martedì 28 febbraio 2017

Nove strati di buio

Sarei falso se non ammettessi fin da subito che è stata inizialmente la grafica di copertina ad attrarmi su questo libro come una calamita. Sì, lo so, sarà anche infantile, ma non so resistere ai contenitori quando sono ben fatti. E non parlo solo di libri. Se poi anche il contenuto promette grandi cose, allora ecco che inevitabilmente la mia ragione cede il passo a un sano istinto animalesco.
Ovviamente non sono tanto pazzo da pescare completamente al buio, anche se qualche volta mi è capitato di farlo con risultati tutto sommato alterni. Ero già incappato nel nome di Laura Sestri girovagando per blog sulla spinta di qualche link lasciato da qualche parte da qualcuno dei miei contatti e, sto parlando almeno di un anno fa, ero finito ne La fucina delle diaboliche traduzioni, un luogo "in cui possono essere “forgiate” nuove, inedite traduzioni, dove una traduttrice dall’inglese e dal russo desidera creare un ponte tra autori stranieri inediti in Italia e case editrici in cerca di nuove voci" (cit.).
Il mondo del blogging, e di riflesso quello social che vi ruota attorno, è più piccolo di quello che potrebbe sembrare e così, di post in post, di tweet in tweet, ho potuto assistere, anche se da molto lontano, alla genesi di questa raccolta di racconti, curata appunto dalla fanciulla di cui sopra. Comprato immediatamente appena disponibile, "Nove strati di buio" ha mantenuto tutte le sue promesse e non rimpiango assolutamente i dodici eurini spesi per il cartaceo (non mi pare di averne visto una versione digitale, ma fa niente). Quali promesse? Beh, sicuramente non solo la copertina, nonostante solo poche righe fa ne abbia sottolineato i meriti.

mercoledì 22 febbraio 2017

Outbox (Pt.3)

LA PRIMA PARTE SI TROVA QUI

Erano ormai ore che vagavo disperatamente per i corridoi con quella dannata busta in mano. Ormai doveva essere pomeriggio inoltrato, considerando che quella mia prima sensazione di appetito si era trasformata in una fame nera per poi lentamente scivolare in una rassegnata indifferenza.
Non ancora rassegnata era invece la mia speranza di uscire vivo da quell’incubo: sordo a tutti i lamenti che ormai da tempo i miei piedi stanchi trasmettevano al mio cervello, continuavo a procedere silenziosamente fra i tanti corridoi tutti uguali, tutti egualmente ricoperti da strati di vecchia corrispondenza, evidentemente calpestata da generazioni di impiegati nel corso degli anni.
Raccolsi alcune di quelle buste da terra e le esaminai: non erano molto diverse da quella che avevo in mano e che mi affannavo a portare chissà dove. Ormai non era più solo una questione di principio, ma era diventata anche qualcosa di diverso: si faceva largo in me la volontà di salvare quel documento che, non per sua volontà, era stato per tutto il giorno il mio fedele compagno. L’avrei salvato dal destino che, a quanto pareva, aveva segnato migliaia di altri suoi simili tutto attorno a me. Infine, dopo la miliardesima svolta, mi ritrovai davanti agli occhi l’imprevedibile. Diciamo pure che quasi gli sbattei contro, tale era la foga di uscire da quell’incubo che mi aveva preso.

lunedì 20 febbraio 2017

Outbox (Pt.2)

LA PRIMA PARTE SI TROVA QUI

Ti hanno già spiegato cosa fare? – mi chiese. – Speravo me lo dicessi tu. – risposi prontamente. Rimase un attimo in silenzio come per soppesare la mia risposta, poi mi prese sottobraccio e mi guidò pochi passi più in là. Vedi? – mi disse indicando un grosso carrello con le ruote entro il quale erano ammucchiati centinaia di buste e pacchi postali. – Questa è la corrispondenza che bisogna evadere. Non c’è molto che devi sapere. Semplicemente guarda cosa fanno gli altri ragazzi e fai lo stesso. Tutto qui.
Il tizio che rispondeva al nome di Charon si dileguò immediatamente. Ad ogni modo ciò, che mi aveva detto per il momento mi bastava. Pareva facile. Si avvicinò un tizio, prese una busta dal carrello e si allontanò. Feci lo stesso. Afferrai una busta, la soppesai e gettai l’occhio all’indirizzo del mittente e a quello del destinatario. Nulla di interessante, ovviamente. Che mi aspettavo? Sollevai gli occhi che il tizio aveva già svoltato per uno dei corridoi a sinistra. Merda! – pensai, e senza esitare ulteriormente mi gettai al suo inseguimento. Il tizio era velocissimo. Facevo davvero fatica a stargli dietro in quel labirinto di scaffali. A terra, posizionati alla base di quegli altissimi mostri metallici, giacevano abbandonati migliaia di contenitori zeppi fino all’orlo di buste, lettere, cartoline, pacchi postali. Molto del loro contenuto era traboccato per terra, alla mercé di chiunque. Il bianco originale delle buste sparse a terra era già stato più volte violato da impronte di scarpe. Non era quello il momento di preoccuparmene, però.

sabato 18 febbraio 2017

Outbox (Pt.1)

