Prima o poi era inevitabile che quella lunga di serie di post sulla mitologia del Re in Giallo finisse per sconfinare nel magico universo lovecraftiano. Era scontato sin dall’inizio, non vi pare? D’altra parte non è affatto un mistero che i cosiddetti Miti di Cthulhu si siano ampiamente ispirati, almeno per quanto riguarda la parte pseudobiblica, al famigerato King in yellow citato dal contemporaneo, per Lovecraft, Robert W. Chambers. Restava solo da stabilire il momento in cui il solitario di Providence avrebbe potuto fare il suo ingresso in questa serie di post e, neanche a farlo apposta, con Yuggoth! quel momento è in un certo qual modo arrivato.
Non avrei per inciso potuto scegliere diversamente, perché proprio scrivendo uno degli ultimi articoli, precisamente quello pubblicato a fine novembre dal titolo The Dream Leech, ispirato all’omonimo racconto di William Laughlin, avevo già gettato involontariamente le basi per questo, chiamiamolo così, “piccolo speciale” al quale state assistendo dall’inizio di luglio.
Un piccolo speciale (definito “piccolo” solo perché assolutamente casuale e non programmato) dedicato ad uno dei racconti più importanti dell’intero universo lovecraftiano, il già più volte citato “The Whisperer in Darkness” (ovvero "Colui che sussurrava nelle tenebre").
Abbiamo già affrontato più o meno nel dettaglio il racconto di Lovecraft la volta scorsa, quindi oggi proveremo a spiegare il significato di quella specie di racconto in tre parti che avete (spero) letto a partire da qui. Si tratta ovviamente di un’opera di fantasia che rientra nella logica della fan-fiction, vale a dire quel tipo di narrativa che prende spunto da storie o personaggi di qualcun altro e li ricicla in qualcosa di fortemente derivativo. Diciamo, per farla breve, che una fan-fiction è qualcosa che si trova a metà strada tra il plagio e l’omaggio. A qualcuno probabilmente si staranno rizzando i peli sulle braccia a leggere la parola plagio, ma è innegabile che utilizzare nei propri romanzi un personaggio già esistente è molto più facile che inventarne uno nuovo di zecca, almeno in teoria. Con questo non voglio dire che la fan-fiction sia riprovevole. Tutt’altro. Esistono milioni di esempi in cui l’allievo è riuscito anche a superare il maestro: lo stesso Lovecraft, come abbiamo detto e ridetto, si sarebbe ispirato a Robert W. Chambers (riutilizzando termini come “Il segno giallo” o “il lago di Hali”); quest’ultimo a sua volta si sarebbe ispirato ad Ambrose Bierce (riutilizzando il temine "Carcosa"), e così via.
Come sapete, lo stesso speciale “Yellow Mythos” che sto portando avanti da un paio d’anni non è altro che una lunga dissertazione sulla fan-fiction, visto che gioca proprio sulla ricerca di connessioni, rimandi, citazioni e rivisitazioni. Scrivendo “Yuggoth!” mi sono quindi divertito anch’io a giocare con personaggi e situazioni uscite dalla penna di Lovecraft, cercando di recuperarli laddove possibile e riutilizzarli per quello che potrebbe essere considerato una sorta di sequel.
Partiamo dall’inizio. Come mi è venuta in mente questa cosa? Qualche settimana fa ho ripreso in mano quei miei vecchi volumi dello scrittore di Providence con l’intenzione di andarmi a rileggere il racconto in questione. L’idea era quella di rinfrescarmi la memoria prima di andare a citare in un prossimo articolo i passaggi che avevano un chiaro collegamento con i Mythos. Mentre leggevo, un milione di idee mi rimbalzavano però nella scatola cranica. Lovecraft aveva scritto un gran bel racconto, ma aveva lasciato diversi punti interessanti in sospeso che uno scrittore con un minimo di talento avrebbe potuto utilizzare per un bel sequel, per un prequel, per un whatif o un crossover.
