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lunedì 22 maggio 2023

Tokyo Express

Tre sono le cose che, a mio parere, caratterizzano i migliori noir. Primo: il rigore nella cura dei dettagli, meravigliosamente assemblati come tessere di un mosaico cretese. Secondo:  la capacità introspettiva. Terzo: l’ambientazione, fosse pure la Bassa padana, deve catturare l’attenzione; se, per il lettore, non è esotica, deve perlomeno sembrarlo, perché, inutile dirlo, c’è un intrinseco legame tra i personaggi (e i loro gesti, moventi, sospetti) e l’ambiente.
Seichō Matsumoto, il “Simenon giapponese”, sa certo destreggiarsi molto bene fra questi tre aspetti ma, quanto al secondo punto, direi che in generale gli autori giapponesi, a prescindere dal genere, sono maestri nell’introspezione psicologica. 
Nei giorni scorsi ho terminato il suo “Ten to Sen” a tempi di record come non mi capitava da tempo, e oggi sono già qui a parlarne. In Italia, la prima edizione Mondadori si intitolava “La morte è in orario”, mentre quella Adelphi del 2018 è stata rinominata “Tokyo Express”, gergo militare (così i marines statunitensi definivano la stupefacente precisione della marina militare giapponese durate la Seconda Guerra Mondiale) che allude all’ingranaggio criminale così ben oliato che nel libro rende le indagini lunghe e farraginose. Io per abitudine avrei definito una tale perfezione un funzionamento da orologio svizzero (e vedrete poi proseguendo nella lettura quanto il paragone sia azzeccato), ma, sì sa, i giapponesi sono un po’ gli svizzeri d’Oriente, quindi va bene lo stesso. 

lunedì 27 aprile 2015

Capitolo 5: A Blood Pledge

Quaranta suicidi all’anno ogni centomila abitanti, quarantatre al giorno in tutto il paese: è il tasso più alto tra i paesi dell’OCSE, terzo tasso assoluto dopo Groenlandia e Lituania. Prima nazione al mondo per numero di suicidi compiuti da donne, prima causa di morte tra i giovani tra i 10 e i 30 anni, quarta causa di morte fra l’intera popolazione. Con cifre di questa rilevanza era praticamente impensabile che un capitolo dei “Whispering Corridors” non cercasse di scrutare in qualche modo nell’ingombrante fardello che le istituzioni scolastiche di Seoul si portano appresso. Abbiamo già visto qualche giorno fa che uno dei motivi più rilevanti delle costanti ondate di suicidi può essere ricercato nella struttura fortemente competitiva del sistema scolastico e nelle forti pressioni sui ragazzi per avere dei buoni risultati, per cui non ci ripeteremo. Proveremo invece a capire cosa possa esserci dietro i cosiddetti “patti suicidi”, quei singolari quanto sconvolgenti casi di cronaca nei quali diversi individui, solitamente in giovane età, cercano la forza l’uno nell’altro per raggiungere il terribile scopo che si sono prefissi. 

