martedì 31 dicembre 2019

The Longest Year

Non c'è molto da fare a Capodanno. Perlomeno non c'è molto che abbia voglia di fare. Gli avvenimenti recenti c'entrano però solo parzialmente, visto che sono ormai molti anni che ho superato con serenità l'appuntamento con il Capodanno, con quella che in giovane età era la festa più attesa e allo stesso tempo più temuta. Non c'è bisogno che ve lo spieghi, visto che sono certo che tutti voi bene o male avete provato l'amarezza di una notte che alla fine si è rivelata essere identica a tante altre, ma che nell'immaginario delle settimane precedenti avrebbe dovuto essere speciale. Questa volta sono però anche lieto che l'annus horribilis sia terminato e che finisca in archivio assieme a tutti quelli che lo hanno preceduto. Ci ha messo un bel po', in verità. Per un motivo o per l'altro sembrava non dovesse finire mai. Sarà perché mi sono potuto concedere pochissimi giorni liberi dal lavoro, nel corso del 2019. Ho trascorso in ufficio anche il 31 dicembre e sarò di nuovo al mio posto di combattimento il 2 gennaio... non per un'insano desiderio di Christmas Jumping, ma perché ho accumulato effettivamente parecchio arretrato negli ultimi tempi.

mercoledì 25 dicembre 2019

Christmas Blues

Prima o poi dovrò venirne fuori, questo già lo so. Ho iniziato a ripetermelo come un mantra sin dal primo giorno, quel primo giorno di novembre che sembra già ormai così lontano. Questione di sopravvivenza. 
Ma il tempo è solo una parte della soluzione. Lasciarsi semplicemente trasportare dalle onde del tempo è un errore, anche perché il tempo non aspetta. Inesorabilmente va avanti, e se ne frega di chi rimane indietro. Occorre pensare a tutti gli effetti collaterali. E in fretta, prima che quel poco di senno rimasto se ne vada definitivamente a puttane. 
Ci ero già passato ventidue anni fa per questa medesima devastazione. Ma a nulla è servita l'esperienza pregressa. Non si è mai pronti al peggio, nemmeno quando i segnali sono ormai tutti ben visibili e inequivocabili. Eppure è stato tutto identico ad allora. Dannatamente identico, se non peggio.

venerdì 8 novembre 2019

I giorni del silenzio



...But what can I say now?
That it couldn't be more wrong.
cos you are not here anymore
unmistakably lost
did we lose all the love that we have shared?
and its wearing me down
and its turning me round
where are you when I need you...
Are you there?

Il blog osserverà un indeterminato periodo di sospensione. Un mese, più probabilmente due. Magari tre, se mi gira male. Scrivere ora mi riesce impossibile e anche queste poche righe mi costano uno sforzo incredibile. Il silenzio ora è l'unica strada. Non c'è altro. E non c'è nulla che mi possa far star meglio. Almeno per un po'.

giovedì 31 ottobre 2019

On Halloween... Mirror Midnight!

"Malocchio e gatti neri, malefici misteri / il grido di un bambino bruciato nel camino / nell'occhio di una strega, il diavolo s'annega / e spunta fuori l'ombra: l'ombra della strega! (Anonimo)

Giunto finalmente è il momento in cui là fuori, nel mondo, milioni di persone si apprestano a festeggiare una delle ricorrenze più spassose (e spaventose) che mai mente umana abbia concepito. 
Un esercito di bambini, opportunamente travestiti, in questo preciso istante stanno coraggiosamente bussando alle porte del proprio burbero vicino, tutti ben determinati a rimediare qualche sfizioso dolciume. 
Quando ero piccolo io queste cose, a ben pensarci, non esistevano, ma negli ultimi dieci anni, da adulto, sono sempre stato ben lieto di ricevere alla porta sciami di giovani creature, con quel sorriso ottimista tipico della loro età. Ho sempre ritenuto infatti Halloween un'ottima occasione per svuotare la dispensa delle merendine scadute e, devo ammettere, non esiste nel corso dell'anno un'occasione più ghiotta per farlo.

lunedì 28 ottobre 2019

5.000 minuti a mezzanotte

Più o meno cinquemila, diciamo piuttosto. Non è che sono stato a contare con certosina precisione i minuti che ci separano dallo scoccare della mezzanotte di Halloween. Anche perché da queste parti la mezzanotte arriverà forse un paio d'ore prima con la tanto attesa presentazione pubblica di MIRROR MIDNIGHT, il cortometraggio horror che Luigi Parisi ha realizzato adattando un mio vecchio racconto. Vi ho già ampiamente illustrato i meccanismi che hanno trasformato la semplice idea di un piccolo blogger in un film capace di attraversare l'Atlantico e strappare consensi a un pubblico esigente come quello americano e non starò certo qui a ripeterli. Al massimo inserisco in calce qualche link a beneficio di chi giunge in ritardo o di chi senta l'impellente bisogno di un rapido ripasso.
Ci sarebbero ancora molte cose da raccontare, in realtà, ma certi aspetti (come per esempio il "making of") rivelerebbero troppo e preferisco lasciarvi il piacere di gustare appieno il cortometraggio e rimandare eventuali ulteriori considerazioni a un momento successivo. Posso invece raccontarvi di come il sottoscritto ha realizzato la versione inglese dello script, necessario per poter diffondere "Mirror Midnight" oltre i confini del nostro paese...

martedì 22 ottobre 2019

Da donna a strega: lacrime e sangue (Pt.1)

The Lovers of Ishtar: paintings by Paul Batou
L'INTRODUZIONE SI TROVA QUI

Al suo svanire intona ella un lamento, “Oh, figlio mio!”. Al suo svanire intona ella un lamento. “Mio Damu!”; al suo svanire intona ella un lamento, “Mio incantatore e sacerdote!”. [...] Il suo lamento è il pianto per l’erba che non cresce nel suo campo, il suo lamento è il pianto per il grano che non rigonfia la spiga. [...] Il suo lamento è per i campi, dove più non verdeggiano piante. Il suo lamento è per la sontuosa dimora dove più non c’è vita. Lamento dei flauti per Tammuz (antico inno babilonese)

Secondo la tradizione, Tammuz, sposo o amante della grande Dea Madre dei babilonesi, Ishtar, ogni anno moriva in circostanze vaghe (le fonti sono diverse e discordanti). Ishtar andava alla sua ricerca nell’oltretomba: in sua assenza, animali e piante dimenticavano di riprodursi, e la terra era consegnata alla momentanea sterilità. Per riavere Tammuz, Ishtar doveva lottare con Allatu, regina degli Inferi. 
Sarebbe forse riduttivo considerare Tammuz, come gli altri dèi a cui accenneremo, solo come la personificazione della vita vegetale che ogni anno si rinnovava, ma è evidente che il tema della fertilità nell’immaginario a lui legato era predominante; la prova è che i babilonesi collocavano la morte del dio al solstizio d’estate, momento dopo il quale le giornate cominciano ad accorciarsi, nel mese che da lui prendeva il nome, e osservavano un lutto di sei giorni durante i quali elevavano in suo onore inni che (come quello citato in apertura) paragonavano la sua dipartita alle piante che prendono ad appassire.

mercoledì 16 ottobre 2019

L'orsa col nodo sulla coda

Questa storia inizia una ventina di anni fa, ma con quell'inizio l'oggetto del post ha ben poco a che vedere. Erano gli anni in cui avevo ormai messo da parte le letture di fantascienza che avevano monopolizzato il mio interesse nella mia prima giovinezza per passare a qualcosa di più, se così si può dire, "mainstream". Sul finire degli anni Novanta (ma forse erano già i Duemila) mi ero intestardito a leggere i romanzi di Dean Koontz, che al tempo trovavo piacevoli (anche se maledettamente superflui, col senno di poi) e non mi facevo mai scappare un suo titolo quando e se me ne saltava uno all'occhio frugando nelle bancarelle dell'usato. Non era difficile visto che i Koontz, allora come ora, te li tirano dietro un tanto al chilo. Oggi quasi tutti quei romanzi di Koontz sono tornati a vivere nel loro ambiente naturale (la bancarella): tutti tranne, forse, "Ladri di tempo" (Time Thieves, 1972), scampato al suo destino solo perché uscito nell'inviolabile collana "Urania". Non mi è rimasto nulla di "Time Thieves" (e questo la dice lunga), ma ricordo perfettamente quel "sense of wonder" che mi lasciò quel breve racconto-extra posto in appendice di quel numero di Urania datato 1973.

