Cosa rispondereste se vi chiedessero di nominare un franchise cinematografico tailandese di successo? Al di là del fatto che una domanda del genere sarebbe un’inutile crudeltà, vi garantisco che non è affatto facile rispondere, specialmente se la questione viene circoscritta al genere horror. Molto più facile sarebbe rispondere a una domanda simile sul cinema giapponese o su quello coreano, entrambi ampiamente più esportabili (ed esportati) di quello del paese a loro limitrofo. Neppure io, che da anni ormai seguo il cinema asiatico in tutte le sue sfaccettature, avrei potuto fornire una risposta convincente fino a nemmeno molto tempo fa.
Oggi però, senza pensarci un attimo, risponderei “Buppah Rathree!”. E lo farei forse sbagliando visto che, come ho accennato in chiusura del post precedente, “Buppah Rathree” non è affatto un horror, perlomeno non è quel genere di asian horror al quale ci siamo ormai tutti abituati grazie a Sadako e a tutti i suoi cloni.
In questo caso stiamo parlando di una serie di quattro commedie horror che pescano a piene mani da classici del cinema di ieri e di oggi, come L’Esorcista (1973) di William Friedkin o Audition (1999) di Takashi Miike, con l’occasione rivisti in chiave demenziale. Scritto così potrebbe sembrare che il sottoscritto stia oggi per parlare di una serie di boiate senza precedenti. Niente di più lontano dalla verità, perché Buppah Rathree dista anni luce dalle parodie horror occidentali alle quali siamo abituati. Siamo lontani anni luce anche da robaccia come Scary Movie (2000), come Riposseduta (1990) o come L’alba dei morti dementi (2004). Siamo lontani anni luce anche (mi sia perdonata l’eresia) da L’esorciccio (1975), un film che da bambino ho amato alla follia.
Il fatto è che i quattro “Buppah Rathree” saranno anche delle commedie, saranno anche un modo per prendere in giro i classici del cinema, ma sono anche degli horror che fanno dannatamente paura! Vi chiedete come sia possibile? Il primo Buppah Rahtree esce nelle sale tailandesi nel 2003 e ad oggi non è nemmeno impossibile recuperarlo in DVD, sottotitolato, con il titolo internazionale di Rahtree: Flower of the Night oppure, secondo diverse versioni, di Buppah Rahtree: Scent of the Night Flower.
Buppah Rahtree è il nome di una studentessa, una di quelle ragazze solitarie interessate solo allo studio, che viene presa di mira da un gruppo di studenti appartenenti a famiglie benestanti. Nel corso del primo quarto d’ora sembra quasi che il film voglia incanalarsi nei canoni di un classico drammone strappalacrime: la ragazza che, dopo aver vinto mille suoi tormenti interiori, decide di credere alle lusinghe di Ake, un ragazzo che ai suoi occhi sembra quasi il principe azzurro delle favole.
La realtà, come al solito, è però ben diversa dalle favole e il presunto principe, una volta ottenuto l’amore della principessa, rivela la sua terribile natura: quella di un annoiato perdigiorno che ha fatto quel che ha fatto solo per vincere una scommessa con gli amici. Quando lei infine lo informa della sua gravidanza, Ake e la sua famiglia insistono perché la ragazza abortisca, evitando al giovane una svolta che potrebbe compromettere la sua carriera di studente e, nel lungo periodo, di uomo di successo.
Qualcosa ovviamente va storto: Buppah muore, e il suo spirito irato non troverà pace, senza che nessuno, né il monaco buddista, né il prete cattolico, né lo sciamano o l’imbroglione di turno, trovi la maniera di esorcizzarlo. Buppah Rahtree è infatti, né più né meno di Mae Nak, un potente spirito Phi Tai Hong Tong Klom. E non è un caso che, ad un certo punto, uno dei personaggi del film finisca per citare la leggenda di cui abbiamo ampiamente parlato nei giorni scorsi.
Buppah Rahtree prende possesso del suo vecchio appartamento, situato in un condominio fatiscente di Bangkok, e inizia a terrorizzare tutti gli altri condomini, costringendoli uno ad uno a traslocare in preda al terrore. È questa la parte sostanzialmente più riuscita del film: da una parte c’è Buppah Rahtree, che è un fantasma davvero terrificante, in grado di regalarci dei salti sulla sedia degni dei migliori thriller, dall’altra c’è la situazione in cui Buppah si trova via via ad agire, circondata da inquilini-macchietta che fuggono da tutte le parti, starnazzando come galline in un pollaio.
