti? Riassumere in poche righe i post precedenti, ancora una volta, mi sembra eccessivo: vi invito pertanto a recuperare perlomeno il primo della serie, nel quale c’è scritto più o meno tutto ciò che è bene sappiate. Fatto? Ok, passiamo oltre. Ora però è tempo di ricollegarsi al punto in cui ci eravamo lasciati. Vi ricordate? Nel penultimo articolo, che risale addirittura al novembre scorso, avevamo affrontato alcuni spunti scaturiti da un racconto, scritto da Robert W. Chambers nel 1895, dal curioso titolo de “Il riparatore di reputazioni”; spunti che ci avevano portato a ritenere che fosse stato addirittura Oscar Wilde il primo vero, e probabilmente inconsapevole, creatore della mitologia “King in Yellow”. Successivamente, al’inizio di giugno, eravamo tornati a rileggere lo stesso racconto rendendoci conto che, nascosto tra le righe, celato in una sottotrama resa quasi invisibile dall’imponente riflettore puntato sugli avvenimenti principali, c’era stato un omicidio: un omicidio che, ad una lettura superficiale, ci era sfuggito. La vittima sarebbe stata un medico, il dottor John Archer, ovverossia lo psichiatra che aveva in cura Hildred Castaigne, narratore e (a suo dire) futuro successore al trono della dinastia imperiale d’America. Numerosi indizi ci avevo portato a concludere che fosse proprio Hildred Castaigne il responsabile del delitto. Ma era davvero andata così? Nulla si può dare per scontato nella aggrovigliata matassa degli Yellow Mythos.

domenica 24 agosto 2014

L'uomo che restò solo sulla terra

Avete notato che dei romanzi si riporta sempre l'incipit, molto spesso degli estratti e quasi mai la fine? Certamente questo ha a che fare col fatto che, in qualche maniera, riportare il finale di un libro rischia di rovinare la sorpresa a chi dopo di noi volesse cimentarsi con la sua lettura; se sono molte le storie che non riservano un colpo di scena proprio all'ultima pagina, che magari hanno già svelato le proprie carte strada facendo, che addirittura cominciano dalla conclusione per poi raccontarne l'antefatto, è vero però che le ultime parole di uno scritto spesso, anche sottilmente, ne contengono il senso più profondo. Non una rivelazione, no, ma un pensiero che aiuta a quadrare il cerchio, che offre una chiave di lettura a volte inedita, che tradisce i sentimenti dell'autore o ne è la summa. Il mio dilemma, dunque, nel parlare di “L'uomo che restò solo sulla terra” era profondo: citare o non citare le parole che chiudono il racconto, e che costituiscono il vero testamento morale del personaggio di Sam Magruder? Ho scelto una via di mezzo: ne citerò solo una parte, lasciandovi il piacere, se lo desiderate, di recuperare il romanzo e leggere il resto da voi.

lunedì 18 agosto 2014

The Man and his Bird

Regista, sceneggiatore, direttore artistico, animatore, vignettista, insegnante. Anatoly Solin (1939-2014) aveva alle spalle una carriera quarantennale eppure, nonostante ciò, di lui in rete non si trovano che poche righe: nessuna biografia, nessuna intervista, niente di niente. Solo un breve accenno ai suoi trascorsi artistici sulla wikipedia russa. Nemmeno oggi, a pochi giorni dalla sua scomparsa, troviamo un granché. Solo un telegrafico comunicato dell’agenzia Tass nel quale si mantiene il riserbo anche sulle cause della morte.
Diciamo pure che tutto ciò non mi stupisce: Anatoly Solin non è mai stato un personaggio facile, soprattutto in considerazione del fatto che i suoi lavori più significativi sono stati realizzati in un’epoca in cui il suo paese era ben attento a che nulla di ciò che accadeva oltre cortina trapelasse in Occidente. Nemmeno opere di animazione quali "Le avventure del Barone di Munchausen", "Due aceri", "Grazie, cicogna" e "Come una volpe raggiunse la lepre" riuscirono mai ad avere una benché minima visibilità. E ciò è altrettanto vero oggi, nonostante siano passati quasi vent’anni dalla disgregazione di quella che una volta si chiamava Unione Sovietica. Un gran peccato, davvero. Un peccato soprattutto perché Anatoly Solin fu amato da almeno tre generazioni di bambini.

