mercoledì 27 agosto 2025

Il deserto di Carcosa

«A Verulengo, tranquilla cittadina di provincia, il quattordicenne Stefano Luschi conduce una vita normale tra amicizie, primi amori e piccole avventure con il suo gruppo, i "B.R.A.V.I." Ma quando suo zio Giovanni, in coma dopo aver letto un misterioso volume intitolato "Il Re Giallo", dà segni di risveglio, Stefano inizia a sospettare che forze oscure siano sul punto di tornare. [...]" Il deserto di Carcosa" è un'avvincente storia di formazione che intreccia dark fantasy, horror e thriller soprannaturale, esplorando il confine sottile tra il mondo che conosciamo e gli abissi che si nascondono oltre le pagine di un libro maledetto.» 
L’ultima fatica di Fabrizio Valenza, selezionata dalla giuria di qualità del Salone Internazionale del Libro di Torino 2025, è un romanzo che sulla carta avrebbe dovuto piacermi molto: sebbene io non ami particolarmente il fantasy, dark fantasy incluso, amo la narrativa fantastica in generale e, come i frequentatori di lungo corso del blog sanno benissimo, ho una particolare predilezione per l’universo chambersiano del Re in Giallo, al quale ho dedicato una mole pressoché infinita di articoli e approfondimenti a partire dal 2013. Immagino sia per questo motivo, ma anche sulla scia di un paio di collaborazioni precedenti, che l’autore ha deciso di prendere contatto con me invitandomi alla lettura di “Il deserto di Carcosa”. Non mi capita spessissimo, ma quando mi trovo a dover replicare alle richieste degli autori la mia coscienza inizia a vorticare furiosamente, combattuta tra il desiderio di leggere qualcosa che potrebbe rivelarsi eccezionale e il timore di dover ridimensionare, in una recensione schietta e imparziale, il comprensibile entusiasmo del richiedente. Alla fine, ho deciso di accettare la sfida,consapevole che un mio personale mito letterario non avrebbe potuto in alcun modo, nel bene e nel male, venire intaccato da quella che a tutti gli effetti non nasconde il suo essere pura fan fiction senza troppe pretese. 
Ed è proprio in quest’ottica che occorre interpretare “Il deserto di Carcosa”,un’opera di fan fiction dove l’autore prova a riscrivere non tanto l’opera di Chambers che, come vedremo, può considerarsi marginale, quando l’inarrivabile “It” di Stephen King, romanzo che lessi ai tempi delle superiori (parlo della metà anni Ottanta) e che contribuì molto a sviluppare le mie inclinazioni letterarie, inclinazioni che si sarebbero concretizzate e perfezionate negli anni a venire. Non ho letto molto altro di King, se non forse due o tre cose, perché ho ritenuto chiusa, con quella prima lettura, un’esperienza che giudicavo (e giudico) completa e soddisfacente.

Un accenno ai parallelismi tra “It” e “Il deserto di Carcosa” ce lo offre lo stesso Valenza sul proprio sito: «Ho creato anche luoghi che fungono da punti di contatto tra il nostro mondo e Carcosa. La cosiddetta“palude” (molto simile ai Barrens di IT del Re del brivido) ai margini di Verulengo e alla casa di Marco, nonché la Mystery House a Gardaland sono entrambi luoghi liminali, soglie tra dimensioni.» In realtà, considerando che sono entrambi (anche) romanzi di formazione, c’è molto più “It” nel romanzo di Valenza di quanto suggerito qui sopra. 
La palude di Verulengo (cittadina prevedibilmente ben più asfittica di Derry nel Maine, e altrettanto immaginaria) è solo uno degli elementi, tra l’altro il meno evidente. Il gruppo di ragazzini protagonisti, i “Bravi”, sono una copia sbiadita dei “Perdenti” di Stephen King, mentre l’iconico mostro kinghiano viene rimpiazzato, con una mossa astuta che tende a strizzare l’occhio agli appassionati di “cosmic horror”, con un villain che si fa chiamare “Re Giallo” e che per tutto il romanzo non fa che accanirsi, direttamente o per mano dei suoi emissari, sulle famiglie dei giovani protagonisti.
Non starò a dilungarmi sul confronto a distanza tra un autore maiuscolo come Stephen King e il suo emulo italiano, la cui disparità di talento non è mai stata in discussione, ma qualche parola sul malizioso tentativo di ficcarci dentro a forza il Re in Giallo vorrei spenderla, perché è un aspetto sul quale non posso semplicemente tapparmi il naso e girarmi dall’altra parte.

Il vero fascino dei cosiddetti Yellow Mythos deriva solo in parte dai quattro racconti di Robert Chambers inclusi nella sua celebre antologia, e forse ancor meno deriva da quel solitario racconto di Ambrose Bierce che consideriamo esserne il prototipo. Il vero fascino dei Mythos sta nella loro forza archetipale, che si concretizza in una serie piuttosto contenuta di canoni che per decenni autori da tutto il mondo hanno utilizzato, con piccolissime variazioni, mantenendone inalterata l’indecifrabilità, che dei Mythos sono la vera essenza. Tra i canoni più noti troviamo il “King in Yellow”, inteso come la tragedia in versi evocata da Chambers, definito come un testo che porta inevitabilmente l’incauto lettore alla follia; troviamo il “segno giallo”, simbolo della “dinastia reale”, e che a sua volta sottintende una certa forma di controllo mentale, ovvero una porta che mette in comunicazione questo mondo con un mondo alternativo di terrore; “Carcosa”, che appartiene a un altro tempo e un altro luogo e in origine è descritta come una città bagnata da un lago, dove “soli gemelli s’affondano”, sulle cui sponde “onde di nubi si frangono”, e sulla cui notte “sorgono stelle nere” e ruotano “strane lune”. Infine, la “maschera pallida” e il “fantasma della verità” sono termini se vogliamo ancora più indefiniti, che possono corrispondere indifferentemente a entità così come a concetti.
È chiaro come un modello così aperto, definito solo nelle sue linee generali, abbia stuzzicato la fantasia di una moltitudine di appassionati, alcuni dei quali (Lin Carter e James Blish, giusto per citarne un paio) sono riusciti a muoversi nelle sue coordinate con grande senso dell’equilibrio, arrivando a immaginarne nuove sfumature. 

