giovedì 30 aprile 2015

In fondo al corridoio

Siamo in dirittura d’arrivo, amici miei. Questo è l’ultimo della lunga serie di post dedicata ai corridoi sussurranti e, tra qualche ora, tutto finirà in archivio. La gigantesca immagine che vedete qua in alto lascerà il posto all’header tradizionale e sarà quello il segnale che sancirà il ritorno alla normalità. Una normalità relativa, come vi spiegherò tra qualche giorno alla riapertura del blog. Ma ora che il mese di aprile è giunto al termine, lasciatemi provare a tirare qualche somma.
Come già accennato nell’introduzione, nessuno dei film che compongono la saga di “Whispering Corridors” è un horror nel senso stretto del termine. Forse è “Wishing Stairs” l’unico a calcare un po’ la mano in certe scene (anche se in fondo, secondo me, è interessante soprattutto per l’aver sfruttato efficacemente nella trama il concetto di legge del contrappasso) così come, in misura minore, “A Blood Pledge”. Se nei rapporti tra le protagoniste il confine tra amicizia e amore è sempre molto labile, e allo stesso tempo nulla di “sconveniente” viene mai mostrato, ci sono due eccezioni da rilevare: la prima è “A Blood Pledge”, dove in retrospettiva è evidente che le due protagoniste sono legate solo da affetto fraterno, ma soprattutto “Memento Mori”, che difatti è l'episodio con le atmosfere più morbose, dove l'amore saffico si palesa in diverse situazioni e soprattutto nella famosa scena del bacio in classe (la cui immagine ho inserito a corredo della recensione del film). Questo tema pesa molto nell'economia del film, anzi si può dire che è la sua vera impronta. Si dice che, del cast di attori presenti sul set, solo le interpreti di Hyo-shin e Shi-eun fossero al corrente di come si sarebbe svolta quella scena, e le reazioni delle altre ragazze sarebbero non finzione scenica ma vera sorpresa e disgusto, cosa che ci dà la cifra di come allora (e probabilmente anche adesso) si reagiva di fronte all’omosessualità.

lunedì 27 aprile 2015

Capitolo 5: A Blood Pledge

Quaranta suicidi all’anno ogni centomila abitanti, quarantatre al giorno in tutto il paese: è il tasso più alto tra i paesi dell’OCSE, terzo tasso assoluto dopo Groenlandia e Lituania. Prima nazione al mondo per numero di suicidi compiuti da donne, prima causa di morte tra i giovani tra i 10 e i 30 anni, quarta causa di morte fra l’intera popolazione. Con cifre di questa rilevanza era praticamente impensabile che un capitolo dei “Whispering Corridors” non cercasse di scrutare in qualche modo nell’ingombrante fardello che le istituzioni scolastiche di Seoul si portano appresso. Abbiamo già visto qualche giorno fa che uno dei motivi più rilevanti delle costanti ondate di suicidi può essere ricercato nella struttura fortemente competitiva del sistema scolastico e nelle forti pressioni sui ragazzi per avere dei buoni risultati, per cui non ci ripeteremo. Proveremo invece a capire cosa possa esserci dietro i cosiddetti “patti suicidi”, quei singolari quanto sconvolgenti casi di cronaca nei quali diversi individui, solitamente in giovane età, cercano la forza l’uno nell’altro per raggiungere il terribile scopo che si sono prefissi. 

sabato 25 aprile 2015

O Sacrum Convivium

O sacrum convivium, in quo Christus sumitur: recolitur memoria passionis eius: mens impletur gratia et futurae gloriae nobis pignus datur (O Sacro Convito, di Gesù Cristo ci nutri; sei viva memoria della sua Passione; all’anime nostre doni la vita divina e il pegno della gloria futura.). 
Per i coreani ogni uomo ha tre anime, una delle quali rimane nella tomba insieme ai resti mortali del defunto e le altre due invece sono destinate a distaccarsene, una per dimorare nelle tavolette mortuarie che i parenti espongono nelle proprie case per onorare il caro estinto e una per recarsi nell'aldilà, ovvero in uno dei numerosi “regni” o “cieli” ultraterreni governati dal dio Haneullim (Hananim). I riti e le preghiere dedicati ai defunti nella tradizione servono soprattutto per rabbonire gli spiriti malevoli di modo che non interferiscano con gli affari dei vivi. Ma, differenze ideologiche e culturali a parte, la morte fa paura a tutte le latitudini e però il tutto di cui facciamo parte continua ad esistere anche una volta che uno dei suoi componenti viene a mancare, proprio come il nostro organismo sopravvive alla morte quotidiana delle sue cellule e dei suoi tessuti, com’è giusto che sia. La morte è necessaria per l’equilibrio della vita. È in questo senso che i morti vanno lasciati andare, senza stimolarne legami innaturali, attaccamento o nostalgia per un mondo, quello reale, che più non gli appartiene. Saggiamente, quindi, la Sun-min di “The voice” si allontana dall’amica Young-eon, non per cancellarne il ricordo ma perché è necessario accettare la sua morte per far sì che lei stessa la accetti (incidentalmente questa le ha nascosto più di un segreto e lei lo ha intuito prima ancora di averne la certezza, minando alla base la loro amicizia, ma anche se così non fosse questo non sposterebbe di un millimetro la questione).