martedì 12 agosto 2014

Il signore del male

Questo non è un sogno. Non è un sogno. Noi usiamo il sistema elettrico del tuo cervello come una ricevente. Non possiamo trasmettere attraverso interferenze consce. Tu ricevi questo messaggio come se fosse un sogno. Noi trasmettiamo dall'anno uno nove nove nove. Ricevi questo messaggio perché tu possa modificare gli eventi che vedrai. La nostra tecnologia è conosciuta da coloro che hanno delle trasmittenti abbastanza potenti da raggiungere il tuo stato conscio e la tua consapevolezza. Ma questo non è un sogno. Tu vedi quello che succede realmente.

Come possono coesistere due argomenti così lontani tra loro come la religione cattolica e la fisica quantistica? Come si può parlare di creazione, di avvento messianico, di apocalisse e cercare di spiegare il tutto attraverso lo studio dei fenomeni connessi con le energie atomiche e subatomiche e comunicando i risultati per mezzo di particelle superluminali? Tutto e niente, mi verrebbe da rispondere così, di primo acchito. E se poi aggiungessimo alla nostra ricetta un po’ del grandioso immaginario legato allo specchio, quell’oggetto così sinistramente radicato nel folklore e nella mitologia di tutto il mondo, ecco che otterremmo “Il signore del male”!
Prima o poi doveva pur accadere che questo blog dedicasse un po’ del suo spazio al principe delle tenebre. Ma non a un “qualsiasi” principe delle tenebre: il “Prince of Darkness” di cui si parla oggi è l’omonimo film ideato e realizzato sul finire degli anni Ottanta da quel vecchio volpone di John Carpenter. Quel “doveva pur accadere” è molto di più che una frase buttata lì a caso: sono anni che rifletto sull’opportunità di scrivere un mio articolo su “Il signore del male”. Addirittura fantasticavo di scriverne ancora prima di aprire il blog. Non l’ho mai fatto finora solo perché non volevo rischiare di scrivere qualcosa che non fosse più che perfetto, per cui ho rimandato e poi ancora rimandato. Fino a oggi.

mercoledì 6 agosto 2014

Rapsodia in agosto

"Nelle stesse circostanze - e sottolineo «le stesse circostanze» sì, lo farei di nuovo. Eravamo in guerra da cinque anni. Stavamo combattendo un nemico che aveva la fama di non arrendersi mai, di non accettare la sconfitta. È davvero difficile parlare di moralità e di guerra nella stessa frase. In una guerra si compiono tante azioni discutibili. Dov'era la moralità nel bombardamento di Coventry, o nel bombardamento di Dresda, o nella marcia della morte di Bataan, o nel massacro di Nanchino, o nel bombardamento di Pearl Harbor? Credo che quando c’è una guerra, una nazione deve avere il coraggio di fare ciò che è in suo potere per vincerla con una minima perdita di vite umane". Colui che pronunciò questa frase, il 93enne Theodore Van Kirk, è morto una settimana fa, il 28 luglio. Era l’ultimo superstite dell’equipaggio del famigerato B-29-45-MO Superfortress, meglio conosciuto come “Enola Gay”, che nel 1945 era in forza al 393º squadrone bombardieri, 509º Gruppo Composito dell'USAF.
Il bombardiere era decollato alle 03:20 del 6 agosto da Tinian, un isola nell'arcipelago delle Isole Marianne, e si era diretto a nord, puntando verso una cittadina del sud ovest del Giappone, placidamente adagiata sulle sponde del mare interno. Era un caldo e soleggiato mattino d’estate e nessuno tra i 300.000 abitanti di Hiroshima poteva prevedere quello che sarebbe accaduto da lì a poco. Alle 08:14 e 45 secondi, l'Enola Gay sganciò un ordigno atomico da 13 chilotoni sul centro di Hiroshima: dopo 45 secondi, a circa 600 metri dal suolo, la bomba deflagrò e 80.000 persone, le più fortunate, vennero vaporizzate all’istante. Altre 100.000 morirono nei mesi successivi. Si calcola che il totale delle vittime, incluse le persone i cui corpi verranno consumati dalle radiazioni nel corso degli anni, saranno infine oltre 300.000. A questo numero vanno sommate le vittime dell’attacco di Nagasaki, avvenuto tre giorni più tardi, che fu però meno devastante in quanto l’ordigno, sebbene di potenza superiore (25 chilotoni), cadde a 4 km dalla città e il suo effetto venne in parte attutito dalle colline circostanti.

