Sono stato a lungo combattuto sull’opportunità di iniziare questo speciale proprio da questo punto anziché, come sarebbe tecnicamente più ovvio, da una introduzione generale sul mondo degli spiriti tailandesi. In realtà, ho riflettuto, sarebbe inopportuno o quantomeno sciocco girare eccessivamente attorno a un argomento che è fondamentale nell’economia di questo speciale.
Cominciamo quindi questa avventura dalla vicenda di Mae Nak, senza ombra di dubbio una delle più note della tradizione tailandese. Credo di non sbagliarmi sostenendo l’ipotesi che non esista un solo tailandese adulto che non la conosca a memoria e che non ne sia allo stesso tempo affascinato e terrorizzato. Il nostro obiettivo oggi è quello di cercare di comprendere i motivi per i quali la leggenda legata a un fantasma femminile possa essersi elevata, nel corso di decenni, alla più rappresentativa espressione della cultura popolare di un intero paese. Sono certo di poter anticipare sin da ora che sono almeno due gli aspetti che, convergendo nella figura di una donna-fantasma allo stesso tempo temuta e ammirata, hanno realizzato questo fenomeno: da una parte il substrato di credenze religiose, incredibilmente espressive, radicate nella tradizione locale, dall’altro il significato dualistico della figura femminile stessa, portatrice di vita attraverso il proprio grembo e simbolo di morte attraverso la violazione di un tabù divino e attraverso l’inquinamento del sangue.
Mae Nak è la materializzazione di tale ambivalenza: da una parte è una creatura debole, da proteggere e preservare, soggiogata da legami emotivi per lei troppo grandi, dall’altra è una creatura forte, da temere e da rispettare, capace di manipolare l’animo dell’uomo e di scatenare su di esso la propria furia vendicativa, se tradita o danneggiata in qualsiasi altro modo nel corpo e nello spirito. Nel post precedente abbiamo accennato al popolarissimo film Nang Nak (1999) diretto da Nonzree Nimibutr. Parleremo ovviamente proprio di quello nelle prossime righe, ma per avere un quadro completo della situazione è forse necessario partire dall’inizio.
Sulla wikipedia tailandese, per quanto imperfetta essa sia, ho contato ben 46 rappresentazioni del fantasma di Mae Nak, dal 1939 ad oggi, tra film, serie tivù e radiodrammi. Una quantità impressionante di materiale del quale purtroppo quasi nulla è recuperabile, a meno di non conoscere la lingua e, soprattutto, di conoscerne la corretta translitterazione, che permetterebbe se non altro di fare delle ricerche in rete con un minimo di senno. L’alfabeto tailandese, per inciso, è “composto da quarantaquattro consonanti, da almeno ventotto forme vocaliche e da quattro indicatori di tono. Le consonanti sono scritte orizzontalmente da sinistra a destra, mentre le vocali sono poste al di sopra, al di sotto, a destra o a sinistra o anche intorno alla consonante che seguono. A differenza dell'alfabeto latino, l'alfabeto thai non distingue fra lettere maiuscole e minuscole e si scrive solitamente senza spazi fra le parole”. Capite quindi bene come qualsiasi lavoro di ricerca sul web si scontri irrimediabilmente con i limiti imposti dalla limitatezza del nostro alfabeto. Tutto ciò che è possibile trovare in rete è limitato al periodo successivo alla fine degli anni Novanta, anno in cui, come dicevamo la volta scorsa, il cinema tailandese ha spalancato i suoi confini alle altre culture. È questo un particolare non da poco, in quanto ci viene preclusa una larga parte delle opere che potrebbero arricchire notevolmente questo speciale. Sui prodotti antecedenti gli anni Novanta è tuttavia possibile recuperare, non senza fatica (IMdB non aiuta), locandine o foto di scena, sebbene difficilmente attribuibili a questa o a quella pellicola del passato (tra l’altro i titoli di quei vecchi film sono praticamente tutti uguali, ma questo particolare diciamo che ce lo aspettavamo pure). Alcune di quelle locandine le ho raccolte in un collage che trovate qui di seguito (e se ci cliccate sopra si vedono meglio).
