Quel giorno, un mercoledì, come d’abitudine, la giovane Yoshie uscì di casa e si incamminò lungo il breve tratto di strada che divideva l’edificio scolastico dalla sua abitazione. Nessuno l’avrebbe più rivista. Verso sera, non vedendola rientrare, il padre Sakuei mandò uno dei suoi figli, Kenji, a ripercorrere la strada da e verso la scuola e nei pressi della stazione, ma la ricerca fu inutile. Fu sempre Kenji, la sera stessa, a trovare infilata in una nicchia accanto alla porta di casa una lettera contenente richiesta di riscatto scritta a mano per una somma di 200.000 yen (meno di 2.000 euro di oggi, equivalenti a circa 350.000 lire dell'epoca).
Nonostante la cifra richiesta fosse tutt’altro che impossibile da sostenere, la famiglia Nakata decise di rivolgersi immediatamente alla polizia, la quale dispose di preparare una borsa piena di ritagli di giornale e, nel fingere di acconsentire alle richieste del rapitore, organizzò una trappola che avrebbe dovuto scattare al momento della consegna. La sorella maggiore di Yoshie, Tomie, accettò di buon grado la proposta di recarsi all’appuntamento che, come da istruzioni del rapitore, sarebbe dovuto avvenire per la mezzanotte del giorno successivo nei pressi del Sanoya, un piccolo supermercato non lontano dall’abitazione di famiglia. Il Sanoya era situato appena fuori città, lungo una strada circondata da campi coltivati. Un luogo perfetto per il rapitore, il quale avrebbe potuto apparire, impossessarsi del denaro, e in un attimo scomparire alla vista del testimone approfittando dell’oscurità.
Quella notte Tomie non dovette aspettare a lungo. Solo dieci minuti dopo la mezzanotte un uomo si presentò all’appuntamento. Sbucò all’improvviso dall’ombra, quasi fosse un fantasma, mantenendosi prudentemente ad una ventina di metri dalla ragazza. Protetto dalle tenebre (e da palo del telefono lungo la strada), iniziò a scambiare alcune parole di circostanza con Tomie. Improvvisamente, dopo una decina di minuti, il suo atteggiamento cambiò. Come se avesse subodorato l’inganno, disse che non avrebbe preso i soldi e, così come era apparso, svanì. A nulla servì la rete che una quarantina di poliziotti aveva formato tutto attorno alla zona: la trappola non era scattata.
Polizia e vigili del fuoco reagirono prontamente allo smacco e, sollecitati da un’opinione pubblica che non avrebbe risparmiato loro pesanti critiche, iniziarono un rastrellamento capillare in tutto il circondario. Solo due giorni più tardi il corpo senza vita di Yoshie Nakata venne alla luce. Era stato accuratamente seppellito lungo una strada poderale, nei pressi di una fattoria, in una buca profonda ottanta centimetri e lunga un metro e mezzo: una tomba che aveva senz’altro richiesto diverse ore per essere preparata (probabilmente con lo scopo di rendere definitiva la sparizione della giovane vittima). Quella terra smossa così di recente invece attirò rapidamente l’attenzione della polizia.
Il corpo senza vita di Yoshie Nakata |
La polizia, pressata dalla stampa, cominciò immediatamente le indagini, partendo dalle cose più evidenti: i legacci attorno ai polsi e alla benda, il luogo scelto per la sepolture e, naturalmente, l’analisi calligrafica e del liquido seminale. Una prima pista portò ad un bracciante, Genji Okutomi, ex-dipendente della famiglia Nakata, la cui calligrafia e il cui gruppo sanguigno potevano avere una certa compatibilità con quelli dell’assassino. Il fatto poi che Okutomi si suicidò proprio in quegli stessi giorni poteva essere considerata una prova inoppugnabile di colpevolezza, se non che, quando venne accertato che Okutomi era praticamente impotente, tale ipotesi venne scartata: il violentatore e l'assassino erano certamente la stessa persona e, di conseguenza, il colpevole avrebbe dovuto essere cercato altrove.
