sabato 27 giugno 2020

Zaffiro e Acciaio

Giusto qualche giorno fa, nel corso di uno dei miei tanti annoiati cazzeggi sul social di Zuckerberg, inciampo su un'immagine che mi fa trasalire. Quella qui a lato, per la precisione. Non ricordo chi sia ad aver postato quella foto ma, in fondo, non è così importante.
Ciò che conta è che improvvisamente mi sono sentito proiettare indietro, attraverso quello che definirei un corridoio temporale, agli anni della mia infanzia.
Andavo alle scuole medie, per essere precisi, e ciò me lo conferma la data in cui quella serie televisiva britannica andò in onda su mamma RAI.
Strano a dirsi, ma in quarant'anni mai prima d'ora quel ricordo è mai riaffiorato. Quasi come se certe cose, più di altre, siano predisposte all'oblio.
Eppure, ripensandoci adesso, mi coglie la precisa sensazione che "Zaffiro e Acciaio" fosse quasi ancora più bella del coevo "Doctor Who" della BBC, una serie quest'ultima che ha avuto dalla sua la fortuna (o il potenziale, non discuto) di venire riproposta e perpetuata nel tempo tra remake e reboot, oltre ad aver ispirato un certo numero di altri prodotti televisivi.
Al contrario, "Zaffiro e Acciaio" (nell'originale "Sapphire and Steel") ebbe sin dall'inizio una storia tormentata: la sua stessa esistenza, fortemente voluta dai finanziatori della rete ATV, si deve in pratica alla semplice necessità di rompere le uova nel paniere alla concorrenza, il cui iconico viaggiatore del tempo inchiodava sistematicamente allo schermo l'intero paese.

domenica 21 giugno 2020

Il Re in Giallo rivelato (Pt.4)

Now, the Black Lake on whose bleak shores the sage soon reared his hut or hovel was in no wise like unto the other lakes to be found upon this world of Carcosa in the Hyades; for the waters thereof were dark as death and cold as the bitter spaces between the stars, and naught that was composed of simple flesh lived or could live in the gloomy and fetid Deeps thereof. And it is said that a cold and clammy mist drifted ever above the bitter waters of the Black Lake, as a shroud clings to a moldering corpse. And this mist swayed to and fro with the wheeling of the black stars and the strange moons of Carcosa, and they in the Immemorial City knew this as the “cloud waves.”. (Lin Carter, Carcosa Story about Hali, Pnakotic Fragments,1989) 

Avevamo già accennato tempo fa all'esistenza di alcuni frammenti legati agli Yellow Mythos che lo scrittore americano Lin Carter, padre di numerosi testi apocrifi ispirati all'universo heroic fantasy di Robert Ervin Howard, scrisse nell'arco di trent'anni.
Uno di questi frammenti, "The King In Yellow: A Tragedy in Verse", rielabora parte del testo di Blish in una forma in versi differente, rendendola al tempo stesso più poetica ed elegante. Il contenuto è in gran parte identico a quello proposto qui sul blog ma, per dovere di completezza, occorre riportarlo. Ricordo che le traduzioni sono mie e, per tale motivo, la metrica potrebbe non risultare perfetta.

