martedì 31 ottobre 2017

Orizzonti del reale (Pt.15)

Philippe de Champaigne,
Moïse avec les Dix Commandements, 1648, olio su tela
LA PRIMA PARTE SI TROVA QUI

La lunga parte di Orizzonti del Reale dedicata a John Marco Allegro termina qui. Quello che nelle mie intenzioni originali doveva essere poco più che un “inciso” nell’ambito di un progetto eterogeneo ha finito per occupare fin troppo spazio, ma tant’è. Resta solo da aggiungere qualcosa a proposito dell’idea-nucleo del suo saggio, un argomento a cui abbiamo già accennato ma che meriterebbe ancora pagine e pagine di discussione: quella così controversa e cruciale che riguarda le tracce dell’antico culto della fertilità degli Israeliti che, secondo lui, sarebbero contenute nella letteratura sacra, ovvero i nomi segreti del dio-fungo e tutto il rituale della morte-rinascita.
Se l'Antico Testamento ha un tono tutto sommato leggero e scanzonato, ravvisabile in giochi di parole e doppi sensi, il Nuovo Testamento ha una connotazione più profetica e, potremmo dire, più esoterica; ma nelle sue dissertazioni Allegro va molto oltre, affermando che quest’ultimo contiene invocazioni e incantesimi fra i quali va annoverato anche il “Padre Nostro”. Il verso “come in cielo, così in terra” ha in effetti una certa rassomiglianza con il motto ermetico “come in alto, così in basso”, probabile retaggio di una comune, antica sapienza, ma non mi aveva mai sfiorato l’idea non tanto che questa preghiera potesse avere un significato occulto, quanto che questo significato potesse essere diverso da quello che io supponevo.

giovedì 26 ottobre 2017

Cinquecento!

Da che parte comincio? Potrei cominciare dall’inizio, raccontando come fu che in quel piovoso pomeriggio di aprile di qualche anno fa mi rimboccai le maniche e mi misi a scrivere il primo articolo su The Obsidian Mirror... ma l'ho già fatto tante volte (tra l'altro è nell'aria un "meme" che chiede espressamente di raccontare i propri inizi, per cui potrei rimandare il piacere di farvi nuovamente sorbire quel racconto a uno dei prossimi articoli).
Oggi il blog festeggia il suo cinquecentesimo post e, come è ormai tradizione da queste parti, è una fantastica occasione per darsi ai bagordi. A beneficio di chi mi segue da poco, inizio col dire che la pratica di festeggiare il post con il “doppio zero” è una scelta che ho sempre preferito a quella classica del “bloggheanno” (o “compleblog” che dir si voglia): celebrare un centenario per me significa mettere in archivio un risultato effettivamente raggiunto, quello della scrittura, risultato che prescinde dalla variabile tempo, visto che ai compleanni ci si arriva sempre e comunque, anche senza scrivere niente.

venerdì 20 ottobre 2017

The Day the Southern Rock Died

Qualunque sia il palcoscenico su cui si recita la propria vita, arriva il momento di calare il sipario e, quando i riflettori si sono spenti e il pubblico se n'è andato, si può cercare di capire se quello che è stato fatto è buono o cattivo. Questa è una regola che vale per tutti, a meno che...
a meno che il destino non venga a metterci il naso, trasformando un'esistenza magari normalissima in qualcosa di davvero unico.
Ed è così che, qualche volta, nascono le leggende.
Quel 20 ottobre 1977, esattamente quarant'anni fa, il destino volava sulle ali di un Convair CV-300 decollato poche ore prima dall'aeroporto di Greenville, nella Carolina del Sud, puntando la prua verso Baton Rouge, in Louisiana. Era però scritto che quelle ali non sarebbero scivolate delicatamente sulla pista di atterraggio prevista: il destino decise invece che quel volo si schiantasse tra gli alberi di una foresta dalle parti di Gillsburg, nel Mississippi, strappando alla vita delle vite umane per consegnarle direttamente alla leggenda.
Avrete ormai capito che quello di oggi vuole cercare di essere un piccolo tributo alla band che, forse più di ogni altra, ha lasciato una traccia indelebile nella storia del rock americano.

lunedì 16 ottobre 2017

Quella diabolica Hollywood...

