giovedì 31 gennaio 2013

Uomini e lupi (Pt.2)
















In chiusura della prima parte di questo articolo ho voluto inserire una piccola apologia del lupo. Mi sembrava doveroso, e non solo come riflessione sul detto“in bocca al lupo”. Bambini, amate e rispettate l lupi, come tutti gli esseri viventi: non sono quelle creature infide e vigliacche che ci dipingono favole come “Cappuccetto rosso” e “I tre porcellini”. I lupi nella vita reale sono ben altri (e spesso si travestono da agnelli).
La cattiva fama del lupo non è solo un pregiudizio, purtroppo, ma è anche il risultato di una vera e propria opera di demonizzazione operata dalla religione per mezzo della letteratura. Come sappiamo, un po’ in tutte le culture ci furono delle figure di guerrieri ispirate all’animale (o animali) prevalente nella propria mitologia. Nel saggio di Christian SighinolfiI guerrieri-lupo nell’Europa arcaica” (Ediz. Il Cerchio), l’autore ci propone un interessante excursus attraverso queste  figure, dalle quali probabilmente con il tempo nacque il mito del lupo mannaro come superuomo.

domenica 27 gennaio 2013

Uomini e lupi (Pt.1)



















Per un amante dell’horror che si rispetti, prima o poi arriva il momento di cimentarsi con una delle figure cardine della mitologia orrorifica: il lupo mannaro.
Le tracce di miti che riguardano uomini in grado, volontariamente o meno, di trasformarsi in un animale si perdono letteralmente nella notte dei tempi, e si ricollegano a mitologie antiche nelle quali erano presenti anche differenti figure di canidi. Nell’Europa continentale, dove i lupi abbondavano, le popolazioni di origine indoeuropea crearono il mito dell’uomo-lupo, mentre ad esempio in Africa era diffuso il mito dell’uomo-leone o uomo-iena, in Asia dell’uomo-tigre e in altri paesi di “ibridi” diversi, compatibilmente con la composizione della fauna locale.

martedì 22 gennaio 2013

Beatrice Cenci

Roma, 11 settembre 1599. Le prime luci dell’alba illuminavano i volti pieni di angoscia della folla radunatasi nella piazza di Ponte Sant’Angelo. Tra i presenti anche Caravaggio insieme con il pittore Orazio Gentileschi. Sul patibolo, montato in fretta e furia per l’occasione, sarebbe stata da lì a poco giustiziata per volere di Sua Santità Papa Clemente VIII una giovinetta di 22 anni, appartenente ad a una delle più potenti famiglie tardo-rinascimentali romane.
La ragazza, genuflessa in una cappella poco distante, era talmente assorta nella preghiera che non fece attenzione al rumore ed alle grida; soltanto si riscosse quando gli armigeri entrarono nella cappella per precederla al supplizio. Si alzò, guardò in volto i suoi aguzzini e domandò loro: — La mia signora madre è veramente morta? — Le fu risposto affermativamente, ed ella gettatasi ai piedi del Crocifisso pregò con fervore per l'anima di lei. Fu accompagnata ai piedi del palco, ricevette una rapida benedizione e, salita senza indugio la scala, offrì orgogliosamente il suo esile collo alla mannaia del boia pontificio. Rimase con la testa appoggiata al ceppo per alcuni interminabili minuti, poi il colpo vibrò e tutto finì. Il boia raccolse il capo mozzo e lo mostrò al pubblico attonito, mentre il corpo della giovane alle sue spalle ancora si agitava, scosso dai violenti tremiti causati dall’estrema violenza subita. In quel preciso istante era giunta al termine la breve vita terrena di Beatrice Cenci e, inevitabilmente, aveva inizio la leggenda che oggi, dopo oltre 400 anni, fa ancora discutere.

venerdì 18 gennaio 2013

Nagisa Oshima (1932-2013)

In un blog come questo, dove tante volte (e le etichette in fondo alla pagina lo testimoniano) si è parlato di cinema e tante volte si è parlato di Giappone, sarebbe davvero una grave lacuna astenersi dall'omaggiare quello che è stato uno dei più importanti registi giapponesi di tutti i tempi: Nagisa Oshima.
Con qualche giorno di ritardo, anche The Obsidian Mirror  riserva un piccolo spazio alla scomparsa del cineasta, avvenuta martedì scorso in un ospedale nei pressi di Tokyo.
Stroncato all'età di 80 anni da un'infezione polmonare, Nagisa Oshima (大島 渚) lascia il ricordo di uno stile che sapeva essere a seconda dei casi scioccante o gelido, pacato o intransigente.
Definito spesso dai benpensanti come un "pervertito con la macchina da presa", Nagisa Oshima ha il grande merito di aver portato come nessun altro in Occidente l'immagine di una cultura giapponese in perenne conflitto con la propria storia e con le proprie contraddizioni. E' tra l'altro un peccato che questo blog, tra i tanti post scritti finora, non abbia mai trovato il modo di parlarne prima. La promessa è quella di rimediare, presto o tardi, a questa lacuna, dedicando un po' di spazio ai suoi capolavori. In questo piccolo spazio, riempito frettolosamente, mi limiterò a ricordare il suo film più celebre e controverso: Ecco l'impero dei sensi (愛のコリーダ: Ai no Korīda).

