lunedì 29 maggio 2017

Gombrowicz, arrendersi al caos

Un giorno vi parlerò meglio del mio bisogno fisiologico di leggere libri complessi, stratificati, che spesso finiscono all’improvviso, brutalmente, così come sono cominciati, senza tirare i fili rimasti pendenti fino a una conclusione logica, senza offrire il conforto di una spiegazione univoca, quasi come se l’autore stesso, a un certo punto, si fosse arreso al Caos (giudicherete voi stessi, se proseguirete nella lettura, l’ironia intrinseca nella questione in questo caso specifico). 
E spiegherò anche, se mai io stesso arriverò a scoprirlo, come mai sono proprio questi i libri che più degli altri continuano a girarmi e rigirarmi nella mente finché non decido di parlarne, gettando fuori i miei pensieri come se fossero un veleno che alla lunga rischierebbe di intossicarmi. 
Eccomi oggi alle prese con “Cosmo” (1965) di Witold Gombrowicz, un romanzo denso quanto inafferrabile nella sua essenza che lo scrittore Michele Mari ha definito “uno dei quattro o cinque libri più belli del Novecento”. Non posso confermare quanto affermato da Mari, non so onestamente giudicare se questo sia vero o meno, posso dire però che ho letto il romanzo tutto d’un fiato e che neanche per un attimo, a dispetto della sua stranezza, mi sono annoiato o domandato se ne valesse la pena. C’è molta filosofia in questo libro, me ne sono accorto perfino io che di certo non sono un filosofo, e me ne sono accorto ben prima di leggere le note critiche nella postfazione. Il punto è che, per molti versi, ho riconosciuto me stesso nei due protagonisti Witold e Fuks, e non tanto perché io mi riconosca una personalità altrettanto ossessiva, ma perché credo che un certo grado di ossessione sia insito in tutta l’umanità; in un certo senso, è l’ossessione umana ad aver creato il progresso.

martedì 23 maggio 2017

Oggetti, umane finzioni

René Magritte, I valori personali, 1952, olio su tela
Quello di oggi è il terzo post che scrivo per aderire al progetto dei "vasi comunicanti" della collega blogger Cristina de "Il Manoscritto del Cavaliere". Per chi ancora non lo sapesse, si tratta di scegliere un elemento che, a insindacabile giudizio dell’ideatrice dell’iniziativa, possa fungere da filo conduttore tra opere d’arte diverse fra loro, in questo caso un libro (prosa o poesia) e una rappresentazione grafica (un dipinto, ma non necessariamente). In precedenza quell’elemento è stato un paesaggio artificiale e prima ancora un paesaggio naturale, nel qual caso la sfida è consistita nel trovare un libro in cui un paesaggio del tipo indicato fosse centrale o in qualche modo importante per delinearne la trama, e poi un dipinto che lo rappresentasse al meglio, ma vi invito a scoprire quelli precedenti direttamente sul blog di Cristina.

mercoledì 17 maggio 2017

Orizzonti del reale (Pt.14)

LA PRIMA PARTE SI TROVA QUI

Non è possibile leggere senza pregiudizi il saggio di Allegro senza accettare la sua più importante premessa, ovvero che Geova/Yahweh fosse a tutti gli effetti un dio della fertilità: eppure questo mi sembra l’unico dato davvero incontestabile, benché difficile da accettare per il credente. Nella Bibbia non c'è traccia di evoluzione da un pantheon di dèi a un unico dio, anzi tecnicamente non si parla affatto di Dio, nel senso che il significato del termine ebraico tradotto con la parola Dio, Elohim, è ancora dibattuto (e fra l'altro, quella forma è plurale: al singolare è Eloah).
La concezione darwiniana in base alla quale con lo sviluppo di intelligenza e progresso l'uomo avrebbe sperimentato una sorta di “rivelazione” che lo avrebbe convertito al monoteismo non è un fatto assodato, ma una teoria. Lo stesso buon senso ci dice che non sempre ciò che viene dopo è migliore di ciò che lo ha preceduto. Siamo sempre stati portati a credere che la Bibbia mostri la contrapposizione fra un culto monoteistico e uno politeistico: quei racconti potrebbero invece, molto più semplicemente, riflettere la lotta religiosa dei conservatori contro una deriva o un possibile sviluppo esoterico della loro stessa religione, cosa che, del resto, in quell'area geografica sembra accadere ininterrottamente dalla notte dei tempi.

