L’estate volge al termine e per me è il tempo di abbassare il sipario su una delle iniziative più longeve delle blogosfera cinefila. La “Notte Horror”, quel piccolo esperimento che vide la luce anni fa senza grandi prospettive, mette in archivio anche la sua sesta edizione, chiudendosi oggi proprio qui su Obsidian Mirror dopo due mesi di tournée in giro per l’Italia.
Numerosissimi sono stati i blogger che quest’anno hanno aderito al progetto, ancora più di quanti potessi mai sperare, vista la tendenza involutiva degli anni precedenti. Alcuni amici inevitabilmente si sono persi per strada, ma nuove voci nel frattempo si sono aggiunte al coro, e ciò ci è di assoluto conforto per il futuro.
Ancora una volta, a beneficio di chi bazzica da queste parti solo raramente, ricordo che la nostra “Notte Horror” nacque con il proposito di rievocare quegli omonimi appuntamenti televisivi che negli anni Novanta proponevano in tarda ora lunghe maratone di filmacci horror. Tutto ciò che si fa da queste parti è "recensire" uno a scelta di quei vecchi film (e ci tengo a precisarlo perché qualcuno in passato aveva frainteso).
Nella scelta, l’unica regola imposta ai partecipanti è che si tratti di un horror tamarro d’epoca. E quale miglior scelta, la mia, se non uno tra quei milioni di film, di vario spessore culturale, il cui titolo ci mette in guardia dal fare qualche cosa?
Ci avevano già suggerito di non aprire quella porta, di non entrare in quella casa, di non prendere quel metrò, di non avere paura né del buio né della zia Martha. Potevano forse lasciarci giocare con una cosa apparentemente innocua come un comunissimo armadio? Certo che no, perché l'armadio, me sono sono reso conto solo raccogliendo le idee per questo articolo, è davvero uno degli elementi più perturbanti che abbiamo in casa (dopo lo specchio, naturalmente).
Per un attimo mi ero anche lasciato sedurre dall'idea che questo post potesse essere il primo di una serie dedicata al "closetsploitation" ma poi, esternando tal proposito alla mia perplessa morosa, ho deciso di soprassedere. Nonostante ciò, l'armadio è un tema usato e abusato nel cinema e nella narrativa di genere. La sua stessa natura, limitata a una porta che, a differenza di tutte le altre porte in una casa, si affaccia su uno spazio contenuto, invivibile, ne esalta la singolarità e confonde la mente.
Evoluzione dello specchio carrolliano, l'armadio (e per estensione armadietti, ripostigli e cabine) è divenuto la nuova eterotipia foucaltiana. Da semplice contenitore, assolutamente reale e affine allo spazio (all'arredamento) che lo circonda, l'armadio, operando attraverso l'imprevedibile, si è trasformato in una soglia, un passaggio da e verso un'altra dimensione, non esclusivamente legata al concetto di orrore: basti pensare alle "Cronache di Narnia", laddove l'armadio è una porta che conduce a un mondo fantastico, o agli armadi svanitori di Harry Potter, utilizzati per trasportare oggetti o persone da un posto all'altro. Ancora per estensione potrei citare il Tardis, la cabina telefonica di Doctor Who, ma finirei per esaurire lo spazio di questo articolo con una sequenza infinita di variazioni sul tema.
Tornando all’orrore, tipico delle paure infantili è il Boogeyman, ovvero l'uomo nero nascosto nell'armadio (ma anche sotto i letti e in tutti gli angoli bui), protagonista in milioni di varianti, dal classicissimo Pennywise al più recente Babadook, senza ovviamente nulla togliere all'armadio horror per eccellenza, quello in cui si impantanò la piccola Carol Ann nel più spielgberiano dei poltergeist cinematografici.
Dall'armadio come rifugio o nascondiglio (celebre è l’espressione “avere uno scheletro nell’armadio”), ne sono certo, sono pieni i trattati di psicologia ma, qualunque cosa se ne dica, sotto quella forma gli armadi non sono mai molto affidabili (basti pensare alla povera Laurie Strode, in fuga dal suo inarrestabile boogeyman di famiglia).
