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giovedì 7 febbraio 2019

Uomo a mare

Mentre lo storico e mai abbastanza compreso contenitore social  dalla "G" maiuscola sta ormai preparandosi al preannunciato trapasso, e in attesa di capire quali conseguenze possa avere l'azzeramento dei contenuti postati negli anni da qualche miliardo di utenti (oltre tre, secondo wiki), decido di andare a dare un'occhiata nel mio account per capire se c'è qualcosa che valga la pena di essere salvato dalla Grande Cancellazione. 
Immagino di non essere l'unico in questi giorni ad aver ricevuto notifica del fatto che è possibile scaricare sul proprio computer molti dei contenuti postati sul "social-coso". Mi sbaglio?
Ad ogni modo, non mi è stato difficile rendermi conto che è praticamente tutto pattume quello che a breve verrà smaltito. 
Inizialmente avevo anche creduto nelle possibilità che si sarebbero potute creare entrando a far parte di G+, che guarda caso aveva visto la luce più o meno negli stessi giorni in cui anche Obsidian Mirror aveva alzato il sipario. Mi ero iscritto a decine di "communities", avevo iniziato a seguire utenti che mi pareva avessero qualcosa di interessante da condividere, ma poi col tempo ho lasciato perdere. Il "social-coso", mi sono accorto (e vi sarete accorti), non è affatto quel luogo social di cui si favoleggiava. Non so nemmeno se lo sia mai stato. A me pare solo un grosso cassonetto dove gettare i propri stracci affinché possano venire ritirati la mattina dopo. 

mercoledì 22 febbraio 2017

Outbox (Pt.3)

LA PRIMA PARTE SI TROVA QUI

Erano ormai ore che vagavo disperatamente per i corridoi con quella dannata busta in mano. Ormai doveva essere pomeriggio inoltrato, considerando che quella mia prima sensazione di appetito si era trasformata in una fame nera per poi lentamente scivolare in una rassegnata indifferenza.
Non ancora rassegnata era invece la mia speranza di uscire vivo da quell’incubo: sordo a tutti i lamenti che ormai da tempo i miei piedi stanchi trasmettevano al mio cervello, continuavo a procedere silenziosamente fra i tanti corridoi tutti uguali, tutti egualmente ricoperti da strati di vecchia corrispondenza, evidentemente calpestata da generazioni di impiegati nel corso degli anni.
Raccolsi alcune di quelle buste da terra e le esaminai: non erano molto diverse da quella che avevo in mano e che mi affannavo a portare chissà dove. Ormai non era più solo una questione di principio, ma era diventata anche qualcosa di diverso: si faceva largo in me la volontà di salvare quel documento che, non per sua volontà, era stato per tutto il giorno il mio fedele compagno. L’avrei salvato dal destino che, a quanto pareva, aveva segnato migliaia di altri suoi simili tutto attorno a me. Infine, dopo la miliardesima svolta, mi ritrovai davanti agli occhi l’imprevedibile. Diciamo pure che quasi gli sbattei contro, tale era la foga di uscire da quell’incubo che mi aveva preso.

lunedì 20 febbraio 2017

Outbox (Pt.2)

LA PRIMA PARTE SI TROVA QUI

Ti hanno già spiegato cosa fare? – mi chiese. – Speravo me lo dicessi tu. – risposi prontamente. Rimase un attimo in silenzio come per soppesare la mia risposta, poi mi prese sottobraccio e mi guidò pochi passi più in là. Vedi? – mi disse indicando un grosso carrello con le ruote entro il quale erano ammucchiati centinaia di buste e pacchi postali. – Questa è la corrispondenza che bisogna evadere. Non c’è molto che devi sapere. Semplicemente guarda cosa fanno gli altri ragazzi e fai lo stesso. Tutto qui.
Il tizio che rispondeva al nome di Charon si dileguò immediatamente. Ad ogni modo ciò, che mi aveva detto per il momento mi bastava. Pareva facile. Si avvicinò un tizio, prese una busta dal carrello e si allontanò. Feci lo stesso. Afferrai una busta, la soppesai e gettai l’occhio all’indirizzo del mittente e a quello del destinatario. Nulla di interessante, ovviamente. Che mi aspettavo? Sollevai gli occhi che il tizio aveva già svoltato per uno dei corridoi a sinistra. Merda! – pensai, e senza esitare ulteriormente mi gettai al suo inseguimento. Il tizio era velocissimo. Facevo davvero fatica a stargli dietro in quel labirinto di scaffali. A terra, posizionati alla base di quegli altissimi mostri metallici, giacevano abbandonati migliaia di contenitori zeppi fino all’orlo di buste, lettere, cartoline, pacchi postali. Molto del loro contenuto era traboccato per terra, alla mercé di chiunque. Il bianco originale delle buste sparse a terra era già stato più volte violato da impronte di scarpe. Non era quello il momento di preoccuparmene, però.