giovedì 10 ottobre 2019

The Capsule

On the first part of the journey I was looking at all the life There were plants and birds and rocks and things There was sand and hills and rings […] 

La rubrica Obsploitation può anche essere molto diversa da come l'ho presentata sino a ora. Se sulla sua superficie si possono scorgere strutture spesso elementari, talvolta rudimentali nella loro consistenza, altre volte l'occhio allenato può scorgere elementi inespressi, proiezioni della mente che riescono ad intaccare appena la sua superficie, senza tuttavia mai comprometterla. Non intendo, con questo, mettermi a parlare di filosofia: non è quella la mia materia di studio. Nemmeno intendo dispensare saggezza: non sono ancora abbastanza vecchio per aver imparato la grande lezione della vita. Ciò che faccio è osservare, riflettere e farneticare su un blog, di fronte ad un pubblico che, mano al telefono, si chiede se sia il caso di chiamare un terapeuta. Ho usato il termine "osservare" non per caso, visto che oggi siamo qui a inaugurare "Obsploitation Visions".
In "Visions" è principalmente il cinema, con le sue immagini, il seme da cui si origina quella babele di pensieri che, senza indugio, già da oggi mi ritrovo a mettere su carta. Immagini, nient'altro che immagini. Chiare, distinte, ma anche fortemente simboliche. Ed è da un lavoro enigmatico, esoterico e iniziatico come “The Capsule” (2012), della regista greca Athina Rachel Tsangari, un arthouse di soli 35 minuti, che  ho deciso di partire.

venerdì 4 ottobre 2019

Traditi dalla fretta #15

Siamo ad ottobre ed è ormai giunto il tempo per un nuovo appuntamento con Traditi dalla fretta, periodica rubrica di segnalazioni letterarie e di acrobazie mentali di un blogger problematico.
Sono stato piuttosto distratto ultimamente, lo ammetto. Anzi, è proprio il caso di dire che sono stato tradito dalla fretta, visto che ho impegnato la maggior parte del mio tempo a correre di qua e di là trascurando colpevolmente il blog mio e quelli a me confinanti. Avevo grandi progetti per i mesi estivi: chiudere il blog avrebbe dovuto servirmi in parte per riposare, ma in parte anche per prepararmi alla nuova stagione, prendendo appunti, abbozzando bozze, raccogliendo idee...
La realtà è che, a parte ciò che avete letto nel corso del mese di settembre, la mia mente è rimasta occupata altrove, con il risultato che mi trovo a iniziare un nuovo mese in totale affanno, con l'orizzonte completamente sgombro. Nulla di preoccupante. Altre volte mi sono ritrovato nella situazione di dover accelerare i ritmi in momenti che parevano essere disperati, e grazie a qualche santo in paradiso che non si lascia eccessivamente turbare delle mie imprecazioni, sono sempre riuscito a farcela.
Traditi dalla fretta cade a fagiolo in momenti come questo: come immagino sia intuibile, è un esercizio che richiede uno sforzo minimo e garantisce un buon rendimento. Le segnalazioni non sono moltissime ma, come sempre, tra le più prelibate che vi potessi offrire.
Prima di procedere lasciatemi però cogliere l'occasione per ringraziare Gioacchino Di Maio del blog "Duecento pagine" per essere uscito con un bell'articolo su "I poteri delle tenebre" (Il Dracula islandese ritrovato) negli stessi giorni in cui qui si cercava di ricostruire la vicenda del Dracula turco. Nel caso vi fosse sfuggito, vi raccomando di recuperarlo: è un tassello che ancora mancava a questo puzzle che pare sia ancora ben lontano dalla sua conclusione.

sabato 28 settembre 2019

Dracula in Istanbul (Pt.2)

Kazıklı Voyvoda (1° edizione, 1928)
in alfabeto ottomano - Fonte: Javier Arries
LA PRIMA PARTE SI TROVA QUI

Immagino (ma più che altro spero) che non vi sia sfuggito qualche giorno fa il mio post "spin-off" dedicato al film tratto da "Kazıklı Voyvoda" (Dracula in Istanbul) di Ali Rıza Seyfioğlu.
Se malauguratamente ve lo siete perso non affannatevi a cercarlo qui. Andate piuttosto a visitare il blog dello zio Nick che, cortesemente, ha ospitato i miei deliri di recensore.
Tornando a noi, la volta scorsa stavamo tentando di scovare le differenze tra l'immortale opera dello scrittore irlandese Bram Stoker e la sua versione "non autorizzata" proveniente dalla Turchia. Riprendiamo quindi da dove eravamo rimasti.
I primi capitoli del romanzo, quelli che seguono l’agente immobiliare nel suo incarico in Transilvania, sono più o meno identici al suo originale, al di là di qualche dettaglio minore, e la stessa numerazione dei capitoli ricalca bene l’opera di Stoker. A un certo punto si direbbe però che Seyfioğlu si sia reso conto della difficile impresa di tradurre un’opera così complessa, e che abbia deciso di procedere in maniera più spedita, prendendo l’improvvisa decisione di tagliare con l’accetta tutto ciò che a suo modo di vedere era superfluo. L’evidenza di questo cambiamento di pensiero la troviamo proprio al termine della sezione “orientale” di Dracula, quando Seyfioğlu smette addirittura di numerare i capitoli e procede diritto per la sua strada.

domenica 22 settembre 2019

Dracula in Istanbul (Pt.1)

Ebbi modo di farne un breve accenno qui sul blog un paio di anni fa, nei giorni in cui venne resa pubblica l’iniziativa della casa editrice britannica Neon Harbor di pubblicare, per la prima volta in una lingua occidentale, questo sconosciuto testo turco ispirato alle vicende del vampiro più celebre della letteratura. Nel frattempo, il volume è stato pubblicato, distribuito e, grazie al meraviglioso web, ne ho ordinato e ricevuto una copia. Complici poi quelle mie due settimane di luglio lontano dalla routine quotidiana, come avevo già accennato in un post di pochi giorni fa, mi sono infine deciso a tuffarmi a pesce tra le sue pagine.
Stiamo parlando di "Kazıklı Voyvoda", tradotto in inglese come "Dracula in Istanbul" e completato da un sottotitolo piuttosto rivelatore che lo definisce come una "versione non autorizzata" del celebre classico di Bram Stoker.
Il punto interessante è proprio questo: "Kazıklı Voyvoda" è letteralmente un clamoroso caso di plagio perpetrato nel 1928 dal poeta e scrittore turco Ali Rıza Seyfioğlu, il quale si appropriò del testo originale, lo tradusse, tagliò via le parti a suo parere meno interessanti, aggiunse nuove situazioni e una volta terminata quell'operazione di fine sartoria lo presentò al pubblico spacciandolo come suo.

lunedì 16 settembre 2019

Invisibili: Touch me not

Tell me how you loved me, so I understand how to love. (Adina Pintilie)

Il tema dell'intimità umana e del rapporto che abbiamo con i nostri corpi e con i corpi degli altri è affascinante. Avete mai riflettuto sulla questione della "pelle"? Quella sensazione inspiegabile per la quale la sola idea di avvicinarvi fisicamente a una persona vi disturba, anche se tale persona oggettivamente rientra nei canoni universali di bellezza? Qualcuno la chiama chimica, anche se non so se è la parola giusta.
Stiamo parlando di un film che mette in scena situazioni al limite del grottesco, offrendo la scena ad attori non professionisti che qualche opinione in proposito ce l'hanno, specie quelli tra loro che soffrono di menomazioni fisiche talmente gravi dal renderne difficilmente sopportabile anche la sola vista.