sabato 25 aprile 2015

O Sacrum Convivium

O sacrum convivium, in quo Christus sumitur: recolitur memoria passionis eius: mens impletur gratia et futurae gloriae nobis pignus datur (O Sacro Convito, di Gesù Cristo ci nutri; sei viva memoria della sua Passione; all’anime nostre doni la vita divina e il pegno della gloria futura.). 
Per i coreani ogni uomo ha tre anime, una delle quali rimane nella tomba insieme ai resti mortali del defunto e le altre due invece sono destinate a distaccarsene, una per dimorare nelle tavolette mortuarie che i parenti espongono nelle proprie case per onorare il caro estinto e una per recarsi nell'aldilà, ovvero in uno dei numerosi “regni” o “cieli” ultraterreni governati dal dio Haneullim (Hananim). I riti e le preghiere dedicati ai defunti nella tradizione servono soprattutto per rabbonire gli spiriti malevoli di modo che non interferiscano con gli affari dei vivi. Ma, differenze ideologiche e culturali a parte, la morte fa paura a tutte le latitudini e però il tutto di cui facciamo parte continua ad esistere anche una volta che uno dei suoi componenti viene a mancare, proprio come il nostro organismo sopravvive alla morte quotidiana delle sue cellule e dei suoi tessuti, com’è giusto che sia. La morte è necessaria per l’equilibrio della vita. È in questo senso che i morti vanno lasciati andare, senza stimolarne legami innaturali, attaccamento o nostalgia per un mondo, quello reale, che più non gli appartiene. Saggiamente, quindi, la Sun-min di “The voice” si allontana dall’amica Young-eon, non per cancellarne il ricordo ma perché è necessario accettare la sua morte per far sì che lei stessa la accetti (incidentalmente questa le ha nascosto più di un segreto e lei lo ha intuito prima ancora di averne la certezza, minando alla base la loro amicizia, ma anche se così non fosse questo non sposterebbe di un millimetro la questione).

venerdì 12 aprile 2013

Suicide Mouse

Topolino. Chi di noi da bambino non ha mai sfogliato un albo di Topolino? Tutti, vero? Sono pronto a scommettere che ognuno di noi ha imparato a leggere iniziando proprio dalle coloratissime vignette con le avventure dei personaggi di Walt Disney. Che belli! E che ricordi! Ancora oggi conservo gelosamente alcuni di quei giornalini, quelli che mi erano piaciuti di più, quelli che mi hanno accompagnato negli anni della crescita e che non potrei mai dimenticare. Non ho idea di come sia Topolino oggi, ma per chi come me era un bambino negli anni Settanta del secolo scorso, Topolino era qualcosa di ineguagliabile. Ricordo le sue avventure su altri mondi, le sue indagini a supporto del maldestro commissario Basettoni, la terrificante minaccia di Macchia Nera e quella, tutt’altro che terrificante, dei poveri Bassotti. E poi c’erano Pippo, Pluto, Minnie e mille altri. Ricordo anche che mi divertivo a ritagliare le immagini dei personaggi di Walt Disney e, stringendo a me il mio tubetto di colla preferito (il mitico Vinavil), mi aggiravo per casa appiccicando figurine dappertutto, sui mobili, sul frigorifero, il tutto con buona pace di mia madre, da tempo rassegnata alle mie scorribande creative. E poi c’erano i punti del Club di Topolino, che non ho mai capito a cosa servissero ma li ritagliavo e li conservavo in una busta da lettere. Armato di forbici e colla ho fatto a pezzi decine di giornalini e, ripensandoci adesso, è un vero peccato. Ho perduto per sempre chissà quante meraviglie.

venerdì 5 ottobre 2012

Serpenti e piercing

“Le cose che pensavo in quel momento, quello che avevo davanti agli occhi, la sigaretta che tenevo tra l’indice e il medio, niente sapeva di reale. Ebbi la sensazione di essere da un'altra parte, che mi guardavo da lontano. Non posso credere a niente.  Non posso sentire niente. Gli unici momenti in cui riesco a percepire chiaramente di essere viva è quando provo dolore fisico. Io il mio futuro non lo vedo, non so nemmeno se ne ho uno, di persone care non ne ho, e della vita, perennemente sbronza come sono, che ne posso sapere?“ 
Quanti di voi hanno un tatuaggio, magari una semplice farfallina su una spalla? Quanti di voi hanno un piercing, magari un semplice orecchino? Sono sicuro che siete in tanti. Vi siete mai fermati a pensare quanto può essere lontano il limite al quale possiamo arrivare? Ho appena terminato il romanzo Serpenti e piercing di Hitomi Kanehara, e da questo prendo spunto per parlare di  body art, e più in generale del contesto in cui la narrazione si svolge, ovvero il Giappone, il paese che più di ogni altro la gente ama e allo stesso tempo odia (e io non faccio eccezione alla regola).