sabato 18 febbraio 2017

Outbox (Pt.1)

Non avevo mai ben capito cosa volesse significare il termine “kafkiano” che spesso sentivo usare dai miei conoscenti riferendosi a situazioni bizzarre. Una vaga idea più o meno l’avevo, avendo letto alcune opere dell’autore in questione, ma sull’utilizzo dell’aggettivo mantenevo ancora qualche riserva.
Oggi credo di averne un’idea un po’ più chiara a causa della storia che andrò tra poco a raccontarvi. Consideratela come volete: una storia vera, un sogno ad occhi aperti o magari proprio un sogno, ma di quelli che si fanno a occhi chiusi. Vera o falsa, che importa? In fondo è solo una storia.
Tutto iniziò una mattina di novembre. Avevo finalmente deciso di mollare il lavoro, quello che da anni ormai mi imprigionava a una scrivania e mi costringeva a fissare per ore il monitor di un computer. Non faceva più per me quella vita. Avevo voglia di cominciare daccapo, di assaporare nuovamente quelle emozioni che solo una novità è in grado di offrire. Avrei rinunciato a molte cose, ne ero consapevole, ma nulla alla fine poté trattenermi dal prendere la mia drastica decisione. Fui fortunato a trovare quasi immediatamente una nuova occupazione. Non sapevo nulla del nuovo lavoro. Nessuno mi aveva detto cosa avrei dovuto fare, né tantomeno lo avevo chiesto al mio interlocutore nel corso del colloquio telefonico. Avrei dovuto cominciare il lunedì mattina successivo, per cui avevo ancora un weekend di assoluta libertà in cui crogiolarmi. Decisi comunque di fare un sopralluogo all’indirizzo che mi era stato dato.

domenica 27 novembre 2016

Der Umschlag, Genesis

Non ho mai ben capito cosa dovrebbe significare il termine “kafkiano”, che sento spesso usare dai miei conoscenti riferendosi a situazioni bizzarre. Una vaga idea più o meno ce l'ho, avendo letto alcune opere dell’autore in questione, ma sull’utilizzo dell’aggettivo mantengo ancora qualche riserva. Secondo Wikipedia, l'aggettivo "indica una situazione paradossale, e in genere angosciante, che viene accettata come status quo, implicando l'impossibilità di qualunque reazione tanto sul piano pratico quanto su quello psicologico".
La stessa voce del celebre dizionario online suggerisce però che uno degli esempi più emblematici di situazione "kafkiana" sia quella che emerge dalle pagine del romanzo "Il processo" di Franz Kafka nelle pagine in cui viene a inserirsi prepotentemente il tema della burocrazia, nella fattispecie quella giudiziaria. Ecco, la chiave di volta forse è proprio nella cavillosità, nel formalismo, nell'osservanza esagerata dei regolamenti estesa al punto da tendere paradossale ogni tentativo di far prevalere la logica. Ma perché vi sto parlando di tutto questo? Credo sia necessaria una spiegazione, per cui ricomincio daccapo.

martedì 26 luglio 2016

Yuggoth! Rehearsals (Pt.3)

