Le labbra di Laurel si deformarono sotto un’incontenibile pressione interna per esplodere infine in una fragorosa risata che lo squassò a lungo. Era una cascata senza freni. L’attore si batteva convulso le mani sulle ginocchia, risucchiava aria con dei ragli asinini, poi riprendeva a ridere con maggiore intensità. Rimasto spiazzato per qualche secondo, Hardy si drizzò in tutta la sua statura, offeso come non mai. «Non vedo proprio cosa ci sia da ridere.»
Sono secoli che non guardo un film comico. Sarà forse che la comicità degli ultimi decenni mi deprime come una riunione di marketing a ferragosto, ma è un dato di fatto che le grasse risate che mi facevo un tempo guardando quei vecchi film con Sordi, Troisi o il principe De Curtis non riesco davvero più a concepirle.
Sono secoli che non guardo un film comico. Sarà forse che la comicità degli ultimi decenni mi deprime come una riunione di marketing a ferragosto, ma è un dato di fatto che le grasse risate che mi facevo un tempo guardando quei vecchi film con Sordi, Troisi o il principe De Curtis non riesco davvero più a concepirle.
E pensare che Totò e i suoi compari non avevano nemmeno bisogno di battute: erano capaci di divertire anche solo con la mimica facciale. Ho citato Totò, ma la mia mente inevitabilmente ritorna al cinema dei pionieri, a quelle maschere tragicomiche che erano i Ridolini, i Charlie Chaplin e i Buster Keaton. Ma molto più di questi ultimi, non me ne vogliano i loro eventuali epigoni, da bambino io amavo Stanlio e Ollio e le loro imprese.
Stan Laurel e Oliver Hardy, a differenza di tanti loro predecessori, avevano (non ci piove) il vantaggio della comunicazione verbale, con la quale potevano sottolineare le loro ineguagliabili espressioni, ma è indiscutibile che il loro successo non dipese da quello. Non dipese nemmeno da quel famoso gesto di Hardy, che sottolineava i propri successi da latin lover sitemandosi il nodo della cravatta, né dalle smorfie di Laurel, in lacrime per i propri insuccessi. La chiave del successo della coppia era il "camera-look" di Hardy, che cercava la complicità degli spettatori guardando fisso la cinepresa. Me ne resi conto per la prima volta diversi anni di più tardi, osservando l'attore inglese Brian Murphy nei panni di George Roper... ve lo ricordate? Massì, il personaggio di quella serie tivù dal titolo "George e Mildred", che era poi uno spin-off di "Tre cuori in affitto"! Brian Murphy aveva copiato quell'espediente e lo aveva fatto suo, se possibile anche migliorandolo.
Per lunghi decenni non ho più pensato alla coppia Laurel e Hardy, quasi come se li avessi chiusi dentro la valigia dei ricordi che conservo tra la polvere e le bottiglie di vino giù in cantina. Ma poi ci ha pensato Fabio Lastrucci.
Avevamo già parlato dell'autore napoletano poco prima dell'estate, come certamente vi ricorderete. In tale occasione tentai una piccola analisi di una sua raccolta di racconti. Se non fosse stato per quella felice esperienza di lettura, probabilmente non mi sarei mai deciso a mettere "in cantiere" questo nuovo titolo. La parola "nuovo" non è forse azzeccatissima, visto che "L'estate segreta di Babe Hardy" è stato pubblicato da Dunwich quattro anni fa, ma sicuramente nuovo lo è per me.
Nuovo, ma non nuovissimo: ricordo che lessi qualcosa in proposito già molto tempo fa, forse una recensione sul blog di Glò, e che mi affrettai ad annotarmelo. Quest'estate, finalmente, è giunto il suo momento.
La favolosa Hollywood degli anni ’30 si tinge di horror per un contagio ripugnante che si propaga grazie alla promiscuità dell’ambiente cinematografico. Le vittime mostrano un crescente bisogno di sangue, insieme a disturbi della personalità e bizzarri effetti collaterali. Potrebbe mai trattarsi di vampirismo? Lo sperimenteranno loro malgrado Oliver Hardy e Stan Laurel, trascinati in un incubo che coinvolge illustri colleghi – la “fidanzata d’America” Mary Pickford, l’atletico Douglas Fairbanks Sr. e Bela Lugosi – in una doppia vita da tenere nascosta alla legge, ai giornali e soprattutto al sinistro dottor Rainer Von Herb.
Non deve essere stato facile, per Fabio Lastrucci, svestire delle loro maschere due icone della comicità più classica. Le cronache, questo è vero, narrano di vite tutt'altro che spensierate per Hardy e Laurel, ma non sono quelle le vite che il nostro immaginario riserva loro.
