lunedì 18 agosto 2025

I delitti della casa decagonale

Chiunque sia appassionato di romanzi gialli conosce perfettamente, e certamente apprezza, i cosiddetti “delitti della camera chiusa”, ovvero quel particolare sottogenere in cui l'indagine ruota attorno a un delitto compiuto in circostanze apparentemente impossibili, generalmente una camera chiusa dall'interno. Il vero fulcro di questo sottogenere non è quello classico del poliziesco, cioè scoprire il responsabile, bensì scoprire come il crimine sia stato commesso, visto che la prima impressione degli investigatori e dei lettori è che il criminale, dopo aver compiuto il delitto, sia letteralmente svanito nel nulla. 
Uno dei primi esempi è probabilmente il racconto di Edgar Allan PoeI delitti della Rue Morgue”, ma sono certo molto più noti agli appassionati veri capisaldi del genere come “Il mistero della camera gialla” di Gaston Leroux e “Le tre bare” di John Dickson Carr
Quasi tutti i romanzieri più famosi, prima o poi, si sono cimentati con questa particolare tecnica, da S.S. Van Dine a Edgar Wallace a Ellery Queen, senza naturalmente dimenticare la regina del giallo, Agatha Christie, che con “Dieci piccoli indiani” e “Assassinio sull'Orient Express” ha ampliato l’area di indagine, trasferendola dalle quattro mura in cui era relegata alla vastità di un’isola o di un treno, rispettivamente, mantenendo però rigorosamente inalterato lo schema generale dell’ambiente delimitato e impenetrabile. 
Dopo “I misteri della casa di Ryle Lane”, l’altro “mio” romanzo estivo recensito qui sul blog a fine luglio, un “sano” delitto della camera chiusa era esattamente quello che stavo cercando per trascorrere con un impegno ridotto al minimo questi assolati pomeriggi d’agosto. Avrei potuto tuffarmi in quella marea di cloni scritti nel secolo scorso sulla scia del successo della Christie, e forse avrei finito per farlo se non avessi trovato in libreria questo “I delitti della casa decagonale” (Jukkakukan no satsujin), romanzo giapponese del 1987, opera d'esordio dell'autore Yukito Ayatsuji (*) tradotta per il nostro Paese solo nell’agosto dello scorso anno su iniziativa di Einaudi, una casa editrice che per la cura dei propri prodotti, specie negli ultimi tempi, ben si lascia individuare sugli scaffali delle librerie. 

Ma veniamo al contenuto di “I delitti della casa decagonale” che, e l’autore non ne fa un mistero, è prima di tutto l’omaggio di un fan al celebre “Dieci piccoli indiani”, parallelismo esplicitato anche nel testo, dove si fa più volte riferimento agli eventi del romanzo di Agatha Christie, sin troppo simili a quelli che i protagonisti stanno vivendo sull’isola che, nel loro caso, delimita lo spazio chiuso in cui tutto avviene. Rispetto al suo popolare antesignano, "The Decagon House Murders", pur partendo da un’immagine seducente, ovvero la curiosa planimetria dell’edificio citato nel titolo, si rivela tuttavia un po’ contorto e non privo di pecche, come avremo modo di spiegare da qui a poco. 

Il sipario si alza sulla figura dell’assassino: non sappiamo la sua identità (che ovviamene non ci verrà rivelata fino all’ultimo capitolo), ma siamo subito invitati a leggere i suoi pensieri. Scopriamo che lui (o lei) ha la ferma intenzione di vendicare un torto subito in passato, un torto di cui al momento non si sa nulla, ma che si presume ci verrà svelato, una pagina dopo l’altra, in parallelo a tutto il resto. Il presupposto, starete certamente pensando, non è tra i più originali, ma bene o male funziona sempre, e del resto è innegabile che la vendetta sia da sempre uno dei principali moventi di omicidio. 
La scena si sposta poi su un gruppo di studenti universitari che, guarda un po’ il caso, sono iscritti al “Mistery Club”, un esclusivo club letterario specializzato nel genere giallo. Ognuno dei ragazzi ci viene presentato con il soprannome che ha scelto per sé in omaggio a un famoso giallista: Agatha, Van, Leroux, Orczy, Ellery, Carr e Poe. Cosa possono mai fare dei ragazzi del genere nelle loro giornate di vacanza? Ovviamente recarsi su un’isola disabitata che in passato fu teatro di un brutale omicidio, un’isola che ritengono essere il posto perfetto per raccontarsi storie di fantasmi e ricavarci qualche brivido. Cosa mai potrebbe andare storto? 
Come prevedibile, i cadaveri iniziano ad accumularsi e la lista dei sospettati si accorcia proporzionalmente. L'ambientazione insulare e la curiosa planimetria della Decagon House sono, mi ripeto, decisamente intriganti. A proposito di quest’ultima Ayatsuji, per venire incontro al lettore che prevedibilmente faticherà a concepire un edificio di tale forma, fornisce alcuni diagrammi illustrativi che lo aiuteranno a comprenderne lo schema, assicurandosi di includere le posizioni degli alloggi dei vari personaggi, e di conseguenza i luoghi dove avvengono i delitti, così da poterli mettere bene in relazione con l’area comune centrale dove ha luogo la maggior parte dei dialoghi. Nulla di nuovo, direte voi appassionati, che ben sapete come una buona planimetria sia sempre stata una presenza assidua nei gialli da “camera chiusa”. 