LA PRIMA PARTE SI TROVA QUI

Nella prima parte di questo articolo avevo accennato all’esistenza di alcuni punti in comune tra l’universo di Lovecraft e quello ideato da Ambrose Bierce e sviluppato in seguito da Robert W. Chambers. In realtà, a parte l’evidente rassomiglianza che i miti di Cthulhu hanno con le meno celebri leggende di Carcosa, nell’immensa produzione lovecraftiana esistono pochissimi riferimenti al lavoro dei suoi predecessori e, lo avrete già capito, tali riferimenti sono praticamente tutti inclusi in un singolo racconto, quel “The Whisperer in Darkness” con il quale vi sto tediando da ormai diverse settimane.
Nello specifico, sono due i passaggi che è necessario prendere in esame. Il primo, che ho ripreso praticamente tale e quale nel mio “Yuggoth!”, recita: “Lessi nomi e parole che avevo già sentito altrove e che sapevo riferirsi ai misteri più orridi: Yuggoth, il Grande Cthulhu, Tsathoggua, Yog-Sothoth, R'lyeh, Nyarlathotep, Azathoth, Hastur, Yan (Luogo), Leng (luogo), il lago di Hali, Bethmoora, il Segno Giallo, L'mur-Kathulos, Bran e il Magnum Innominandum; fui condotto in mondi estranei al nostro, di cui l'autore del Necronomicon aveva vagamente intuito l'esistenza; presi conoscenza degli abissi della vita originale, delle diverse correnti che ne derivano, e, finalmente, d'una mostruosa mescolanza che si era prodotta tra quelle correnti e un ulteriore abominio venuto dall'esterno”.

venerdì 22 luglio 2016

Yuggoth! Rehearsals (Pt.2)

LA PRIMA PARTE SI TROVA QUI

Come molti di voi avranno senz’altro sentito dire, Howard Phillips Lovecraft, grande appassionato di astronomia oltre che scrittore talentuoso, aveva da sempre ipotizzato l’esistenza di un pianeta transnettuniano (chiamato Yuggoth, nel suo immaginario) e ne era così certo che non esitò a menzionare quella sua idea in una lettera inviata al prestigioso Scientific American già nel 1906, quando il nostro era appena sedicenne. 
Plutone, come sappiamo, non venne scoperto che nel maggio del 1930, un quarto di secolo dopo le riflessioni del giovane Lovecraft. Quest'ultimo, che in quei giorni aveva appena iniziato la stesura di The Whisperer in Darkness, decise di citare il nuovo pianeta nel testo, precisamente là dove dice: “Gli astronomi l'hanno battezzato Plutone senza rendersi conto quanto gli si adatti quel nome! Sono profondamente convinto che altro non è che Yuggoth, e rabbrividisco chiedendomi perché, in base a quale piano, i mostri ne abbiano consentito la scoperta.” E più avanti dove invece dice: “Ecco tutto. Sono fortunato di non aver perso la ragione. Talvolta pavento quanto ci porteranno gli anni futuri, soprattutto da quando è stato scoperto il nuovo pianeta, Plutone.” Howard Phillips Lovecraft immaginava Yuggoth/Plutone come “l'avamposto di una terrificante razza interstellare il cui luogo d'origine doveva trovarsi molto al di fuori della nostra galassia”.

lunedì 18 luglio 2016

Yuggoth! Rehearsals (Pt.1)

Prima o poi era inevitabile che quella lunga di serie di post sulla mitologia del Re in Giallo finisse per sconfinare nel magico universo lovecraftiano. Era scontato sin dall’inizio, non vi pare? D’altra parte non è affatto un mistero che i cosiddetti Miti di Cthulhu si siano ampiamente ispirati, almeno per quanto riguarda la parte pseudobiblica, al famigerato King in yellow citato dal contemporaneo, per Lovecraft, Robert W. Chambers. Restava solo da stabilire il momento in cui il solitario di Providence avrebbe potuto fare il suo ingresso in questa serie di post e, neanche a farlo apposta, con Yuggoth! quel momento è in un certo qual modo arrivato. 
Non avrei per inciso potuto scegliere diversamente, perché proprio scrivendo uno degli ultimi articoli, precisamente quello pubblicato a fine novembre dal titolo The Dream Leech, ispirato all’omonimo racconto di William Laughlin, avevo già gettato involontariamente le basi per questo, chiamiamolo così, “piccolo speciale” al quale state assistendo dall’inizio di luglio. Un piccolo speciale (definito “piccolo” solo perché assolutamente casuale e non programmato) dedicato ad uno dei racconti più importanti dell’intero universo lovecraftiano, il già più volte citato “The Whisperer in Darkness” (ovvero "Colui che sussurrava nelle tenebre").

