Nell’opera l’autore riesce nella non facile impresa di dare vita ai sentimenti dei due protagonisti principalmente con il disegno, con tratti che sottolineano le pieghe della bocca, l’espressione degli occhi e la curvatura delle spalle, per esempio, un linguaggio del corpo che dice più di mille parole; e questo non solo perché un dialogo verbale tra marito e moglie non è evidentemente più possibile, ma come emblema della scarsa intimità rimasta (o mai esistita) fra i due. Il risultato è spesso una miscela di poesia e grottesco, sia per il contrasto tra la bellezza e il dettaglio delle tavole e ciò che viene rappresentato, sia perché guardandole non si può fare a meno di guardarsi anche dentro per capire le cause del proprio disagio – perché è indubbio che un disagio lo si avverte. Se certe pratiche tra marito e moglie sono la prassi e la normalità nell’ambito sessuale è soggettiva, cos’è che turba tanto? Non sarà che, intimamente, tendiamo a percepire il sesso come appannaggio delle persone “normali”, di corpi perfetti, o perlomeno sani e… interi?
Visualizzazione post con etichetta Kōji Wakamatsu. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Kōji Wakamatsu. Mostra tutti i post
venerdì 17 luglio 2015
Imomushi, storia di un bruco (Pt.2)
Etichette:
Cinema,
Edogawa Ranpo,
Fumetti,
Giappone,
Kōji Wakamatsu,
Letteratura,
Suehiro Maruo
lunedì 13 luglio 2015
Imomushi, storia di un bruco (Pt.1)
Etichette:
Cinema,
Edogawa Ranpo,
Fumetti,
Giappone,
Kōji Wakamatsu,
Letteratura,
Suehiro Maruo
Con Edogawa si va anche oltre, perché le sue non sono storie per tutti, e quando allo sguardo atipico dello scrittore si somma lo sguardo altrettanto atipico del regista di turno il risultato non può che essere qualcosa di davvero insolito. Nel bene e nel male. “Imomushi” (芋虫 , in italiano "Il bruco") ha ispirato non solo un film di Koji Wakamatsu, ma anche una graphic novel di Suehiro Maruo, che però sono tanto diversi nello svolgimento e negli intenti da poter essere considerati a tutti gli effetti due storie distinte. Il vero punto in comune, incipit a parte, è che entrambi propongono una riflessione sull'animo umano che vira nel pessimismo più nero.
giovedì 2 febbraio 2012
Violent Virgin
Etichette:
Cinema,
Exploitation,
Giappone,
Kōji Wakamatsu,
Surrealismo
Koji Wakamatsu, (若松孝二,) non è un comune regista. Possiamo tranquillamente definirlo il maestro indiscusso del surrealismo giapponese: I suoi film sono una raccolta, spesso al limite delle comprensibilità, di parole, pensieri e immagini, messe insieme senza freni inibitori o scopi preordinati. Essi ci mostrano ciò che sta oltre il razionale, immagini nitide e reali ma accostate tra di loro senza alcun nesso logico apparente. Siamo di fronte a quella che definirei una “esperienza onirica visualizzata” e di questo, Koji Wakamatsu, che in mezzo secolo e più di carriera ha girato oltre cento film, è un maestro. Esperienza onirica spesso rappresentata da rapidi passaggi tra bianco e nero e colore, come a voler distinguere con questo piccolo artificio il sogno dalla finzione. Ma non aspettiamoci che vi sia una regola assoluta: in questo “Violent Virgin” (処女ゲバゲバ, Gewalt! Gewalt: shojo geba geba) del 1969, l’uso del colore intende inizialmente sottolineare il sogno, ma poi ad un certo punto il nostro si mette ad utilizzare i due sistemi in maniera assolutamente casuale, spiazzando completamente lo spettatore che, non senza fatica, sta già disperatamente cercando di dare un filo logico ad una trama che sembra non averlo. Con un trucco molto simile, il nostro regista ha cercato di distinguere il presente dal passato in quella piccola perla intitolata “Go Go Second Time Virgin, girata lo stesso anno di Violent Virgin e del quale ho già ampiamente parlato proprio qui non molto tempo fa).
mercoledì 28 dicembre 2011
Go Go Second Time Virgin
Etichette:
Cinema,
Exploitation,
Giappone,
Kōji Wakamatsu,
Solitudine,
Suicidio,
Surrealismo

Riuscire a descrivere il degrado morale della società in poco più di un’ora. Metterci dentro solitudine, rassegnazione, violenza, abusi, immoralità, ferocia, sesso e morte. Lo ha fatto Kōji Wakamatsu (若松孝二) con il suo Go, Go, Second Time Virgin (ゆけゆけ二度目の処女 Yuke Yuke Nidome no Shojo), girato in soli quattro giorni nel 1969, con un budget ridottissimo, su un set ristretto quale può essere il tetto di un palazzo di sette piani, uguale a tanti altri, nella periferia di Tokyo.
E’ su questo tetto che viene trascinata e stuprata da un gruppo di teppisti la nostra protagonista, Poppo (interpretata da Mimi Kozakura). Ma non è lo strupro la vera violenza che subisce Poppo. Lo strupro è solo un passaggio obbligato che si ripete nel destino della giovane. “E’ la seconda volta che vengo stuprata. Anche mia madre fu stuprata da una gang, e da quello stupro nacqui io” dice Poppo ad un certo punto.
Iscriviti a:
Post (Atom)