martedì 10 settembre 2019

Non aprite quell'armadio

L’estate volge al termine e per me è il tempo di abbassare il sipario su una delle iniziative più longeve delle blogosfera cinefila. La “Notte Horror”, quel piccolo esperimento che vide la luce anni fa senza grandi prospettive, mette in archivio anche la sua sesta edizione, chiudendosi oggi proprio qui su Obsidian Mirror dopo due mesi di tournée in giro per l’Italia.
Numerosissimi sono stati i blogger che quest’anno hanno aderito al progetto, ancora più di quanti potessi mai sperare, vista la tendenza involutiva degli anni precedenti. Alcuni amici inevitabilmente si sono persi per strada, ma nuove voci nel frattempo si sono aggiunte al coro, e ciò ci è di assoluto conforto per il futuro.
Ancora una volta, a beneficio di chi bazzica da queste parti solo raramente, ricordo che la nostra “Notte Horror” nacque con il proposito di rievocare quegli omonimi appuntamenti televisivi che negli anni Novanta proponevano in tarda ora lunghe maratone di filmacci horror. Tutto ciò che si fa da queste parti è "recensire" uno a scelta di quei vecchi film (e ci tengo a precisarlo perché qualcuno in passato aveva frainteso).
Nella scelta, l’unica regola imposta ai partecipanti è che si tratti di un horror tamarro d’epoca. E quale miglior scelta, la mia, se non uno tra quei milioni di film, di vario spessore culturale, il cui titolo ci mette in guardia dal fare qualche cosa?

giovedì 5 settembre 2019

Rileggendo Dracula

Sono stato sempre perplesso sull'utilizzo in questo blog del temine "recensire" che, come salta agli occhi anche a chi non conosce la materia, condivide la stessa radice latina di "nuovo", "recente". Si può dire tutto di questo blog, infatti, tranne che sia solito parlare delle ultime novità, sia in campo letterario che cinematografico (con la sola ovvia eccezione della rubrica "Traditi dalla fretta", che occupa uno spazio a se stante).
Non può quindi apparire strano che io oggi abbia deciso di dedicarmi ad un romanzo che risale a oltre un secolo fa, un romanzo sul quale è già stato detto di tutto e in tutte le salse. Tuttavia, "Dracula" (1897) è un romanzo che, per la sua singolarità, è ancora attualissimo, e sono certo che continuerà ad esserlo nei secoli a venire.
Nel corso dell'estate appena trascorsa ho deciso di riprendere in mano questa lettura, che già avevo completato negli anni della mia fanciullezza, per un motivo che capirete nel corso del mese di settembre. L'edizione in mio possesso, la cui copertina ho inserito qui accanto, risale appunto a quel periodo: si tratta una prima edizione Oscar Mondadori del 1979 scritta in caratteri talmente minuscoli che oggi, a differenza di quand'ero più giovane, sono riuscito a leggere solo grazie all'intensa luce solare che illuminava me e la spiaggia tutt'attorno nei primi giorni di luglio.

venerdì 30 agosto 2019

Confessioni di una maschera #3

Avevo pensato di riaprire il blog dopo la pausa estiva con uno dei miei tipici post “del rientro”, uno di quelli in cui sono solito illustrare progetti futuri recriminando contestualmente di non essere riuscito a onorare quelli passati. Li conoscete bene, quei post, visto che ogni qual volta se n'è presentata l’occasione non ve ne ho mai risparmiato uno. Una volta tanto, però, mi sono detto: “basta”! Ecchecavolo! Se mi sono annoiato io, mi sono detto, figuriamoci che tedio deve provare chi passa di qua come visitatore. Ho deciso quindi di aggirare il problema entrando direttamente nel vivo del blog, come se non ci fosse mai stata una pausa estiva.
Giusto due righe introduttive valeva però la pena di scriverle, sfruttando magari quel piccolo spazio iniziale che ho riservato a me stesso nei “Traditi dalla fretta”… ma anche quella rubrica è stata più che mai abusata ultimamente. Non mi rimaneva quindi che riportare alla luce le “Confessioni di una Maschera” e utilizzare quel contenitore per i saluti e i ben ritrovati. Così è stato.

sabato 20 luglio 2019

Preludio allo spazio

Avevo intenzione di chiudere il blog per ferie già la scorsa settimana ma, pensandoci bene, l'occasione che mi si propone oggi è di quelle ghiotte, una di quelle che costringono a rivedere i piani anche se cascasse il mondo. In fondo, una settimana in più o in meno di blogging non ha mai fatto male a nessuno, mi sono detto, per cui tanto vale fare un ultimo sforzo ed essere presente in rete. L'occasione a cui mi riferisco, come certamente avrete intuito, è il cinquantesimo anniversario del coronamento della missione spaziale Apollo 11, quella che permise a Neil Armstrong e a "Buzz" Aldrin di mettere piede per la prima volta sulla Luna. 
Almeno questo è quello che ci è stato detto, naturalmente. Ma tranquilli, non vi tedierò ripetendovi la solita "favoletta" che vede Stanley Kubrick alla regia di una delle più grandi messinscene di tutti i tempi: se cercate quello, sono sicuro che usciranno oggi un po' in tutto il mondo articoli e approfondimenti sulla questione "se ci siamo andati oppure no"; magari alcuni redattori se ne verranno fuori con nuove, schiaccianti prove a favore dell'una o dell'altra ipotesi. Se proprio volete sapere come la penso, beh, diciamo che preferisco lasciarvi nel dubbio. Magari troverete la risposta tra le righe...

lunedì 15 luglio 2019

Seicento!

In occasione di certe ricorrenze, di solito mi lascio andare ai ricordi. Tra i tanti, quello a cui sono più legato e con il quale nel tempo più vi ho sfracellato i cog#ioni è quello di quel piovoso pomeriggio di aprile del 2011 quando, colto non so da quale demone, decisi di aprire The Obsidian Mirror... Mi chiedo come sarei io adesso se non lo avessi fatto, se non mi fossi lasciato cogliere dalla mania di grandezza, trasferendo quelli che erano i miei primi esperimenti su mySpace a questa piattaforma sulla quale ancora oggi scrivo, nel bene e nel male.
Oggi il blog festeggia il suo seicentesimo post e, come è ormai tradizione da queste parti, è una fantastica occasione per tirare le somme. A beneficio di chi mi segue da poco, inizio col dire che la pratica di festeggiare il post con il “doppio zero” è una scelta che ho sempre preferito a quella classica del “bloggheanno” (o “compleblog” che dir si voglia): celebrare un centenario per me significa mettere in archivio un risultato effettivamente raggiunto, quello della scrittura, risultato che prescinde dalla variabile tempo, visto che ai compleanni ci si arriva sempre e comunque, anche senza scrivere niente. Nella realtà quest'ultima centuria, che è partita nell'ottobre 2017, è stata più faticosa del solito: e non solo perché ci ho messo due mesi in più della mia solita media per raggiungerla, quanto per il fatto che sarei ancora qui a guardarla da lontano se non ci fossero stati tutti quei guest-post che, ve lo ricorderete, hanno quasi monopolizzato il blog nella primavera dello scorso anno. Ah! Quasi dimenticavo! Va bene festeggiare il blog, ma coincidenza vuole che oggi dovrei festeggiare anche me stesso, visto che il piccolo Obsidian è venuto al mondo proprio il 15 luglio di... tanti anni fa, quando ancora circolava la Fiat 600 prima serie.

martedì 9 luglio 2019

Traditi dalla fretta #14

Nonostante non sia passato poi così tanto tempo dalla precedente, la pubblicazione di una nuova puntata di "Traditi dalla fretta" era necessaria in questa seconda settimana di luglio. Le cose da presentare sono ancora una volta numerosissime, ma fondamentalmente non sono solo quelle il motivo.
C'è innanzitutto da precisare che vi sto scrivendo da una spiaggia, quella che mi sono scelto per trascorrere in assoluto relax queste vacanze estive 2019. E su tale spiaggia mi tratterrò per un'intera settimana ancora.
Ovviamente non è vero che mi sono portato un computer sotto l'ombrellone: fortunatamente esiste un concetto che si chiama "programmazione" e che ho ignobilmente utilizzato per simulare la mia presenza in rete quando, al contrario, mi sto facendo allegramente i fatti miei.
Era comunque necessario farsi vivi anche solo per annunciare che il blog, nonostante il parere contrario del suo amministratore, avrà presto intenzione di prendersi una vacanza ancora più lunga, tipo fino alla fine di agosto. Tanto sappiamo tutti bene quanto desolata sia la blogosfera in questo periodo.
Una pausa quindi servirà per mettersi a produrre nuovo materiale per la nuova stagione senza l'angoscia di dover per forza pubblicare qualcosa il giorno dopo. Ci saranno solo un paio di eccezioni a questa pianificazione (un paio di post da qui a fine luglio, già scritti e programmati), ma giusto per onorare degli impegni che mi ero preso precedentemente. Verso i primi di settembre ci sarà poi anche qui il tradizionale appuntamento con la Notte Horror...

lunedì 1 luglio 2019

Quando scocca la mezzanotte...

