giovedì 4 settembre 2014

L'incidente di Sayama (Pt.1)

La vicenda che mi accingo a raccontare, e che passerà alla storia come "The Sayama Incident", ebbe inizio il primo di maggio del 1963. Era il giorno del sedicesimo compleanno di Yoshie Nakata, studentessa della Kawagoe High School di Irumagawa, un distretto della città di Sayama, sito a non più di una cinquantina di chilometri dalla capitale Tokyo.
Quel giorno, un mercoledì, come d’abitudine, la giovane Yoshie uscì di casa e si incamminò lungo il breve tratto di strada che divideva l’edificio scolastico dalla sua abitazione. Nessuno l’avrebbe più rivista. Verso sera, non vedendola rientrare, il padre Sakuei mandò uno dei suoi figli, Kenji, a ripercorrere la strada da e verso la scuola e nei pressi della stazione, ma la ricerca fu inutile. Fu sempre Kenji, la sera stessa, a trovare infilata in una nicchia accanto alla porta di casa una lettera contenente richiesta di riscatto scritta a mano per una somma di 200.000 yen (meno di 2.000 euro di oggi, equivalenti a circa 350.000 lire dell'epoca).
Nonostante la cifra richiesta fosse tutt’altro che impossibile da sostenere, la famiglia Nakata decise di rivolgersi immediatamente alla polizia, la quale dispose di preparare una borsa piena di ritagli di giornale e, nel fingere di acconsentire alle richieste del rapitore, organizzò una trappola che avrebbe dovuto scattare al momento della consegna. La sorella maggiore di Yoshie, Tomie, accettò di buon grado la proposta di recarsi all’appuntamento che, come da istruzioni del rapitore, sarebbe dovuto avvenire per la mezzanotte del giorno successivo nei pressi del Sanoya, un piccolo supermercato non lontano dall’abitazione di famiglia. Il Sanoya era situato appena fuori città, lungo una strada circondata da campi coltivati. Un luogo perfetto per il rapitore, il quale avrebbe potuto apparire, impossessarsi del denaro, e in un attimo scomparire alla vista del testimone approfittando dell’oscurità.
Quella notte Tomie non dovette aspettare a lungo. Solo dieci minuti dopo la mezzanotte un uomo si presentò all’appuntamento. Sbucò all’improvviso dall’ombra, quasi fosse un fantasma, mantenendosi prudentemente ad una ventina di metri dalla ragazza. Protetto dalle tenebre (e da palo del telefono lungo la strada), iniziò a scambiare alcune parole di circostanza con Tomie. Improvvisamente, dopo una decina di minuti, il suo atteggiamento cambiò. Come se avesse subodorato l’inganno, disse che non avrebbe preso i soldi e, così come era apparso, svanì. A nulla servì la rete che una quarantina di poliziotti aveva formato tutto attorno alla zona: la trappola non era scattata.
Polizia e vigili del fuoco reagirono prontamente allo smacco e, sollecitati da un’opinione pubblica che non avrebbe risparmiato loro pesanti critiche, iniziarono un rastrellamento capillare in tutto il circondario. Solo due giorni più tardi il corpo senza vita di Yoshie Nakata venne alla luce. Era stato accuratamente seppellito lungo una strada poderale, nei pressi di una fattoria, in una buca profonda ottanta centimetri e lunga un metro e mezzo: una tomba che aveva senz’altro richiesto diverse ore per essere preparata (probabilmente con lo scopo di rendere definitiva la sparizione della giovane vittima). Quella terra smossa così di recente invece attirò rapidamente l’attenzione della polizia.

Il corpo senza vita di Yoshie Nakata
Il corpo di Yoshie era stato seppellito con le mani legate e gli occhi bendati, con una sottile stringa di cotone attorno al collo, la gonna sollevata, le gambe distese e la biancheria calata attorno alle ginocchia. Nella stessa buca, vicino alla sua testa, era sepolta una grossa pietra. Il rinvenimento di liquido seminale nella vagina della giovane nel corso dell'esame autoptico stabilì che la ragazza era stata prima violentata e poi strangolata. I residui di cibo nello stomaco e nell’intestino riferirono che la morte era avvenuta solo poche ore prima.

La polizia, pressata dalla stampa, cominciò immediatamente le indagini, partendo dalle cose più evidenti: i legacci attorno ai polsi e alla benda, il luogo scelto per la sepolture e, naturalmente, l’analisi calligrafica e del liquido seminale. Una prima pista portò ad un bracciante, Genji Okutomi, ex-dipendente della famiglia Nakata, la cui calligrafia e il cui gruppo sanguigno potevano avere una certa compatibilità con quelli dell’assassino. Il fatto poi che Okutomi si suicidò proprio in quegli stessi giorni poteva essere considerata una prova inoppugnabile di colpevolezza, se non che, quando venne accertato che Okutomi era praticamente impotente, tale ipotesi venne scartata: il violentatore e l'assassino erano certamente la stessa persona e, di conseguenza, il colpevole avrebbe dovuto essere cercato altrove.

