giovedì 24 maggio 2012

Devil Doll Okiku

Per iniziare a raccontare le vicende associate ad Okiku, quella che successivamente (e ingiustamente) fu denominata “Devil Doll”, bisogna risalire a quasi un secolo fa. Era il giorno di ferragosto del 1918 e, nella città di Sapporo (la più grande città dell’Hokkaido, a nord del Giappone), si stava tenendo un’importante rassegna fieristica, la Taishō Expo (dal nome dell’allora imperatore del Giappone). Erano quelli anni di profonda incertezza. Nonostante il suo piccolo ruolo nella prima guerra mondiale, enormi investimenti erano stati dedicati ai programmi di difesa, esaurendo le risorse e accumulando debiti vero l’estero. Inoltre, per mano di gruppi ultra-nazionalisti, passò la cosiddetta Legge per la Preservazione della Pace che costrinse  alla clandestinità il Partito Comunista Giapponese, reo di promuovere un pensiero considerato pericoloso e destabilizzante.  Fu comunque quella un’epoca contrassegnata anche da grandi movimenti liberali: studenti, professori universitari e giornalisti, sostenuti dalle unioni dei lavoratori e ispirati da una varietà di ideali democratici, socialisti, comunisti, anarchici e di altre scuole di pensiero occidentali, misero su grandi ma ordinate manifestazioni pubbliche in favore del suffragio universale maschile che si realizzò finalmente nel 1925, grazie alla nuova legge elettorale che avrebbe garantito il voto a  tutti gli uomini sopra i 25 anni.

In questo scenario, l’allora diciassettenne Eikichi Suzuki, in visita a Sapporo, decise di passare un po’ del suo tempo libero a Tanuki-koji, tuttora la più nota via dello shopping della città. Oggi fanno bella mostra di sè negozi moderni e lunghe file di ristoranti, ma nel 1918 tutto era naturalmente ben diverso, proporzionato all'economia dell'epoca. Fu qui che la protagonista di questo post fece la sua prima apparizione. Era una bambola alta circa 40 centimetri, che indossava un kimono rosso e bianco con dei motivi floreali, due occhi neri come perle e una folta capigliatura. Il giovane Eikichi ne fu immediatamente rapito. Decise pertanto di acquistarla: l’avrebbe portata a casa per farne dono alla sorellina Okiku, una piccolo scricciolo di due anni che dimostrò subito di gradire molto il pensiero. Ne fece il suo giocattolo preferito e non passava giorno che la sua nuova bambola non fosse al centro dei suoi pensieri.

Purtroppo il destino volle che l’anno successivo la piccola Okiku (in alcuni testi il suo nome sarebbe però Kikuko, probabilmente a causa di una diversa translittetrazione dello stesso Kanji) si ammalasse di polmonite e di lì a breve, esattamente il 24 gennaio 1919, morì. La famiglia Suzuki fu naturalmente sconvolta da una così tragica perdita. Qualcuno suggerì di mettere la bambola che la piccola tanto amava nella bara, in modo che il distacco dalla vita terrena fosse per lei più lieve. Con il suo giocattolo la piccola Okiku avrebbe potuto affrontare senza paura l’incertezza dell’aldilà. Nel fermento dei preparativi per la cerimonia funebre (la salma fu poi cremata) la bambola fu però accidentalmente dimenticata e Okiku fu sepolta senza il conforto della stessa.
Disperati da quell’imperdonabile dimenticanza, gli Suzuki decisero di realizzare un piccolo altare nel salotto di casa, nel quale la bambola avrebbe preso posto accanto alle ceneri della bambina. Da quel momento in avanti, tutti i giorni, ciascun componente della famiglia avrebbe dedicato un po’ del suo tempo in raccoglimento di fronte all’altarino, pregando per il destino della sfortunata bambina. Alla bambola, inevitabilmente, fu assegnato il nome dei Okiku, in onore della sua giovane “padroncina”.