venerdì 1 agosto 2014

Parlando di fumetti underground

Come avevo preannunciato qui sul blog solo qualche giorno fa, è venuto a sedersi nel salotto di Obsidian Mirror l'ideatore del progetto U.D.W.F.G., nonché padre della Hollow Press, una piccola realtà sorta con il fine di diffondere, in questo mondo affamato di nuovi spazi underground, un piccolo sprazzo di cultura alternativa. Il suo nome è Michele Nitri, il quale, come senz’altro noterete leggendo l’intervista riportata qui di seguito, si è dimostrato una persona brillante e intelligente, cosa non da poco, ben lieto di affrontare le domande non facili che avevo in serbo per lui.
Oggi parleremo di fumetti, gente, nel caso non si fosse ancora capito. Ma soprattutto, grazie a Michele, andremo a tuffarci in un mondo incredibile, popolato da grandi artisti e da appassionati disposti a lasciare giù centinaia di euro per poter accapparrarsi un loro cimelio.
Ma bando alle ciance. Vi lascio senza altro indugio all’intervista perché ciò che ha da raccontarci Michele è mille volte più interessante di qualsiasi mia introduzione.

martedì 29 luglio 2014

U.D.W.F.G.

E fu così che il caso ha portato a bussare alla porta del mio blog un nuovo amico, Michele Nitri, che incuriosito dalla mia serie di post incentrati sulla mitologia “in giallo” mi ha inviato un paio di email di richiesta chiarimenti, email che naturalmente includevano la fatidica domanda su quali siano state le mie fonti. Parlando di “Yellow Mythos”, me ne sono reso conto solo durante il nostro scambio epistolare, ho sempre accennato vagamente ai racconti e agli autori oggetto dei vari post, ma evidentemente non ho mai affrontato la questione da un punto di vista più generale. Lo farò presto, promesso, ma non oggi. 
Non sono infatti gli “Yellow Mythos” ciò di cui volevo parlare oggi. Probabilmente lo avevate già intuito, no? L’argomento di oggi è proprio Michele Nitri, mente pensante della Hollow Press, una piccola realtà sorta con il fine di diffondere, in questo mondo affamato di nuovi spazi underground, un piccolo sprazzo di cultura alternativa. È nata così la scorsa primavera una… ehm… fanzine (si può dire così?) di periodicità semestrale, dal titolo tutt’altro che intuitivo di U.D.W.F.G.
U.D.W.F.G. (l’ho capito solo dopo) è un acronimo che sta per “Under Dark Weird Fantasy Ground”, che intende raccogliere appunto il lato underground di generi (già di per sé abbastanza undergound) quali il Dark, il Weird e il Fantasy. Tutto chiaro, no?
Ma dietro U.D.W.F.G. c’è un progetto ben più vasto il cui frutto più importante è sicuramente un ‘autoproduzione a tiratura semestrale che contiene opere di cinque nomi di rilievo: l’americano Mat Brinkman, già appartenente alla prima guardia del fumetto indipendente americano e cofondatore della scuola/collettivo Fort Thunder; Miguel Angel Martin, spagnolo, pluripremiato fumettista con alle spalle anche alcune esperienze di scrittura per il cinema; il giapponese Tetsunori Tawaraya, musicista e disegnatore, apparso su numerose fanzine in tutti gli angoli del mondo; gli italiani Ratigher, apprezzatissimo autore di Trama (definito uno dei migliori fumetti italiani del 2011) e in odor di Dylan Dog, e Paolo Massagli, autore di O.Z. (sua personalissima versione dell’omonimo racconto di Frank Baum) e disegnatore di Neromantico (graphic novel a tinte horror sull’immortale rapporto tra Eros e Thanatos).