giovedì 11 maggio 2017

Da zero a infinito

Tutto iniziò [...] nella biblioteca del professor Kohen, il cuore pulsante della sua casa. La biblioteca era una stanza austera, poco luminosa, foderata da alte scaffalature in noce. [...] Edizioni rare, curiosità del mondo letterario, riviste esaurite in pochi numeri e ignote anche ai lettori più attenti. [...] Tra essi, il pezzo forte erano i libri della collana «Uroboros», la serie di pubblicazioni più interessanti che il professore possedesse nella loro completezza. Si trattava di una sessantina scarsa di titoli, mai più ristampati, usciti a Parigi per i tipi delle scomparse edizioni «Keter» a cavallo tra il 1946 e il 1965. [...] Le pagine di «Uroboros», rappresentavano un laboratorio di idee nel quale la saggistica e la narrativa più eccentrica trovavano un’adeguata cornice. Molto tempo e molto denaro erano occorsi per ricostruire pezzo dopo pezzo, questo arabesco della cultura del Novecento. Lui c’era riuscito e ne andava fiero. Fu una sorpresa tutt’altro che gradita quindi ricevere la notizia portata da Myriam insieme alla dannazione che implicitamente questa accompagnava. Esisteva un numero «0» che aveva preceduto verso la fine del 1945 la serie regolare conosciuta.
Da zero a infinito. Zero come il tempo che mi è bastato per capire che questo testo, recensito in ogni dove sul finire dello scorso anno, faceva al caso mio. Infinito come il tempo che ho impiegato, tra un impegno e l'altro, a intraprendere questa avventura in quindici tappe che Fabio Lastrucci ha pianificato per me e per tutti i suoi lettori.

venerdì 5 maggio 2017

Traditi dalla fretta #2

Lasciato rapidamente alle spalle il mese di aprile, con tutto ciò che esso ha portato e comportato, è giunto finalmente il momento di ripristinare il blog alla sua forma più consona, quella abituale che voi tutti conoscete e alla quale, consentitemi di ammetterlo, io sono più affezionato.
D'ora in avanti la frequenza di pubblicazione dei post tornerà a un livello più gestibile, sia per chi scrive sia (soprattutto) per chi legge, e troverò di conseguenza anche il tempo di dedicarmi ad attività diverse, non necessariamente legate al blog.
Non è un caso se poco fa ho scritto "finalmente": mettere in pratica un progetto del genere porta via una quantità impressionante di tempo e di risorse, specialmente quando si hanno da mettere in conto anche le insidie della vita che, neanche a farlo apposta, sembrano concentrarsi ogni anno nel mese di aprile. Il risultato di tutto ciò è che ancora una volta ho dovuto sacrificare quell'aspetto del blogging che ritengo essere tra i più importanti, vale a dire la comunicazione bidirezionale con i miei vicini di blog, la presenza nei social e tutte quelle cose che rendono questa avventura più divertente.
Quale miglior momento quindi per uscire con una nuova puntata di "Traditi dalla fretta"? A beneficio di coloro che non sanno ancora di cosa si tratta, posso semplificare il tutto dicendo che questa rubrica è una sorta di nodo al fazzoletto digitale, nella pratica la macchina del tempo che spero mi aiuti a recuperare il tempo perduto. L'idea di base l'ho ampiamente descritta nel "numero zero" introduttivo, mente la sua intelaiatura l'ho illustrata nel "numero uno". Non ci resta che procedere.
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