"...ero a caccia di storie, di creepy-pasta, di spunti e ispirazioni sugli specchi. E guarda cosa capita? Una bella storiellina che si basa su un’ antica credenza popolare americana [...]. Il titolo è tutto un programma: “On Halloween look in the glass”! È la storia di una ragazza che prova a mettere in pratica questa vecchia leggenda: se allo scoccare della mezzanotte, nella notte di Halloween, si accende una candela e si cammina all’indietro fino ad arrivare di spalle ad uno specchio, voltandosi si dovrebbe distinguere nel riflesso, proprio sopra la spalla sinistra il volto della persona che si amerà per tutta la vita..."
Quanti di voi si ricordano di queste parole che, giusto un anno fa, furono lasciate qui sul blog da Luigi Parisi, graditissimo ospite con il pallino della macchina da presa?
Se la memoria non dovesse essere la virtù di cui andate più fieri, non preoccupatevi: anch'io, lo ammetto, sono dovuto andare a rileggere ciò che avevo scritto in quell'occasione per poter riprendere il filo del discorso lasciato interrotto. Se avete un po' di tempo e non sapete come spenderlo vi invito quindi ad andare a rileggere "L'uomo dello specchio", un post in due parti dove il sottoscritto ebbe il privilegio di intervistare il sopra citato Luigi Parisi (qui la prima parte, qui la seconda), un personaggio che è ben più di un semplice appassionato "col pallino della macchina da presa", come scherzosamente l'ho definito poc'anzi.

venerdì 21 giugno 2019

Invisibili: la sindrome di Dio

LA PRIMA PARTE SI TROVA QUI

Nella prima parte di questo articolo abbiamo fatto la conoscenza di Dante Remus Lăzărescu, un uomo che, oltre a essere completamente solo al mondo, è anziano, vedovo, povero, malato, fisicamente e psicologicamente uno sfacelo, mezzo alcolizzato e definitivamente privo di prospettive.
Sull’invisibilità che un qualsiasi signor Lăzărescu possa sperimentare nel nostro mondo reale credo non ci sia da dubitare, ma ci sono dei casi in cui l’invisibilità trascende la solitudine e tutti gli altri parametri appena elencati e trascina nel suo vortice anche noi (o voi) che pensiamo (pensate) di essere ben integrati nella nostra (vostra) comunità. Uno di questi casi credo l’abbiate vissuto anche voi se, almeno una volta nella vita, avete dovuto ricorrere alle cure di un pronto soccorso (non importa se come pazienti o come accompagnatori): sicuramente vi sarete trovati in quella tipica situazione kafkiana in cui vi fanno accomodare da qualche parte e lì vi fanno rimanere, senza mai dare un cenno di vita per una decina di ore (in codice verde o, peggio, in codice bianco, le prospettive di uscire dall’incubo il giorno stesso tendono inoltre drammaticamente allo zero). L’esempio del pronto soccorso (ma avrei potuto riferirmi a qualsiasi altro ufficio pubblico) non è casuale, perché Dante Lăzărescu, esattamente come il “ghibellin fuggiasco” (cit.) suo omonimo, di ospedale in ospedale vivrà un inferno al cui confronto persino la sua stanca e lenta vita da emarginato sociale gli parrà rosea.

martedì 18 giugno 2019

Invisibili: la morte della dignità

Ci sono diverse cose che mettono angoscia quando si parla di solitudine, e non sto parlando solo di quanto sia spiacevole, per coloro che rientrano in questa categoria, andare al ristorante da soli, andare al cinema da soli o trascorrere le feste comandate senza la compagnia di qualcuno di particolarmente caro.
Uno degli aspetti a mio modo di vedere più terrificanti è dover affrontare in solitudine le grandi tragedie della vita, la malattia, il declino e in ultimo la morte. Vi sembrerò macabro, ma ricordo che rimasi fortemente impressionato quando, molti anni fa, venni a sapere che una persona che avevo avuto modo di conoscere per questioni di lavoro (un cliente di non ricordo quale località del ponente ligure) era stata trovata nel suo letto, morta da due settimane.
Ecco, morire in solitudine è una cosa che non vorrei mai mi capitasse. Non che ci sia molta differenza, direte voi tirando le opportune somme. In fondo, quando arriva il momento di andarsene poco importa ciò che è avvenuto negli istanti precedenti. È un discorso piuttosto irrazionale il mio, lo ammetto, considerando che nessuno mai è tornato a raccontarci com’è andata.

mercoledì 12 giugno 2019

Traditi dalla fretta #13

Mentre su New York calano le prime ombre della sera e qui su Milano calano i primi caldi afosi che mai a questo punto pensavamo potessero calare, "Traditi dalla fretta" torna nuovamente a reclamare il suo spazio. La scorsa volta, giusto un paio di mesi fa come da protocollo, decisi di mettere da parte le segnalazioni per fare qualche riflessione sul futuro di questo blog. Non vi tedierò ulteriormente con le mie seghe mentali, state tranquilli: in quelle avrò modo di coinvolgervi prossimamente, in occasione della pubblicazione del seicentesimo post del blog che ormai, quasi non mi sembra vero, è dietro l'angolo.
In questa tredicesima puntata della rubrica, un po' per bilanciare l'anomalia della dodicesima, mi dedicherò esclusivamente a mettere ordine fra i tanti appunti sparsi qui sul mio tavolo sotto forma di post-it virtuali. Non è per niente facile, ve lo assicuro, dover fare una selezione tra tutto quanto ho visto accadere dal mio angolino, ma se da qualche parte non inizio, da nessuna parte vado a finire. Provo a essere anche insolitamente breve in questa mia introduzione, più che altro perché sta scoccando la mezzanotte e quella dannata sveglia se ne starà buona per non più di altre sei ore. Non avete idea di quanto sia difficile tarpare un discorso sul nascere ben sapendo che le occasioni per riprendere il filo del discorso potrebbero non ripresentarsi. Avevo anche pensato di spendere due righe sul collega blogger scomparso tragicamente un mese fa... ma poi mi sono guardato dentro e quel che ho visto è stato un perfetto signor nessuno. Lascio ad altri, a chi lo aveva conosciuto davvero, il compito di onorarne la memoria. Io timidamente cedo il passo.

giovedì 6 giugno 2019

Prima neve sul Fuji (Pt.2)

LA PRIMA PARTE SI TROVA QUI 

Un altro romanziere, Kazumi, è il protagonista di “Yumiura”. Una donna gli fa visita e gli dice di averlo conosciuto a Yumiura, dove abitava prima di sposarsi, circa trent’anni prima, snocciolando nomi e date e molti altri dettagli. Addirittura, all’epoca Kazumi le avrebbe chiesto di sposarlo, e dopo tanto tempo la donna lo ricorda ancora con molto affetto, al punto da aver intrapreso quel viaggio proprio allo scopo di poterlo rivedere e parlare con lui. Kazumi invece non ricorda affatto quella donna, e consultando un atlante non riesce nemmeno a trovare alcuna traccia di una città chiamata Yumiura nel Kyūshū. Certo, ciò che la donna racconta potrebbe essere una fantasia o il frutto di una mente malata… oppure, quello dei ricordi è un labirinto che divide le persone, e nel quale certi fatti ci sono o non ci sono accaduti a seconda che li ricordiamo o meno. Forse ciò che non conserviamo nella memoria non è mai avvenuto, ed è questo il motivo per cui non è mai possibile condividere con altri il nostro personale mondo dei ricordi. 

domenica 2 giugno 2019

Prima neve sul Fuji (Pt.1)