mercoledì 23 luglio 2014

The Noisy Requiem

Shinsekai, periferia di Osaka, giardini pubblici. L’uomo, in ginocchio al centro di uno spiazzo, sta offrendo del cibo ai piccioni che si sono radunati attorno a lui. Una scena come ne abbiamo viste tante uguali anche nelle nostre piazze. Tutto appare tranquillo. Improvvisamente, l’uomo afferra un martello e ripetutamente si accanisce sul più malcapitato dei volatili, uccidendolo. Stacco. L’uomo è ora sdraiato su una panchina e sta giocherellando con un piccione morto. Ne afferra il capo inerte con la mano destra e, con un singolo strappo, lo separa violentemente dal corpo. L’uomo è ora sdraiato su una panchina e sta giocherellando con un piccione decapitato. Fine della ricreazione. Stacco. L’uomo è in ginocchio al centro di un vicolo chiuso, nei pressi di una stazione, gli edifici circostanti a nasconderlo dagli occhi della città che pulsa freneticamente a pochi passi di distanza. Sotto le sue ginocchia una giovane donna. Morta. Tutto appare tranquillo. Improvvisamente l’uomo afferra un coltello e, dimostrando una discreta manualità, si accanisce sul basso ventre della donna, strappandone alcune parti e riponendole infine in una sacca. Ciò che resta del corpo finisce in un canale di scolo. L’uomo si chiama Makoto Iwashita (Kazuhiro Sano), di professione serial killer psicopatico, o almeno questo è ciò che si è portati a credere sul momento (il vero scopo delle sue azioni - perché ce n’è uno, per quanto malato - sarà chiaro solo più avanti).

venerdì 18 luglio 2014

I libri di questa estate 2014 (Pt.2)

Prosegue e si conclude oggi la piccola presentazione dei libri che mi hanno accompagnato quest’estate in vacanza. Per chi si fosse perso la prima parte con tutte le relative chiacchiere introduttive, suggerisco di fare un salto prima qui, dopodiché ritornare indietro e proseguire con questa seconda parte.
Una seconda parte che arriva praticamente due settimane dopo la fine delle vacanze e che, se aspettavo ancora un po’ a scriverne, c’era il rischio che mi resettassi completamente la memoria. Anche perché, come dicevo la volta scorsa, gli impegni di lavoro mi hanno subito travolto, azzerando completamente quel piccolo “pieno di benzina” che il sole di Karpathos mi aveva regalato. Spedito di qua e di là come un pacco postale, da quando sono rientrato praticamente ho passato più notti in albergo che a casa. Anche in questo preciso momento, mentre il post si pubblica automaticamente, il sottoscritto dovrebbe trovarsi da qualche parte in Emilia Romagna (non troppo lontano dal mare, ma vestendo un abbigliamento non proprio ideale per il periodo). 
Vacanze finite, come dicevo, ma solo per il momento. Ho ancora una settimanina arretrata da giocarmi e pensavo di conservarmela per settembre, per poter assaporare l’ultimo sprazzo di libertà prima di rituffarmi nel malefico e interminabile inverno. Ci sono diverse idee che stanno facendo di tutto per venire a galla nella mia mente. L’unica cosa certa è che non sarà un’altra settimana di mare. Basta mare per quest’anno! Non dico nient’altro per una semplice questione di scaramanzia ma, se un viaggetto andrà in porto, lo saprete senz’altro a tempo debito.
Ed è quindi illuminato da quella piccola luce in fondo al tunnel che oggi mi rimetto qui a scrivere delle mie recenti letture estive. A proposito di “TUNNEL”…..