Sebbene non sia forse evidente a una visione superficiale, anche l’armadio targato Troma e portato al cinema da uno sconosciutissimo (ora come allora) Bob Dahlin nel 1987 è un rifugio e un nascondiglio. La vera novità di “Non aprite quell’armadio” è che, una volta tanto, è lo stesso “monster in the closet” a utilizzarlo come tale, cercandovi rifugio quando le cose si mettono male. Quando si parla di Troma Productions è quasi scontato che ci si trovi davanti a una tamarrata demenziale a budget zero (e ciò è perfettamente in linea con lo scopo primario di questo post), ma, nonostante le premesse, qualcosina credo si possa ancora salvare da questo sfacelo. Ma andiamo con ordine.
I cittadini di San Francisco sono terrorizzati da una efferata serie di omicidi avvenuta per opera di qualcosa di brutto che sbuca dagli armadi domestici. Non è chiaro di cosa si tratti, ma senza dubbio (anche perché il titolo originale lo suggerisce) si tratta di una creatura mostruosa. Richard Clark, il giornalista sfigato di turno, tale e quale al Clark Kent di kryptoniana memoria, viene incaricato dal suo editore di scrivere una storia sul caso; si dirige dritto verso il dipartimento di polizia locale per intervistare lo sceriffo e lì incontra una biologa caruccia (che è ovviamente normale che si trovi a passare da quelle parti) che ha già capito tutto e che attribuisce a una misteriosa creatura la responsabilità dei fatti. A rafforzare la sua tesi, sulla scena di uno degli omicidi i due trovano anche una specie di artiglio, sfuggito chissà come a un primo sopralluogo. Ai due presto si aggiungono alcuni immancabili personaggi, perfetti stereotipi del genere: uno scienziato, un prete e un ragazzino. Nel corso di una rilassante cena casalinga, i cinque odono delle grida provenire dall'altra parte della strada: una donna in lacrime sostiene che un mostro alieno uscito dall'armadio le ha fatto a pezzi il marito. L'indagine è già praticamente conclusa: viene chiamato l'esercito e dichiarata l'emergenza nazionale. Da qui in avanti è noia. O meglio, da qui in avanti ogni residua speranza per un plot un attimino elaborato viene a cadere.
Siamo di fronte a una commedia horror demenziale con vaghi richiami a quei pioneristici film di fantascienza anni cinquanta, ma con la creatura un po' più gommosa. Il prete cerca la soluzione nella fede, lo scienziato nella scienza, il bambino... beh, il bambino è abbastanza inutile, come tutti i bambini. La soluzione è solo una ed è chiara sin dall'inizio: se la creatura utilizza gli armadi come porta dimensionale per spostarsi da una casa all'altra (ma sempre, stranamente, nei limiti della contea californiana), che altro si può fare se non distruggere tutti gli armadi del mondo? Non ve la farò troppo lunga, non vi preoccupate, ma se riuscirete a tenere almeno un occhio aperto fino alla fine, e se riuscirete a rassegnarvi all'idea che non c'è nulla che ormai vi restituirà quell'oretta che è ormai alle vostre spalle, vi prometto che verrà un giorno in cui ripenserete all'esilarante epilogo di "Non aprite quell'armadio" da una diversa prospettiva. Non succederà domani, né tra una settimana, un mese o un anno ma, ve lo garantisco, tra venti o trent'anni riuscirete a trovare qualcosa di buono nell'opera prima (e unica) di questo regista che non si è guadagnato neanche una voce di wikipedia nella sua lingua madre. Molto più di una semplice voce di wikipedia si sono invece guadagnati John Carradine (presente in un cameo) e due caratteristi abbastanza noti come Donald Moffat e Claude Akins, a smentire la mia precedente affermazione circa il budget.
C'è chi sostiene che "Non aprite quell'armadio" sia la versione gay di King Kong, ed effettivamente quel finale con il mostro che, messo alle corde, rapisce il giornalista belloccio anziché la biologa caruccia, qualche dubbio un po' lo lascia (e la stessa location, Frisco, potrebbe essere a mio parere un secondo indizio).
Tra l'altro, nel mondo LGBT il coming out, espressione usata per indicare la "scelta" di dichiarare apertamente la propria omosessualità o la propria identità di genere, deriva dalla frase inglese "coming out of the closet" (letteralmente: "uscire dall'armadio") cioè uscire allo scoperto, uscire da quel nascondiglio interiore nel quale a un certo punto ci si sente soffocare.
