Tre sono le cose che, a mio parere, caratterizzano i migliori noir. Primo: il rigore nella cura dei dettagli, meravigliosamente assemblati come tessere di un mosaico cretese. Secondo: la capacità introspettiva. Terzo: l’ambientazione, fosse pure la Bassa padana, deve catturare l’attenzione; se, per il lettore, non è esotica, deve perlomeno sembrarlo, perché, inutile dirlo, c’è un intrinseco legame tra i personaggi (e i loro gesti, moventi, sospetti) e l’ambiente.
Seichō Matsumoto, il “Simenon giapponese”, sa certo destreggiarsi molto bene fra questi tre aspetti ma, quanto al secondo punto, direi che in generale gli autori giapponesi, a prescindere dal genere, sono maestri nell’introspezione psicologica.
Nei giorni scorsi ho terminato il suo “Ten to Sen” a tempi di record come non mi capitava da tempo, e oggi sono già qui a parlarne. In Italia, la prima edizione Mondadori si intitolava “La morte è in orario”, mentre quella Adelphi del 2018 è stata rinominata “Tokyo Express”, gergo militare (così i marines statunitensi definivano la stupefacente precisione della marina militare giapponese durate la Seconda Guerra Mondiale) che allude all’ingranaggio criminale così ben oliato che nel libro rende le indagini lunghe e farraginose. Io per abitudine avrei definito una tale perfezione un funzionamento da orologio svizzero (e vedrete poi proseguendo nella lettura quanto il paragone sia azzeccato), ma, sì sa, i giapponesi sono un po’ gli svizzeri d’Oriente, quindi va bene lo stesso.