mercoledì 16 luglio 2014

Gatti e Bradipi


Nell'attesa della seconda parte del post sui libri delle vacanze, permettetemi un piccolo intermezzo gattofilo. Oggi il vostro blogger preferito è ospite del Bradipo nella sua rubrica settimanale dedicata ai piccoli amici a quattrozampe.Solo qualche riga qui per dirottarvi tutti sul blog "Le maratone di un Bradipo cinefilo" dove potrete fare la conoscenza della Piera e della Dorina, due delle tre donne che condividono gli spazi della mia casa (ce ne sarebbe una terza, ma lei non ha abbastanza zampe per entrare a fare parte della rubrica). Scoprirete cosa combinano tutto il giorno le mie piccole pesti e, per non privarci di una parentesi sentimentale, ci sarà anche un piccolo pensiero per il compianto Elvis, il micione che è volato in cielo due anni e mezzo fa. Tutti dal Bradipo, quindi. Noi ci ritroviamo qui tra qualche giorno.

domenica 13 luglio 2014

I libri di questa estate 2014 (Pt.1)

Ormai è ufficiale: le mie vacanze sono finite, e con esse è finita quella sensazione di pace e di serenità che solo il dolce far niente è in grado di regalare. E poco poteva influire sulla mia pace quel maledetto smartphone aziendale che impietosamente, per tutto il periodo, continuava a recapitarmi messaggi e richieste di cose “urgenti” da fare. Due settimane a Karpathos, isoletta del Dodecaneso sita a metà strada tra Rodi e Creta, mi hanno permesso di staccare completamente la mente da tutte le facezie lavorative quotidiane, mi hanno trasmesso una nuova linfa vitale di cui il mio corpo, ormai vecchio e stanco, aveva proprio bisogno. Due settimane forse sono state un pochino tante per un luogo dove non c’è praticamente null’altro da fare se non starsene sdraiato al sole o seduto con le gambe sotto un tavolo ad abbuffarsi dei prodotti della loro meravigliosa cucina, ma perché lamentarsene? Per tutto il resto c’è un sacco di tempo e se qualcuno di voi, quando sarà in vacanza, ad un certo punto dovesse rivolgere un pensiero nostalgico alla vita normale come ho fatto io…. beh…. lasciate perdere e godetevela! Le vacanze finiscono in fretta. Addirittura troppo in fretta.

lunedì 30 giugno 2014

Un'estate di terrore

Lo so, lo so, avevo promesso che me ne sarei stato tranquillo per un po', avevo promesso che il blog se ne sarebbe stato chiuso per ferie per qualche settimana, ma cosa volete farci, la dipendenza dal blogging e' una patologia ancora non ben riconosciuta e ben lontana dall'essere considerata come tale. 
Stavo giustappunto ca##eggiando su e giu' per il centro di Pigadia, capoluogo di questa incredibile Karpathos, dove sto smaltendo le fatiche dell'inverno, quando la visione di quest'internet cafe' non ha saputo lasciarmi indifferente.
E cosi' eccomi qui, a tamburellare su una tastiera greca dove mancano le vocali accentate e i tasti sono posizionati in angoli che non avrei mai detto. Il bello e' che ci sono anche le lettere greche su questa tastiera greca. Incredibile, no? 

Anyway, rompo il silenzio per lasciarvi il promemoria di un evento che sta per iniziare nella blogosfera, una piccola notizia che evidentemente non puo' attendere di essere diffusa, visto che stiamo parlando di domani.
Un gruppo di nostalgici blogger cinefili ha deciso di rilanciare un appuntamento che molti di voi forse ricorderanno, quello della "Notte Horror", quel mitico appuntamento televisivo che, negli anni Novanta (o giu' di li') tutti i martedi' sera su Italia1 costringeva noi appassionati a rimanere appiccicati allo schermo.
Quelle notti horror appartengono ormai al passato, ma nella calura di questa estate 2014 rivivranno, almeno in parte, su questo e altri blog.