mercoledì 6 luglio 2016

Yuggoth! (Pt.3)

LA PRIMA PARTE SI TROVA QUI

Quella stessa sera, seppure avvolto dal rassicurante calore della mia abitazione, non riuscii a trovare il modo di scacciare i brividi che tormentavano il mio corpo e la mia anima. Provavo uno strano malessere per il quale non riuscivo a trovare una ragione razionale. A tratti sentivo come se mi mancasse l’aria nei polmoni, cercavo di inspirare profondamente ma non ci riuscivo del tutto. Era come se qualcosa bloccasse le vie respiratorie, come se ci fosse una specie di valvola che una mano invisibile si divertiva a chiudere e aprire a suo piacimento, quasi prendendosi gioco dei miei disperati boccheggi.
Avevo già preso qualcosa dall’armadietto dei medicinali, una di quelle pastiglie che si sciolgono in acqua tra mille bollicine e che vanno bene un po’ per tutto. Ero perfettamente consapevole che si trattava solo di un intruglio di acqua zuccherata al sapor di limone, ma ormai da tempo avevo preso l’abitudine di ingurgitarne una in ogni occasione. Il mio inconscio, in un certo qual senso, godeva del piacere dell’illusione. Mi crogiolavo letteralmente al pensiero che potesse esserci una soluzione reale, palpabile, fisica, ai miei mali. Ma non era così. Non c’erano mali di nessun tipo, perlomeno nessun tipo di male che fosse mai stato catalogato da qualcuno. Il male non era dentro di me: il male era fuori, da qualche parte, tutt’intorno nella stanza e oltre la finestra, giù nella strada e nelle strade a fianco, attraversava tutta la città e si spingeva oltre.

lunedì 4 luglio 2016

Yuggoth! (Pt.2)

LA PRIMA PARTE SI TROVA QUI

Yuggoth! – mi interruppe il mio amico Noyes – Plutone anticamente si chiamava Yuggoth, non lo sapevi? E quando dico anticamente, mi riferisco al fatto che la sua esistenza era stata teorizzata molti anni prima della sua scoperta.
Non capivo come Noyes potesse dimostrarsi così entusiasta di quel piccolo aneddoto che avevo deciso di raccontargli una volta terminate le cordialità di rito tra due persone che non si vedevano da almeno quindici anni. Ezra Noyes era tale e quale a come lo ricordavo: irruente, ironico, irriverente, ma al tempo stesso preciso, attento e affidabile.
 Tuttavia, quando finalmente ebbi il modo di fare il nome di Henry Wentworth Akeley, il mio amico perse del tutto quella predisposizione alla simpatia che aveva contraddistinto i nostri primi minuti di conversazione.
Si ricordava naturalmente benissimo del caso Akeley e, come ebbe modo di spiegarmi, quel nome gli riportava alla mente uno degli avvenimenti più controversi che diversi lustri prima avevano segnato indelebilmente la memoria dei vecchi abitanti di quella regione. Non ne sapeva poi molto, tutto sommato, se non che si era trattato di un caso di cronaca alquanto singolare, un caso di sparizione, forse di omicidio, i cui retroscena non erano mai stati precisati.

sabato 2 luglio 2016

Yuggoth! (Pt.1)

Ripensandoci a mente fredda oggi, due mesi dopo l’epilogo degli avvenimenti che andrò tra poco a narrarvi, mi chiedo per quale strana e assurda combinazione tutto ciò abbia potuto avere inizio. In altri momenti avevo riso di gusto di quei gustosi aneddoti sull’inefficienza del servizio postale. Li avevo sempre considerati più che altro luoghi comuni, quasi impossibili da riscontrare nella vita reale.
Eppure quella mattina di maggio avevo davanti a me la prova che i “viaggi nel tempo” non erano del tutto impossibili, anche se, beninteso, tali viaggi non erano da intendersi come quelli immaginati nei libri e nel cinema di fantascienza.
Un pacco postale, il cui viaggio era iniziato ben ottantacinque anni prima, si era infine materializzato sotto i miei occhi, un reperto di un passato remoto la cui stessa esistenza era rimasta sospesa nel tempo fino a che un impiegato curioso non lo aveva scovato sul fondo di qualche scaffale polveroso, in qualche ufficio o magazzino statale, e non aveva provveduto a metterlo in consegna. Davvero difficile a credersi.
Ottantacinque anni: l’equivalente esatto di tre generazioni, visto che il nome del destinatario, indicato, con una scrittura incerta ma ancora leggibilissima, sulla carta giallo-ocra dell’imballo, era chiaramente quello del mio nonno paterno, Albert Wilmarth.