Pur non essendo io uno scrittore di talento (e nemmeno uno scrittore tout-court), l’idea mi solleticava. Avrei potuto provarci, sì, ma in che modo?
Rimuginandoci sopra giorno e notte, finalmente mi scattò la molla, anzi due: in primo luogo c’era lo strano uso che Lovecraft aveva fatto della pietra nera, quella che Akeley aveva inviato per posta a Wilmarth. Come sono certo ricorderete, il pacco svanì nel nulla in modo da far ipotizzare che qualcuno, sotto il controllo degli alieni, avesse provveduto a intercettare e poi distruggere il prezioso reperto.
Quel passaggio, personalmente, mi è sempre parso un po’ debole, con tutto il rispetto per il mio scrittore preferito. Sebbene quel piccolo accadimento sia perfettamente funzionale alla storia, rappresentando in maniera evidente il giro di boa tra le due metà del racconto, così nettamente distinte fra loro, ho sempre avuto l’impressione che fosse un po’ una soluzione di fortuna. Ho sempre creduto, per dirla in altre parole, che Lovecraft avrebbe potuto trovare ben altro modo per far funzionare "The Whisperer in Darkness". Ma questa è di certo una mia personalissima sega mentale.
Ad ogni modo, basandomi su quella mia vaga sensazione, ho voluto immaginare che quel pacco postale non fosse stato davvero sottratto dagli alieni o da qualche umano in combutta (coercitiva o meno) con loro. Ho immaginato che il pacco fosse finito chissà dove a causa di un disservizio delle Poste e che, per una strana combinazione del destino, potesse materializzarsi sulla scrivania del discendente di uno dei protagonisti originali. L’idea, me ne rendo perfettamente conto, non è molto originale, ma di fatto avevo trovato un modo plausibile per inserire nel mio piccolo racconto un punto di contatto tra passato e presente. Tutto ciò però non mi bastava ancora, ma grazie al cielo scattò in me quella seconda molla riflettendo sui tanti riferimenti a Plutone presenti nel racconto originale.
Ammetterai che come italiano sei stato avvantaggiato nel concepire una trama basata sui disservizi postali. Perfino Rilke in un suo scritto se ne è lamentato a proposito di uno dei suoi soggiorni in Italia all'inizio del '900.
RispondiEliminaRimango in fervida attesa della parte su Plutone...
...che poi in realtà i tempi delle Poste sono nettamente migliorati rispetto a una decina di anni fa. Non per merito loro, probabilmente, bensì per il fatto che nessuno più spedisce lettere e cartoline.
EliminaLa vera forza di Lovecraft stava tutta nell'atmosfera dei suoi racconti, però è indubbio che i medesimi contenessero spesso numerose illogicità nella trama. La cosa penso dipendesse dal fatto che il buon H.P. Lovecraft - per sua stessa scelta- fosse praticamente un recluso e che quindi ignorasse molte attività pratiche.
RispondiEliminaOvviamente sto semplificando di brutto, però credo che questo abbia influito.
So che Lovecraft aveva una cura nei dettagli quasi maniacale. Se il suo protagonista doveva viaggiare in treno da una certa città del Massachusetts ad una certa città del Vermont (come nel racconto in esame) si studiava nel dettaglio gli orari dei treni, le possibili variabili stagionali e non so che altro. Quelle che a noi sembrano illogicità probabilmente dipendono da tutt'altro, non so, la cultura dell'epoca, l'approccio...
EliminaVedo che un'altra rubrica molto interessante ha preso il via!
RispondiEliminaAnche se arrivo leggermente in ritardo, riesco a rimettermi subito in pari.
Queste indagini metaletterarie nel weird sono tra le letture che preferisco.
Hai tutto il tempo che vuoi per rimetterti in pari, visto che il blog ad agosto sarà in animazione sospesa ^_^ Ciaoooo
Elimina