Il pomeriggio dell’11 maggio una pala venne trovata a un centinaio di metri di distanza dal luogo in cui era stato sepolto il corpo di Yoshie. Si scoprì che veniva da a un allevamento suino di proprietà di un certo Kazuyoshi Ishida, quindi la polizia ricominciò le indagini da lì. È a questo punto che la vicenda assunse contorni poco chiari e ancora oggi, dopo quarant'anni, c’è chi pensa che sia stato montato un caso senza prove decisive per incolpare del delitto una persona che aveva l’unico torto di appartenente a una minoranza. I proprietari della fattoria e la maggior parte dei dipendenti, infatti, erano di etnia Buraku, perché il lavoro in un allevamento (la macellazione, così come tutte le attività legate alla morte e al sangue) era considerato impuro e moralmente esecrabile sia dallo Shintoismo che dal Buddismo.

L'arresto di Kazuo Ishikawa
A proposito dei Burakumin della fattoria Ishida si diceva, a torto o a ragione, che ve ne fossero alcuni propensi al furto e alla violenza e fu uno di questi, il ventiquattrenne Kazuo Ishikawa, a venire arrestato sebbene con un'altra imputazione. Prima della fine di giugno i media diffusero la notizia che il giovane aveva confessato il rapimento e l'omicidio della povera Yoshie e il caso, a quel punto, venne dichiarato risolto e archiviato. Ma era davvero lui l'assassino?
Ancora oggi sono in molti a pensarla diversamente, ad affermare che la confessione di Ishikawa venne estorta con la forza, dopo che il giovane era stato trattenuto e minacciato per oltre un mese dalla polizia. Si racconta che la polizia da una parte insinuava al ragazzo dei dubbi sul suo difensore legale, dall'altra gli prometteva una pena “lieve” (una condanna ad un massimo di dieci anni) in cambio di una completa confessione (fatto che la polizia, naturalmente, in seguito smentì). Insomma, si sarebbe trattato di un innocente preso di mira solo perché, in quanto Burakumin, era il colpevole “ideale”.
Quando però, nella primavera successiva, il tribunale lo condannò a morte, Ishikawa ritrattò la sua confessione e, dopo il processo d'appello, la pena venne commutata in ergastolo, finché nel 1969 la “Lega per la liberazione dei Burakumin” non si prese a cuore il suo caso. Ishikawa divenne il simbolo vivente dei pregiudizi ai danni dei Burakumin, e si arrivò anche a insinuare che il suo avvocato non lo avesse supportato al meglio per via delle sue simpatie politiche. Con le organizzazioni per i diritti umani dalla sua parte, il suo rilascio sembrava solo questione di tempo, ma purtroppo per lui passarono ben 31 anni prima che fosse rilasciato sulla parola e scarcerato: era ormai il 1994.
Chi fu l’assassino di Yoshie Nakata? Fu il bracciante, Genji Okutomi, sucidatosi in quegli stessi giorni? Oppure fu il giovane Kazuo Ishikawa? Oppure fu qualcun altro che non era ancora uscito dall’ombra? Tra pochi giorni continueremo a parlare di questa vicenda, aggiungendo nuovi e ancora più sinistri particolari. Non mancate.

10 commenti:

  1. Un bellissimo post che descrive mirabilmente un mistero che, tra parentesi, non conoscevo.
    Non vedo l' ora di leggere la seconda parte.

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    1. Sono certo che il seguito ti piacerà. Eccome se ti piacerà.

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  2. I burakumin sono stati discriminati per secoli in Giappone. Il prosieguo della storia mi interessa.

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    1. I giapponesi non sono mai andati troppo per il sottile in questo genere di cose. Hai visto il film "Departures" di Yōjirō Takita? È molto istruttivo.

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  3. Mai saputo dell'esistenza dei burakumin. Mi metto in fila per il seguito ;)
    Ma qual è il collegamento tra l'immagine all'inizio e il contenuto del post? Il mio giapponese è un pochetto arrugginito :P

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    1. Quella è la copertina di un libro uscito lo scorso anno in occasione del 50' anniversario del delitto. Il titolo pressapoco dovrebbe essere "Analisi psicologica dell'incidente di Sayama.

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  4. Un post degno di Nocturnia! ora vado a leggermi anche la seconda parte.

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  5. Siccome adesso voglio sapere chi è stato, vado a leggere il secondo post!

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