Ebbi modo di farne un breve accenno qui sul blog un paio di anni fa, nei giorni in cui venne resa pubblica l’iniziativa della casa editrice britannica Neon Harbor di pubblicare, per la prima volta in una lingua occidentale, questo sconosciuto testo turco ispirato alle vicende del vampiro più celebre della letteratura. Nel frattempo, il volume è stato pubblicato, distribuito e, grazie al meraviglioso web, ne ho ordinato e ricevuto una copia. Complici poi quelle mie due settimane di luglio lontano dalla routine quotidiana, come avevo già accennato in un post di pochi giorni fa, mi sono infine deciso a tuffarmi a pesce tra le sue pagine.
Stiamo parlando di "Kazıklı Voyvoda", tradotto in inglese come "Dracula in Istanbul" e completato da un sottotitolo piuttosto rivelatore che lo definisce come una "versione non autorizzata" del celebre classico di Bram Stoker.
Il punto interessante è proprio questo: "Kazıklı Voyvoda" è letteralmente un clamoroso caso di plagio perpetrato nel 1928 dal poeta e scrittore turco Ali Rıza Seyfioğlu, il quale si appropriò del testo originale, lo tradusse, tagliò via le parti a suo parere meno interessanti, aggiunse nuove situazioni e una volta terminata quell'operazione di fine sartoria lo presentò al pubblico spacciandolo come suo.
Detta così la vicenda potrebbe apparire grottesca, e sorprende che la vedova Stoker non abbia mai iniziato una battaglia legale sulla falsariga di quella che coinvolse Friedrich Wilhelm Murnau solo pochi anni prima. Evidentemente "Kazıklı Voyvoda" non ebbe in Occidente la stessa eco del Nosferatu cinematografico. Anzi, per quello che ne so, di questo sedicente Dracula non si seppe nulla fino ad una dozzina di anni fa (*), quando si sparse la notizia dell’uscita su un DVD targato Gala Film (in turco senza sottotitoli) di "Drakula İstanbul'da", un vecchio film in 8 millimetri che era passato sulle televisioni locali nei primi anni Cinquanta. Entrambi regista (Mehmet Muhtar) e sceneggiatore (Ümit Deniz), infatti, non solo si scordarono clamorosamente di Bram Stoker, ma fecero in modo che nei crediti del film venisse espressamente citata come fonte, unica e originale, la versione farlocca del proprio connazionale. (**)
Siamo di fonte a un’organizzatissima industria della contraffazione? Non necessariamente. Diciamo piuttosto che si tratta di una vecchia abitudine alla quale, a causa delle barriere linguistiche e culturali e a una totale mancanza di controlli, la Turchia non ha mai rinunciato, sin dai tempi dell’Impero Ottomano. Tra l’altro, come scrive Ahmet Gürata nel suo saggio “Translating Modernity: Remakes in Turkish Cinema”, è significativo il fatto che il più antico testo letterario turco conosciuto, risalente al 1816, sia un adattamento non accreditato dell’opera di Molière “Il medico per forza” (Le Médecin malgré lui, 1666). Sempre nel diciannovesimo secolo, per rincarar la dose, troviamo le versioni turche (non accreditate) de “Le avventure di Telemaco” di Fénelon (Les aventures de Télémaque, 1699) e de “I miserabili” di Victor Hugo (Les Misérables, 1862), quest’ultimo uscito addirittura lo stesso anno dell’originale. Il cinema turco ha fatto ancora meglio: negli anni Settanta il novanta per cento dei suoi film sono stati remake, adattamenti e spin-off di opere occidentali (alcuni riconoscibilissimi, come Tarzan, Superman e Star Trek), la cui fonte è sempre stata accidentalmente omessa.