mercoledì 22 aprile 2015

Capitolo 4: Voice

lf the notes don't go together, they're only noises. But if they do, they become a beautiful chord. Listening to the sound is more important than singing well. You should be able to tell which sound goes well with which. Otherwise, they're noises. Like human relationships.

Perché una musica sia piacevole all’orecchio (perché sia musica, appunto, e non una cacofonia di rumori) ogni nota deve armonizzare con le altre, ma questo non può avvenire se le voci e gli strumenti che le generano non funzionano a dovere, se non sono integri, “oliati” e atti allo scopo. Con i rapporti umani è lo stesso, le personalità devono legarsi e compenetrarsi, le rispettive mancanze e debolezze devono essere rese manifeste perché la comprensione e l’accettazione reciproca facciano sì che tutti possano beneficiare della relazione: se coloro che si relazionano non si conoscono a fondo, questa fusione di anime non potrà mai avvenire e il rapporto resterà sempre a un livello superficiale, sebbene di primo acchito possa apparire diversamente, e nonostante questo l’affetto, quello vero, cercherà di passare sopra a tutto questo, attaccandosi a quanto di buono la relazione può comunque offrire, usando i ricordi come collante. Quando però le persone non conoscono nemmeno se stesse, ogni sforzo sarà vano. Una tale premessa è doverosa non solo per via della citazione tratta dal film, là in alto, ma soprattutto perché nonostante “Whispering corridors 4: Voice” sia ambientato in una scuola come i precedenti episodi della serie, è evidente fin da subito che quello spazio fisico nell’economia della storia è importante solo nella misura in cui circoscrive l’azione e intrappola, fisicamente e psicologicamente, alcuni personaggi chiave; scomparso dalla narrazione ogni riferimento sociale a favore di una dimensione più intima e privata, è la musica a fornire ai fatti il contesto, il movente e la filosofia di fondo.

lunedì 20 aprile 2015

La componente magica

Non pare anche a voi che in questo tipo di film le motivazioni che scatenano i torti verso i futuri fantasmi, e direttamente o indirettamente anche la loro morte, sembrino spesso futili, quasi pretestuose?
Certo, le opportunità date dalla scuola e dalle attività extrascolastiche vanno o andrebbero prese con la massima serietà, ma personalmente (e per fortuna) non conosco nessun adolescente italiano che arriverebbe a uccidere per vincere una gara, che sia quella per i voti migliori o per il primato nello sport. Sono certo che neppure in Corea si arrivi a questi eccessi, in compenso però i casi di suicido (di cui abbiamo già ampiamente parlato) per ragioni simili sono ben documentati perché la competitività in quelle lande è ben più forte dalla nostra.
Inoltre, gettare le basi per un horror richiede che le situazioni vengano estremizzate ma, ancora una volta, tutto è declinato al femminile. Come mai? Il motivo sono davvero gli istinti pruriginosi del potenziale pubblico, si ricerca davvero un effetto Lolita che, per giunta, strizzi l’occhio al cinema giapponese?
Abbiamo già accennato al fatto che nella pentalogia di Whispering Corridors, ma soprattutto nei primi due capitoli, l'ambientazione scolastica è stata intelligentemente utilizzata dagli autori per fare (auto)critica sociale, e questa non può prescindere dai suoi soggetti più deboli che, sono, appunto le donne, ancora alla ricerca di un ruolo sociale che possa dirsi definit(iv)o e non una conquista quotidiana. Le giovani donne protagoniste di questi film devono celare le proprie fragilità e i propri dubbi, la sofferenza e i propri lati oscuri, per guadagnarsi il proprio posto al sole in una società che, al minimo tentennamento, le relegherebbe volentieri accanto al focolare.