Il post di oggi vuole onorare un impegno preso con me stesso (ma anche con voi) molto tempo fa e poi rimasto disatteso senza un vero perché. Oggi dunque vi parlerò di “Prima neve sul Fuji”, una raccolta di racconti di Yasunari Kawabata risalente al 1958, ma resa disponibile ai lettori italiani soltanto nel 2000 da Mondadori. 
Avendo ripreso in mano questo volume a distanza di anni dalla prima lettura, mi sono reso conto che alcuni di questi racconti erano ancora ben impressi nella mia mente mentre due o tre li ricordavo appena, e fin qui nulla di strano, se non fosse che in tutti, oltre a una prosa lieve e scorrevole, sono centrali i rapporti umani e i sentimenti, non per forza amorosi, mescolati a temi come la comunione con la natura, il trascorrere del tempo, la vecchiaia e la morte, l’espressione artistica (alcuni dei personaggi principali sono scrittori e probabili alter ego dell’Autore); e questo rende ognuno di loro, anche quelli secondo me meno riusciti, a suo modo diverso e unico. Inoltre credo, anche se forse questo è un altro pensiero banale, che il ritratto dell’umanità che emerge da questi racconti sia universale ma allo stesso tempo sottolinei quelle che per noi sono le maggiori peculiarità giapponesi. 

lunedì 27 maggio 2019

Salvation Mountain

La prima volta che sentii parlare della Salvation Mountain era il 1995. I Kyuss, storico gruppo di stoner rock americano che si sarebbe sciolto due anni dopo, la ritrassero sul retro di copertina del loro disco di commiato “…and the circus leaves town”. In seguito avrei avuto modo, del tutto casualmente, di mettere le mani su un volume della Taschen che riporta alcune sue foto (Eccentric Style, 2002), e dopo ancora di vedere il film di Sean Penn (Into the Wild, 2007) in cui l’ideatore della Salvation Mountain, Leonard Knight, compariva in un cameo interpretando se stesso, ma all’epoca non possedevo un computer tutto mio, non avevo internet a disposizione e trovare informazioni su quell’installazione era abbastanza complicato. 
Per chi non la conoscesse, la Salvation Mountain è semplicemente uno dei più begli esempi di arte folk del mondo e si trova a Niland, appena fuori da Slab City, un piccolo villaggio composto principalmente di camper e roulotte - non troppo dissimile dal tipico agglomerato che si può trovare nel deserto, con le uniche asfittiche costruzioni in lamiera, che io stesso ho potuto vedere di persona quando ho visitato i dintorni nell’ormai lontano 2005. 

martedì 21 maggio 2019

Orizzonti del reale (Pt.21)

Ronald Stark
LA PRIMA PARTE SI TROVA QUI

Mettiamola così: nessuna delle sostanze che smerciavano veniva considerata da Leary pericolosa per la salute. Tuttavia, l’illegalità richiama altra illegalità, perché il denaro proveniente da attività illecite dev’essere “ripulito” prima di poter essere speso, il che in seno al gruppo costituiva la principale occupazione di Bill Hitchcock. Hitchcock riciclò gran parte dei fondi trasferendoli prima nel paradiso fiscale delle Bahamas e poi in Svizzera e nel Liechtenstein, ma a partire dal 1969 alcuni gravi avvenimenti concorsero ad allontanarlo dal gruppo.
Innanzitutto, la dogana statunitense fermò un commesso viaggiatore che trasportava denaro riciclato dalla Svizzera e questi, in preda al panico, fece il nome di Hitchcock; in seguito, Hitchcock e lo stesso proprietario della banca persero molto denaro in operazioni finanziare dubbie, e a quel punto a Bill non restò che tornare a Millbrook e trovarsi un legale per difendersi dalle accuse di evasione fiscale, frode e illeciti vari.
Ma nel 1969 la Confraternita aveva già perso un altro dei suoi elementi principali, quel John Griggs che aveva invitato Leary e i suoi seguaci a Laguna beach e che li aveva poi seguiti a Idylwild. Quando Griggs morì, si disse che aveva sbagliato a calcolare la sua dose di pillole di psilocibina; Leary, invece, sostenne che Griggs avesse comprato quelle pillole sul mercato nero di Los Angeles e si disse certo che ci fossero agenti federali pagati per smerciare di nascosto droghe adulterate con veleno nell’ambiente della Controcultura e incolpare i suoi membri di queste attività.

mercoledì 15 maggio 2019

Invisibili: il raggio verde


È meglio vivere in solitudine sognando un ideale piuttosto che arrendersi ad una mediocre realtà (Marie Rivière, Delphine).
Ero più o meno adolescente quando in tarda sera, su una di quelle emittenti che ero solito snobbare (credo fosse RaiTre), incappai in un film che non si avvicinava nemmeno lontanamente al solito cinema a cui ero abituato. Non era un horror, tanto per citare un genere che già amavo alla follia, ma non era nemmeno uno di quei film che ci si aspetta possano piacere a un adolescente, quelli dove c'è gente che fa a pugni, guida macchine veloci e mostra signorine di niente vestite.
Oggi non saprei nemmeno dire perché, contro ogni previsione, non cambiai canale dopo cinque minuti: qualcosa evidentemente aveva catturato la mia attenzione, e quel qualcosa non poteva essere che uno dei temi a cui gli adolescenti dell'epoca (non so se sia così ancora adesso) erano più sensibili, ovvero la solitudine. Da quel giorno ne è passata di acqua sotto i ponti. E assieme all'acqua sono passati anche trent'anni. Nonostante ciò, la solitudine è sempre stato un tema che mi ha affascinato, vuoi perché a tratti ne ho sofferto in passato, vuoi forse perché, anche quando la solitudine ti lascia, ti rimane sempre appiccicato un pizzico di malinconia per quei giorni, masochisticamente parlando. "La solitudine è molto devastante, però riserva in te purezza", fa dire Eric Rohmer a Delphine, la sua protagonista, ed è la frase che meglio sintetizza quella strana voglia di scrivere di solitudine che ancora oggi non mi abbandona.

giovedì 9 maggio 2019

Orizzonti del reale (Pt.20)

LA PRIMA PARTE SI TROVA QUI

Lo scorso articolo si è chiuso con Leary e Alpert felicemente trapiantati nella tenuta di Millbrook, la Mecca della Psichedelia. Tutto questo era però destinato a finire entro il 1966. Molti dei “pellegrini” in visita a Millbrook erano disposti a pagare bene per il loro trip e facevano molta pubblicità all’attività del gruppo, esponendolo alle ritorsioni della Buoncostume. E difatti, l’FBI effettuava numerose incursioni e arresti, spesso con accuse pretestuose, finché tutta questa attenzione indesiderata non spinse i capifamiglia degli Hitchcock a sfrattare i loro famosi inquilini.
Leary ne fu in qualche modo sollevato, perché la vita a Millbrook non era tutta rose e fiori, caratterizzata com’era da liti e contrasti tra le varie fazioni che nel tempo si erano formate al suo interno. Persino lui e Alpert finirono per separarsi per via della loro visione contrastante della questione spirituale: se quest’ultimo asseriva che il cambiamento interiore cominciasse e finisse all’interno, Leary lo vedeva invece come il primo passo di un’evoluzione che doveva riguardare la società intera. Il significato del motto Accenditi. Sintonizzati. Lasciati andare [Distaccati] (“Turn on, Tune in, Drop out” [1]) e del concetto di Politica dell’Estasi (“Politics of Ecstasy”), che avrebbero dato il nome a due sue famose opere, sta proprio in questo. Leary si cimentò dapprima in un inconcludente dibattito sull’LSD promosso da una Commissione Parlamentare guidata dal senatore Ed Kennedy, per poi concludere, ispirato dal guru dei media Marshall McLuhan, che era forse meglio divulgare le basi del suo pensiero direttamente alle masse con quelli che oggi chiameremmo senza mezzi termini dei veri e propri slogan pubblicitari. Erano molto lontani i tempi in cui Leary avrebbe affidato le sue speranze ai computer e alla cybercultura, ma bisogna dire che oggi ciò che si ricorda maggiormente di lui, spesso senza averli compresi a pieno, sono proprio i suoi “mantra” e le sue frasi a effetto.

