Dodici mesi fa, in occasione della precedente edizione dell’iniziativa “Notte Horror”, mi trovai a giurare che mai più mi
sarei impegnato con così largo anticipo a recensire un film che, al momento della decisione, non avevo ancora mai visto.
Il rischio, è ovvio, era quello di trovarsi di fronte a qualcosa di non recensibile, vuoi perché privo di spunti da sviluppare,
vuoi perché talmente brutto e noioso da rendermi impossibile sopportarne la visione. Eccomi invece qua con lo stesso
problema. Ci sono ricascato con tutte e due le scarpe e adesso mi trovo nella condizione di dover scrivere un articolo
lungo quanto basti per sembrare il post di un blog.
Non che manchino gli spunti, quelli magari riesco anche a trovarli, ma
“Nero veneziano”, film del 1978 diretto da Ugo Liberatore, è una di quelle esperienze che hanno messo a dura prova le
mie palpebre, palpebre che hanno iniziato a cascare dopo pochi minuti, anche in una sera di piena estate, in vacanza,
dove la stanchezza di una giornata di lavoro non poteva essere chiamata in causa. Se quindi state cercando una valida
alternativa al valium, che magari non volete assumere perché non avete un buon rapporto con la chimica, eccovi servita
la soluzione.
Ho cercato su Wikipedia la pagina dedicata a Ugo Liberatore, sceneggiatore (e solo raramente regista) che ammetto mi
era sconosciuto solo fino a pochi giorni fa, per capire se nella sua trentennale filmografia ci fosse qualcosa di anche solo
vagamente noto, ma, a parte qualche sporadico titolo, non trovo nulla che mi abbia fatto accendere una lampadina. In
qualità di regista salta però all’occhio che ha diretto gente come Laura Antonelli, Umberto Orsini, Corrado Pani, Rossella
Falk e Jane Birkin, il che significa che non era proprio l’ultimo degli scappati di casa. E allora, vi starete chiedendo,
perché non porsi qualche domanda prima di impegnarsi per una recensione? È certamente un’ottima domanda, che
cercherò di pormi per tempo l’anno prossimo.
Oggi la risposta che posso dare è che sono stato calamitato da quella
frase in testa alla locandina, quella che promette di metterci di fronte a “il thriller maledetto del 1978”! Non sapevo, e
ancora adesso non mi è chiaro, cosa si volesse intendere con “maledetto”, ma suppongo che quegli slogan,
specialmente in quegli anni, venissero pescati a caso come i numeri di una tombola e assegnati a questo o a quel film
indifferentemente, contando forse sul fatto che uno spettatore medio lo leggeva prima di entrare al cinema, per poi
dimenticarsene. L’altro elemento che mi ha guidato verso la visione è stato un fotogramma pescato in rete (lo inserisco
qui da qualche parte), rappresentante una sorta di leonardesca ultima cena tutta al femminile. In breve, tanto mi è
bastato per convincermi a premere il tasto play.
Non fraintendetemi, quando parlo di film noioso, facendo anche battute sciocche sugli effetti delle benzodiazepine, mi
limito a formulare un’opinione personale che potrebbe variare nel tempo. E infatti oggi, mentre sto abbozzando questo
articolo, non sono già più certo, come lo ero quella sera, di dover essere così negativo. A mente fredda mi trovo a dover
ammettere che le invernali atmosfere veneziane scelte dal regista sono state particolarmente affascinanti, contribuendo
non solo a esaltare bellezza ed eleganza delle inquadrature, ma anche a rendere più efficaci le visioni infernali che
avrebbero impietosamente tormentato il protagonista da lì a poco.
Una specie di horror occulto e soprannaturale, e direi
anche vagamente gotico, che sarebbe fin troppo facile paragonare a blockbuster americani come "Omen, il Presagio" e
una moltitudine di titoli minori il cui focus, in estrema sintesi, è l’osservazione dei passi di uno “young anticristo” appena
sbarcato sulla terra.
La verità è che “Nero veneziano” è solo superficialmente paragonabile a “Il presagio”, film che, per
quanto possa essere definito un gigante della cinematografia demoniaca, punta tutte le sue carte sulla malvagità della
sua “star”. A Ugo Liberatore del piccolo demonio non frega nulla, al punto che, una volta venuto al mondo, e prima che
possa iniziare a fare veri danni, il film termina.
In questo senso “Nero veneziano” dovrebbe quindi essere molto più simile
a “Rosemary’s baby”, che tralascia del tutto il nascituro per concentrarsi sull’aspetto cospirazionista che precede il
travaglio, ma Liberatore, nel descrivere gli avvenimenti pre-avvento, si affida quasi totalmente al soprannaturale. È quindi
il diavolo stesso, i cui panni vengono indossati egregiamente da un Yorgo Voyagis in gran spolvero, a occuparsi di
insolentire Mark e Christine, fratello e sorella, le cui esistenze già prima non erano esenti da sfighe.
Entrambi sono
orfani, ma è Mark, tra i due, quello a essere più in debito con la vita: è cieco per via di un incidente e ha l’aspetto di una ragazzina;
Christine è una stronza frustrata che critica ferocemente e senza sosta tutto ciò che il fratello fa o dice, evidentemente
incolpandolo di averla costretta, suo malgrado, a trasformarsi in una badante a tempo pieno.