La spiegazione che ci viene fornita è che l’adattamento di un’opera esistente richiede molto più lavoro dello scrivere un’opera originale in quanto, per rientrare nei dettami richiesti dai costumi e dalla morale islamica, essa necessita di corposi tagli e riscritture. Il tentativo di rifare “Il postino suona sempre due volte”, per esempio, richiese un lungo periodo di lavoro che infine si sarebbe rivelato vano, in quanto ci si rese conto, a lavori ormai avanzati, che non c’era modo di aggirare il tema scottante della relazione extra-coniugale.
Pensatela come volete, ma spesso questi “adattamenti”, specialmente in letteratura, hanno prodotto risultati sorprendenti e di grande spessore artistico, e anche se non trasudano originalità riescono a donare alle storie quel un valore aggiunto che solo la cultura orientale è in grado di apportare. In questo scenario Dracula è un esempio perfettamente calzante.
È bene infatti ricordare, a scanso di equivoci, che nel 1897, anno a cui facciamo risalire il romanzo di Bram Stoker, il nome Dracula in Occidente non significava praticamente nulla. Era solo un nome che ad alcuni (pochi) letterati rievocava vaghi eventi avvenuti in luoghi e tempi remoti. Lo scrittore irlandese avrebbe benissimo potuto intitolare il suo romanzo Attila, Gengis Khan o Alessandro Magno e sarebbe stato uguale. Scelse invece Dracula proprio perché gli parve originale. E l’idea, oggi possiamo dirlo, funzionò estremamente bene: fu solo nel 1972 che, grazie al saggio "In Search of Dracula: The History of Dracula and Vampires" di Raymond T. McNally e Radu Florescu, si iniziò ad accostare la figura immaginaria del vampiro a quella storica di un principe valacco. Viceversa, nell’Europa orientale Dracula era un nome noto da qualcosa come cinque secoli, e non certo per via di un romanzo epistolare nel quale il protagonista afferma, in uno dei suoi passaggi più suggestivi ma storicamente zoppicanti, di discendere in parte dagli Unni e in parte da Vichinghi “venuti dall’Islanda”.
Il romanzo "Kazıklı Voyvoda", letteralmente "Il principe impalatore", identifica invece esplicitamente (e per la prima volta in assoluto, visto che risale al 1928) il principe delle tenebre con la controversa figura di Vlad III di Valacchia. Nel testo apocrifo non mancano ampie descrizioni delle atrocità che quest’ultimo compì ai danni delle “innocenti” popolazioni turche, e l’Autore si lascia spesso andare a piccole espressioni di matrice nazionalistica che, sebbene a noi possano apparire un pelino fuori contesto, dal punto di vista di Ali Rıza Seyfioğlu sono ampiamente giustificate (il contesto storico è quello immediatamente successivo alla guerra d’indipendenza turca). Un perfetto esempio è una lunga digressione su un episodio realmente accaduto nel 1459, negli anni in cui, dopo aver preso Costantinopoli e messo fine all’Impero Bizantino, il sultano Maometto II rivolse la sua attenzione ai Balcani, tappa obbligata per arrivare a Roma e proclamarsi nuovo Cesare. L’episodio, per inciso, verrà ripreso nel 2014 da Gary Shore nel film “Dracula Untold”.
Il Sultano inviò tre dei suoi uomini al castello di Vlad per sollecitarlo a pagare un tributo di 10.000 ducati e a offrire 500 dei suoi soldati alle forze ottomane. Vlad rifiutò, perché il pagamento di un tributo avrebbe implicato l'accettazione pubblica della Valacchia come parte dell'Impero Ottomano. Vlad, proprio come la maggior parte dei suoi predecessori e successori, aveva invece come obiettivo primario quello di mantenere la Valacchia indipendente. Egli fece quindi uccidere gli inviati turchi con il pretesto che si erano rifiutati di scoprirsi il capo al suo cospetto. Lo fece naturalmente alla sua maniera: visto che non volevano proprio saperne di togliersi i turbanti, glieli fissò definitivamente in testa con dei chiodi!