lunedì 23 maggio 2016

La canzone di Cassilda (Pt.4)

LA PRIMA PARTE SI TROVA QUI
ATTO II - SCENA I: TOMMASO

Alessia H.V., 'La Perduta Carcosa', digital, 2015
 http://alessiahv.deviantart.com/
“...è il Signore delle Foreste fino a [...] e i doni degli uomini di Leng [...] dagli abissi della notte fino alle voragini dello spazio, e dalle voragini dello spazio agli abissi della notte, che risuonino per sempre le lodi del Grande Cthulhu, di Tsathoggua e di Colui-che-non-si-deve-nominare. Che risuonino per sempre le Loro lodi, e che sia concessa l'abbondanza al Capro Nero delle Foreste. Iä! Shub-Niggurath! Il Capro! [...] Ed è avvenuto che il Signore delle Foreste, essendo [...] sette e nove, in fondo alla scala d'onice [...] tributi portati a Quello dell'Abisso, Azathoth, a Colui del quale Tu ci hai insegnato le meraviglie... sulle ali della notte, al di là dello spazio, al di là del [...] a Quello di cui Yuggoth è l'ultimo nato, viaggiando solitario nell'etere nero al confine del [...] anche fra gli uomini, e istruitevi sulle loro usanze, affinché Quello dell'Abisso possa sapere. A Nyarlathotep, il Potente Messaggero, tutto deve essere riferito. Ed Egli assumerà le sembianze dell'uomo, la maschera di cera e la veste che nasconde, ed Egli discenderà dal mondo dei Sette Soli per..."  (1)
Il treno scivolava via veloce nell’oscurità. I riflessi purpurei del tramonto lo avevano accompagnato finché potevano ma alla fine, nell’arco di un attimo, erano stati costretti a sottomettersi alle rigide regole imposte dalla rotazione terrestre. Tommaso osservava il suo riflesso nel finestrino sferzato dalla pioggia battente senza poter identificare null’altro che le luci dei rari lampioni che accompagnavano il suo percorso. Il serpente bagnato, le cui squame metalliche rispendevano sotto quelle luci inaspettate, sembrava dotato di una coscienza propria, quasi come se sapesse esattamente il da farsi, quasi come se le sue spire potessero improvvisamente stringersi e fagocitare tutti i suoi passeggeri nel tempo di un solo batter di ciglia.

sabato 31 ottobre 2015

Hell's Bells diventa un ebook

Ero piuttosto indeciso quest'anno su come affrontare l'annuale appuntamento con la notte delle streghe. L'anno scorso avevo recensito un film, l'anno prima mi ero concentrato sul folklore, l'anno prima ancora... non mi ricordo più. Cosa fare quindi questa volta per non ritornare accidentalmente su argomenti già trattati in precedenza? Semplice: ho deciso di ritornarci sopra volutamente.
L'idea mi è venuta dopo aver letto alcuni dei commenti giunti qui in questo blog nelle scorse settimane, commenti nei quali mi veniva proposto di impacchettare alcuni dei miei post e realizzarne degli ebook.
Ammetto che solo fino a poco tempo fa non avrei mai pensato a una soluzione di questo genere ma, adesso che la pulce mi è stata infilata nell'orecchio, l'idea comincia a premermi nel cervello, solleticando non poco la mia fantasia. 
Prima però di mettermi a rielaborare progetti più complessi (come la lunga saga sugli Yellow Mythos, tanto per dirne una), pensavo di tentare un esperimento su qualcosa di più semplice, qualcosa che mi permettesse di ottenere un risultato decente senza perderci sopra troppo tempo. La mia scelta è quindi ricaduta su un vecchio racconto che era apparso qui sul blog diversi anni fa, addirittura nell'era Cenozoica di Obsidian Mirror, quando da queste parti non capitava nessuno neanche per sbaglio. Il racconto in questione l'avevo intitolato "Hell's Bells", giocando un po' a mescolare il titolo della famosa canzone con il nome di alcuni dei protagonisti della vicenda narrata. Il titolo di allora l'ho ovviamente mantenuto: in fondo, cosa avrei potuto trovare di meglio?

