È praticamente impossibile affrontare un discorso coerente sul cinema thai senza fare alcun riferimento agli avvenimenti storici che hanno drasticamente segnato, tra le tante cose, il punto di rottura tra la
old e la
new vawe del cinema tailandese. Sto parlando della grave crisi economica il cui momento più delicato, per le economie del Pacifico, arrivò mercoledì 2 luglio 1997, giorno in cui le autorità di Bangkok decisero di slegare il "baht" tailandese dal dollaro americano.
Una decisione inevitabile, dopo i ripetuti attacchi speculativi che avevano costretto la Banca centrale a sacrificare, nella difesa della moneta, più di quattro miliardi di dollari in un mese. Le ragioni della crisi finanziaria più grave nella storia del continente asiatico sono da ricercare nella crescita tumultuosa e disordinata vissuta dalla Tailandia nel decennio precedente, nel corso del quale i flussi di capitale dall'estero avevano favorito un aumento incontrollato degli investimenti, finanziati esclusivamente con l'indebitamento, e un boom indiscriminato del comparto immobiliare. È una storia che vi ricorda qualcosa?
Quando poi, infatti, i nodi vennero al pettine, la moneta tailandese finì sotto pressione, con i risultati che sappiamo. I tentativi di difendere la moneta, prima attraverso il ricorso alle riserve di valuta, poi mediante svalutazioni sempre più incontrollate e il rialzo dei tassi di interesse, non ebbero seguito alcuno se non quello di spingere nuovi speculatori ad approfittare dell'ulteriore debolezza della divisa e a provocare il fallimento di moltissime aziende. Le conseguenze, nello scenario orientale, furono più o meno le stesse che anche noi siamo abituati a conoscere bene: levitazione dei tassi di interesse, taglio della spesa pubblica e aumento della pressione fiscale. Risultato? Calo dei consumi, disoccupazione… le solite cose.