L’intera vicenda occupa il penultimo capitolo e si conclude a sole otto pagine dalla parola fine, proprio nel momento in cui qualunque lettore si aspetterebbe che tutti i nodi vengano al pettine. Qui invece non va così, perché evidentemente per l’Autore non è importante vincere il conte-vampiro, quanto lo spirito con cui lo si affronta. La vicenda degli ambasciatori turchi è narrata ai suoi compagni dal dottor Resuhy (alter ego di Van Helsing) e ci viene riferita attraverso il diario di Güzin (alter ego di Mina Murray).
Si tratta di un testo, al di là delle premesse che abbiamo fatto, il cui valore letterario è indiscutibile. Sul fatto che il suo novanta per cento sia una clamorosa scopiazzatura, beh, potremmo stare qui a discutere per ore senza riuscire a trovare la quadra. A mio parere, ciò che conta è che per la prima volta, con novant'anni di ritardo, "Kazıklı Voyvoda" ha visto la luce oltre i confini del suo paese d'origine.
Ero davvero curioso di questa lettura e, come dicevo all’inizio, mi sono riservato del tempo nel corso delle mie giornate estive proprio per andare a caccia delle differenze tra quest'opera e quella a cui essa si è ispirata (impresa non facile, visto che "Kazıklı Voyvoda" non raggiunge le 150 pagine, bocciando di fatto, anche solo a colpo d'occhio, tre quarti del testo di Bram Stoker).
Ho però preferito andare a rileggermi l'originale prima di avventurarmi nella sua versione turca; non che ce ne fosse bisogno, talmente nota è la vicenda del conte-vampiro, ma avendo letto il romanzo nei primi anni della mia adolescenza, il timore di trascurare qualche particolare fondamentale non mi lasciava sereno (o meglio, temevo di confondere le mille rielaborazioni cinematografiche viste negli anni successivi con il testo scritto). A posteriori posso dire che mi ricordavo abbastanza bene ogni singolo passo, incluso il finale, quasi sempre stravolto sul grande schermo. Ma andiamo con ordine.
Avrete certamente capito, sebbene non l’abbia ancora detto esplicitamente, che i personaggi che si muovono sul palco sono tutti di nazionalità turca. Non ci sono professori olandesi come Abraham Van Helsing, né tantomeno cowboy americani come Quincey Morris, l’unico personaggio che Bram Stoker sacrificò nel concitato finale. Abbiamo invece Azmi, Guzin, Sadan, Resuhi, Afif, Turan e Ozdemar: nomi che, durante la lettura, a me personalmente hanno messo in gran difficoltà.
Abbiamo già visto, o perlomeno intuito, che l’ambientazione viene spostata da Londra a Istanbul e che i molti riferimenti al Cristianesimo vengono sostituiti con altri più appropriati alla Cultura Islamica. La croce qui non può nulla contro il vampiro, così come non può nulla l’ostia consacrata. Ciò che conta è il testo sacro, il Corano, ed è solo grazie ad alcuni suoi versetti che Resuhi (il Van Helsing turco) riesce, per esempio, a impedire a Sadan (la Lucy Westenra del caso), morta e risorta vampira, di ritornare al suo sepolcro. A voler essere precisi, una croce cristiana a un certo punto appare nel romanzo di Ali Rıza Seyfioğlu: è la croce che la locandiera di Bistrița pone in mano ad Azmi (alter ego di Jonathan Harker) pochi istanti prima che quest’ultimo salga sulla carrozza che lo porterà dove sappiamo. La reazione del protagonista al simbolo cristiano, inizialmente di totale rifiuto, si addolcisce nel momento in cui la donna palesa la profondità della sua fede. Azmi riuscirà in seguito addirittura a percepire qualcosa di rassicurante nell’oggetto in cui la donna pareva riporre tanta fiducia. Ovviamente, nulla più di questo.