lunedì 18 giugno 2012

The Suicide Manual

Quando si parte l'anima feroce / dal corpo ond'ella stessa s'è disvelta / Minòs la manda a la settima foce / Cade in la selva, e non l'è parte scelta / ma là dove fortuna la balestra / quivi germoglia come gran di spelta / Surge in vermena e in pianta silvestra / l'Arpie, pascendo poi de le sue foglie / fanno dolore, e al dolor fenestra / Come l'altre verrem per nostre spoglie / ma non però ch'alcuna sen rivesta / ché non è giusto aver ciò ch'om si toglie / Qui le trascineremo, e per la mesta / selva saranno i nostri corpi appesi / ciascuno al prun de l'ombra sua molesta.
Così il Sommo poeta descrive (Inferno, canto XIII) il destino delle anime dei suicidi, relegate in una selva fittissima e innaturale, dai colori cupi e dalla vegetazione intricata. Gli alberi sono le anime stesse dei suicidi: uomini trasformati in piante, regrediti ad una forma di vita inferiore, poiché hanno rifiutato la loro condizione umana uccidendosi e, per tale motivo, non più degni di avere il loro corpo. Dopo il giudizio universale, si dice, i suicidi non potranno rivestire, come tutte le altre anime, i corpi di cui si sono volontariamente privati, ma li trascineranno nella selva e li appenderanno ciascuno ai rami del proprio albero. Ma è davvero questo il destino delle anime dei suicidi? Lo scenario descritto nella Divina Commedia è senz’altro il più noto. Ma le religioni, le leggende e il folklore locale spesso raccontano cose diverse.

mercoledì 28 dicembre 2011

Go Go Second Time Virgin

Mio padre si suicidò con la sua amante. Mia madre si suicidò quando avevo nove anni. So che le persone si amano e si uccidono. Ma perché mia madre si impiccò? Lo capii a dodici anni. Mia madre era solo triste e sola. Ha detto che avrebbe ucciso se stessa per la rabbia che provava per papà. Sembrava che fosse un doppio suicidio.

Riuscire a descrivere il degrado morale della società in poco più di un’ora. Metterci dentro solitudine, rassegnazione, violenza, abusi, immoralità, ferocia, sesso e  morte. Lo ha fatto Kōji Wakamatsu (若松孝二) con il suo Go, Go, Second Time Virgin (ゆけゆけ二度目の処女 Yuke Yuke Nidome no Shojo), girato in soli quattro giorni nel 1969, con un budget ridottissimo, su un set ristretto quale può essere il tetto di un palazzo di sette piani, uguale a tanti altri, nella periferia di Tokyo.
E’  su questo tetto che viene trascinata e stuprata da un gruppo di teppisti la nostra protagonista, Poppo (interpretata da Mimi Kozakura). Ma non è lo strupro la vera violenza che subisce Poppo. Lo strupro è solo un passaggio obbligato che si ripete nel destino della giovane. “E’ la seconda volta che vengo stuprata. Anche mia madre fu stuprata da una gang, e da quello stupro nacqui io” dice Poppo ad un certo punto.

martedì 6 dicembre 2011

Posthumous Silence

Heat grows cold, light becomes dark, and the dust returns to the earth as it was.

Una ragazza morta suicida. Un diario come unica testimonianza di una vita dura, piena di paure e di ostacoli impossibili da superare. Un diario, come unica testimonianza del dramma, lasciato al padre a giustificazione del gesto. Un padre sconvolto dal dolore che trova il diario e leggendolo, per la prima volta, si rende conto dei drammi che hanno portato la figlia alla scelta finale. Leggere le parole della propria piccola, ormai perduta, è qualcosa di devastante.
 
In the quietness of my silent walls where the shadows play the dance of you. All around me – where each part once told your life. Where the window still reflects your smile. Still I feel you, still I’m trapped within our time. Wondering vainly – why you left, my child. When my fingers start to open your bequest. Clutching tightly the lifeless book you left … for me.
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