E a questo punto ci si spalanca davanti un mondo. Varrebbe davvero la pena andare a rivedersi tutti i vari Boogeymen (o tutti gli slasher dove c'è qualcuno che si rifugia nell'armadio) e provare a reinterpretarli sotto questa nuova luce. Non lo farò solo perché sarebbe una forzatura (oltre che una puttanata), ma quell'idea che avevo di dedicare una serie di post alla closetsploiation, beh, diciamo che non l'ho ancora scartata del tutto.
La sesta stagione di "Notte Horror" termina qui. Concedetemi solo, prima di chiudere, di ringraziare tutti i blogger che hanno reso possibile, una volta ancora, questa iniziativa: La Bara Volante, Malastrana VHS, Il Zinefilo, Non c'è paragone, Stories, Solaris, La Stanza di Gordie, ancora Malastrana VHS, Pensieri Cannibali, Il Bollalmanacco di Cinema, In Central Perk, La fabbrica dei sogni, Pietro Saba World, Director's Cult, Deliria, Combinazione casuale, ancora Il Zinefilo, Redrumia, White Russian e di nuovo Il Zinefilo.
Numerosissimi sono stati i blogger che quest’anno hanno aderito al progetto, ancora più di quanti potessi mai sperare, vista la tendenza involutiva degli anni precedenti. Alcuni amici inevitabilmente si sono persi per strada, ma nuove voci nel frattempo si sono aggiunte al coro, e ciò ci è di assoluto conforto per il futuro.
Ancora una volta, a beneficio di chi bazzica da queste parti solo raramente, ricordo che la nostra “Notte Horror” nacque con il proposito di rievocare quegli omonimi appuntamenti televisivi che negli anni Novanta proponevano in tarda ora lunghe maratone di filmacci horror. Tutto ciò che si fa da queste parti è "recensire" uno a scelta di quei vecchi film (e ci tengo a precisarlo perché qualcuno in passato aveva frainteso).
Nella scelta, l’unica regola imposta ai partecipanti è che si tratti di un horror tamarro d’epoca. E quale miglior scelta, la mia, se non uno tra quei milioni di film, di vario spessore culturale, il cui titolo ci mette in guardia dal fare qualche cosa?
Ci avevano già suggerito di non aprire quella porta, di non entrare in quella casa, di non prendere quel metrò, di non avere paura né del buio né della zia Martha. Potevano forse lasciarci giocare con una cosa apparentemente innocua come un comunissimo armadio? Certo che no, perché l'armadio, me sono sono reso conto solo raccogliendo le idee per questo articolo, è davvero uno degli elementi più perturbanti che abbiamo in casa (dopo lo specchio, naturalmente).
Per un attimo mi ero anche lasciato sedurre dall'idea che questo post potesse essere il primo di una serie dedicata al "closetsploitation" ma poi, esternando tal proposito alla mia perplessa morosa, ho deciso di soprassedere. Nonostante ciò, l'armadio è un tema usato e abusato nel cinema e nella narrativa di genere. La sua stessa natura, limitata a una porta che, a differenza di tutte le altre porte in una casa, si affaccia su uno spazio contenuto, invivibile, ne esalta la singolarità e confonde la mente.
Mi sa che invece un giorno lo faccio uno speciale sulla closetsploitation... |
Tornando all’orrore, tipico delle paure infantili è il Boogeyman, ovvero l'uomo nero nascosto nell'armadio (ma anche sotto i letti e in tutti gli angoli bui), protagonista in milioni di varianti, dal classicissimo Pennywise al più recente Babadook, senza ovviamente nulla togliere all'armadio horror per eccellenza, quello in cui si impantanò la piccola Carol Ann nel più spielgberiano dei poltergeist cinematografici.
Dall'armadio come rifugio o nascondiglio (celebre è l’espressione “avere uno scheletro nell’armadio”), ne sono certo, sono pieni i trattati di psicologia ma, qualunque cosa se ne dica, sotto quella forma gli armadi non sono mai molto affidabili (basti pensare alla povera Laurie Strode, in fuga dal suo inarrestabile boogeyman di famiglia).