(*) in precedenza lo aveva in realtà fatto presente Kaya Ozkaracalar nel capitolo "Between Appropriation & Innovation: Turkish Horror Cinema", pubblicato sul saggio “Fear Without Frontiers”, a cura di Steven Jay Schneider (FAB Press, luglio 2003)
(**) A questo punto ci starebbe una bella (e lunga) digressione sul film. al fine di mantenere inalterata le leggibilità dell'articolo, e per non perdere il filo del discorso iniziato, ho preferito dedicare alla pellicola uno spazio a parte a lei dedicato. Ho trovato questo spazio a casa di un blogger amico che mi ospiterà nei prossimi giorni. Tenete quindi d'occhio il blogroll qui a lato, se non volete perdere un'aspetto fondamentale di tutta questa storia.
Stiamo parlando di "Kazıklı Voyvoda", tradotto in inglese come "Dracula in Istanbul" e completato da un sottotitolo piuttosto rivelatore che lo definisce come una "versione non autorizzata" del celebre classico di Bram Stoker.
Il punto interessante è proprio questo: "Kazıklı Voyvoda" è letteralmente un clamoroso caso di plagio perpetrato nel 1928 dal poeta e scrittore turco Ali Rıza Seyfioğlu, il quale si appropriò del testo originale, lo tradusse, tagliò via le parti a suo parere meno interessanti, aggiunse nuove situazioni e una volta terminata quell'operazione di fine sartoria lo presentò al pubblico spacciandolo come suo.
Detta così la vicenda potrebbe apparire grottesca, e sorprende che la vedova Stoker non abbia mai iniziato una battaglia legale sulla falsariga di quella che coinvolse Friedrich Wilhelm Murnau solo pochi anni prima. Evidentemente "Kazıklı Voyvoda" non ebbe in Occidente la stessa eco del Nosferatu cinematografico. Anzi, per quello che ne so, di questo sedicente Dracula non si seppe nulla fino ad una dozzina di anni fa (*), quando si sparse la notizia dell’uscita su un DVD targato Gala Film (in turco senza sottotitoli) di "Drakula İstanbul'da", un vecchio film in 8 millimetri che era passato sulle televisioni locali nei primi anni Cinquanta. Entrambi regista (Mehmet Muhtar) e sceneggiatore (Ümit Deniz), infatti, non solo si scordarono clamorosamente di Bram Stoker, ma fecero in modo che nei crediti del film venisse espressamente citata come fonte, unica e originale, la versione farlocca del proprio connazionale. (**)
Drakula Istanbul'da (1953) |
La spiegazione che ci viene fornita è che l’adattamento di un’opera esistente richiede molto più lavoro dello scrivere un’opera originale in quanto, per rientrare nei dettami richiesti dai costumi e dalla morale islamica, essa necessita di corposi tagli e riscritture. Il tentativo di rifare “Il postino suona sempre due volte”, per esempio, richiese un lungo periodo di lavoro che infine si sarebbe rivelato vano, in quanto ci si rese conto, a lavori ormai avanzati, che non c’era modo di aggirare il tema scottante della relazione extra-coniugale.
Pensatela come volete, ma spesso questi “adattamenti”, specialmente in letteratura, hanno prodotto risultati sorprendenti e di grande spessore artistico, e anche se non trasudano originalità riescono a donare alle storie quel un valore aggiunto che solo la cultura orientale è in grado di apportare. In questo scenario Dracula è un esempio perfettamente calzante.
È bene infatti ricordare, a scanso di equivoci, che nel 1897, anno a cui facciamo risalire il romanzo di Bram Stoker, il nome Dracula in Occidente non significava praticamente nulla. Era solo un nome che ad alcuni (pochi) letterati rievocava vaghi eventi avvenuti in luoghi e tempi remoti. Lo scrittore irlandese avrebbe benissimo potuto intitolare il suo romanzo Attila, Gengis Khan o Alessandro Magno e sarebbe stato uguale. Scelse invece Dracula proprio perché gli parve originale. E l’idea, oggi possiamo dirlo, funzionò estremamente bene: fu solo nel 1972 che, grazie al saggio "In Search of Dracula: The History of Dracula and Vampires" di Raymond T. McNally e Radu Florescu, si iniziò ad accostare la figura immaginaria del vampiro a quella storica di un principe valacco. Viceversa, nell’Europa orientale Dracula era un nome noto da qualcosa come cinque secoli, e non certo per via di un romanzo epistolare nel quale il protagonista afferma, in uno dei suoi passaggi più suggestivi ma storicamente zoppicanti, di discendere in parte dagli Unni e in parte da Vichinghi “venuti dall’Islanda”.