venerdì 3 maggio 2019

Bambi contro Godzilla

Poster realizzato da CMYK46 per Pxleyes.com
Cosa avrò mai da raccontare di un cortometraggio animato che dura solo 90 secondi? Beh, chi mi segue da tanti anni sa benissimo che sono stato talvolta in grado di elaborare lunghi discorsi filosofici partendo praticamente dal nulla cosmico. Nient’altro che esercizi di scrittura, starete pensando. Ecco, in un certo qual modo questo potete prenderlo proprio come uno di quegli stessi esercizi, ma con la sostanziale differenza che “Bambi Vs Godzilla” offre numerosi spunti degni di essere approfonditi, non ultimo il fatto che per quasi mezzo secolo lo si è ritenuto una pura leggenda, una leggenda sulla quale andava raccontato quel tanto che bastava per tenere viva l’attenzione su di essa senza tuttavia mai scendere troppo nei dettagli.
È la stessa logica delle leggende metropolitane: qualcuno che conosciamo avrebbe sentito dire (da qualcun’altro che conosce solo lui, e che a sua volta conosce qualcuno che è parente, zio, cugino dell’anziana signora che abitava dirimpetto al salumiere del paese dove stava prima di sposarsi) dell’esistenza di una strana pellicola in cui si scontrerebbero senza esclusione di colpi il simpatico cerbiatto di Walt Disney e il lucertolone atomico di Ishirô Honda. Una pura leggenda metropolitana oppure una realtà di cui si è sempre saputo poco e nulla?

sabato 27 aprile 2019

Traditi dalla fretta #12

Sul finire del cammin di questo aprile, in cui il blog ha spento la sua ottava candelina, "Traditi dalla fretta" torna nuovamente a reclamare il suo spazio. Ancora una volta dovrebbero essere moltissime le news da proporre, ma vista l’occasione metterò un po' da parte le segnalazioni per lasciare il posto all'esposizione di qualche piccola idea che, seppure ancora a livello embrionale, potrebbe tramutarsi in qualcosa di concreto e divenire parte del palinsesto di questo blog. Nulla succederà domani, ovviamente, ma conto di iniziare a lavorarci sopra in un futuro abbastanza prossimo.
La questione dello “speciale di aprile” rimane ancora aperta. Sebbene quest’anno sia andata come sappiamo, numerosi sono stati gli incoraggiamenti a perseguire la formula originale. Ne consegue che arriveranno di sicuro altri speciali, ma dovranno essere loro ad adattarsi alle umane esigenze del blogger e non viceversa. Mi viene in mente per esempio la possibilità di abbandonare la tradizione del mese di aprile, originariamente pensata per celebrare in maniera simpatica il compleanno del blog. Ciò mi permetterebbe di lavorare con maggiore serenità e senza il patema di dover avere tutto pronto entro una data specifica. Mi viene anche in mente la possibilità di realizzare dei micro-speciali di tre o quattro post e che possano concludersi nel giro di una settimana. I recenti articoli dedicati al cinema di Carl Andersen, per esempio, se fossero stati pensati diversamente sin dall’inizio avrebbero benissimo potuto ricadere nella categoria degli “speciali”. La questione rimane comunque ancora aperta, come dicevo poco fa.

domenica 21 aprile 2019

Il barone

Oggi torniamo in Portogallo per parlare di un’opera che non è solo un classico del Novecento, ma è anche nota per la perfezione formale e per la maniera mirabile in cui testimonia la doppia natura, concreta e sentimentale, e profondamente nostalgica, di una nazione intera.
O Barão (Il Barone), del 1942, è l’opera omnia di António José Branquinho da Fonseca, personaggio di spicco del secondo Modernismo portoghese, e fu trasformata dal regista Edgar Pêra in un film incentrato su un vampiro, anche se invero molto particolare, in un’operazione che potrebbe apparire un po’ blasfema, ma che è innegabilmente affascinante: il suo O Barão (2011), lungometraggio di poco meno di due ore, mantiene però intatte le atmosfere rarefatte e sospese nel tempo del racconto, e almeno in questo la volontà di Branquinho da Fonseca può dirsi rispettata.
La novella è molto breve, e si può così riassumere: un ispettore scolastico viene inviato in uno sperduto villaggio di montagna e trova ospitalità nel palazzo del Barone, un personaggio che pare provenire dritto dal Medioevo ed è abituato a fare il bello e il cattivo tempo. Insieme, i due affrontano una serie di avventure notturne al limite del surreale, e dopo una serie di confidenze sempre più intime, favorite da una sorta di delirio nostalgico-alcolico, sembrano dar vita al germe di un’amicizia. Il mattino, però, si interromperà bruscamente l’idillio.

lunedì 15 aprile 2019

La monaca portoghese

"Sono riuscito, con molta cura e molti affanni, a recuperare una copia corretta della traduzione delle cinque Lettere portoghesi scritte a un nobile gentiluomo di stanza in Portogallo. Ho sentito tutti quelli che s'intendono di sentimenti lodarle o ricercarle con tanta sollecitudine, che ho creduto, dandole alle stampe, di far loro gran piacere. Non conosco il nome di colui al quale sono state scritte, né di colui che ne ha fatto la traduzione, ma mi è parso di capre che, rendendole note, non avrei recato loro un dispiacere. Difficilmente sarebbero state pubblicate senza errori di stampa, che le avrebbero sfigurate." (Claude Barbin, 1669.)
Fu non molto tempo fa che in una bancarella di libri usati trovai questo curioso, minuscolo quanto anonimo libretto nell'edizione Marsilio che vedete qui accanto. Non saprei dire perché mi rimase appiccicato alle dita così tenacemente da finire poi incastonato nella mia libreria. Forse il caso, forse una necessità improvvisa, forse qualcosa mi aveva inconsciamente colpito e ispirato... forse semplicemente il fatto che il libro era effettivamente anonimo, nel senso letterale che in copertina non era riportato il nome dell'autore.
Non avrei mai potuto immaginare che in quelle 30 pagine scarse, ampliate a 120 da una corposa pre(post)fazione, da numerose annotazioni e dal testo francese a fronte, si potesse trovare una così alta espressione di letteratura epistolare da far impallidire Goethe e tutti gli altri specialisti del genere.

domenica 7 aprile 2019

Vampiros Sexos

Carl Andersen: alzi la mano chi si ricorda  questo nome. Dai, non dovrebbe esservi del tutto ignoto, visto che solo un paio di mesi fa abbiamo affrontato uno dei film più allucinanti mai recensiti su questo mio piccolo blog, ed era proprio un film diretto da Carl Andersen. Se in quell'occasione avevamo definito il suo mediometraggio, senza troppi giri di parole, una coglionata, cosa mai si potrà dire oggi di "Vampiros Sexos", che di "Mondo Weirdo" rappresenta un po' la prova generale? Allacciate le cinture, quindi, perché c'è davvero il rischio di farsi male...
Prima di entrare nel vivo della questione, lasciatemi però chiudere un dibattito lasciato aperto la volta scorsa, vale a dire l'eventualità che i nomi delle attrici fossero verosimili. Possibile. ci chiedevamo, che Soledad Marceignac e Jessica Franco Manera siano nomi anagraficamente corretti? Possibile che non siano semplicemente stati scelti in omaggio al cinema di Jess Franco, tra l'altro menzionato come "ispiratore" nei crediti? Molti miei colleghi recensori giurerebbero di sì, rimarcando con orgoglio l'eventualità che la seconda sia niente meno che la figlia del quasi omonimo regista spagnolo. Quello che in realtà ho scoperto, andandomi a guardare bene i nomi di tutti i componenti del cast, è la presenza di ulteriori elementi sospetti. E se è vero che due indizi fanno una prova, allora cosa mai si potrebbe dire di tre, quattro o cinque indizi? Vediamo insieme di cosa si tratta.

lunedì 1 aprile 2019

A piccole dosi siamo speciali tutti

Primo giorno di aprile, giorno di pesci e, almeno in passato su questo blog, giorno di speciali. Mi chiedo in quanti là fuori siano venuti a farsi un giro su The Obsidian Mirror per capire se era per caso partito uno degli appuntamenti da queste parti più tradizionali. 
Lo speciale di aprile, lo dico subito a scanso di equivoci, quest'anno non si farà per tutta una serie di motivi. Potrei tirare in ballo la stanchezza, i molteplici impegni e il durissimo mese che si è appena concluso, durante il quale il sottoscritto è stato imbarcato su un aereo per ben otto volte (praticamente un record). Ma non è nemmeno quello. D'altra parte, uno speciale sul genere di quelli fatti in passato richiede molto più di un mese di impegno, e se avessi davvero voluto arrivare in orario all'appuntamento, come esperienza insegna avrei dovuto iniziare a scrivere già da ben prima di Natale. Così non è stato. E questo che avete davanti è l'inevitabile risultato.