Qui a lato potete consultare la locandina del programma che ci accompagnera' fino all'inizio di settembre. Il sottoscritto partecipa addirittura con tre film, uno qui su "Obsidian Mirror", due sul fratello minore "Obsploitation".
Il primo appuntamento e' gia' per domani sera alle 21 sul blog "Il giorno degli zombi" e, a seguire, alle 23, sul blog "Non c'e' paragone". Vi rimando da loro per il momento. Ora vado a riprendere quello che stavo facendo, vale a dire spiaggiarmi. 
A presto!

venerdì 20 giugno 2014

Θα σας δω τον Ιούλιο

Spoletium, 241 a.C.: sulle pendici del Monteluco, presso una curva del torrente Tessino, affluente del Maroggia, in posizione assai ridente per la chiostra di montagne verdeggianti che le fanno corona, un insediamento, le cui origini affondano nella preistoria, diviene colonia romana. Spoletium, 571 d.C.: strappata dai longobardi al dominio bizantino, la città diviene sede di un vasto e potente ducato. Spoletium, 1155 d.C.: la città, ancor florida e potente sebbene il ducato si avviasse alla decadenza, viene assalita e distrutta da Federico Barbarossa. Spoletium, 1775 d.C.: una bambina scompare in circostanze misteriose mentre, in quello stesso istante, un quadro appare improvvisamente su una delle pareti del soggiorno di una villa fuori città. Per entrambi gli avvenimenti, apparentemente slegati tra di loro, non viene trovata alcuna spiegazione. Resta indiscutibile la straordinaria somiglianza tra la bambina scomparsa e una figura al centro del dipinto. Spoleto 1975 d.C.: la città presenta un aspetto vetusto, con i suoi numerosi edifici medievali e del Rinascimento, le vie strette e tortuose, spesso a cordonata, e i numerosi cavalcavia. Il quadro è allo studio degli esperti. Una figura in bianco, apparentemente una bambina, cerca di sfuggire terrorizzata ad un gruppo di persone (contadini?) armate di falci e bastoni. Il suo sguardo è rivolto verso l’alto, in direzione di una seconda figura femminile, adulta, che precipita nel vuoto circondata dalle fiamme. Sovrasta l’intera scena una figura demoniaca, che si staglia, appena distinguibile se non fosse per il suo colore rosso fuoco, sulle nuvole sullo sfondo.

domenica 15 giugno 2014

Jezabel

Una donna entrò nella gabbia degli imputati. Nonostante il pallore, nonostante l'aria stanca e stravolta, era ancora bella; solo le palpebre, di forma squisita, erano sciupate dalle lacrime e la bocca aveva una piega amara, ma la donna sembrava giovane.
Quello riportato sopra è l’incipit di “Jezabel”, il romanzo che Irène Némirovsky pubblicò nel 1936, pochi anni appena prima della sua morte, avvenuta nel 1942 per tifo nel campo di concentramento di Auschwitz. Qui c'è già tutto ciò che serve per inquadrare la protagonista: una donna che “sembrava giovane”, una donna “ancora bella”. Le parole “giovane” e “bella” ricorreranno infinite volte nel romanzo, come un'ossessione, come un mantra. Perché di ossessione parla, fondamentalmente, questo libro.
Gladys Eysenach, la nostra Jezabel, ha ricevuto in dono da madre natura una bellezza perfetta e, come a volte accade alle persone troppo belle, ha basato la sua vita interamente su di essa.
Allungò le mani verso il fuoco, poi si alzò. Il pianoforte aveva il coperchio sollevato, e Gladys suonò qualche nota. Sì, la musica, la poesia, i libri... ma lei sapeva bene che erano solo un altro strumento di seduzione, perché anche il volto più bello può stancare, perdere di attrattiva in un momento di noia o di sazietà, ma sapeva pure che per lei, come per la maggior parte delle donne, musica, poesia e libri non significavano niente, non le davano niente... Qualche verso appassionato e melanconico, una bella frase musicale sono omaggi fatti all'uomo, a lui solo, e quando l'uomo se n'è andato non resta niente.