Molto più facile, se vogliamo, può essere stato dipingere Bela Lugosi, il più classico dei vampiri cinematografici, qui piuttosto fedele all'impietoso ritratto che ne diede il regista Ed Wood nel "peggior film di tutti i tempi" (Plan 9 from Outer Space, 1959). Molto più facile, dicevo, anche grazie a Tim Burton e al compianto Martin Landau (Ed Wood, 1994), che hanno ucciso il re dei vampiri molto più trucemente di quanto abbia mai fatto Van Helsing in cent'anni di carriera.
Al di là di questo, immaginare una Hollywood anni '30 non è facile nemmeno per chi legge, talmente lontani sono nel tempo quegli anni. Laurel e Hardy sono nomi e volti noti, ma quanti potrebbero asserire di saper riconoscere il volto di Mary Pickford in mezzo ad una folla? Eppure, se cercate una sua foto in rete vi renderete di certo conto che l'avete già vista in mille occasioni. Ecco, sarebbe una buona idea se quella foto della Pickford, con quella bellezza così eterea, stesse accanto a voi mentre leggete "L'estate segreta di Babe Hardy": sarebbe un ottimo espediente per potersi meglio immergere in quelle atmosfere fortemente retrò evocate da Fabio Lastrucci.
Racconti e romanzi in cui protagonisti sono personaggi reali, viventi o vissuti, non sono affatto una novità nelle nostre librerie: da diverso tempo ormai autori di tutte le nazionalità si divertono a gettare nelle situazioni più improbabili poeti, pittori e addirittura capi di stato. La sospensione dell'incredulità è in genere ampiamente raccomandata, ma mai come in questo caso è entusiasmante cimentarsi nel discriminare il sorprendentemente vero dal palesemente falso. Lastrucci si diverte a citare qua e là avvenimenti realmente accaduti, come quel celebre bacio tra May Irwin e John C. Rice nella scena finale del musical teatrale The Widow Jones di John J. McNally (in rete trovate un cortometraggio di 18 secondi che testimonia quello che fu il primo bacio pubblico della storia: interessante come testimonianza storica, ma sexy come il manubrio di una bici).
Dopo qualche secondo, il naso di Oliver ruotò dalla spalla dell’altro per puntare sul collo, in prossimità della scia insanguinata. Il respiro gli si spense in petto. Le iridi castane si accesero diventando lucide e brillanti. Fece il tentativo di resistere, ma solo per un attimo. E morse. Morse con la forza di un mastino.
Una storia di vampiri e di cacciatori di vampiri? Tutto questo e anche il suo contrario. Diciamo che se per essere definiti vampiri è sufficiente abbeverarsi di sangue e provare avversione per mazzetti d'aglio assortiti, allora questa è una perfetta storia di vampiri. Se invece ci aspettiamo castelli gotici avvolti nella nebbia, bare invase di ragnatele e paletti di frassino sparsi sul pavimento... beh, allora proprio no.
Piuttosto che cercare una definizione (qualcuno userebbe il termine ucronia, ma non sono d'accordo), preferisco soffermarmi su ciò che "L'estate segreta di Babe Hardy" lascia al lettore una volta raggiunta la parola fine. Che cosa, dunque? Una specie di vaga malinconia.
La cosiddetta "fabbrica della risata" non era affatto quel mondo spensierato cui noi, ragazzi di mezzo secolo fa, sognavamo di abbandonarci. Stan Laurel e Oliver Hardy, e come loro decine di altri attori comici loro contemporanei, avevano la saggezza di nascondere dietro un gesto, dietro un'espressione, l'impietosità di una macchina per fare soldi. Un orrore ben più grande di qualunque orrore uno schermo ci possa mai mostrare, e che Lastrucci caparbiamente rivela negli spazi bianchi fra le righe di un libro.
Al di là di questo, immaginare una Hollywood anni '30 non è facile nemmeno per chi legge, talmente lontani sono nel tempo quegli anni. Laurel e Hardy sono nomi e volti noti, ma quanti potrebbero asserire di saper riconoscere il volto di Mary Pickford in mezzo ad una folla? Eppure, se cercate una sua foto in rete vi renderete di certo conto che l'avete già vista in mille occasioni. Ecco, sarebbe una buona idea se quella foto della Pickford, con quella bellezza così eterea, stesse accanto a voi mentre leggete "L'estate segreta di Babe Hardy": sarebbe un ottimo espediente per potersi meglio immergere in quelle atmosfere fortemente retrò evocate da Fabio Lastrucci.