Ma qualcosa di strano sarebbe presto accaduto, qualcosa che avrebbe turbato per sempre i sonni dei Suzuki: - "Non ti sembra strano?" - "Che cosa?" - "La bambola. Guarda i suoi capelli." - "Huh?" - Non hai l'impressione siano cresciuti?" - "Non dire sciocchezze. I capelli di una bambola sono finti. Non possono crescere. - "Eppure ti dico che è così!" - "Guarda, se vuoi facciamo un esperimento: le tagliamo i capelli ad una certa misura e da oggi in poi osserviamo in maniera scientifica, con delle misurazioni quotidiane, quello che succede". Successe che i capelli le crebbero davvero! Diversi test di laboratorio vennero effettuati sulla capigliatura di Okiku. Specialisti forensi, ai quali furono sottoposti dei campioni, constatarono che i capelli erano senza ombra di dubbio capelli umani! D'altra parte, aggiungo io, non credo fosse un fatto insolito a quei tempi utilizzare veri capelli per la realizzazione delle bambole, per cui questi test sarebbero dovuti esser presi con le pinze. Oggi il test del DNA aiuterebbe un po' di più, giusto per capire se è riconducibile a quello degli altri componenti della famiglia. Si vuole credere, infatti, che il giocattolo sia posseduto dallo spirito della sorellina prematuramente scomparsa. Spirito tutt'altro che inquieto o vendicativo (come ci si aspetta da un tipico fantasma giapponese), bensì semplicemente uno spirito che cerca di attirare l'attenzione dei presenti con un piccolo, quanto innocuo, segno della sua presenza.

Passarono gli anni e il fenomeno si ripeteva senza sosta. Giunse il 1938. Sua maestà imperiale Showa, nato Hirohito, era già al potere (lo sarebbe stato fino al 1989). Eravamo nel pieno del conflitto sino-giapponese (1937-1945) e il convolgimento del Giappone nella seconda guerra mondiale era ormai alle porte. Il fratello maggiore Eikuko, ormai adulto, unico sopravvissuto della famiglia Suzuki, fu chiamato alle armi e dovette allontanarsi dalla casa della sua famiglia. Nel rispetto di un'antica tradizione giapponese, Eikuko affidò la bambola alle cure di un monaco, che ospitò l'altare presso il tempio buddista Mannen-Ji, nella vicina città di Iwamizawa. Quando, al termine del conflitto, Eikuko ritornò a casa si recò immediatamente al tempio. I capelli di Okiku avevano raggiunto i 25 centimetri di lunghezza: le arrivavano fino alle ginocchia.
Sono trascorsi oltre 70 anni da quei giorni. Oggi Okiku si trova ancora presso lo stesso tempio, assistita e venerata come una reliquia. L'attuale monaco, Junsho Imagawa, figlio dello stesso monaco che per primo ricevette in custodia Okiku, ci racconta che il taglio dei capelli è attualmente diventato un rituale fisso, che si tiene sotto lo sguardo appassionato dei fedeli, il giorno 21 di ogni mese.

All'inizio di questo posto dissi che Okiku è ingiustamente spesso conosciuta come "la bambola del diavolo". La peternità di questo appellativo va ad una black metal band giapponese che le ha dedicato uno dei suoi brani, "Okiku Ningyo" (Okiku Doll Of The Devil): Sounding in the dead of the night, tear's falling to the dark / Evil brings to eat the moonlight, dream of illusion appears to scream / Her white skin looks like snow in hell, bright hair looks like crows from hell / Beautiful figure that can not feel a rage of Buddha in the silent times / Terribly her eyes are blacker than all, dress bleeds with red sorrow / The opened way from unholy ground, eternally her black hair that grows / Okiku doll of the devil / The closed holy gate to the darkness, heaven's light is out of reach / Powerless Kanzeon is helpless, evil nocturnal beasts dance / Spiritual curse is drifting in her... that no one can see / Pretty mouth never speak a truth & a lie, hidden in expressionless / Terribly her eyes are blacker than all, dress bleeds with red sorrow / The opened way from unholy ground, eternally her black hair that grows / Okiku doll of the devil / Her white skin looks like snow in hell, bright hair looks like crows from hell / Beautiful figure that can not feel a rage of Buddha in the silent times / Terribly, her eyes are cursed eyes, freezing in expressionless / Only one, only her hair tells when her black hair grows / Okiku doll of the devil

P.S.: Non conoscevo la storia di Okiku fino a solo pochi giorni fa quando, gironzolando in rete, sono incappato nell'ottimo blog The Tralfamadore Files, il cui autore ringrazio di cuore per la dritta.

2 commenti:

  1. Avevo letto anche io la storia su Tralfamadore, tu comunque hai fatto un ottimo lavoro, implementando parecchio la ricostruzione storica.

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    1. Grazie. D'altra parte quello era l'unico modo per scrivere qualcosa di interessante (almeno spero sia così). In rete sull'argomento si trova poco o niente, e quel poco che si trova è sempre lo stesso breve testo, copiato e incollato a raffica un po' dappertutto.

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