martedì 10 giugno 2014

Valhalla Rising (Pt.3)

A questo punto è giunto il momento di riepilogare cosa sappiamo di Odino. Primo, Odino è un dio che presiede alla guerra e alla caccia ma, poiché come detto sopra padroneggia i segreti delle rune, non deve sorprendere che sia associato anche alla poesia, alla magia e alla divinazione; è saggio e onnisciente e inoltre – questo è particolarmente interessante - viene considerato uno psicopompo, avrebbe cioè la funzione (propria  ad esempo di Hermes/Mercurio e di Osiride) di transitare i defunti nella residenza ultraterrena – il Valhalla, per l'appunto.  (Le analogie fra i due dei non finiscono qui, ma non voglio andare troppo fuori tema.)
Torniamo ora al nostro film. Il viaggio di One-Eye, Are e dei vichinghi, nella nebbia e tra gli stenti, ha tutte le caratteristiche della sovrannaturalità. È possibile che tutti i personaggi -  tranne, forse, Are - siano deceduti durante la traversata e che all'approdo si trovino non in un luogo reale, ma nell'aldilà. Un aldilà che ognuno di loro interpreta come può, in base all'evoluzione spirituale raggiunta in vita, un aldilà che sconcerta e spaventa: i guerrieri cristiani sono terrorizzati dall'inferno, mentre One-Eye accetta il proprio ruolo di demiurgo e si autoimmola. Wrath, ira, era una caratteristica di Odino, ed è anche il sentimento che inizialmente guida tutte le azioni di One-Eye. Il sentimento che lo tiene in vita. Poi però qualcosa cambia, e l'intravedersi di uno scopo nella sua esistenza stempera quest'ira, la annichila. Se One-Eye è Odino o una reincarnazione di Odino, allora quelle all'inizio del film sono premonizioni di qualcosa che gli accadrà poi ed ecco perché alla fine soccombe senza combattere: la lotta non ha senso perché lui non esiste più, è già morto. Al contrario di alcuni degli altri che continuano a brancolare nel buio, ne è consapevole. Intraprendendo quel viaggio ha già determinato il suo destino.

domenica 8 giugno 2014

Valhalla Rising (Pt.2)

Il film è diviso in sei capitoli che si chiamano Wrath, Silent warrior, Men of God, The Holy Land, Hell e The sacrifice dall'indubbia (soprattutto per gli ultimi tre) reminiscenza cristiana. Eppure, anche se il Valhalla viene spesso definito come l’inferno della mitologia norrena, i due concetti sono molto diversi. L’inferno cristiano è un luogo di punizione e di dolore, il Valhalla invece è la residenza ultraterrena degli einherjar (o einheriar), gli spiriti dei guerrieri morti eroicamente in battaglia, una vera e propria città nella quale essi attendono l’avvento del Ragnarök, la fine del mondo, al quale prenderanno parte schierandosi con Odino contro i suoi nemici. Perciò dire che il Valhalla corrisponde all'inferno cristiano è una forzatura, è il modo di trovare un equivalente ad un concetto familiare alla mentalità cristiana, forse un tentativo postumo (e inconscio?) di giustificare la“colonizzazione” religiosa della Scandinavia.
Già nel IX secolo la religione primigenia della Scandinavia, quella norrena, era in declino e veniva gradualmente sostituita dal cristianesimo. Sappiamo che la divinità più importante di questo pantheon era Woden, a noi noto con il nome di Odino. La leggenda narra che Odino offrì uno dei suoi occhi al gigante Mímir per poter bere dell'acqua dalla fonte che egli sorvegliava e ottenere così la saggezza e l'onniscienza. In base a quanto narrato nell'Hávamál, uno dei poemi facenti parte dell'Edda poetica, una parte consistente dell'antico Codex Regius islandese, Odino “il signore degli impiccati” restò invece crocifisso per nove giorni e nove notti all'albero cosmico:
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