martedì 29 maggio 2012

Lo specchio di Giulia

Ho sempre creduto che gli specchi racchiudessero in sé qualcosa di misterioso, di trascendentale, che non fossero semplicemente dei cristalli di materiale riflettente o dei semplici pezzi di arredamento al pari di sedie e tavoli. Gli specchi, secondo il mio modo di vedere, rappresentano dei passaggi, delle porte, e se noi non siamo in grado di attraversarli, o semplicemente non siamo in grado di vedere oltre la banale immagine riflessa di noi stessi, è solo perché abbiamo dei limiti. Non siamo capaci, in altre parole, di superare la barriera che separa il mondo terreno da quello, come dire, ultraterreno. E tutto sommato questa potrebbe essere una fortuna. Vi sono però delle sporadiche eccezioni, alcune scientificamente documentate, altre rimaste allo stadio di leggende metropolitane, che dovrebbero farci riflettere (il gioco di parole, giuro, è involontario). Una di queste eccezioni ha avuto come protagonista una mia cara amica, che mi ha scritto qualche giorno fa pregandomi di prestarle aiuto. Giulia, la chiamerò così, è oggi una splendida quarantenne, ma aveva sì e no otto anni quando si trasferì con la sua famiglia nel condominio alla periferia nord di Milano dove abitavo: uno di quei casermoni mezzi fatiscenti dove tutti conoscevano tutti, ma nessuno si fidava di nessuno. Giulia invece era simpatica ed estroversa. Tutt’altro che una bella bambina, per la verità, con quegli occhialoni troppo grandi per il suo viso e quella pettinatura da maschiaccio. Ad ogni modo facemmo subito amicizia.

lunedì 28 maggio 2012

Circuito chiuso

Ci sono dei momenti della propria vita che, per qualche ragione indecifrabile, rimangono impressi più di altri nella memoria. A volte sono dei ricordi ben precisi: un compleanno, una giornata al mare, un esame superato. Altre volte sono solo delle immagini decontestualizzate: un volto, un oggetto, un odore, un dolore. Ma altre volte ancora non sono che dei suoni: la canzone che ha fatto da colonna sonora ad un avvenimento importante o ad un particolare periodo della propria vita. Immagini e suoni talvolta si fondono, talvolta si intrecciano, talvolta si sovrappongo. Al punto che ci chiediamo spesso se quello che ricordiamo sia davvero avvenuto o non sia magari solo quello che crediamo (o desideriamo) sia avvenuto.
Prendete una vostra fotografia, una di quelle che vi hanno scattato quando eravate piccoli, una di quelle che negli anni avete guardato un milione di volte. Vi avranno senz’altro raccontato mille particolari del giorno in cui quella foto è stata scattata: vi avranno indicato il giorno, il luogo, il nome di eventuali presenti. Quante di queste informazioni appartengono in realtà ai vostri ricordi? E quante invece sono elaborazioni di quello che vi è stato raccontato? Se in quella foto dimostrate meno di 3 anni, probabilmente sono solo ricordi di altri. Non c’è modo infatti di ripescare nella propria memoria delle immagini che risalgono a quell’età. Perlomeno, io non ne sono capace. Ma c’è una fase successiva, che va di solito dai 3 ai 10 anni, in cui i nostri ricordi iniziano a mescolarsi con quelli degli altri creando scenari che, seppur molto vicini alla realtà, in realtà non sono che ricostruzioni più o meno fedeli di avvenimenti accaduti.

giovedì 24 maggio 2012

Devil Doll Okiku

Per iniziare a raccontare le vicende associate ad Okiku, quella che successivamente (e ingiustamente) fu denominata “Devil Doll”, bisogna risalire a quasi un secolo fa. Era il giorno di ferragosto del 1918 e, nella città di Sapporo (la più grande città dell’Hokkaido, a nord del Giappone), si stava tenendo un’importante rassegna fieristica, la Taishō Expo (dal nome dell’allora imperatore del Giappone). Erano quelli anni di profonda incertezza. Nonostante il suo piccolo ruolo nella prima guerra mondiale, enormi investimenti erano stati dedicati ai programmi di difesa, esaurendo le risorse e accumulando debiti vero l’estero. Inoltre, per mano di gruppi ultra-nazionalisti, passò la cosiddetta Legge per la Preservazione della Pace che costrinse  alla clandestinità il Partito Comunista Giapponese, reo di promuovere un pensiero considerato pericoloso e destabilizzante.  Fu comunque quella un’epoca contrassegnata anche da grandi movimenti liberali: studenti, professori universitari e giornalisti, sostenuti dalle unioni dei lavoratori e ispirati da una varietà di ideali democratici, socialisti, comunisti, anarchici e di altre scuole di pensiero occidentali, misero su grandi ma ordinate manifestazioni pubbliche in favore del suffragio universale maschile che si realizzò finalmente nel 1925, grazie alla nuova legge elettorale che avrebbe garantito il voto a  tutti gli uomini sopra i 25 anni.