martedì 9 giugno 2015

La canzone di Cassilda (Pt.3)

LA PRIMA PARTE SI TROVA QUI
ATTO I - SCENA III: CASSANDRA

Alessia H.V., 'La Perduta Carcosa', digital, 2015
 http://alessiahv.deviantart.com/
“Io stesso sono la maschera, la maschera pallida. Io sono il fantasma della verità. Provengo da Alar. La mia stella è Aldebaran. Le verità è una nostra invenzione, la nostra arma in battaglia. E il segno giallo…” (1)
Non credeva ai suoi occhi. Da quando il suo ragazzo, sette mesi prima, se n’era andato di casa senza una parola, Cassandra aveva cercato in tutti i modi di comprendere il significato di quell'ultimo post che egli aveva pubblicato sul proprio blog. Era un post strano, diverso dai suoi soliti, un post a cui nessuno aveva mai, prima di quella notte, lasciato un commento. Parlava di cose che lei non comprendeva, parlava di persone che lei non conosceva. Yog-Sothoth, R'lyeh, Nyarlathotep, dove le aveva già sentite? Camilla, Cassilda, chi erano costoro? Era evidente che c’era qualcosa (qualcuno?) nella sua vita che, chissà da quanto tempo, egli le aveva tenuto nascosto.
Quella notte invece qualcuno, su quel post, aveva infine lasciato un commento anonimo, un commento tutt’altro che banale. Sembrava proprio il commento di qualcuno che conoscesse esattamente la materia di cui parlava.
Cassandra aveva speso giorni e notti davanti al computer, cercando in rete qualsiasi collegamento a quei nomi e alle misteriose parole di quel post, parole che dovevano in qualche modo contenere le risposte alle sue domande, se solo le avesse comprese, ma non aveva mai trovato nulla di veramente utile, se non vaghi rimandi a una certa letteratura horror risalente ad oltre un secolo prima, un tipo di letteratura che aveva sempre considerato superflua ma che forse in futuro avrebbe fatto meglio a conoscere.

domenica 18 maggio 2014

La canzone di Cassilda (Pt.2)

L'INIZIO DI QUESTA STORIA SI TROVA QUI
ATTO I - SCENA II: ALESSANDRO

Alessia H.V., 'La Perduta Carcosa', digital, 2015
http://alessiahv.deviantart.com/
"Lungo la spiaggia onde di nubi si frangono, i Soli gemelli s’affondano nel lago, le ombre si allungano in Carcosa. Strana è la notte in cui sorgono stelle nere e strane lune ruotano nei cieli. Ma ancora più strana è la perduta Carcosa. Canzoni che le iadi canteranno, là dove s’agitano i cenci del Re, muoiono inascoltate nell’oscura Carcosa. Canto dell’anima mia, la mia voce è spenta. Anche tu muori, mai nato, come una lacrima mai pianta s’asciuga e muore nella perduta Carcosa....” (1)