Racconti e romanzi in cui protagonisti sono personaggi reali, viventi o vissuti, non sono affatto una novità nelle nostre librerie: da diverso tempo ormai autori di tutte le nazionalità si divertono a gettare nelle situazioni più improbabili poeti, pittori e addirittura capi di stato. La sospensione dell'incredulità è in genere ampiamente raccomandata, ma mai come in questo caso è entusiasmante cimentarsi nel discriminare il sorprendentemente vero dal palesemente falso. Lastrucci si diverte a citare qua e là avvenimenti realmente accaduti, come quel celebre bacio tra May Irwin e John C. Rice nella scena finale del musical teatrale The Widow Jones di John J. McNally (in rete trovate un cortometraggio di 18 secondi che testimonia quello che fu il primo bacio pubblico della storia: interessante come testimonianza storica, ma sexy come il manubrio di una bici).
Dopo qualche secondo, il naso di Oliver ruotò dalla spalla dell’altro per puntare sul collo, in prossimità della scia insanguinata. Il respiro gli si spense in petto. Le iridi castane si accesero diventando lucide e brillanti. Fece il tentativo di resistere, ma solo per un attimo. E morse. Morse con la forza di un mastino.
Una storia di vampiri e di cacciatori di vampiri? Tutto questo e anche il suo contrario. Diciamo che se per essere definiti vampiri è sufficiente abbeverarsi di sangue e provare avversione per mazzetti d'aglio assortiti, allora questa è una perfetta storia di vampiri. Se invece ci aspettiamo castelli gotici avvolti nella nebbia, bare invase di ragnatele e paletti di frassino sparsi sul pavimento... beh, allora proprio no.
Piuttosto che cercare una definizione (qualcuno userebbe il termine ucronia, ma non sono d'accordo), preferisco soffermarmi su ciò che "L'estate segreta di Babe Hardy" lascia al lettore una volta raggiunta la parola fine. Che cosa, dunque? Una specie di vaga malinconia.
La cosiddetta "fabbrica della risata" non era affatto quel mondo spensierato cui noi, ragazzi di mezzo secolo fa, sognavamo di abbandonarci. Stan Laurel e Oliver Hardy, e come loro decine di altri attori comici loro contemporanei, avevano la saggezza di nascondere dietro un gesto, dietro un'espressione, l'impietosità di una macchina per fare soldi. Un orrore ben più grande di qualunque orrore uno schermo ci possa mai mostrare, e che Lastrucci caparbiamente rivela negli spazi bianchi fra le righe di un libro.
Ho anche io questo libro, Lastrucci si è superato, è il suo testo più riuscito finora.
RispondiEliminaNon mi stupisce quello che dici: è ben evidente il grosso lavoro di preparazione che c'è alle spalle della stesura di questo romanzo e, per quanto mi riguarda, basterebbe quello per innalzarlo sopra la media.
EliminaHo capito il genere. Non so se mi piacerebbe, però sicuramente denota creatività letteraria-cinematografica.
RispondiEliminaPersonaggi storici che si trasformano nei personaggi di un romanzo non sono certamente una novità. Posso certamente capire le tue perplessità.
EliminaL'idea è ottima e la storia è ben sviluppata. Difficile davvero non venirne catturati.
RispondiEliminaUn ringraziamento sincero all'eccellente analisi di Obsidian e grazie anche all'interessamento di Cassidy e Ariano, infine, last but no least, al carissimo e sempre generoso Nick di Nocturnia.
RispondiEliminaFabio
Grazie a te per essere passato, Fabio! Adesso non ti resta che seppellire quel "finora" di Nick con un altro succulento episodio...
EliminaGran romanzo e gran recensione!
RispondiEliminaSe non l'avessi già letto - e abbondantemente apprezzato - sono convinto che, dopo questa azzeccatissima analisi, mi precipeterei a farlo al più presto.
Ciao Andrea e benvenuto sul blog!
EliminaSono contento che le mie impressioni positive siano largamente condivise.
Se ti interessa, tra qualche giorno qui sul blog Fabio Lastrucci ci racconterà qualche gustoso retroscena relativo alla stesura di "Babe Hardy"... A presto!
Letto con grande piacere a suo tempo. Non ne scrissi una recensione sul momento ripromettendomi di farlo dopo un po', promessa tragicamente mancata. Mi fa molto piacere che sia uscita la tua ottima recensione che rende giustizia a un grande autore di fantastico.
RispondiEliminaSuccede spesso anche a me di voler recensire qualcosa senza poi farlo davvero. Il problema è che leggiamo troppo e che tra un libro e l'altro non ammettiamo pause!
EliminaQuesta recensione era però quasi d'obbligo, non trovi?
Non avevo assolutamente idea dell'esistenza di questo libro ma appena arrivo a casa mi metto in cerca. Anche io da bambina adoravo Stanlio e Ollio e ancora oggi li preferisco a molti altri comici, anche quelli più amati dal pubblico :)
RispondiElimina...e forse ci piacciono tanto proprio perché ci ricordano gli anni in cui eravamo più sereni e spensierati.
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