lunedì 15 giugno 2020

Nuove riflessioni sulla Dinastia

«Hai letto The King in Yellow?». «L’ho letto tutto ad alta voce alla signora, e più di una volta. È il suo preferito». «È immorale, ed è peggio che immorale impregnare una simile decadenza con un fascino così irresistibile. Non riesco a capire come si sia potuto permettere che fosse pubblicato. L’autore doveva essere pazzo per mettere per iscritto questi pensieri.» «Eppure tu l’hai letto». Cassilda le fece posto sull’orlo del letto. «Il suo fascino è una tentazione troppo grande per resistervi. Volevo leggere ancora un po’ dopo che la signora Castaigne mi ha dato la buona notte». «Era il libro di Constance». Camilla si appoggiò ai cuscini vicinissima a lei. «Forse è per questo che Madame lo ama tanto». […]«Non è strano?» osservò. «Qui in questo dramma decadente leggiamo di Cassilda e Camilla». «Mi chiedo quanto noi due somigliamo a loro», rise Camilla. (Karl Edward Wagner, The River of Night's Dreaming, 1981) 
Si aprono indiscutibilmente nuovi scenari, a seguito della lettura del breve estratto da "More Light" di James Blish riportato la volta scorsa. Un nuovo personaggio è entrato in scena (due, se contiamo la fugace apparizione di Camilla), e ciò ci permette di fare alcune nuove considerazioni su quella mia vecchia teoria secondo la quale esistono due livelli di esistenza nell'enigmatico universo del Re in Giallo.

martedì 9 giugno 2020

Orizzonti del reale (Pt.23)

LA PRIMA PARTE SI TROVA QUI

Le virtù del Dharma, dicevo in chiusura dello scorso articolo, si sono affievolite, e l’umanità brancola nel buio dell’ignoranza, della diffidenza, della corruzione e del declino spirituale. L’Induismo chiama l’era oscura che stiamo vivendo Kali Yuga. Se ho utilizzato questa immagine “orientaleggiante” è perché furono molte le personalità del tempo a mostrare interesse per l’Induismo e il Buddhismo. La più importante di queste fu senz’altro Richard Alpert. Durante il suo soggiorno in India, Alpert assunse un nuovo nome, con il quale nei decenni successivi divenne noto come uno dei più importanti maestri spirituali delle discipline orientali in Occidente: Ram Dass (cioè “servo di Dio).
Forse l’ho già accennato in precedenza, ma anche Leary si lasciò affascinare dall’Oriente e molta della sua teoria è ispirata a queste due religioni (sebbene considerasse il Buddhismo più una filosofia che una religione vera e propria, una posizione un po’ ingenerosa ma abbastanza diffusa). Per esempio, chi ha letto il post che ho dedicato a “Il Gran Sacerdote” sa che all’inizio di ogni capitolo del libro è riportato un esagramma tratto da I Ching, il Libro dei Mutamenti. Inoltre, non è difficile ricondurre la sua definizione di vita come “the game”, il gioco, al “lila” dei Veda, quello che cambia (e di parecchio) è il significato: il lila è l’universo come gioco, manifestazione divina, un’”azione senza azione” spontanea, senza tensioni o conflitti.

mercoledì 3 giugno 2020

Il Re in Giallo rivelato (Pt.3)

"Non ha senso parlare di originale. Quando troviamo diverse varianti della stessa storia, non c'è modo di sceglierne una e dichiararla come la vera, l'unica e la definitiva. Ogni racconto è l'anello in una catena, parte di un ciclo in evoluzione. Ogni nuova rappresentazione del mito è un nuovo originale. Allo stesso modo, mi sembra molto fuorviante prendere le storie di Lovecraft e i miti ad esso collegati e definirli originali, relegando Chambers a un semplice ispiratore e Derleth a un semplice imitatore. Ognuno ha la propria integrità, la propria priorità. Lovecraft, in buona sostanza, ebbe il suo momento sul palco, ma in seguito fu sostituito da nuovi attori altrettanto capaci." (Robert M. Price)

Ripartiamo da dove ci eravamo lasciati circa un anno fa, mese più, mese meno, quando il presente "saggio" sulla mitologia "in yellow", se mi passate il termine, si interruppe bruscamente. Ancora una volta mi vedo quindi costretto a fare un breve riassunto della situazione, ricordando, a beneficio del viandante occasionale, che questo lungo viaggio nei territori inesplorati del mito chambersiano ebbe inizio già nel lontano 2013, e che a quel primo post ne seguirono decine di altri. Non pretendo che il viandante si prenda la briga di andarsi a rileggere tutto, ma, per un minimo di infarinatura, sarebbe auspicabile almeno la lettura del mega-riassuntone che ho inserito in questa pagina statica

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