martedì 15 maggio 2012

Sisters of Gion

Kenji Mizoguchi (溝口 健二 Mizoguchi Kenji; 1898-1956) è considerato uno dei più importanti ed influenti registi giapponesi degli anni 50, autore di oltre 80 capolavori quali Vita di O-Haru, donna galante (Saikaku Ichidai Onna) del 1952, I racconti della luna pallida d'agosto (Ugetsu Monogatari) del 1953 (anno del suo primo viaggio in Europa) e L'intendente Sansho (Sansho Dayu) del 1954, tutti e tre premiati a Venezia con il prestigioso Leone d’Argento.
Fu comunque negli anni precedenti al secondo conflitto mondiale che Kenji Mizoguchi realizzò le sue migliori "fotografie" del Giappone. Uno di questi è appunto Le sorelle di Gion (Gion no shimai) argomento del post di oggi, che getta uno sguardo sulla vita delle Geisha in uno dei più più esclusivi e rinomati quartieri di Kyoto (Gion, appunto). L'idea di questo post deriva, inutile dirlo, dal mio recente viaggio in Giappone (descritto qui), nel corso del quale ho avuto modo di vedere con i miei occhi le strade di Gion. Oggi, nonostante il considerevole declino del numero di geishe presenti nel quartiere nel corso dell'ultimo secolo (se ne contano 180, di cui 50 apprendiste o maiko), Gion conserva ancora molte architetture caratteristiche e ospita varie forme di intrattenimento tradizionale, ragione per cui parte del quartiere è stata dichiarata bene culturale tutelato dal governo nazionale. Purtoppo, causa il limitato tempo a mia disposizione, non sono riuscito ad ammirare la bellezza di una geisha con i miei occhi: solo una di sfuggita, che si è subito sottratta all'obiettivo della mia macchina fotografia, sparendo istantaneamente, così come era apparsa, oltre l'uscio una porta. Fortunatamente un mio compagno di viaggio è stato più fortunato (anzi, più paziente) e ha avuto modo, dopo lunghi appostamenti, di immortalare questa stupenda creatura. 

In realtà a Kyoto non esistono le Geisha bensì le Geiko, termine del dialetto giapponese di Kyoto che significa letteralmente "figlia delle arti" o "donna d'arte". La differenza infatti, a detta degli abitanti di Kyoto, sta nel fatto che le Geiko di Kyoto sono delle pure artiste e intrattenitrici di alto rango mentre le Geisha di Tokyo sono anche prostitute. Queste eteree creature appaiono per pochi attimi verso il tardo pomeriggio o nelle primo ore della sera: le si può vedere scendere da un taxi e in pochi secondi sparire tra la folla. Non amano farsi fotografare e cercano di tenere a distanza i turisti curiosi. Per distinguersi dalla prostituta, la Geiko di Kyoto indossa sempre kimono dai colori tenui, meno appariscenti. Il colletto del kimono, dietro, è sempre posizionato in modo da lasciar scoperta la nuca: un modo molto sensuale per lasciar scorrere l'immaginazione del cliente. La Geisha, tradizionalmente, non e' da considerarsi una prostituta. Se fornisce prestazioni sessuali, lo fa a sua discrezione o come parte di una relazione duratura. Molte Geishe, raggiunta una certa età sono state spose di uomini facoltosi e di alto livello sociale.
Ma torniamo a Sisters of Gion, quello che è poi l'oggetto di questo post: è la storia di due sorelle, entrambe Geisha nel quartiere di Gion, che hanno atteggiamenti molto diversi nei confronti gli uomini. Umekichi (Yoko Umemura), la maggiore delle due. ha un approccio tradizionale, fedele e rispettosa nei confronti dei suoi clienti mentre la sorella Omocha (Isuzu Yamada), più giovane e “moderna”, sfrutta gli uomini a suo vantaggio, spargendo inganno e menzogna, allo scopo di ottenere denaro e regali di prestigio. Nella sostanza però tutto ciò sembra non fare alcuna differenza in quanto entrambe le ragazze sono intrappolate in un'esistenza grigia priva di qualsivoglia soddisfazione. A contorno della narrazione è dipinto un ritratto affascinante della vita delle Geisga a Kyoto dove, in una Gion fatta di stretti vicoli e edifici molto bassi, circondati da un’atmosfera che ancora oggi con un po’ di immaginazione si può respirare, si snodano le vicende delle nostre protagoniste.

Nel film, Umekichi è completamente devota ad un uomo d'affari caduto in disgrazia, Shimbei Furusawa (Benkei Shiganoya) che, un giorno, dopo un litigio con la moglie, decide di andare a vivere con le due sorelle. Omocha naturalmente non approva la situazione che si viene a creare, soprattutto per via del fatto che Furusawa, a causa dei suoi debiti, non potrà essere economicamente di nessun aiuto. 
Il film è una sorta di rappresentazione dell’inevitabilità del destino: nel finale entrambe le sorelle, a prescindere dalla loro visione del mondo e dai loro comportamenti, finiranno allo stesso modo, sole e umiliate. Ma il film è anche una forma di protesta contro le condizioni delle donne nel Giappone di quegli anni, vittime del potere e della sopraffazione in una società patriarcale. "Why do we have to suffer like this? Why do there even have to be such things as geisha? Why does the world need such a profession? It's so unfair. I wish they never existed!" si dispera nell'epilogo Omocha, sopraffatta dalla rabbia, imprecando contro l'esistenza stessa delle geishe.

"Non è per una geisha desiderare. Non è per una geisha provare sentimenti. La geisha è un'artista del mondo, che fluttua, danza, canta, vi intrattiene. Tutto quello che volete. Il resto è ombra. Il resto è segreto.” (Memorie di una geisha, 2005).


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