Sebbene non sia forse evidente a una visione superficiale, anche l’armadio targato Troma e portato al cinema da uno sconosciutissimo (ora come allora) Bob Dahlin nel 1987 è un rifugio e un nascondiglio. La vera novità di “Non aprite quell’armadio” è che, una volta tanto, è lo stesso “monster in the closet” a utilizzarlo come tale, cercandovi rifugio quando le cose si mettono male. Quando si parla di Troma Productions è quasi scontato che ci si trovi davanti a una tamarrata demenziale a budget zero (e ciò è perfettamente in linea con lo scopo primario di questo post), ma, nonostante le premesse, qualcosina credo si possa ancora salvare da questo sfacelo. Ma andiamo con ordine.
Una creatura a metà strada tra King Kong e Godzilla... solo un po' più gommosa |
Siamo di fronte a una commedia horror demenziale con vaghi richiami a quei pioneristici film di fantascienza anni cinquanta, ma con la creatura un po' più gommosa. Il prete cerca la soluzione nella fede, lo scienziato nella scienza, il bambino... beh, il bambino è abbastanza inutile, come tutti i bambini. La soluzione è solo una ed è chiara sin dall'inizio: se la creatura utilizza gli armadi come porta dimensionale per spostarsi da una casa all'altra (ma sempre, stranamente, nei limiti della contea californiana), che altro si può fare se non distruggere tutti gli armadi del mondo? Non ve la farò troppo lunga, non vi preoccupate, ma se riuscirete a tenere almeno un occhio aperto fino alla fine, e se riuscirete a rassegnarvi all'idea che non c'è nulla che ormai vi restituirà quell'oretta che è ormai alle vostre spalle, vi prometto che verrà un giorno in cui ripenserete all'esilarante epilogo di "Non aprite quell'armadio" da una diversa prospettiva. Non succederà domani, né tra una settimana, un mese o un anno ma, ve lo garantisco, tra venti o trent'anni riuscirete a trovare qualcosa di buono nell'opera prima (e unica) di questo regista che non si è guadagnato neanche una voce di wikipedia nella sua lingua madre. Molto più di una semplice voce di wikipedia si sono invece guadagnati John Carradine (presente in un cameo) e due caratteristi abbastanza noti come Donald Moffat e Claude Akins, a smentire la mia precedente affermazione circa il budget.
La soluzione più ovvia e praticabile: distruggere tutti gli armadi del mondo. |
Tra l'altro, nel mondo LGBT il coming out, espressione usata per indicare la "scelta" di dichiarare apertamente la propria omosessualità o la propria identità di genere, deriva dalla frase inglese "coming out of the closet" (letteralmente: "uscire dall'armadio") cioè uscire allo scoperto, uscire da quel nascondiglio interiore nel quale a un certo punto ci si sente soffocare.
E a questo punto ci si spalanca davanti un mondo. Varrebbe davvero la pena andare a rivedersi tutti i vari Boogeymen (o tutti gli slasher dove c'è qualcuno che si rifugia nell'armadio) e provare a reinterpretarli sotto questa nuova luce. Non lo farò solo perché sarebbe una forzatura (oltre che una puttanata), ma quell'idea che avevo di dedicare una serie di post alla closetsploiation, beh, diciamo che non l'ho ancora scartata del tutto.
La sesta stagione di "Notte Horror" termina qui. Concedetemi solo, prima di chiudere, di ringraziare tutti i blogger che hanno reso possibile, una volta ancora, questa iniziativa: La Bara Volante, Malastrana VHS, Il Zinefilo, Non c'è paragone, Stories, Solaris, La Stanza di Gordie, ancora Malastrana VHS, Pensieri Cannibali, Il Bollalmanacco di Cinema, In Central Perk, La fabbrica dei sogni, Pietro Saba World, Director's Cult, Deliria, Combinazione casuale, ancora Il Zinefilo, Redrumia, White Russian e di nuovo Il Zinefilo.
La Troma è una garanzia :-D
RispondiEliminaComunque, può darsi che darò una chance a questa pellicola demenziale-horr... ehm, demenziale e basta.