Una piccola, ulteriore, parentesi però è dovuta: probabilmente mi sentirete utilizzare in questo speciale, ma anche in questo stesso post, entrambi i nomi Mae Nak e Nang Nak. Non si tratta di due diverse identità della stessa protagonista: semplicemente il sostantivo Mæ̀ significa madre, mentre Nāng significa signora. Va comunque anche precisato che nel diciannovesimo secolo era uso comune anteporre il sostantivo Mæ̀ al nome di tutte le giovani donne, anche se nubili e ben lontane dall’essere madri (una pratica questa che continuò sino ai primi anni del Novecento), ed è per questo che mi vedrete più spesso preferire l’appellativo Mae Nak a Nang Nak.
La denominazione estesa Mae Nak Phra Khanong significa quindi Madre Nak di Phra Khanong, dove quest’ultimo è semplicemente il nome di un reale quartiere di Bangkok, accarezzato dalle acque di un canale che, poco lontano, si getta nell’imponente fiume Chao Phraya. Ed è proprio in una capanna sulle sponde del Phra Khanong che, negli anni che si immaginano cadere attorno alla metà del XIX secolo, vivono una vita felice il giovane Mak e la sua bella moglie Nak. Per inciso, il sostantivo Mae (madre), riferito a quest’ultima, suggerisce che la vicenda ruoti inizialmente attorno all’attesa di un bambino. Così è infatti, e Mak è costretto a lasciare la propria donna in dolce attesa per indossare una divisa e andare a servire il suo paese, con la promessa di rientrare in tempo per assistere al lieto evento.
Le cose non andranno come sperato: mentre Nak si dedicava da sola al lavoro nei campi, sempre più duro man mano che la gravidanza volgeva al termine, Nak veniva ferito gravemente sul campo di battaglia e, a causa della lunga convalescenza, dovette, suo malgrado, trattenersi più a lungo del previsto. Quello che egli non sapeva, una volta intrapreso il suo viaggio verso casa, è che Nak era già morta di parto mesi prima assieme al bimbo appena dato alla luce. Chi era quindi quella donna che lo attendeva sulla soglia di casa con un fagottino tra le braccia? La risposta l’avrete forse già intuita, ma se avete dei dubbi spero mi perdonerete se vi lascio in sospeso per qualche giorno.
Oggi mettiamo un attimo da parte la leggenda e spendiamo solo qualche riga sul film di Nonzree Nimibutr, probabilmente il più riuscito tra i tanti che nel corso dei decenni hanno raccontato la stessa, intensissima, storia d’amore. È proprio l’amore infatti il tema dominante. Un amore talmente intenso di una donna, nei confronti del suo uomo e del suo bambino, da riuscire a ingannare la morte per poter continuare ad amare. Non fatevi ingannare dal fatto che sinora qui si è parlato di horror: quello in Nang Nak è secondario.
Nonzree Nimibutr è stato in grado, come nessun altro regista prima di lui, di sfruttare una sceneggiatura piuttosto solida e di esprimerla al meglio in inquadrature di forte impatto visivo. Splendide sono infatti le lunghe esitazioni della macchina da presa sui meravigliosi scenari della Thailandia. La foresta e il fiume, la fauna e la flora: non solo la natura fa da sfondo alle vicende narrate, ma diventa essa stessa protagonista, amalgamandosi perfettamente con le povere costruzioni del villaggio e con le piccole imbarcazioni che solcano le acque di un incredibile verde smeraldo.
Splendide sono le scene soprannaturali, solo a tratti inquietanti, che consentono allo spettatore di immergersi in un mondo di fiaba, quasi incantato. Splendide le premesse e superba l'impostazione dell'esorcismo finale: non vi è alcun orrore in tale scena.
Dimentichiamoci i mille esorcismi visti al cinema: ciò che si dipana sotto ai nostri occhi è una perfetta cerimonia religiosa condotta nel più ammirevole rispetto per i morti. Il Sommo Sacerdote tratta Nak come una persona che ha il diritto di amare e di desiderare. In un finale in cui Mak e Nak si tendono la mano per l'ultima volta prima dell’inevitabile distacco, il pubblico percepisce la vera essenza della cultura tailandese, una cultura nella quale la realtà di tutti i giorni si sovrappone costantemente al mondo dei trapassati, con quello che noi definiremmo sovrannaturale, ma che è in realtà, per i tailandesi, perfettamente naturale. Una lezione alla quale tutti noi dovremmo cercare di assistere almeno una volta nella vita, e dalla quale dovremmo cercare di prendere spunto.