Le righe riportate qui sopra risalivano a sette mesi prima. Alessandro si era imbattuto quasi per caso in quel blog dimenticato, forse ormai definitivamente chiuso. L’autore aveva scritto quell’ultimo post, dopodiché aveva evidentemente abbandonato l’idea di aggiornarlo. Con un rapido movimento verso il basso del mouse era scivolato in fondo al post nell’area dei commenti. Non c’era nessun commento. 
Si accese una sigaretta e riprese a leggere il post. Era incredibile. Il misterioso autore era incappato in un sinistro libro dalla copertina gialla che lo aveva fatto sbarellare. Alcuni passi del post erano perfettamente comprensibili: egli raccontava di una ragazza che abitava con lui e riportava pochi altri accenni alla sua vita privata, al suo lavoro, ai suoi interessi. Gran parte del post però risultava molto vago. Vi erano vaghi riferimenti a nomi misteriosi quali Yuggoth, Tsathoggua, Yog-Sothoth, R'lyeh, Hastur, Yan, Bethmoora, il Segno Giallo, la Maschera Pallida, il lago di Hali e il Magnum Innominandum. Erano nomi misteriosi che a lui, occasionale visitatore di quel blog abbandonato, raccontavano invece qualcosa di ben preciso, qualcosa a cui aveva assistito in un’epoca remota. Talmente remota che ormai gli era venuto il dubbio di essersi solo immaginato o sognato quegli avvenimenti.

sabato 1 marzo 2014

D. Lilien Drummond

Il mio nome è Mathilde, ma di questo a voi importerà poco. Quello che forse vi interesserà conoscere, almeno così mi auguro, è la sequenza di avvenimenti che portarono la mia signora a perdersi negli abissi della follia. Non so come tutto questo sia potuto accadere; non so come la situazione ad un certo punto sia degenerata, ma qualche idea me la sono fatta e, se fosse come credo, mi auguro che la bontà divina possa un giorno permettermi di dimenticare. Solo fino a qualche settimana fa Lady Grizel credeva di essere la persona più felice su questa terra. Il suo matrimonio con Lord Alexander Seaton era stato meraviglioso come ella non avrebbe mai potuto immaginare. Tutto era stato perfetto, dalla cerimonia nell’elegante cattedrale di Fyvie, di fronte ad una folla sterminata, fino ai festeggiamenti, ai canti e ai balli che ininterrottamente erano andati avanti fino a tarda ora.  
Era felice e tutti sembravano felici. Ripensandoci oggi, sono ormai certa che nel cuore di alcuni degli invitati di quel giorno si celassero numerose ombre. Una vocina, proveniente da chissà dove, probabilmente da un angolo inaccessibile del suo subconscio, forse aveva anche tentato di metterla in guardia ma, evidentemente, la mia signora aveva preferito ricacciarla indietro. Cosa avrebbe potuto fare, d’altra parte? Il sogno della sua vita si stava trasformando in realtà. Sarebbe diventata la sposa più invidiata di Scozia e di lì a poco, pensavo, anche madre.

martedì 4 febbraio 2014

Illusion d'ombre

Voltò lo sguardo prima a destra e poi a sinistra. La strada era deserta. Di fronte a lui la facciata dell’edificio che ospitava il Blue Bell Hotel, il cui nome sull'insegna luminosa era parzialmente corrotto da alcune lampadine bruciate e mai sostituite: evidentemente anche questo posto, come tutto il resto intorno, aveva visto tempi migliori. Nonostante ciò, era probabilmente uno dei posti migliori dove trovare alloggio in città, né troppo lussuoso, né troppo fatiscente, in grado di offrire una discreta comodità, al giusto prezzo, garantendo allo stesso tempo quella piccola dose di tatto e di riservatezza che egli gradiva.
La segretaria del suo capo, che gli aveva prenotato la camera, aveva interpretato perfettamente il suo desiderio.
Thomas attraversò lesto la strada e spinse la porta a vetri, che cedette con un leggero cigolio. La hall sembrava deserta. Con la sola eccezione di una piccola luce oltre una porta socchiusa, dietro il bancone della reception, tutto era avvolto nelle tenebre. Dovrebbero ambientarci una storia di fantasmi in questo posto, pensò incamminandosi in silenzio verso l’unica sorgente di luce. Cercò di attirare l’attenzione di qualcuno con un leggero colpo di tosse, ma il suo tentativo non ebbe esito. Tossì due volte ancora, con maggior decisione: nulla. Maledizione, pensò. Fece per girare attorno al bancone per gettare lo sguardo oltre la porta socchiusa, quando un’ombra oscurò per un attimo quell'unica fioca luce.

giovedì 31 ottobre 2013

On Halloween look in the glass...