Il romanzo "Kazıklı Voyvoda", letteralmente "Il principe impalatore", identifica invece esplicitamente (e per la prima volta in assoluto, visto che risale al 1928) il principe delle tenebre con la controversa figura di Vlad III di Valacchia. Nel testo apocrifo non mancano ampie descrizioni delle atrocità che quest’ultimo compì ai danni delle “innocenti” popolazioni turche, e l’Autore si lascia spesso andare a piccole espressioni di matrice nazionalistica che, sebbene a noi possano apparire un pelino fuori contesto, dal punto di vista di Ali Rıza Seyfioğlu sono ampiamente giustificate (il contesto storico è quello immediatamente successivo alla guerra d’indipendenza turca). Un perfetto esempio è una lunga digressione su un episodio realmente accaduto nel 1459, negli anni in cui, dopo aver preso Costantinopoli e messo fine all’Impero Bizantino, il sultano Maometto II rivolse la sua attenzione ai Balcani, tappa obbligata per arrivare a Roma e proclamarsi nuovo Cesare. L’episodio, per inciso, verrà ripreso nel 2014 da Gary Shore nel film “Dracula Untold”.
Il Sultano inviò tre dei suoi uomini al castello di Vlad per sollecitarlo a pagare un tributo di 10.000 ducati e a offrire 500 dei suoi soldati alle forze ottomane. Vlad rifiutò, perché il pagamento di un tributo avrebbe implicato l'accettazione pubblica della Valacchia come parte dell'Impero Ottomano. Vlad, proprio come la maggior parte dei suoi predecessori e successori, aveva invece come obiettivo primario quello di mantenere la Valacchia indipendente. Egli fece quindi uccidere gli inviati turchi con il pretesto che si erano rifiutati di scoprirsi il capo al suo cospetto. Lo fece naturalmente alla sua maniera: visto che non volevano proprio saperne di togliersi i turbanti, glieli fissò definitivamente in testa con dei chiodi!
Dracula Untold (2014) |
“Quindi, amici miei, il primo di questi tre - il cui nome, purtroppo, la storia non ha affidato ai nostri cuori - cadde su entrambe le ginocchia come un glorioso e fedele minareto che, anziché venire rovesciato da una tempesta, tramonta dopo aver terminato la sua sacra e nobile vita, e adempiuto al suo ultimo dovere verso la nazione turca”. A questo punto del suo discorso, il dottor Resuhi Bey, questo grande maestro e discepolo, questa persona unica, apice di scienza, illuminazione e della nazione improvvisamente tacque. Sembrava perso nella gloriosa storia del suo paese, dimentico della nostra situazione attuale. Si sedette su una sedia, allo stesso tempo elettrizzato ed esausto. Non era con noi in quel momento; era a quattro secoli e mezzo di distanza, nell'anno 366 del calendario Hegura, ed era con quel ragazzo turco sulla cui testa Dracula inchiodò il turbante. No, non era esattamente con lui; era piuttosto nella sua anima, nel suo dolore e nel suo rimpianto; ma anche nel suo orgoglio e nella sua gloria. E quel patriottismo finì infine per catturarci, rinnovando in noi quell’orgoglio nazionale sopito, e miracolosamente ci ritrovammo inginocchiati davanti ad esso.Comunque la vediate, è innegabile che "Kazıklı Voyvoda" sia una gran bella lezione di storia, ed è proprio per questo che si presenta difficile ridurre l'opera ad una semplice contraffazione dell’originale. Interessante tra l’altro (e se avete modo di farlo, fatelo) la rilettura dello stesso episodio da due prospettive diametralmente opposte: quella del regista di “Dracula Untold” e quella dell’autore di “Dracula in Istanbul”.