È sempre Mark, interpretato da un giovanissimo Renato Cestiè (che molti ricorderanno per essere stato uno dei
“Ragazzi della 3°C”) a incontrare virtualmente per primo il demonio, che gli si presenta in forma di un misterioso uomo
con baffi e bastone durante una serie di episodi allucinatori che si fanno sempre più frequenti. Tali visioni non
mancheranno ovviamente di far incarognire ancora di più l’indisponente Christine (interpretata dalla biondissima Rena
Niehaus, reduce da “La Orca” di Eriprando Visconti, del ‘76) e di rendere l’esperienza dello spettatore, sottoposto a una
mitragliata di terrificanti scene oniriche, una vera sfida alla sopravvivenza.
Questo è appunto l’aspetto che, complice
forse la colonna sonora di un Pino Donaggio spiritato, mi costringe ad alzare bandiera bianca e a dichiarare l’opera, nel
suo insieme, ai miei occhi ampiamente sgradevole. Chi tra voi che state leggendo riuscirà a proseguire nella visione
assisterà a una serie incomprensibile di morti (in pratica tutti i parenti vicini e lontani dei due ragazzi) e all’incarnazione
definitiva del demonio che, materializzatosi sottoforma di un turista, prenderà alloggio nella pensione in centro a Venezia
che i due, quando si dice la sfiga, hanno appena ereditato.
Il resto è abbastanza prevedibile: Christine, sebbene
immacolata, si scopre incinta e Mark, sospettando la verità, inizia a tramare alle sue spalle allo scopo di impedire al
luciferino nipote di venire alla luce. È chiaro che lo spettatore inizia a fare il tifo per la soluzione abortista, non tanto
per la finalità ovvia di impedire l’avvento del male, quanto perché nel frattempo il suo odio nei confronti della stronza (e
da gravida lo diventa ancor più) ha ormai raggiunto livelli astronomici.
Immagino che lo sceneggiatore abbia deciso di
dipingerla in questo modo per indirizzare sin da subito le simpatie del suo pubblico, ma probabilmente qualcosa è andato
storto e si è lasciato prendere un po’ la mano, perché quanto arriva il momento di odiarla sul serio lo spettatore è ormai
del tutto distaccato dalla vicenda, e ormai sta solo pregando che finisca alla svelta per spegnere tutto e andare a letto.
Ma il problema non è nemmeno la sgradevolezza della protagonista. Diciamo piuttosto che in “Nero veneziano”
prevalgono le atmosfere pesanti, quasi opprimenti, che si insinuano in maniera eccessiva in ogni inquadratura. Molto
belle, come detto, le calli ammantate di nebbia, le architetture fatiscenti e la fredda immobilità dei canali, ma sotto il peso
delle immagini ciò che viene a perdersi è il ritmo narrativo.
E viene a perdersi anche la logica di alcune situazioni che
risultano completamente incomprensibili. Posso anche arrivare a capire che quel continuo calcare la mano sul
simbolismo era funzionale a fornirci le avvisaglie di ciò che sarebbe in seguito accaduto, ma quel suo fondersi in
continuazione con la realtà non ha fatto altro che rendere difficile la comprensione.
Chi sono, per esempio, tutte quelle
ragazze che appaiono dal nulla nella pensione? Forse una carovana di turiste sbarcate all’improvviso in laguna? O sono
forse “semplici” amanti di Satana con le quali Christine improvvisa una sorta di cenacolo vinciano che precede l’avvento
dell’Anticristo? Perché il mefistofelico protagonista si mettere a uccidere gente completamente a caso e tralascia di infastidire Mark che, di norma, dovrebbe essere il suo avversario numero uno? Credo che satanasso avrebbe dovuto guardarsi "Holocaust 2000", uscito nelle sale giusto un anno prima, e imparare perlomeno le basi del suo mestiere. Perché c’è un pozzo miracoloso nel seminterrato, e per quale motivo Mark vi si reca di continuo? Per
curare la propria cecità, immagino, anche se già al primo tentativo la fonte sacra si rivela piena di ratti, serpenti e altre
amenità del genere.
In questa recensione potrei, certo, buttare lì delle interpretazioni a casaccio e probabilmente
risulterei anche credibile, ma la sensazione è che siano quelle stesse scene a essere state buttate lì a casaccio, senza
altro scopo forse se non quello di intrappolarci in una sorta di fatalismo, in una condizione di passività e accettazione di
un destino già scritto. Mi piacerebbe leggere altre recensioni in giro, per vedere se qualcuno è riuscito a trovare una
risposta ai miei dubbi, ma ritengo di aver dedicato già abbastanza tempo a questo diabolico film anni Settanta, che
consiglio solo perché è un tassello non trascurabile nella cinematografia italiana di tal genere.
Questo articolo è parte della tradizionale rassegna estiva “Notte Horror”, rassegna che poco ha a che fare con l’omonimo
contenitore televisivo anni Ottanta se non che da esso trae ispirazione. Un pugno di blogger nostalgici, in pratica dei
sopravvissuti a un’epoca che quasi non esiste più, cercano di rievocare quelle vecchie atmosfere facendo quello che
sono bravi a fare: scriverne. Questa rassegna, giunta ormai alla sua dodicesima edizione, prosegue sul blog “La stanza di Gordie”, dove vi consiglio di precipitarvi. L’elenco completo dei partecipanti all’iniziativa è consultabile nella colonna
qui a destra, dove rimarrà per un tempo lungo ma non infinito. Prendete nota.
Con la tua recensione (probabilmente più suggestiva del film si cui tratta) sei riuscito a rievocare egregiamente le atmosfere da notti horror estive che ci regalava Italia Uno tanti anni fa, te lo assicuro! E ti sembrerà strano ma mi hai pure fatto voglia di vedere questo film per cercare di capirci qualcosa (ma mi sa che hai ragione e sarà un insieme di scene buttate lì a casaccio!). Grazie e buona Notte Horror! :--)
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