Il problema, se di problema si può parlare, è che questa specifica camera chiusa non è del tutto tale, nel senso che in buona parte il romanzo, e di conseguenza l’indagine, si svolge incomprensibilmente al di fuori di essa; nel senso che, a capitoli alterni, siamo costretti a seguire le vicende di un ragazzo ex membro del club, che riceve una lettera dove lo si accusa di essere causa della morte di un altro ex membro… bla bla bla. 
C’è quindi tutta una sottotrama alla “So cosa hai fatto l’estate scorsa” che coinvolge sia i presenti sull’isola sia gli assenti, in un tripudio di luoghi comuni che mi hanno dato da pensare; senza contare la discutibile scelta di trasferire di continuo l’attenzione del lettore dagli avvenimenti dell’isola a quelli della terraferma, una tecnica che nella narrativa contemporanea è ormai divenuta piuttosto comune ma che ha qui l’effetto di spezzare il pathos (cosa che in un romanzo giallo è a mio parere fondamentale). 
Perché ho parlato di luoghi comuni? Ma diommio, qui sembra davvero che l’autore abbia chiesto a un’intelligenza artificiale di prendere tutte le ovvietà del cinema horror, aggiungerci un po’ di giallo classico basato sull'osservazione dei dettagli e sull'analisi psicologica dei personaggi, condire con un po’ di azione e di violenza, mescolare il tutto e vedere cosa salta fuori. 
La ciliegina sulla torta è giusto la casa decagonale, una sorta di Panocticon la cui struttura architettonica dovrebbe permettere la sorveglianza continua (e in questo caso reciproca) dell’intero gruppo di individui, ma che paradossalmente non funziona come dovrebbe: nessuno sa niente, nessuno vede niente, e l’assassino continua a colpire indisturbato. Il risultato di tale temerario mix di ingredienti è un romanzo che finisce per rivelare con grande anticipo più di quanto dovrebbe: il movente lo si comprende già nel secondo capitolo (e se state leggendo questo articolo, l’avete già capito anche voi), mentre l’identità dell’assassino/a la si scopre più o meno nel terzo capitolo, o perlomeno la si scopre se è un minimo bravi a ragionare sulle opportunità. 

Quel che resta, e comunque non è poco, è scoprire pagina dopo pagina come l’assassino riuscirà a mettere in pratica il proprio piano, quali saranno le sue fantasiose tecniche omicide e come il cerchio si chiuderà in prossimità della parola fine, quando arriva lo “spiegone” che, una volta tanto, non viene spiattellato dell’Hercule Poirot della situazione, ma dall’assassino stesso che ripercorre gli avvenimenti nella sua mente. 
I delitti della casa decagonale” non fa gridare al capolavoro e non è nemmeno un esempio di originalità, ma è comunque una lettura estiva avvincente con la quale è possibile trascorrere delle piacevoli ore sotto l’ombrellone o, per chi al mare non ci va, in qualsiasi location urbana, purché il più possibile lontana dalle fatiche di tutti i giorni. 

(*) "The Decagon House Murders" successivamente si è trasformato in un manga, serializzato sulla rivista Monthly Afternoon a partire dal 2019. Disegnato da Hiro Kiyohara, oggi l’opera è disponibile in cinque volumi tankōbon individuali, pubblicati in Italia da Star Comics praticamente in contemporanea con le uscite giapponesi.



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