Drakula Istanbul'da (1953) |
Ero davvero curioso di questa lettura e, come dicevo all’inizio, mi sono riservato del tempo nel corso delle mie giornate estive proprio per andare a caccia delle differenze tra quest'opera e quella a cui essa si è ispirata (impresa non facile, visto che "Kazıklı Voyvoda" non raggiunge le 150 pagine, bocciando di fatto, anche solo a colpo d'occhio, tre quarti del testo di Bram Stoker).
Ho però preferito andare a rileggermi l'originale prima di avventurarmi nella sua versione turca; non che ce ne fosse bisogno, talmente nota è la vicenda del conte-vampiro, ma avendo letto il romanzo nei primi anni della mia adolescenza, il timore di trascurare qualche particolare fondamentale non mi lasciava sereno (o meglio, temevo di confondere le mille rielaborazioni cinematografiche viste negli anni successivi con il testo scritto). A posteriori posso dire che mi ricordavo abbastanza bene ogni singolo passo, incluso il finale, quasi sempre stravolto sul grande schermo. Ma andiamo con ordine.
Avrete certamente capito, sebbene non l’abbia ancora detto esplicitamente, che i personaggi che si muovono sul palco sono tutti di nazionalità turca. Non ci sono professori olandesi come Abraham Van Helsing, né tantomeno cowboy americani come Quincey Morris, l’unico personaggio che Bram Stoker sacrificò nel concitato finale. Abbiamo invece Azmi, Guzin, Sadan, Resuhi, Afif, Turan e Ozdemar: nomi che, durante la lettura, a me personalmente hanno messo in gran difficoltà.
Abbiamo già visto, o perlomeno intuito, che l’ambientazione viene spostata da Londra a Istanbul e che i molti riferimenti al Cristianesimo vengono sostituiti con altri più appropriati alla Cultura Islamica. La croce qui non può nulla contro il vampiro, così come non può nulla l’ostia consacrata. Ciò che conta è il testo sacro, il Corano, ed è solo grazie ad alcuni suoi versetti che Resuhi (il Van Helsing turco) riesce, per esempio, a impedire a Sadan (la Lucy Westenra del caso), morta e risorta vampira, di ritornare al suo sepolcro. A voler essere precisi, una croce cristiana a un certo punto appare nel romanzo di Ali Rıza Seyfioğlu: è la croce che la locandiera di Bistrița pone in mano ad Azmi (alter ego di Jonathan Harker) pochi istanti prima che quest’ultimo salga sulla carrozza che lo porterà dove sappiamo. La reazione del protagonista al simbolo cristiano, inizialmente di totale rifiuto, si addolcisce nel momento in cui la donna palesa la profondità della sua fede. Azmi riuscirà in seguito addirittura a percepire qualcosa di rassicurante nell’oggetto in cui la donna pareva riporre tanta fiducia. Ovviamente, nulla più di questo.
(*) in precedenza lo aveva in realtà fatto presente Kaya Ozkaracalar nel capitolo "Between Appropriation & Innovation: Turkish Horror Cinema", pubblicato sul saggio “Fear Without Frontiers”, a cura di Steven Jay Schneider (FAB Press, luglio 2003)
(**) A questo punto ci starebbe una bella (e lunga) digressione sul film. al fine di mantenere inalterata le leggibilità dell'articolo, e per non perdere il filo del discorso iniziato, ho preferito dedicare alla pellicola uno spazio a parte a lei dedicato. Ho trovato questo spazio a casa di un blogger amico che mi ospiterà nei prossimi giorni. Tenete quindi d'occhio il blogroll qui a lato, se non volete perdere un'aspetto fondamentale di tutta questa storia.
Ottimo ed abbondante as usual! :) Grande riscoperta e grande trattazione.
RispondiEliminaBlogger amico? E chi sarà mai costui? :P
Chi sarà? Ho la sensazione che si scoprirà presto. Tipo domani.