giovedì 17 gennaio 2013

Sentinella

Era bagnato fradicio e coperto di fango e aveva fame e freddo ed era lontano cinquantamila anni-luce da casa.
Con questa frase immortale comincia “La sentinella” (Sentry) dello statunitense Frederic William Brown, del 1954, annoverata di diritto tra i classici della fantascienza e come tale apparsa in numerose antologie, e non solo di fantascienza: ricordo che a scuola me la ritrovai citata in quella di letteratura, e l’insegnante ce la additò come esempio di uso della ripetizione. Fu per l’appunto lì che la lessi per la prima volta, senza mai più dimenticarla.
Eh, sì, all’epoca gli insegnanti ce la mettevano tutta per insegnarti a scrivere - chissà se è ancora così - ed avevano una vera fissa per le più svariate tecniche di scrittura. Ma anche se non ci avessero pensato loro a farmela notare, avrei percepito lo stesso la potenza espressiva di tutte quelle “e”… e penso che provai anche ad imitare lo stile di quella frase, una volta o due. 
“La sentinella” è il racconto in prima persona di un soldato impegnato in una non meglio specificata guerra interplanetaria contro una razza aliena. Questo soldato senza nome, mentre è in trincea pungolato amaramente dalla nostalgia di casa e dall’angoscia per le privazioni della guerra (per parafrasare l’autore direi che la guerra è sporca e crudele e terribile), vede un nemico avvicinarsi, gli spara e lo uccide, poi lo osserva con ribrezzo. È solo allora che la realtà ci viene svelata, con un colpo di scena che ribalta completamente la percezione di quanto abbiamo appena letto: ma per allora saremo già caduti nella trappola tesa dall’autore, quella del pregiudizio.

venerdì 11 gennaio 2013

A proposito del nuovo anno

E siamo quindi entrati in un nuovo anno, a quanto pare. Il 2012 è ormai alle spalle, siamo sopravvissuti alla profezia dei Maya e al versamento della seconda rata dell’IMU. È giunto il momento di guardare oltre e di cominciare a pensare a quello che si ha da fare, sia nel blog che nella vita.
Sì, lo so, arrivo un po’ in ritardo per un post sui buoni propositi per il 2013 ma, come si  dice, meglio tardi che mai. E poi perché non farlo? Cosa mi costa? Alla peggio tra un anno scriverò un post nel quale descriverò i miei fallimenti. Lo scopo però è di riuscire a concludere tutti i miei progetti, per cui, per favore, fate il tifo per me.
Il proposito più grande per il nuovo anno non ha nulla a che fare con il blog: la mia intenzione è quella di mettere definitivamente la parola fine al quel maledetto vizio del fumo che mi ruba denaro e salute da un numero ormai  incalcolabile di anni. Esattamente un mese fa, l’11 dicembre, mi sono regalato uno di quegli aggeggi elettronici che vanno tanto di moda negli ultimi tempi e, per il momento, sembra che stia mantenendo le promesse: non ho più toccato una sigaretta normale da allora (a parte, lo ammetto, una piccola concessione natalizia).

domenica 6 gennaio 2013

Silent Night

E così è passata anche l’Epifania che, come recita un vecchio detto popolare, tutte le feste si è portata via. Tra poche ore si tornerà alla cosiddetta normalità. Quella maledetta sveglia mi riporterà con i piedi per terra e darà il via ad un nuovo anno–routine di lavoro. Peccato, perché avevo cominciato a prenderci gusto, mi stavo quasi abituando a queste dolci giornate di pigritudine: la spola tra il letto e il divano, una soffice coperta sulle spalle, un gatto sulle ginocchia, il poter mangiare solo e soltanto quando la fame si fa sentire, i dolci, la frutta secca, i panettoni affogati nel tè, le interminabili partite di Risiko e di Monopoly con i familiari. È stato bello il Natale. Mi mancheranno queste atmosfere gioiose. Non dovrebbero permettere che finiscano. Del Natale apprezzo in particolar modo le luci e i festoni, le città illuminate giorno e notte da luci intermittenti. Mi chiedo perché, una volta passate le feste, la gente si prenda la briga di stare lì a smontare tutto: non sarebbe più bella la vita se vivessimo in un Natale perenne? Che male ci sarebbe se quelle luci intermittenti potessero rimanere lì tutto l’anno a riscaldare i nostri cuori?
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