Valenza dimostra qui una buona conoscenza del tema, e riesce acrobaticamente a ficcarci dentro tutto: nel corso di una visita a Gardaland i ragazzini vengono avvicinati da uno strano uomo pallido in viso (la maschera pallida?) che consegna a uno di essi un biglietto gratuito per una delle attrazioni, biglietto dove si nota un tratto di evidenziatore (il segno giallo?); altrove c’è un uomo che, in uno stato alterato di coscienza (così possiamo definire il coma) in cui è piombato dopo la lettura di un misterioso libro (il “Re in giallo”?), vaga perso per un deserto che sembra non appartenere a questo mondo (Carcosa?). E così via. 
Tutto corretto, per carità, ma quello che ai miei occhi risulta inefficace è che questi particolari, specialmente i primi due, vengono a perdersi, affogati come sono in un tomo di quattrocento pagine dove l’attenzione del lettore è rivolta a tutt’altro; e quel tutt’altro è essenzialmente il cercare di capire quanto lontano l’autore ha il coraggio di spingersi nel riscrivere Stephen King
L’altro grosso problema è che questo “Re Giallo” (o “Lupo nel cielo”, visto che Valenza tende a ibridarlo con una leggenda araba, non so benese reale o fittizia) assomiglia ben poco, nel suo complesso, a quello canonico. E ciò è particolarmente evidente nel finale quando, nel momento in cui l’antagonista viene svelato, egli viene a perdere gran parte del mistero che lo avvolge, dissipando anche molto del suo fascino. Niente di nuovo: non aveva forse anche il vecchio e caro Augusth Derleth trasformato una minaccia misteriosa e inconoscibile in qualcosa di tangibile? 
Ma questo Re Giallo così mondano, intenzionato a conquistare il mondo con armi fin troppo umane (la politica), perde del tutto la sua connotazione metafisica, finendo per rassomigliare agli alieni invasori di troppa narrativa fantascientifica, buona o cattiva che sia. 
È comunque chiaro che l’autore, essendosi trovato davanti a un bivio, abbia optato per l’epilogo kinghiano che, inevitabilmente, poco si sposa con il codice chambersiano. 

Dicendo che l’attenzione del lettore è rivolta a tutt’altro, mi riferisco anche al fatto che il romanzo di Valenza si può accostare alla narrativa ispirata ai giochi di ruolo, la cosiddetta letteratura LitRPG, dove i personaggi sono dediti ai giochi di ruolo oppure si trovano all’interno di uno di essi (come nel famoso “Ready Player One” di Ernest Cline): lunghe pagine,infatti, vengono dedicate alle  sedute dei Bravi a Dudgeons & Dragons, di cui l’autore ci offre la cronaca a capitoli alterni e che dovrebbero simboleggiare in qualche modo l’evoluzione del rapporto tra i ragazzini, oltre che naturalmente la loro crescita individuale. Se serviva un'altra prova che le atmosfere di “It” sono prevalenti su quelle de “Il re in giallo”, eccola servita.
Ma parlando di ispirazioni, nei viaggi mentali dello zio Giovanni nel deserto di Carcosa ho rivisto anche echi dell’Algernon Blackwood di “Discesa in Egitto” (il cui protagonista però si immerge nel Sahara, mentre quello di Giovanni è un deserto meno connotato, geograficamente parlando); in questo caso sono abbastanza certo che si tratti di un caso fortuito o al massimo di un’influenza inconscia, come spesso avviene quando un autore nella vita macina letture “di genere” e si imbatte, per forza di cose, in un gran numero di classici. 
L’immagine del deserto ha in realtà una funzione ben precisa. Il deserto, come nel famoso racconto evangelico della tentazione di Cristo, incarna (tra le altre cose) un luogo di confine tra la vita e la morte, un passaggio obbligato verso una prova spirituale – un’iniziazione, in parole povere – che porterà a un rinnovamento o a una caduta. È, quindi, anche un luogo dove si manifesta il divino – se pure un’entità malvagia, come nel nostro caso. 

Per concludere non mi resta che spendere due parole anche sullo stile del romanzo, concentrando la mia attenzione sulla scelta del punto di vista. Non vi nego che in una storia corale, come questa, avrei preferito più voci narranti (e di conseguenza registri stilistici diversi e ben riconoscibili) oppure un narratore esterno, per aggiungere anche i più piccoli dettagli alla storia in maniera naturale e ottenere una maggiore introspezione psicologica. Qui invece abbiamo un solo narratore che racconta la storia in prima persona, ed è Matilde, la sorella minore del protagonista (che racconta i fatti a distanza di quasi vent’anni, come scopriremo verso la fine).  
Detto ciò, questo significa che vi sconsiglio "Il deserto di Carcosa"? Assolutamente no. Anzi, direi che se amate le storie che mischiano fantasy, horror e folklore, ma pure le storie di formazione, a prescindere dal genere, potete sicuramente gettarvici sopra senza indugio e, se avete amato “It”, vi ritroverete anche magnificamente catapultati a Derry. Non aspettatevi però di ritrovarci il Re in Giallo.   



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