martedì 26 marzo 2019

Gemini (Sōseiji)

«Bisogna accontentarsi di estrarre, tra i motivi che esercitano un'azione perturbante, quelli che più spiccano [...]. Questi motivi sono quello del "sosia" in tutte le sue gradazioni e conformazioni, ossia sono la comparsa di personaggi che, avendo uguale aspetto, debbono venire considerati identici». (Sigmumd FreudDas Unheimliche,  1919). 
Non poteva che iniziare con una citazione freudiana questo mio piccolo contributo al tema del "doppio", tema nel quale mi sono visto mio malgrado coinvolto per merito (o per colpa) di Kuku, la Cinecivetta, che a sua volta ha cavalcato l'onda sollevata dall'Etrusco su un prezioso assist di Federica, la cacciatrice di libri.
D'altra parte, una serie di favorevoli coincidenze mi stava già spingendo su questa stessa strada. Tralasciando il nome stesso di questo blog, che con il "doppio" ha sempre avuto molto a che spartire, la coincidenza più incredibile è la lettura, completata di recente, del sacro testo "Der Doppelgänger" (1914), una delle opere più importanti del filosofo austriaco, allievo di Freud, Otto Rank. Curiosamente, anche le coincidenze, al pari dei sosia, sono (psic)analizzate nel "Das Unheimliche" e, quasi come se quel cerchio volesse per forza chiudersi, eccoci catapultati nel post di oggi.

mercoledì 20 marzo 2019

Da donna a strega: sacerdotesse

L'INTRODUZIONE SI TROVA QUI

Nel mondo classico vi fu almeno un caso documentato di sacerdozio al femminile: sto parlando naturalmente delle Vestali, le sacerdotesse di Vesta, la controparte romana della greca Estia. Una dea che ha parecchio a che fare con l’immaginario cristiano.
La vergine Estia era una divinità che proteggeva la casa e il focolare: primogenita del padre Crono, fu la prima a venire ingoiata da lui e, di conseguenza, l'ultima a essere poi rigurgitata. Proprio per questo era ritenuta il centro dell'universo, e trovava spazio nell'edificio più importante di ogni città così come nei templi degli altri dèi. In un braciere circolare il fuoco, suo simbolo, doveva essere mantenuto sempre vivo, un'usanza poi estesa alla celebrazione delle Olimpiadi e in auge ancora oggi; all'inizio e alla fine del pasto calici di vino si levavano in suo onore.
Il culto romano di Vesta, per quel che ne sappiamo, era molto simile a quello di Estia, ma se possibile ancora più primitivo. Sappiamo per certo che le sue sacerdotesse, le Vestali, erano deputate al mantenimento del sacro fuoco (e chissà che le streghe medievali col loro calderone, o paiolo, oltre ad essere compagne simboliche – madri, figlie, mogli – del Sole, che è poi la fonte del fuoco stesso, non debbano qualcosa del loro immaginario a queste “custodi del fuoco”).

giovedì 14 marzo 2019

Confessioni di una maschera #2

Più di un anno è ormai passato dal giorno in cui lanciai il numero zero di questa rubrica e ancora non ho ben capito quale significato dargli. In un remoto numero uno, scritto tra una sigaretta e l'altra mentre vivevo da profugo in un monolocale preso in affitto tra due traslochi, avevo anche permesso a qualche idea di farsi largo (avrei voluto raccontare qualcosa di tutte le case che mi hanno ospitato nel corso di una vita, per esempio), ma dopo tanto tempo, e dopo tanti progetti ventilati e mai realizzati, non so se è davvero il caso di continuare su quella strada.
Confessioni di una maschera rimane però uno spazio dedicato ai ricordi, con particolare attenzione a quelli più remoti, belli o brutti, che il tempo ha cancellato o rischia di cancellare.
Ed è quasi un caso che, giusto qualche giorno fa, frugando tra le mie vecchie cose di quand'ero ragazzino, è saltato fuori un vecchio disco. Un vecchio disco che ha riaperto una parte della memoria che avevo in tutti modi cercato di sigillare.

venerdì 8 marzo 2019

Flavia, eroina d'altri tempi

Un nuovo inaspettato capitolo di Obsploitation Rewind sbarca oggi in occasione dell’otto marzo,  riproponendo un articolo che era apparso, e non per caso, esattamente cinque anni fa, in questo stesso giorno, sul mio vecchio blog ormai da tempo dismesso.
In fondo, se non questa, non mi viene in mente altra occasione per andare a scrivere di un film che, sebbene oggi sia stato quasi dimenticato, può giustamente ergersi a simbolo dell’orgoglio femminile, incarnando quel dissenso verso ogni condizionamento repressivo, che oggi quasi tendiamo ad ignorare.
Tra l'altro il mondo non è cambiato molto negli ultimi cinque anni, così come non è cambiato molto negli ultimi cinque secoli. Riproporre quindi quella che ad alcuni potrebbe sembrare una "minestra riscaldata" è assolutamente coerente con la necessità di attirare attenzione a quanto ancora accade là fuori ogni giorno, nelle case e per le strade. Oggi come dieci, cento o mille anni fa. E se un giorno tutta questa disperata ricerca di simboli potesse perdere di significato, beh, quello sarà un bel giorno.
Da parte mia so benissimo che scrivere un post all'anno (o un post ogni cinque anni, come nel mio caso) è ridicolo. Tanto varrebbe far finta di niente e parlar d'altro, evitando in tal modo anche spiacevoli malintesi. Diciamo che, a scanso di equivoci, quella di oggi è una ricerca storica dedicata  a Flavia Gaetani, una donna e un’eroina del XV secolo di cui si è perso anche il ricordo, tanto è difficile, se non impossibile, trovarne qualche riferimento certo nel web.

domenica 3 marzo 2019

Il varco di Satana

Tra tante novità editoriali e tanti classici universali che avrei potuto recensire, oggi mi occuperò di un romanzo che è tutt’altro che una novità e che non è un classico neanche nel suo genere, tanto che il suo autore, Frank Dubrez Fawcett (1891-1968), originario di Driffield nello Yorkshire, non si è guadagnato nemmeno una voce di Wikipedia, neppure in quella del suo paese d'origine.
È anche vero che Fawcett non scelse mai un genere ben definito, passando con estrema scioltezza dalle hard-boiled gangster novels alle più romantiche avventure per ragazzi. Un particolare questo che forse lo ha un po’ penalizzato, così come certamente non ha favorito la sua notorietà la scelta di utilizzare una serie infinita di pseudonimi, tra cui Cass Borelli, Henri Dupres, Madame E Farra, "Griff", Eugene Glen, Duke Linton, Coolidge McCann, Elmer Eliot Saks, Ben Sarto e Hank Spencer (tra l’altro pseudonimi dietro i quali, nel corso del tempo, si sono alternati numerosi autori). Ma erano gli anni a cavallo della guerra e non deve stupire, vista la mentalità dell’epoca, che si preferisse rimanere nell’ombra, specialmente se chi versava lo stipendio, l’editore Edwin Henry Turvey, aveva sulle spalle una condanna a due anni per pubblicazione di letteratura definita “oscena”. (fonte)

lunedì 25 febbraio 2019

Mondo Weirdo

Iniziamo con la solita premessa: per anni ho ritenuto Mondo Weirdo essere il più brutto film di tutti i tempi.  No, "brutto" non è nemmeno il termine più adatto: "disgustoso" forse è meglio. Meglio ancora "vomitevole". La mia opinione non è cambiata, se è questo che vi state chiedendo. Semmai si è leggermente ammorbidita quella vecchia regola del blog secondo la quale mai e poi mai avrei segnalato o recensito porcherie. 
D'altra parte le logica di proporre una rubrica periodica come "Obsploitation", specialmente nella sua declinazione "Obspolitation Vomit", che debutta quest'oggi, mi ha costretto a riconsiderare certi parametri.
D'altra parte, mi viene da pensare, quale miglior titolo avrebbe mai potuto finire per inaugurare questa (discutibile) serie se non Mondo Weirdo, rintracciato casualmente in rete una ventina di fa quando ancora ero un ragazzino imberbe alle prese con il suo giocattolo nuovo. Non ricordo nemmeno quale sito fosse che lo aveva reso downloadabile, ma ricordo che da lì a poco quel sito, osceno tanto quanto le sue proposte cinematografiche, sparì nel nulla senza lasciarmi nemmeno il tempo di esplorarlo come avrei voluto. Sebben nella certezza che non fosse stata una gran perdita per l'umanità, mi rimane il rimpianto di ciò che oggi, da blogger navigato e navigante, avrei potuto trovare in quell'archivio digitale. Ma veniamo a noi.