venerdì 17 aprile 2015

Capitolo 3: Wishing Stairs

Fox, fox, please, grant my wish... Let me win just this once.
Il terzo film della saga arriva nel 2003, e questa volta il timone passa alla regista Yun Jae-yeon. “Yeogo goedam 3: Yeowoo gyedan”, il cui titolo internazionale è “Whispering corridors 3: Wishing stairs” o più semplicemente “Wishing stairs”, non è solo la solita storia sovrannaturale ad ambientazione scolastica, ma segna anche una felice seppur minima incursione nel folclore coreano. Ingranaggio della vicenda è infatti una scalinata di 28 gradini che porta al dormitorio della scuola, la cosiddetta “scala dei desideri”: se qualcuno la sale contando i gradini, esiste la possibilità che, in particolari circostanze, possa contarne 29. Colui o colei che riesce a calpestare il fantomatico ventinovesimo gradino potrà chiedere a uno spirito-volpe di esaudire un suo desiderio, senza immaginare che per ogni desiderio realizzato ci sarà un prezzo da pagare…
Ricordate quando le volte precedenti parlammo di quelle risatine e di quei bisbigli, reali o soltanto immaginati, che si potevano sentire ovunque tra i corridoi scolastici? Quei nemmeno tanto vaghi segnali di disapprovazione o di derisione che sono stati la colonna sonora più classica dell’insicurezza degli adolescenti di tutto il mondo? Ebbene, una delle protagoniste di questo terzo episodio è una ragazza obesa vittima dello scherno delle compagne. Non c’è bisogno che sia io a ricordarvi quanto crudele possa essere l’adolescenza per chi si ritrova addosso qualche chilo di troppo, giusto? Sono certo che chiunque di noi, di voi, aveva un tempo nella propria classe un compagno o una compagna che, più di chiunque altro, veniva preso di mira per un banale discorso estetico.

mercoledì 15 aprile 2015

La componente sciamanica

Oggi la presenza di spiriti, soprattutto femminili, nella cinematografia orientale è un fatto assodato, ma ai più sembra che si tratti essenzialmente di una moda nata in Giappone e da lì diffusasi ai paesi limitrofi. La realtà è però un’altra. Ogni paese ha la sua peculiare fenomenologia in fatto di apparizioni e i fantasmi tipici della Corea, effettivamente, sono in prevalenza femminili. Perché?
È presto detto: nel Confucianesimo, una delle dottirne storiche della Corea, l'esistenza stessa della donna è considerata inferiore a quella dell'uomo (concetto ben esemplificato dal famoso detto “Nam-Chun-Yeo-Bi” che significa “importante l'uomo, insignificante la donna”). Le donne coreane sono sempre state discriminate da una società maschilista fino al midollo e questo spiega sia il carattere essenzialmente femminile dello Sciamanesimo (la religione degli oppressi) sia l’abbondanza di fantasmi femminili afflitti dal Han.
Lo Sciamanesimo di cui stiamo parlando è particolarmente interessante in quanto, a differenza di quello classico, nella penisola coreana è praticato in gran parte dalle donne. In senso lato lo Sciamanesimo si basa sul concetto che tutte le risposte ai mali della nostra società risiedono da qualche parte nell’aldilà, e che solo persone estremamente dotate possono azzardarsi a superare il ponte tra i due mondi e riuscire a tornare. Sono le donne, in Corea, la vera e unica via di collegamento, un ponte, tra quelli che possiamo definire avvenimenti terreni e gli spiriti ultraterreni. Questione di sensibilità, probabilmente, o di maggiore predisposizione, o quello che volete.

domenica 12 aprile 2015

Capitolo 2: Memento Mori

The first day a girl is found dead, with her head emptied out. Perhaps she had remembered the truth. Another girl dies on the second day, with her legs hacked off. Perhaps she had come near the truth. A girl is found dead on the third day again, with her ears cut off. Perhaps she had heard the truth. The fourth day a girl dies again, with her eyes gouged out. Perhaps she had seen the truth. The fifth day a girl dies, with her tongue pulled out. Perhaps she had spoken the truth. The sixth day a girl dies, with her hands chopped off. Perhaps she had written the truth. And on the seventh day, a girl is going to die. Perhaps... 