On Halloween look in the glass, your future husband’s face will pass. Olivia si era ritirata in camera sua eccitatissima quella sera. Ancora poche ore e sarebbe giunto il giorno del suo quindicesimo compleanno, il che significava davvero molto per lei. Aveva trascorso l’intera giornata ad aiutare sua madre ad intagliare zucche per la ricorrenza che cadeva, guarda caso, quella notte stessa. Eh sì, era davvero singolare che il caso avesse fatto coincidere la vigilia del suo compleanno con la notte di Halloween, una delle feste più amate dai bambini. Olivia però quell’anno non si sentiva più una bambina. Si era lasciata alle spalle tutte quelle sciocchezze, le streghe e i fantasmi, e non aveva ceduto alle insistenze delle sue amiche che, anche quell’anno, avrebbero trascorso il loro tempo bussando di porta in porta e ripetendo la solita filastrocca del “dolcetto o scherzetto”.
Ormai era grande. Una vera signorina. Quindici anni erano un traguardo che aspettava da tempo, dal giorno in cui sua madre, tanti anni prima, le aveva detto che l’età che rimpiangeva di più era quella dei suoi quindici anni. Non se lo era mai dimenticato e, anzi, da allora aveva cominciato a tenere il conto, con incredibile assiduità, dei giorni che la dividevano da quell’evento. Il conto alla rovescia era ormai quasi terminato. Da domani si sarebbe aperto un mondo nuovo per Olivia, almeno questo era quello che si augurava e su cui aveva fantasticato tanto. Sua madre aveva conosciuto l’uomo che sarebbe diventato suo padre a quindici anni e forse, chissà, anche Olivia avrebbe incontrato il suo futuro marito. Magari non lo avrebbe sposato subito, quello no, non era ancora pronta per sposarsi né tantomeno per avere dei bambini veri, però magari lo avrebbe incontrato, così per caso, magari davanti alla gelateria, o passeggiando per il parco o magari sulla strada della scuola. Lo avrebbe incontrato e lo avrebbe (su questo non aveva alcun dubbio) riconosciuto al primo sguardo.

lunedì 21 ottobre 2013

La canzone di Cassilda (Pt.1)

DI TUTTO QUESTO E' SOLO L'INIZIO
ATTO I - SCENA I: TOMMASO

Alessia H.V., 'La Perduta Carcosa', digital, 2015
http://alessiahv.deviantart.com/
Era già da diverse notti che Tommaso non riusciva a chiudere occhio. Si girava e si rigirava nel letto. Ogni tanto lanciava uno sguardo al proprio cellulare appoggiato sul comodino, più per abitudine che per altro. Leggeva l’ora, mugolava qualcosa di incomprensibile e ancora si girava e rigirava. La ragazza sdraiata accanto a lui ormai non faceva più caso alle sue stranezze. Si era oramai quasi abituata alla cosa e, solo di tanto in tanto, si destava per recuperare le lenzuola che lui aveva trascinato con sé dal suo lato del letto.
Da quando gli era capitato tra le mani quel libro, tutto per lui era cambiato. Le notti insonni erano solo una parte del problema. Anche i giorni ormai li trascorreva immerso nei suoi pensieri, in uno stato quasi catatonico. Aveva acquistato quel libro qualche settimana prima in una bancarella di roba usata, per un motivo che esattamente non ricordava. Forse fu per via di quella copertina, di un giallo abbacinante, che sembrava fatta apposta per attirare attenzione, per distinguersi in mezzo a quel mucchio di cianfrusaglie. Gli sembrava un volume molto antico, almeno a giudicare dalle apparenze, e si chiedeva come mai fosse in vendita per così pochi spiccioli.

venerdì 8 marzo 2013

Caerphilly Tales

Ci sono storie d’amore che durano lo spazio di un’estate e ci sono storie d’amore che durano per tutta la vita. Ce ne sono poi alcune che superano i limiti temporali imposti dalla umana condizione, e sopravvivono per secoli, se non per millenni. La storia che vi racconterò oggi è proprio una di queste: vi dirò della bella principessa Alice e del suo perduto amore, vi dirò dei loro fugaci incontri e di come cedettero alla passione, e vi dirò di come tutto questo finì nel sangue.
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