Nang Nak è la prova che, anche nei paesi asiatici, per fare un buon horror non servono continue e improvvise apparizioni di fantasmi dai lunghi capelli corvini. Diverso è il caso di Ghost of Mae Nak (2005) di Mark Duffield, a mia conoscenza l’unica opera mai distribuita nel nostro paese, sebbene limitatamente al circuito home-video. Ambientato in una Bangkok moderna, Ghost of Mae Nak narra le vicende di due novelli Mak e Nak che acquistano un appartamento situato proprio nel punto dove un secolo prima sorgeva la capanna dell’omonima, sfortunata coppia. Siamo molto più dalle parti dell’horror tradizionale, con la classica infestazione di fantasmi, i classici spaventi, e la soluzione legata alla sepoltura dei resti di Mae Nak (fra l’altro, la qualità del prodotto è “televisiva” e il doppiaggio, a mio parere, insopportabile). Senz’altro preferibili, seppur con i loro limiti oggettivi, due pellicole recentissime, che sono Mae Nak 3D (2012) di Phichai Noirod e Pee Mak (2013) di Banjong Pisanthanaku: il primo un horror puro, molto fedele alla trama classica, con una Nak inquietante come non mai, il secondo una commedia demenziale, ideale per una serata a casa con gli amici circondati da vasche di popcorn e bibite gassate.
Cominciamo quindi questa avventura dalla vicenda di Mae Nak, senza ombra di dubbio una delle più note della tradizione tailandese. Credo di non sbagliarmi sostenendo l’ipotesi che non esista un solo tailandese adulto che non la conosca a memoria e che non ne sia allo stesso tempo affascinato e terrorizzato. Il nostro obiettivo oggi è quello di cercare di comprendere i motivi per i quali la leggenda legata a un fantasma femminile possa essersi elevata, nel corso di decenni, alla più rappresentativa espressione della cultura popolare di un intero paese. Sono certo di poter anticipare sin da ora che sono almeno due gli aspetti che, convergendo nella figura di una donna-fantasma allo stesso tempo temuta e ammirata, hanno realizzato questo fenomeno: da una parte il substrato di credenze religiose, incredibilmente espressive, radicate nella tradizione locale, dall’altro il significato dualistico della figura femminile stessa, portatrice di vita attraverso il proprio grembo e simbolo di morte attraverso la violazione di un tabù divino e attraverso l’inquinamento del sangue.
Mae Nak è la materializzazione di tale ambivalenza: da una parte è una creatura debole, da proteggere e preservare, soggiogata da legami emotivi per lei troppo grandi, dall’altra è una creatura forte, da temere e da rispettare, capace di manipolare l’animo dell’uomo e di scatenare su di esso la propria furia vendicativa, se tradita o danneggiata in qualsiasi altro modo nel corpo e nello spirito. Nel post precedente abbiamo accennato al popolarissimo film Nang Nak (1999) diretto da Nonzree Nimibutr. Parleremo ovviamente proprio di quello nelle prossime righe, ma per avere un quadro completo della situazione è forse necessario partire dall’inizio.
Nang Nak (1999) |
Sulla wikipedia tailandese, per quanto imperfetta essa sia, ho contato ben 46 rappresentazioni del fantasma di Mae Nak, dal 1939 ad oggi, tra film, serie tivù e radiodrammi. Una quantità impressionante di materiale del quale purtroppo quasi nulla è recuperabile, a meno di non conoscere la lingua e, soprattutto, di conoscerne la corretta translitterazione, che permetterebbe se non altro di fare delle ricerche in rete con un minimo di senno. L’alfabeto tailandese, per inciso, è “composto da quarantaquattro consonanti, da almeno ventotto forme vocaliche e da quattro indicatori di tono. Le consonanti sono scritte orizzontalmente da sinistra a destra, mentre le vocali sono poste al di sopra, al di sotto, a destra o a sinistra o anche intorno alla consonante che seguono. A differenza dell'alfabeto latino, l'alfabeto thai non distingue fra lettere maiuscole e minuscole e si scrive solitamente senza spazi fra le parole”. Capite quindi bene come qualsiasi lavoro di ricerca sul web si scontri irrimediabilmente con i limiti imposti dalla limitatezza del nostro alfabeto. Tutto ciò che è possibile trovare in rete è limitato al periodo successivo alla fine degli anni Novanta, anno in cui, come dicevamo la volta scorsa, il cinema tailandese ha spalancato i suoi confini alle altre culture. È questo un particolare non da poco, in quanto ci viene preclusa una larga parte delle opere che potrebbero arricchire notevolmente questo speciale. Sui prodotti antecedenti gli anni Novanta è tuttavia possibile recuperare, non senza fatica (IMdB non aiuta), locandine o foto di scena, sebbene difficilmente attribuibili a questa o a quella pellicola del passato (tra l’altro i titoli di quei vecchi film sono praticamente tutti uguali, ma questo particolare diciamo che ce lo aspettavamo pure). Alcune di quelle locandine le ho raccolte in un collage che trovate qui di seguito (e se ci cliccate sopra si vedono meglio).