Non avevo mai ben capito cosa volesse significare il termine “kafkiano” che spesso sentivo usare dai miei conoscenti riferendosi a situazioni bizzarre. Una vaga idea più o meno l’avevo, avendo letto alcune opere dell’autore in questione, ma sull’utilizzo dell’aggettivo mantenevo ancora qualche riserva.
Oggi credo di averne un’idea un po’ più chiara a causa della storia che andrò tra poco a raccontarvi. Consideratela come volete: una storia vera, un sogno ad occhi aperti o magari proprio un sogno, ma di quelli che si fanno a occhi chiusi. Vera o falsa, che importa? In fondo è solo una storia.
Tutto iniziò una mattina di novembre. Avevo finalmente deciso di mollare il lavoro, quello che da anni ormai mi imprigionava a una scrivania e mi costringeva a fissare per ore il monitor di un computer. Non faceva più per me quella vita. Avevo voglia di cominciare daccapo, di assaporare nuovamente quelle emozioni che solo una novità è in grado di offrire. Avrei rinunciato a molte cose, ne ero consapevole, ma nulla alla fine poté trattenermi dal prendere la mia drastica decisione. Fui fortunato a trovare quasi immediatamente una nuova occupazione. Non sapevo nulla del nuovo lavoro. Nessuno mi aveva detto cosa avrei dovuto fare, né tantomeno lo avevo chiesto al mio interlocutore nel corso del colloquio telefonico. Avrei dovuto cominciare il lunedì mattina successivo, per cui avevo ancora un weekend di assoluta libertà in cui crogiolarmi. Decisi comunque di fare un sopralluogo all’indirizzo che mi era stato dato.

domenica 12 febbraio 2017

Tempi terribili

"La prima cosa che ho pubblicato è Tempi Terribili, un romanzo che è un mix di thriller, noir, fantascienza e sperimentalismi Avant-Pop. È uscito per i tipi di Libro Aperto International Publishing ma è ora fuori catalogo. Sto cercando di pubblicarlo di nuovo e l’ho proposto a Teomedia. È il primo volume di una trilogia, già scritta, che ho definito ‘La Trilogia dell’Occulto’. Tratta dei legami tra creatività letteraria e atto magico. L’esoterismo è uno dei miei svariati interessi e si riflette in ciò che scrivo." 
Con queste parole lo scrittore salentino Sergio Duma presentò ai lettori di Obsidian Mirror, nel corso di un'intervista pubblicata proprio qui nel marzo dello scorso anno, la sua opera prima. In quell'occasione si parlava in verità di tutt'altro, nello specifico del suo lavoro a quei tempi più recente (I libri degli incubi, ndr), ma sapete meglio di me come vanno queste cose: spesso quando ci si trova nel salotto dello zio Obsy si comincia a parlare a ruota libera, uscendo e rientrando continuamente dal/nel seminato. E così accadde anche allora.
Ovviamente, per un breve attimo mi chiesi cosa diavolo fosse "un mix di thriller, noir, fantascienza e sperimentalismi Avant-Pop", ma lì per lì decisi di soprassedere, con il celato intento di rimuginarci sopra da solo, magari la sera prima di addormentarmi. Le mie riflessioni notturne sfociarono tuttavia in un nulla di fatto finché, come accade sovente, non iniziai a concentrarmi su nuovi stimoli. Tutto questo fino a pochi giorni fa perché, come avrete ormai già intuito, i tempi terribili sono arrivati.

lunedì 6 febbraio 2017

Traditi dalla fretta #0

Con questo inizio di febbraio parte oggi sul blog una nuova rubrica che ci terrà compagnia per un tempo indeterminato e presumibilmente infinito. Era già da molto tempo che questa cosa mi ronzava nella testa, addirittura da anni, che ci crediate o no. Tecnicamente il primo abbozzo di questa rubrica risale a trent'anni fa, molto prima che questo blog facesse la sua comparsa sul web, molto tempo prima che il web stesso facesse la sua comparsa nella nostra vita di tutti i giorni. Ovviamente, a quei tempi non avevo la minima idea di come avrei mai potuto servirmi di quello spunto, ma l'ho conservato comunque in un cassetto della memoria in attesa di maturazione.
Il titolo "Traditi dalla fretta" risale alla fine degli anni Ottanta e deriva da una rubrica radiofonica che ascoltavo nei weekend, nell'ambito della quale veniva riproposto in pillole tutto quanto era stato detto e fatto nel corso della settimana appena trascorsa. Momenti di indubbio interesse che gli ascoltatori di quell'emittente radiofonica, a causa dei loro impegni, non avevano modo di seguire.
Ecco quindi il punto al quale volevo arrivare. Già allora sentivo dentro di me quella strana sensazione di perdermi dei pezzi per strada, ma quel periodo così lontano nel passato era nulla se confrontato con il presente. Milioni di stimoli si avvicendano sotto i miei occhi, rapidi, sfuggenti, eterei come fantasmi. Stimoli che passano e se ne vanno, lasciandomi netta una sensazione di irrisolto, una nemmeno troppo vaga angoscia legata a una vita che procede su binari diritti verso un orizzonte apparentemente infinito, binari dai quali non riesco o non posso sganciarmi; proprio come un treno, che non può permettersi di svoltare a destra o a sinistra quando gli pare, ma che può solo proseguire dritto per la sua strada e al massimo concedersi qualche fermata per lasciar salire o scendere occasionali passeggeri.

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