Il pomeriggio dell’11 maggio una pala venne trovata a un centinaio di metri di distanza dal luogo in cui era stato sepolto il corpo di Yoshie. Si scoprì che veniva da a un allevamento suino di proprietà di un certo Kazuyoshi Ishida, quindi la polizia ricominciò le indagini da lì. È a questo punto che la vicenda assunse contorni poco chiari e ancora oggi, dopo quarant'anni, c’è chi pensa che sia stato montato un caso senza prove decisive per incolpare del delitto una persona che aveva l’unico torto di appartenente a una minoranza. I proprietari della fattoria e la maggior parte dei dipendenti, infatti, erano di etnia Buraku, perché il lavoro in un allevamento (la macellazione, così come tutte le attività legate alla morte e al sangue) era considerato impuro e moralmente esecrabile sia dallo Shintoismo che dal Buddismo.
L'arresto di Kazuo Ishikawa |
Ancora oggi sono in molti a pensarla diversamente, ad affermare che la confessione di Ishikawa venne estorta con la forza, dopo che il giovane era stato trattenuto e minacciato per oltre un mese dalla polizia. Si racconta che la polizia da una parte insinuava al ragazzo dei dubbi sul suo difensore legale, dall'altra gli prometteva una pena “lieve” (una condanna ad un massimo di dieci anni) in cambio di una completa confessione (fatto che la polizia, naturalmente, in seguito smentì). Insomma, si sarebbe trattato di un innocente preso di mira solo perché, in quanto Burakumin, era il colpevole “ideale”.
Quando però, nella primavera successiva, il tribunale lo condannò a morte, Ishikawa ritrattò la sua confessione e, dopo il processo d'appello, la pena venne commutata in ergastolo, finché nel 1969 la “Lega per la liberazione dei Burakumin” non si prese a cuore il suo caso. Ishikawa divenne il simbolo vivente dei pregiudizi ai danni dei Burakumin, e si arrivò anche a insinuare che il suo avvocato non lo avesse supportato al meglio per via delle sue simpatie politiche. Con le organizzazioni per i diritti umani dalla sua parte, il suo rilascio sembrava solo questione di tempo, ma purtroppo per lui passarono ben 31 anni prima che fosse rilasciato sulla parola e scarcerato: era ormai il 1994.
Chi fu l’assassino di Yoshie Nakata? Fu il bracciante, Genji Okutomi, sucidatosi in quegli stessi giorni? Oppure fu il giovane Kazuo Ishikawa? Oppure fu qualcun altro che non era ancora uscito dall’ombra? Tra pochi giorni continueremo a parlare di questa vicenda, aggiungendo nuovi e ancora più sinistri particolari. Non mancate.
Un bellissimo post che descrive mirabilmente un mistero che, tra parentesi, non conoscevo.
RispondiEliminaNon vedo l' ora di leggere la seconda parte.
Sono certo che il seguito ti piacerà. Eccome se ti piacerà.
EliminaI burakumin sono stati discriminati per secoli in Giappone. Il prosieguo della storia mi interessa.
RispondiEliminaI giapponesi non sono mai andati troppo per il sottile in questo genere di cose. Hai visto il film "Departures" di Yōjirō Takita? È molto istruttivo.
EliminaMai saputo dell'esistenza dei burakumin. Mi metto in fila per il seguito ;)
RispondiEliminaMa qual è il collegamento tra l'immagine all'inizio e il contenuto del post? Il mio giapponese è un pochetto arrugginito :P
Quella è la copertina di un libro uscito lo scorso anno in occasione del 50' anniversario del delitto. Il titolo pressapoco dovrebbe essere "Analisi psicologica dell'incidente di Sayama.
EliminaUn post degno di Nocturnia! ora vado a leggermi anche la seconda parte.
RispondiEliminaNocturnia docet: Obsidian iste magister est
EliminaSiccome adesso voglio sapere chi è stato, vado a leggere il secondo post!
RispondiEliminaE' cosa buona e giusta.
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