Una piccola, ulteriore, parentesi però è dovuta: probabilmente mi sentirete utilizzare in questo speciale, ma anche in questo stesso post, entrambi i nomi Mae Nak e Nang Nak. Non si tratta di due diverse identità della stessa protagonista: semplicemente il sostantivo Mæ̀ significa madre, mentre Nāng significa signora. Va comunque anche precisato che nel diciannovesimo secolo era uso comune anteporre il sostantivo Mæ̀ al nome di tutte le giovani donne, anche se nubili e ben lontane dall’essere madri (una pratica questa che continuò sino ai primi anni del Novecento), ed è per questo che mi vedrete più spesso preferire l’appellativo Mae Nak a Nang Nak.
La denominazione estesa Mae Nak Phra Khanong significa quindi Madre Nak di Phra Khanong, dove quest’ultimo è semplicemente il nome di un reale quartiere di Bangkok, accarezzato dalle acque di un canale che, poco lontano, si getta nell’imponente fiume Chao Phraya. Ed è proprio in una capanna sulle sponde del Phra Khanong che, negli anni che si immaginano cadere attorno alla metà del XIX secolo, vivono una vita felice il giovane Mak e la sua bella moglie Nak. Per inciso, il sostantivo Mae (madre), riferito a quest’ultima, suggerisce che la vicenda ruoti inizialmente attorno all’attesa di un bambino. Così è infatti, e Mak è costretto a lasciare la propria donna in dolce attesa per indossare una divisa e andare a servire il suo paese, con la promessa di rientrare in tempo per assistere al lieto evento.
Le cose non andranno come sperato: mentre Nak si dedicava da sola al lavoro nei campi, sempre più duro man mano che la gravidanza volgeva al termine, Nak veniva ferito gravemente sul campo di battaglia e, a causa della lunga convalescenza, dovette, suo malgrado, trattenersi più a lungo del previsto. Quello che egli non sapeva, una volta intrapreso il suo viaggio verso casa, è che Nak era già morta di parto mesi prima assieme al bimbo appena dato alla luce. Chi era quindi quella donna che lo attendeva sulla soglia di casa con un fagottino tra le braccia? La risposta l’avrete forse già intuita, ma se avete dei dubbi spero mi perdonerete se vi lascio in sospeso per qualche giorno.
Nang Nak (1999) |
Nonzree Nimibutr è stato in grado, come nessun altro regista prima di lui, di sfruttare una sceneggiatura piuttosto solida e di esprimerla al meglio in inquadrature di forte impatto visivo. Splendide sono infatti le lunghe esitazioni della macchina da presa sui meravigliosi scenari della Thailandia. La foresta e il fiume, la fauna e la flora: non solo la natura fa da sfondo alle vicende narrate, ma diventa essa stessa protagonista, amalgamandosi perfettamente con le povere costruzioni del villaggio e con le piccole imbarcazioni che solcano le acque di un incredibile verde smeraldo.
Splendide sono le scene soprannaturali, solo a tratti inquietanti, che consentono allo spettatore di immergersi in un mondo di fiaba, quasi incantato. Splendide le premesse e superba l'impostazione dell'esorcismo finale: non vi è alcun orrore in tale scena.