Demenziale e basta, hai detto giusto. Puoi dargli tutte le chance che vuoi ma poi non andare in giro a dire che te l'ho detto io! ^_^
EliminaSembra una bella trashatona, conoscevo il titolo ma non ho mai avuto occasione di vederlo. Metto in lista u.u
RispondiEliminaNon sarà una "fragassata" di quelle che guardi tu, ma si difende bene. Stavo anzi perinserirlo nel mio listone degli "on-demand" tamarri ma mi pare di aver capito che non ce n'è bisogno... eheheh
EliminaGrazie a te per l'ospitalità nell'iniziativa e per aver recuperato questo gioiellino: devo averlo visto varie vite fa, ho degli sprazzi più che dei ricordi, ma mi hai messo addosso la curiosità di rivederlo :-P
RispondiEliminaE il ciclo sulla closetsploitation lo voglio assolutamente: di' alla perplessa morosa che la blogosfera lo vuole! ^_^
Dannazione! Mi state mettendo alle strette! Il problema è che non è che ci sia molto da dire sul'argomento. Pensandoci bene però non c'era molto da dire nemmeno su questo film, eppure ho scritto un post lungo due chilometri...
EliminaFacciamo così: se arriva una terza richiesta lo facciamo!
Dannato! Questa mi sa tanto che è una vendetta per la "vox-populi" che ho istigato qualche giorno fa da te, quella sul Rambo "de noantri" Oscar Pettinari...
RispondiEliminaSalve, sono Mario Rossi e anch'io vorrei uno speciale sul closetsploitation :-D
RispondiEliminaAndiamo, da Kato che si nascondeva nell'armadio per i suoi attacchi a Clouseu al Jack Slater di "Last Action Hero" (1993) che entra in casa e spara all'armadio, perché sicuramente ci sono dentro degli attentatori. (Infatti è così!). Fino alla casa con i corridoi segreti che univano tutti gli armadi, se ricordo bene il film (indovina un po'?) "Non bussate a quella porta" (2017), altro titolo in "non". Colonna sonora: Eminem, "Cleaning out my closet", la canzone dove racconta quanto odia la madre...
E non parliamo dei guardoni nell'armadio, che quello aprirebbe tutt'altro ciclo: peepclosetsploitation? :-D
Quante ne sai, caro Mario. E io che mi ero limitato a circoscrivere la cosa in ambito horror. Avevo anche giusto qualche giappo interessante sul tema...
EliminaKato lo avevo rimosso! Ahahah! Grande! Grazie per questo piccolo amarcord!
Ad un certo punto mi hai fatto venire in mente Monsters & Co., chissà perché poi :D
RispondiEliminaIl "colpo d'occhio" sulla locandina fa anche di questi scherzi! ;)
EliminaAnche io ho pensato al bellissimo Monsters&CO ma per via dei collegamenti che si facevano con le porte, mentre qui si passa di armadio in armadio. E anche lì se non sbaglio si vedeva la porta di un armadio semisocchiusa che mostrava una oscurità spaventosa.
RispondiEliminaNon me lo ricordo assolutamente. Capace anzi che non l’ho mai visto...
EliminaAspetta aspetta..ecco dove gli autori hanno preso spunto per gli Imp di Doom XD! Mamma mia, come mai ero all'oscuro di questo cult? Io invece, in tema "mostracci", ho visto due film degli anni '80, The Ork (Cellar Dweller) e Spookies. Il primo brutto, anche se mi ha divertito assai per via di quel mostrone ; il secondo ha spunti molto interessanti (anche una scena che mi è sembrata uscita da Hellraiser), anche se per arrivare alla durata di 80 minuti è stato allungato il brodo in maniera incredibile!
RispondiEliminaNon so se gli Imp di Doom abbiano davvero un debito nei confronti del gommosissimo mostro di "Non aprite quell'armadio" ma la somiglianza è piuttosto evidente (a parte le fauci che, in quest'ultimo, sono davvero sproporzionate). I due film che citi non sono sicuro di averli visti ma si direbbero proprio ottimi spunti per la prossima edizione della Notte Horror blogghesca...
EliminaSecondo me non è così brutto e "gommoso" quel costume, nell'ambito dei film a basso costo si è visto di peggio; e poi secondo me il designe è anche fico.
RispondiEliminaGommoso non voleva essere dispregiativo. Anzi, la gommitudine lo eleva di vari livelli rispetto ad altre cose viste in precedenza (o in seguito).
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