mercoledì 16 maggio 2012

Engraved in Black

E' da diverso tempo che non parlo di musica in questo blog. L'ultima volta fu lo scorso gennaio, con la mia recensione dell'album "Lights Out" degli Antimatter, datato 2003. Risale ancora al 2003, decisamente uno degli anni più prolifici di questo nuovo millennio per il metal, l'album che ho intenzione di recensire oggi: si tratta di "Engraved in Black", quarto album studio per gli altoatesini Graveworm, gruppo ancora semisconosciuto in Italia, ma che piò vantare un grosso seguito all'estero, soprattutto in Germania.
Il genere proposto da questi cinque ragazzi è una variante melodica del Black Metal. Immagino che al sentire parlare di Black Metal molti storceranno il naso, visto che si tratta di un genere rappresentato da gruppi, prevalentemente scandinavi, dediti più che altro a dare fuoco alle chiese piuttosto che a cercare di creare una musica che sia perlomeno ascoltabile. Pensare che "dare fuoco alle chiese" sia esagerato? Leggete su Wikipedia la storia di Varg Vikernes, alias Burzum, se non ci credete. Ad ogni modo, oltre ad essere un  sottogenere estremo dell'heavy metal, conosciuto per le sue tematiche sataniste, il Black Metal ha sviluppato nel tempo diversi sottogeneri, alcuni dei quali assolutamente apprezzabili dal punto di vista stilistico. Uno di questi è il cosiddetto Melodic (o Symphonic) Black Metal, che fece la sua prima apparizione grazie a due band (guarda caso) norvegesi, i Dimmu Borgir e gli Emperor. Entrambi debuttarono nel 1994, migliorando l'aspetto tecnico e melodico e aggiungendo inserti sinfonici ad una base musicale che traeva ispirazione dal Black Metal classico. Oggi le band Melodic (o Symphonic) Black Metal sono centinaia, tra cui spiccano senza dubbio i nostrani Graveworm.

martedì 15 maggio 2012

Sisters of Gion

Kenji Mizoguchi (溝口 健二 Mizoguchi Kenji; 1898-1956) è considerato uno dei più importanti ed influenti registi giapponesi degli anni 50, autore di oltre 80 capolavori quali Vita di O-Haru, donna galante (Saikaku Ichidai Onna) del 1952, I racconti della luna pallida d'agosto (Ugetsu Monogatari) del 1953 (anno del suo primo viaggio in Europa) e L'intendente Sansho (Sansho Dayu) del 1954, tutti e tre premiati a Venezia con il prestigioso Leone d’Argento.
Fu comunque negli anni precedenti al secondo conflitto mondiale che Kenji Mizoguchi realizzò le sue migliori "fotografie" del Giappone. Uno di questi è appunto Le sorelle di Gion (Gion no shimai) argomento del post di oggi, che getta uno sguardo sulla vita delle Geisha in uno dei più più esclusivi e rinomati quartieri di Kyoto (Gion, appunto). L'idea di questo post deriva, inutile dirlo, dal mio recente viaggio in Giappone (descritto qui), nel corso del quale ho avuto modo di vedere con i miei occhi le strade di Gion. Oggi, nonostante il considerevole declino del numero di geishe presenti nel quartiere nel corso dell'ultimo secolo (se ne contano 180, di cui 50 apprendiste o maiko), Gion conserva ancora molte architetture caratteristiche e ospita varie forme di intrattenimento tradizionale, ragione per cui parte del quartiere è stata dichiarata bene culturale tutelato dal governo nazionale. Purtoppo, causa il limitato tempo a mia disposizione, non sono riuscito ad ammirare la bellezza di una geisha con i miei occhi: solo una di sfuggita, che si è subito sottratta all'obiettivo della mia macchina fotografia, sparendo istantaneamente, così come era apparsa, oltre l'uscio una porta. Fortunatamente un mio compagno di viaggio è stato più fortunato (anzi, più paziente) e ha avuto modo, dopo lunghi appostamenti, di immortalare questa stupenda creatura. 

mercoledì 9 maggio 2012

A Japanese Dream

C’è una ragione ben precisa per queste settimane di silenzio-blog. La ragione è la più giustificabile di tutte: si è finalmente realizzato il sogno di tutta la vita: un meraviglioso viaggio nel Giappone dei samurai, delle geishe, dei ciliegi, della cultura e dei divertimenti. Due settimane intense, alla scoperta delle antiche tradizioni del Sol Levante, devastati dalla fatica dovuta a tappe forzate ma allietata dalla scoperta di emozioni difficilmente eguagliabili altrove. Cercherò quindi di mettere per iscritto qualcosa, prima che i ricordi si affievoliscano e i contorni si sfumino. Ancora una volta, noteranno i puristi, questo blog se ne va in off-topic. D’altra parte, come ho sicuramente già scritto altrove, più che una “piccola antologia del gotico” (perché mai ho intitolato così questo blog?) si tratta di una raccolta di ricordi, di emozioni e, last but not least, di una serie di recensioni di film (più che altro giapponesi) e di musica (più che altro metal). Miei compagni di viaggio in questa incredibile avventura sono stati, in rigoroso ordine alfabetico: - Alessandro, massimo conoscitore, suo malgrado, della città di Osaka - Christian, invidiato vincitore di due settimane extra - Doru, il samurai dell’est dall’animo generoso – Jvonne, vera anima del gruppo, capace di parlare senza interruzione per due settimane di fila, anche quando la fatica aveva già ormai stremato il resto del gruppo – Laura, discriminata dagli albergatori per via dei suoi tutto sommato discreti tatuaggi e della sua singolare capigliatura - Michele, vittima del marketing giapponese, l’unico in grado di pagare trenta euro per una fotografia - Simona, mia compagna di vita e di decine di altri viaggi ai quattro angoli del mondo – Simone, il nostro fotografo ufficiale - Sonia, dalla quale attendo ancora di vedere le sue piccanti immagini in costume – Stefano, che svettava in mezzo al gruppo così come il maestoso Fuji svetta sulle altre montagne e, naturalmente, - Ursula, il nostro impagabile Cicerone che non mi stancherò mai di ringraziare.
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