Dimentichiamoci i mille esorcismi visti al cinema: ciò che si dipana sotto ai nostri occhi è una perfetta cerimonia religiosa condotta nel più ammirevole rispetto per i morti. Il Sommo Sacerdote tratta Nak come una persona che ha il diritto di amare e di desiderare. In un finale in cui Mak e Nak si tendono la mano per l'ultima volta prima dell’inevitabile distacco, il pubblico percepisce la vera essenza della cultura tailandese, una cultura nella quale la realtà di tutti i giorni si sovrappone costantemente al mondo dei trapassati, con quello che noi definiremmo sovrannaturale, ma che è in realtà, per i tailandesi, perfettamente naturale. Una lezione alla quale tutti noi dovremmo cercare di assistere almeno una volta nella vita, e dalla quale dovremmo cercare di prendere spunto.
L to R: Pee Mak (2013); Mae Nak 3D (2012); Ghost of Mae Nak (2005) |
Qui posso solo leggere e ammirare il lavoro di divulgazione. Argomento di cui so poco e niente. Interessante e terrificante allo stesso tempo.
RispondiEliminaArgomento di cui conoscono poco (o niente) in tanti. Proprio per questo l'ho scelto! _^
EliminaE quindi chi è la donna col bimbo in braccio?
RispondiElimina(Sono impaziente, aspetto il seguito ;-)
La donna con il bimbo in braccio è... uhm, no, lo dico domani.
EliminaA farti complimenti sperticati in ogni post rischio di diventare ripetitivo e forzato: considerati complimentato e preso a pacche sulle spalle ^_^
RispondiEliminaNon conoscevo questa ghost story locale, ma leggendoti sono abbastanza sicuro di aver visto l'unico titolo uscito in Italia, che ovviamente ho archiviato mentalmente e sbrigativamente come una "ringata thailandese", visto il discorso della sepoltura dei resti. (Se non ricordo male nello stesso periodo anche il nostro Tex dedicava una delle sue ormai rarissime storie weird ad una "ringata", con Kit che conosce una ragazza fantasma... e c'è pure un pozzo di mezzo! :-P )
Mi sa che recupero quell'unico titolo uscito da noi per presentare anche sul Zinefilo il tuo splendido ciclo ^_^
Mi piace quando qualcuno è ripetitivo nei complimenti. Certo, da fuori si potrebbe pensare ad un accordo preventivo, a fronte di una qualche retribuzione... ma non è così. Grazie!
EliminaMagari quel film l'hai anche visto, ma difficilmente lo si potrebbe archiviare come una ringata thai. Più probabile archiviarlo come uno di quei film sui quali ci si addormenta dopo un quarto d'ora per poi svegliarsi alla fine e trascinarsi a letto catatonici.
Se ti interessa al momento lo trovi su Youtube cercandolo con il titolo italiano Il fantasma di Mae Nak.
In streaming su Vimeo si può invece gustare sia Mae Nak 3D (erroneamente catalogato con il titolo Ghost of Mae Nak) sia Nang Nak (erroneamente catalogato con il titolo Ghost of Nang Nak).
Se non ho capito male la forza che muove Sadako è la vendetta, nella stragrande maggioranza dei film, mentre nel caso di Mae Nak è l'amore. Una notevole differenza.
RispondiEliminaDev'essere molto bello l'elemento naturale nel film, e mi è piaciuta l'immagine della coppia che si tiene per mano l'ultima volta prima del congedo. Suppongo che non ci siano effetti speciali all'americana, che finirebbero con il rovinare tutto.
Nessun effetto speciale, infatti. A parte un paio di momenti in cui essi sono necessari per sottolineare l'aspetto soprannaturale, tutto è lasciato molto all'immaginazione dello spettatore
EliminaNiente horror, dunque, se non nelle trasposizioni successive. Un fantasma per essere protagonista di un film dell'orrore deve fare paura, in Nang Nak c'è forse più l'intenzione del regista di dare dignità alla cultura thailandese, a un modo di vivere e concepire il regno del soprannaturale.
RispondiEliminaUna curiosità: ma tu hai visto tutte le versioni cinematografiche della storia?
Magari! Ne ho visti solamente 3 o 4 di questi film. Purtroppo la maggior parte dei titoli citati in questo post, specialmente i più datati, sono ormai da ritenersi perduti o, se non altro, impossibili da apprezzare per chi non conosce la lingua (e anche là dove si riescono a trovare i film, gli unici sottotitoli disponibili sono in cinese o in vietnamita).
EliminaIl Mae Nak del 99 è l'unico che ho visto e mi era in effetti piaciuto proprio per un discorso di sentimenti. L'amore purtroppo spezzato che i protagonisti provano è toccante.
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