Il regista, Yuthlert Sippapak, autore anche di Krasue Valentine (Ghost Valentine, 2006), di cui parleremo tra qualche giorno, è riuscito in qualcosa che, a memoria, nessun altro prima e dopo di lui è riuscito a fare: un film che è un perfetto di mix di generi, in grado di accontentare allo stesso modo gli amanti dello spavento e gli amanti della risata. Altri riferimenti a Mae Nak sono comunque sparsi qua e là nel film e, per chi conosce la leggenda dello spettro più celebre della Tailandia, è davvero piacevole scoprirli. Tanto per fare un esempio, Ake viene spedito in un college inglese senza nemmeno sapere che Buppah è morta di complicazioni post-operatorie. Quando poi decide di tornare a Bangkok, roso dai sensi di colpa, rende visita alla ragazza e ottiene il suo perdono. Ancora una volta, come fu per il Mak della leggenda, egli finisce per andare a vivere sotto lo stesso tetto di Buppah, senza tuttavia scoprire l’amara verità. Il finale è naturalmente ben diverso e, in questo caso, si spinge parecchio oltre la vicenda originale di Mak e Nak. Purtroppo non posso dirvi di più: non vorrei rovinarvi il piacere della visione.
Due anni più tardi, per mano dello stesso regista, sbarca sul grande schermo il secondo capitolo: Buppah Rahtree phase 2, conosciuto anche con il titolo di Rahtree returns (2005). Buppah, insieme al fantasma del suo vecchio fidanzato Ake, infesta ancora il suo solito appartamento, che per una simpatica sequenza di avvenimenti viene scelto come rifugio temporaneo da una banda di rapinatori in fuga dalla polizia. Ovviamente i malcapitati criminali non sanno di aver fatto la scelta sbagliata; una scelta che li costringerà, nel lungo termine, alla resa. Le forze dell’ordine, dal canto loro, conoscono invece benissimo i loro involontari alleati, avendo avuto a che fare con il famigerato appartamento nel corso del primo episodio. Gli avvenimenti si susseguono anche in questo sequel molto rapidamente, tra improvvisi spaventi e situazioni al limite del grottesco. Buppha e Ake continueranno così ad infestare il vecchio appartamento, ormai indiscutibilmente destinato ad essere il loro nido d’amore per l’eternità.
In questo sequel nulla di nuovo viene sostanzialmente aggiunto, ma il divertimento è assicurato. Unica pecca, se così possiamo definirla, è che l’unica edizione in DVD è in tailandese senza sottotitoli e che qualunque tentativo di recuperare questi ultimi sul web si scontra con l’inesorabilità dei fatti.
Trascorrono altri quattro anni ed ecco che ritroviamo il solito Yuthlert Sippapak dietro la macchina da presa per due nuovi avvincenti capitoli, usciti nelle sale a pochi mesi di distanza l’uno dall’altro: Buppah Rahtree 3.1, conosciuto internazionalmente con il titolo di Rahtree reborn (2009), e Buppah Rahtree 3.2, altrimenti detto Rahtree revenge (2009). I due film andrebbero visti uno dopo l’altro in rapida sequenza in quanto, più che film separati, sembrano un solo film tagliato in due per esigenze di distribuzione (un po’ come il Nymphomaniac di Lars Von Trier, avete presente?).
Dieci anni sono trascorsi, narrativamente parlando, dai fatti precedenti, e molte cose sono cambiate. Come suggerisce il titolo del primo dei due film, “Reborn” più che un sequel può essere visto come un reboot della saga. Lo spirito del vecchio fidanzato scompare dalle scene (evidentemente dopo aver trovato la pace) e lo spirito di Buppha Rahtree finisce, in un certo senso, per reincarnarsi nel corpo di una ragazzina in età scolare che, abbandonata in tenera età dalla madre, è ora affidata alle cure di un manesco patrigno. Per non farsi mancare nulla Pla (questo il nome della ragazzina) viene anche sistematicamente presa di mira da dei bulli suoi compagni di scuola. Inizialmente Pla subisce tutte le angherie a cui è sottoposta, ma la bomba è destinata a esplodere e un bel giorno, dopo aver seminato il panico a scuola con un affilato rasoio, la ragazza fugge.
Nella sua corsa verso la libertà, Pla trova rifugio tra le mura fatiscenti di un vecchio appartamento abbandonato in periferia. Avrete già intuito di quale appartamento si tratta. Ma la sfortuna si accanisce e Pla trova la morte per mano di un vagabondo sorpreso a masturbarsi proprio nel bagno di quell’appartamento. Il fantasma di Pla diviene quindi il nuovo Buppah Rahtree della saga, e ancora una volta avrà il suo bel daffare per contrastare i soliti buffi criminali che avranno la malaugurata idea di aprire una bisca clandestina nel condominio semideserto.
Nel complesso le vicende si fanno confuse via via che trascorre il minutaggio e, ma potrebbe benissimo essere un mio limite nell'intendere il significato della storia, l’ipotesi che la ragazzina possa essere una reincarnazione di Buppah Rahtree viene abbandonata nel momento in cui quest’ultima riappare e le due, unitamente, scatenano la loro vendetta nei confronti dell’umanità. Si ha la sensazione che la vicenda di Buppah Rahtree abbia raggiunto la sua conclusione molto tempo fa, nel 2003, e che quanto venuto in seguito a quel primo felice episodio sia nient’altro che una dimenticabile, seppur divertente, coda.