No, non è solo una vostra impressione: ancora una volta, la terza nel giro di un mese, questo blog apre le porte del suo salotto ad un graditissimo ospite.
Lungi da me far concorrenza al monumentale Nick Parisi, il vicino di blog che ha fatto delle sue interviste un marchio di fabbrica, questa recente tendenza a lasciar carta bianca a scrittori ed editori deriva semplicemente dal fatto che, forse come mai prima d'ora, quest'estate ho infilato una fortunatissima serie di letture strepitose.
Il classico progetto di scrivere una relazione "in pillole" di tutte le mie letture da spiaggia (cosa che tra l'altro era sempre stata mia abitudine fare) mi aveva però un po' annoiato e, quest'anno, così tanto per cambiare, ho preferito lasciar perdere e concentrarmi su poche cose, accuratamente selezionate, in maniera più approfondita.
L'estate è finita da un bel pezzo, osserverà giustamente la maggior parte di voi, ma i tempi biblici sono una caratteristica a cui uno "slow blog" come questo non può rinunciare... e per questo motivo eccomi ancora qua.
L'ospite di oggi, come probabilmente avrete intuito, è Fabio Lastrucci, vecchia conoscenza di Obsidian Mirror (ne avevamo parlato qui), scrittore, illustratore e, me ne accorgo solo oggi, anche scultore. Fabio ci racconterà la genesi di uno dei suoi lavori più complessi, quel "L'estate segreta di Babe Hardy" recensita su questo blog solo pochi giorni fa. Nello specifico con Fabio parleremo di quel parterre di personaggi che ne costituisce l'ossatura e di alcuni di quegli inside jokes disseminati nella storia, come omaggi alla cultura e all'immaginario pop. Buona lettura!

venerdì 13 ottobre 2017

L'estate segreta di Babe Hardy

Le labbra di Laurel si deformarono sotto un’incontenibile pressione interna per esplodere infine in una fragorosa risata che lo squassò a lungo. Era una cascata senza freni. L’attore si batteva convulso le mani sulle ginocchia, risucchiava aria con dei ragli asinini, poi riprendeva a ridere con maggiore intensità. Rimasto spiazzato per qualche secondo, Hardy si drizzò in tutta la sua statura, offeso come non mai. «Non vedo proprio cosa ci sia da ridere.»
Sono secoli che non guardo un film comico. Sarà forse che la comicità degli ultimi decenni mi deprime come una riunione di marketing a ferragosto, ma è un dato di fatto che le grasse risate che mi facevo un tempo guardando quei vecchi film con Sordi, Troisi o il principe De Curtis non riesco davvero più a concepirle. 
E pensare che Totò e i suoi compari non avevano nemmeno bisogno di battute: erano capaci di divertire anche solo con la mimica facciale. Ho citato Totò, ma la mia mente inevitabilmente ritorna al cinema dei pionieri, a quelle maschere tragicomiche che erano i Ridolini, i Charlie Chaplin e i Buster Keaton. Ma molto più di questi ultimi, non me ne vogliano i loro eventuali epigoni, da bambino io amavo Stanlio e Ollio e le loro imprese.

domenica 8 ottobre 2017

Da donna a strega: l’eterno ritorno

L'INTRODUZIONE SI TROVA QUI

In Europa, le analogie fra miti e figure del folclore in territori anche molto distanti geograficamente si spiegano per via delle migrazioni e dei contatti fra vari popoli, e in particolare i Celti e gli Sciti, ma anche i Daci e i Traci, il cui immaginario evidentemente si fuse con quello romano. Il patrimonio culturale italiano, in particolare, è stato plasmato anche da influenze di culture come quella illirica, quella cimbra e quella degli indoeuropei, i nomadi delle steppe russe, e, specie nelle regioni del Nordest, da quelle delle popolazioni slave, tanto che se oltre ai termini generici di Fate e Streghe tenessimo in considerazione tutte le variazioni dialettali dei nomi che ricorrono nelle varie leggende locali, dovremmo contare decine e decine di nomi, molti dei quali fanno parte da tempo immemore della toponomastica: Agane, Angolane, Anguane, Aquane, Begane, Bugadére, Cavestrane, Desodre, Dujacesse, Eguane, Fade, Gandane, Gane, Guane, Inguane, Ivane, Janare, Jane, Krivapete, Lagane, Langane, Linguane, Longane, Melusine, Nanguane, Pagane, Pane, Salinghe, Sequane, Somegane, Spilunghe, Stane, Torke, Varvuole, Vivane, Zuane, e ancora Vecchie Signore, Beate Donnette, eccetera eccetera... 

martedì 3 ottobre 2017

Gli esploratori dell'infinito

Solitamente cerco di dare spazio alle piccole segnalazioni solo entro quel ristretto spazio, più o meno appositamente creato, che appare su questo blog su base bimestrale. Sto parlando di "Traditi dalla fretta", se non si fosse capito: quella specie di rubrica che da qualche mese, piuttosto puntualmente, fa capolino da queste parti. 
Oggi invece è il caso di infrangere quella piccola regola non scritta per dare un po' di voce a un'iniziativa piuttosto curiosa che, a mio parere, merita la giusta attenzione.
Come al solito, dietro un'introduzione del genere c'è lo zampino di Cliquot, piccola casa editrice dai natali digitali specializzata nel recupero di romanzi, raccolte di racconti e saggi inediti in Italia o da lungo tempo fuori catalogo. 
Inutile dire che per il sottoscritto ogni nuova uscita è un'incitazione all'acquisto compulsivo e che solo un incrollabile autocontrollo mi trattiene dallo "sperperare" una montagna di denaro. Il particolare, non trascurabile, che queste opere sono invece accessibili a prezzi piuttosto contenuti non sostiene, ahimè, alcuna mia scusa basata sul risparmio.
Ma lasciamo per un attimo da parte queste piccole divagazioni economicistiche e veniamo piuttosto al punto.
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