Un anno è trascorso dagli avvenimenti del primo capitolo: avevamo lasciato la Jookran High School for Girls e i suoi spiriti inquieti in una situazione di stallo, con un finale aperto che lasciava ampio spazio ad un possibile sequel. Tale sequel è inevitabilmente arrivato, ma “Whispering corridors 2” (aka “Whispering Corridors: Memento mori”), a sorpresa, decide di non raccogliere il testimone della prima parte, né dal punto di vista tematico né da quello stilistico. La mano del regista è diversa e si vede. Per fortuna (ma non è un giudizio di merito, né in un senso né nell’altro, aldilà del fatto che si possa preferire il “sequel” al primo film) ci offre una storia totalmente nuova e una rappresentazione che ha abbandonato i toni vintage del primo film a favore di atmosfere decisamente più moderne, mentre dal punto di vista tematico i meccanismi del sistema scolastico coreano questa volta sono appena sfiorati.

venerdì 10 aprile 2015

Educazione coreana

Mentre i fotogrammi di Whispering Corridors scorrono davanti agli occhi, difficilmente si può fare a meno di chiedersi se quello che a cui si sta assistendo sia realistico. Non sto parlando di spettri o di altri situazioni tipiche dell’horror, bensì di tutto il contorno, dell’ambientazione e del modo nel quale quest’ultima viene descritta. Tutto è girato all’interno di una scuola. Mattina, pomeriggio, sera, notte, sembra che gli studenti trascorrano l’arco delle ventiquattro ore interamente tra le mura dell’edificio scolastico. Gli studenti non sembrano avere altri interessi nella vita, non sembrano nemmeno avere una casa, né una famiglia. Dove cavolo sono i genitori? Dove sono le attività extrascolastiche tipiche degli adolescenti che conosciamo noi (e che eravamo noi)? Perché nessuno sembra stupirsi se gli studenti si trattengono a scuola e non rientrano a casa nemmeno al calar della sera? La risposta è molto più semplice di quanto non si possa immaginare: la vita dei giovani coreani è davvero tutta lì. Niente e nulla di più di ciò che si vede nei cinque film della serie. Scuola, scuola e ancora scuola. Sembra strano? Allora facciamo un passo indietro.
Il primo capitolo della pentalogia dedicata ai Whispering Corridors, datato 1998, fu il prodotto di un periodo di grandi cambiamenti in Corea del Sud, cambiamenti che iniziarono solo pochi anni prima con l’elezione del presidente Kim Young-sam, a capo del primo governo civile del paese dai tempi del colpo di stato militare del 1961.

martedì 7 aprile 2015

Capitolo 1: Whispering Corridors

I pined for a friend who would reach out to me. I never intended to hurt anyone. I just wanted a friend and leave with good memories. That's all. 

Quando non si hanno amici, poche cose sono più imbarazzanti del percorrere il corridoio affollato di una scuola da soli, tentando di passare rasente ai muri per rendersi invisibili, per magari essere costretti poi, quasi per forza di cose, a procedere portandosi al centro, mentre le voci attorno a noi sembrano abbassarsi di tono al nostro trasformandosi in risatine e bisbigli. È proprio in un’immagine come questa che va ricercato il senso di “Whispering corridors”, il titolo che il regista Park Ki-hyung ha scelto per il primo episodio di quella che diventerà, nel giro di pochi anni, una delle più celebri saghe cinematografiche della Corea del Sud. Reali o soltanto immaginati, risatine e bisbigli hanno in qualche modo caratterizzato la vita scolastica di ciascuno di noi. Alzi la mano chi può affermare il contrario. Qualcuno, in rari casi, può averli interpretati come timidi gesti di approvazione o ammirazione ma, sono pronto a scommetterci, la maggior parte di noi li ha vissuti male, interpretandoli, spesso a ragione, come segnali di disapprovazione, di distinzione o, peggio ancora, di derisione. Reali o soltanto immaginati, risatine e bisbigli sono il sintomo di un’insicurezza di fondo, tipica degli adolescenti di tutto il mondo, costantemente alle prese con la necessità di essere accettati in un mondo competitivo che inizia proprio nei corridoi scolastici, un mondo competitivo con il quale si deve convivere e al quale, sin da bambini, ci si deve commisurare.

sabato 4 aprile 2015

I corridoi della paura (Pt.2)