EliminaSicuramente interessante. Almeno non è il solito plagio "copiato" ma reso più originale. Certo che i turchi sono propri violatori compulsivi di copyright, dagli albi di Zagor alle sequenze di Star Wars inserite nei loro improbabili film di fantascienza...
RispondiEliminaDavvero incredibile il pelo sullo stomaco che hanno avuto (e hanno) questi violatori di impulsivi di copyright. Tra l'altro non sono nemmeno sicuro se richieda più impegno rimaneggiare i tal misura l'opera di altri o scriverne una originale...
EliminaIncredibile scoperta ed incredibile operazione! Al Club del Plagio si uniscono anche i Turchi :-D (se pure loro hanno plagiato Yojimbo di Kurosawa faccio festa!!!)
RispondiEliminaNon vedo l'ora di leggere le altre differenze con l'originale ;-)
I turchi sono i veri maestri del plagio: sul tubo sono disponibili diversi esempi di film oscenamente rimaneggiati, da "Shining" a "L'esorcista", tanto per fare due esempi clamorosi... ma immagino tu l'abbia già scoperto.
EliminaNon mi pare, viceversa, che si siano mai rivolti a Oriente per le loro malefatte, ma potrei sbagliarmi.
Nell'attesa del gran finale, non perderti lo spin-off uscito stamattina sul blog dello zio Nick
Il festival del tarocco ...però molto affascinante !
RispondiEliminaNon vorrei ripetermi ..ma ti riscrivo quello che ho detto da Nick nel tuo spin-off .
Leggere adesso un opera simile ha il vantaggio di farti conoscere ancora di più gli aspetti di una cultura e di una religione per molti versi ancora sconosciuta , almeno al sottoscritto .
Per scarso interesse personale.
Un Dracula in salsa turca è per così dire ...appetitoso.
Io non ho letto neppure Bram Stoker ( però Il padrino si) per il semplice fatto che sia nella carta che al cinema i vampiri sono i personaggi horror che mi piacciono meno.
L’ultima immagine che ricordo di un Dracula è quello nella parodia fatta in una puntata dei Simpson da Mr. Burns che impersonava il conte del film di Coppola.
L’hai mai vista?
Ti piacciono i Simpson?
Certo che immaginarti leggere sti due libri sotto l’ombrellone....
In effetti non ero molto a mio agio a sfoggiare quei titoli sotto l'ombrellone... ma d'altra parte non lo sarei stato comunque, a prescindere dal libro (non sopporto chi cerca di sbirciare i titoli dei libri che sto leggendo).
EliminaIl "festival turco del tarocco" ha in effetti un suo fascino, specialmente perché fatto in maniera plateale. In questo caso, se non mi fossi soffermato sui dettagli, mi sarei davvero perso un'ottima occasione per poter confrontare due culture diametralmente opposte (almeno all'apparenza). Curioso però come alla fine il concetto dell'eterna lotta tra bene e male si ripeta in tutte le culture... anche se spesso "non è bene ciò che è bene" e "non è male ciò che è male".
Simpson? Non saprei dire se mi piacciono. Non li conosco abbastanza.
Molto interessante, speriamo vista la presenza di una edizione inglese che anche da noi arrivi questo romanzo. Personalmente sono molto interessato a questa rivisitazione in salsa turca del vampiro più famoso del mondo.
RispondiEliminaMi piacerebbe che questo mio piccolo blog riuscisse (non si sa come) a stimolare la fantasia di qualche editore nostrano. Un spazio nel mercato dovrebbe riuscire a trovarlo, molto di più di mille altre cose buttate a forza sugli scaffali delle librerie.
EliminaMolto interessantissimo! Però io dico, ma costa tanto a questi autori a scrivere che si sono "ispirati" al romanzo originale di turno? Dai, ci fai una più bella figura.
RispondiEliminaErano convinti di non poter venire mai sgamati. Non vedo altra ragione.
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