martedì 19 febbraio 2019

Traditi dalla fretta #11

Colpa forse della prolungata pausa natalizia, era da diverso tempo che la rubrica di divagazioni "Traditi dalla fretta" non faceva la sua apparizione qui sul blog. Moltissimi dovrebbero quindi essere i contenuti da proporre nel corso dell'appuntamento odierno ma... così non è.
Anch'io, come spero tanti di voi, mi sono affaccendato in tutt'altre faccende. Ho staccato la spina come mai prima d'ora avevo fatto e mi sono goduto una totale disintossicazione dal mondo digitale... ma tutto questo probabilmente ve l'ho già detto.
Nel frattempo gennaio se ne è andato e anche febbraio, ridendo e scherzando, lo sta per seguire. Teoricamente mancherebbe poco più di un mese al tradizionale "Speciale" che, come ormai sanno anche i sassi, è uno dei pochi punti inossidabili e immarcescibili del calendario ossidianico... ma... ma...
Nell'attesa di capire se anche quest'anno sarò costretto a ricorrere a dei sotterfugi per onorare la tradizione, procediamo senza indugio con la presentazione di ciò che, malgrado tutto, ha attirato la mia attenzione.
Prima di farlo lasciatemi però spendere due parole su uno degli avvenimenti più malinconici di questo inizio d'anno, ovvero la chiusura della leggendaria libreria "Miskatonic University"...

mercoledì 13 febbraio 2019

Oscuro Prossimo Venturo

Racconti di fantascienza. Sì, ma che cos'è la fantascienza? Bella domanda. Una domanda a cui nemmeno io, che di fantascienza ne ho letta tanta, saprei dare una risposta compiuta. Questa raccolta di racconti, la cui copertina campeggia qui a lato, è davvero fantascienza come lascerebbe intendere il sottotitolo? Beh, diciamo che se state cercando quel genere un po' alla Star Trek, dove prevalgono viaggi interstellari e battaglie spaziali, allora non è certamente "Oscuro Prossimo Venturo" il libro che fa per voi. Non è nemmeno, per quanto ne sappia, quel glorioso genere nel quale la precisione scientifica precede quella letteraria: alcuni passaggi richiedono infatti, in tutta onestà, una buona dose di sospensione dell'incredulità per essere digeriti. Diciamo che questa è più una fantascienza interiore, se mi passate questo termine appena coniato. Un tempo, negli anni Sessanta, cose di questo genere le chiamavano "fantascienza sociologica", che non ho mai capito dove iniziasse e dove finisse, ma è un termine che mi è sempre piaciuto e me lo faccio andar bene appena posso. E oggi posso. Anche perché quale migliore occasione per tirare in ballo analogie con quel classicone di Ray Bradbury nel quale ci si trastullava a bruciare libri? Spero non me ne voglia nessuno se butto lì un paragone tra uno dei più acclamati autori statunitensi e uno scrittore romano contemporaneo, ma quando mi capita di farmi trasportare in agghiaccianti distopie, è a Bradbury che la mia mente va puntualmente a parare.

giovedì 7 febbraio 2019

Uomo a mare

Mentre lo storico e mai abbastanza compreso contenitore social  dalla "G" maiuscola sta ormai preparandosi al preannunciato trapasso, e in attesa di capire quali conseguenze possa avere l'azzeramento dei contenuti postati negli anni da qualche miliardo di utenti (oltre tre, secondo wiki), decido di andare a dare un'occhiata nel mio account per capire se c'è qualcosa che valga la pena di essere salvato dalla Grande Cancellazione. 
Immagino di non essere l'unico in questi giorni ad aver ricevuto notifica del fatto che è possibile scaricare sul proprio computer molti dei contenuti postati sul "social-coso". Mi sbaglio?
Ad ogni modo, non mi è stato difficile rendermi conto che è praticamente tutto pattume quello che a breve verrà smaltito. 
Inizialmente avevo anche creduto nelle possibilità che si sarebbero potute creare entrando a far parte di G+, che guarda caso aveva visto la luce più o meno negli stessi giorni in cui anche Obsidian Mirror aveva alzato il sipario. Mi ero iscritto a decine di "communities", avevo iniziato a seguire utenti che mi pareva avessero qualcosa di interessante da condividere, ma poi col tempo ho lasciato perdere. Il "social-coso", mi sono accorto (e vi sarete accorti), non è affatto quel luogo social di cui si favoleggiava. Non so nemmeno se lo sia mai stato. A me pare solo un grosso cassonetto dove gettare i propri stracci affinché possano venire ritirati la mattina dopo. 

venerdì 1 febbraio 2019

The Machine in Yellow

"A portly man in his early millions". Con queste parole James Blish, nel suo tentativo di materializzare il famigerato Re in Giallo, introdusse uno dei principali personaggi del dramma, suggerendo in tal modo che egli, come probabilmente altri sulla scena, viva la sua esistenza da un tempo che supera ogni concezione umana. Ho scritto "uno dei personaggi principali", anche se in realtà si tende a dimenticarlo. Il principe Uoht non è infatti quasi mai chiamato in causa quando si scorrono le pagine che centinaia di autori da tutto il mondo hanno scritto, contribuendo alla divulgazione della mitologia chambersiana. E ve lo dice uno che sta scrivendo su questo argomento da abbondanti cinque anni: nessuno mai si ricorda di un certo Uoht. 
Lo stesso Chambers, d'altra parte, lo nominò una sola volta, senza nemmeno spendere tempo in definizioni. Il che ha di fatto consentito a Blish, e dopo di lui a Lin Carter, di elevare quell'anonimo personaggio al rango di principe. 
Nella fattispecie Cassilda, che ormai abbiamo assodato essere una regina, lo chiama "My prince" (nella versione di Blish) e "My boy" (nella versione di Carter); le due cose messe insieme lo pongono nella veste di "principe ereditario" visto che mai, a mia sensazione, una regina potrebbe chiamare "boy" qualcuno che non sia un figlio, un nipote o tutt'al più un genero. Senza anticipare troppo i tempi, visto che abbiamo ancora molto da scrivere sulle opere dei due autori già citati, prendiamo una piccola deviazione e facciamo qualche indagine parallela su questo misterioso Uoht.

sabato 26 gennaio 2019

Visioni di un anno

Dopo le letture e gli ascolti, eccoci a chiudere questo breve ciclo di "best of" con le visioni di un anno, vale a dire i cinque film che, più di tanti altri, hanno deliziato le mie serate sul divano. Non solo sul divano, a dire la verità, visto che lo scorso anno, a causa del noto trasloco, mi sono speso ridotto a guardare cinema, in posizioni impossibili, sullo schermo di questo stesso computer.
La selezione di cinque titoli in questo caso è stata molto più ardua, sia perché usufruisco molto più della settima arte di quanto non faccia di tutte le altre, per ovvi motivi legati al tempo libero, sia perché da ormai diversi anni ho preso l'abitudine a segnare su un calendario i titoli dei film visti, il che mi permette di riportare rapidamente alla memoria i momenti più emozionanti ma anche, ahimé, certe cose che avrebbero meritato di venir dimenticate.
So benissimo che esistono mezzi molto più tecnologici di un calendario di carta, e qualche anno fa avevo anche provato a creare un mio profilo su Letterboxd, che in sostanza serve esattamente a ciò, ma poi nella pratica la sola idea di doverci mettere più di due secondi (per scrivere una cosa che non ne richiede di più) mi ha scoglionato. L'unico problema con i calendari è che una volta trascorso l'anno vengono "archiviati" in un cassetto o sul fondo di qualche armadio e che, per motivi che non mi spiego, da questi vengono fagocitati. Dovrebbero essercene in giro per casa, a memoria, non meno di cinque o sei, ma porco diavolo se riesco a trovarne uno solo di quelli vecchi. Mi affretto quindi a tirare giù qualche titolo da quello del 2018 prima che anche quest'ultimo segua il misterioso destino di tutti gli altri. Pronti? Via!

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