Come già per Polanski, i corridoi sembrano aver influenzato in buona parte quasi tutta la filmografia di Dario Argento. Ricordate il corridoio rivelatore della celeberrima scena finale di “Profondo Rosso” (1975)? E quell’altro, ancora più spaventoso, che dovette affrontare nello stesso film la scrittrice Amanda Righetti pochi istanti prima di venire assassinata? Altri corridoi furono generosamente offerti da Dario Argento nel successivo “Inferno” (1980), ricordate? Non solo tutti quegli orribili corridoi presenti nella magione newyorkese della Mater Tenebrarum, ma anche e soprattutto il corridoio dell’abitazione di Sara (Eleonora Giorgi), dove sia lei che Carlo (Gabriele Lavia) troveranno la morte in una delle scene a più alto tasso di suspense del film. 
“Le mie paure sono metafisiche, trascendentali, inspiegabili. Non sono paure concrete, reali, quotidiane, ma nascono dai miei incubi. Per questo i miei film hanno tutti una componente onirica. Mi spaventano le scale, mi atterriscano i corridoi e il pensiero che a percorrerli possano essere presenze oscure, maligne”, rivelò tempo addietro nel corso di un intervista lo stesso Dario Argento. 
I corridoi non sono quindi assolutamente un particolare lasciato al caso nel cinema del regista romano e, seguendo il suo stesso spunto, possiamo anche noi ampliare il nostro discorso alle scale, le cui caratteristiche, se vogliamo, sono ancora più sinistre di quelle dei corridoi: nelle scale l’angoscia viene amplificata dal suo andamento verticale, oltre che da quello orizzontale di cui già sappiamo.

venerdì 3 aprile 2015

I corridoi della paura (Pt.1)

The killer awoke before dawn, he put his boots on, He took a face from the ancient gallery and he walked on down the hall. He went into the room where his sister lived, and, then he paid a visit to his brother, and then he walked on down the hall, and he came to a door, and he looked inside. (The End - J.D.Morrison).
Il corridoio è un luogo che racchiude in sé tutti gli elementi di cui abbiamo più terrore. Provate a pensarci un attimo. Cos’è un corridoio? Un luogo, innanzitutto, solitamente buio. Che si trovi in casa piuttosto che in una cantina o in un solaio, oppure in una scuola o in un edificio pubblico, il corridoio è l’ambiente di solito meno illuminato. Nei corridoi, le luci sono sovente temporizzate: le accendi e dopo qualche istante, senza preavviso alcuno, esse si spengono, lasciandoti improvvisamente indifeso, in balia di chissà quali pericoli. L’incertezza, a sua volta, è perfettamente rappresentata dal corridoio, la paura anche inconscia per un percorso che si deve intraprendere, per una strada che si deve in qualche modo percorrere per poter ottenere il premio finale, che si trova invariabilmente all’estremo opposto. In psicologia, non sono un esperto ma non faccio fatica a sostenerlo, il corridoio rappresenta la paura della crescita, la paura di non essere in grado di portare a termine i propri compiti. Quali e quanti pericoli si celano nei corridoi? Pensate a tutte le porte che si aprono su di esso. Dietro ciascuna di quelle porte potrebbe esserci qualcosa, qualcuno pronto ad interrompere il nostro avanzare, degli ostacoli imprevisti che ci bloccano, che magari ci fanno del male.

mercoledì 1 aprile 2015

Attraverso corridoi sussurranti

Esattamente un anno fa, il primo giorno di aprile, partiva uno dei progetti più intensi e complessi della storia di questo blog: lo speciale dedicato a “Phantasm”, la saga horror del regista americano Don Coscarelli. Fu letteralmente una gara da centometrista. Avendo deciso solo all’ultimo istante di mettere in pratica l’idea che mi stava frullando per la testa, in un batter d’occhio mi ritrovai a dover scrivere freneticamente un post dopo l’altro con la testa già rivolta al post successivo. Per me, abituato a prendermela comoda nelle questioni di blogging, fu un’impresa da capogiro. Rischiai più di una volta di soccombere, ma alla fine riuscii a portare a termine l’impresa, dicendo tutto quello che avevo da dire e avanzando anche qualche giorno sul finale per godermi lo spettacolo. Ne venni fuori stremato ma felice e, ancora oggi, ricordo quei giorni con malcelata nostalgia. Perché quindi non ritentare l’impresa, mi sono chiesto? Il mese di aprile sta arrivando (è ormai arrivato) e quale migliore occasione se non questa per farlo? Tra l’altro fu proprio nell’aprile di quattro anni fa che questo spazio aprì i battenti e si affacciò sul web, e come già in passato ebbi a dire preferisco offrire ai miei lettori qualcosa di alternativo al solito post con le candeline (oltre al fatto che, come avete appena visto, il sottoscritto preferisce di gran lunga festeggiare direttamente i “centenari”). Quel “qualcosa di alternativo” è uno speciale che inizia oggi e avrà termine l’ultimo giorno del mese. L’argomento, come non avrete certamente mancato di notare, è annunciato in pompa magna dal nuovo header, posizionato là in cima, che sostituirà quello tradizionale per i prossimi trenta giorni. Vi invito pertanto ad entrare, senza altro indugio, nel meraviglioso mondo dei corridoi sussurranti!
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