Si salva forse solo la presenza di un nuovo personaggio maschile, Rung, un ragazzo di grado “di vedere i morti” che aggiunge un pizzico di malinconia al finale. La malinconia, vero tratto dominante del primo film, dà dunque un senso nuovo alla trama del franchise e permette al quarto capitolo di unirsi al primo in un’ideale (e si spera definitiva) chiusura del cerchio.
Oggi però, senza pensarci un attimo, risponderei “Buppah Rathree!”. E lo farei forse sbagliando visto che, come ho accennato in chiusura del post precedente, “Buppah Rathree” non è affatto un horror, perlomeno non è quel genere di asian horror al quale ci siamo ormai tutti abituati grazie a Sadako e a tutti i suoi cloni.
In questo caso stiamo parlando di una serie di quattro commedie horror che pescano a piene mani da classici del cinema di ieri e di oggi, come L’Esorcista (1973) di William Friedkin o Audition (1999) di Takashi Miike, con l’occasione rivisti in chiave demenziale. Scritto così potrebbe sembrare che il sottoscritto stia oggi per parlare di una serie di boiate senza precedenti. Niente di più lontano dalla verità, perché Buppah Rathree dista anni luce dalle parodie horror occidentali alle quali siamo abituati. Siamo lontani anni luce anche da robaccia come Scary Movie (2000), come Riposseduta (1990) o come L’alba dei morti dementi (2004). Siamo lontani anni luce anche (mi sia perdonata l’eresia) da L’esorciccio (1975), un film che da bambino ho amato alla follia.
Il fatto è che i quattro “Buppah Rathree” saranno anche delle commedie, saranno anche un modo per prendere in giro i classici del cinema, ma sono anche degli horror che fanno dannatamente paura! Vi chiedete come sia possibile? Il primo Buppah Rahtree esce nelle sale tailandesi nel 2003 e ad oggi non è nemmeno impossibile recuperarlo in DVD, sottotitolato, con il titolo internazionale di Rahtree: Flower of the Night oppure, secondo diverse versioni, di Buppah Rahtree: Scent of the Night Flower.
Buppah Rahtree è il nome di una studentessa, una di quelle ragazze solitarie interessate solo allo studio, che viene presa di mira da un gruppo di studenti appartenenti a famiglie benestanti. Nel corso del primo quarto d’ora sembra quasi che il film voglia incanalarsi nei canoni di un classico drammone strappalacrime: la ragazza che, dopo aver vinto mille suoi tormenti interiori, decide di credere alle lusinghe di Ake, un ragazzo che ai suoi occhi sembra quasi il principe azzurro delle favole.
La realtà, come al solito, è però ben diversa dalle favole e il presunto principe, una volta ottenuto l’amore della principessa, rivela la sua terribile natura: quella di un annoiato perdigiorno che ha fatto quel che ha fatto solo per vincere una scommessa con gli amici. Quando lei infine lo informa della sua gravidanza, Ake e la sua famiglia insistono perché la ragazza abortisca, evitando al giovane una svolta che potrebbe compromettere la sua carriera di studente e, nel lungo periodo, di uomo di successo.
Qualcosa ovviamente va storto: Buppah muore, e il suo spirito irato non troverà pace, senza che nessuno, né il monaco buddista, né il prete cattolico, né lo sciamano o l’imbroglione di turno, trovi la maniera di esorcizzarlo. Buppah Rahtree è infatti, né più né meno di Mae Nak, un potente spirito Phi Tai Hong Tong Klom. E non è un caso che, ad un certo punto, uno dei personaggi del film finisca per citare la leggenda di cui abbiamo ampiamente parlato nei giorni scorsi.
Buppah Rahtree prende possesso del suo vecchio appartamento, situato in un condominio fatiscente di Bangkok, e inizia a terrorizzare tutti gli altri condomini, costringendoli uno ad uno a traslocare in preda al terrore. È questa la parte sostanzialmente più riuscita del film: da una parte c’è Buppah Rahtree, che è un fantasma davvero terrificante, in grado di regalarci dei salti sulla sedia degni dei migliori thriller, dall’altra c’è la situazione in cui Buppah si trova via via ad agire, circondata da inquilini-macchietta che fuggono da tutte le parti, starnazzando come galline in un pollaio.
Il regista, Yuthlert Sippapak, autore anche di Krasue Valentine (Ghost Valentine, 2006), di cui parleremo tra qualche giorno, è riuscito in qualcosa che, a memoria, nessun altro prima e dopo di lui è riuscito a fare: un film che è un perfetto di mix di generi, in grado di accontentare allo stesso modo gli amanti dello spavento e gli amanti della risata. Altri riferimenti a Mae Nak sono comunque sparsi qua e là nel film e, per chi conosce la leggenda dello spettro più celebre della Tailandia, è davvero piacevole scoprirli. Tanto per fare un esempio, Ake viene spedito in un college inglese senza nemmeno sapere che Buppah è morta di complicazioni post-operatorie. Quando poi decide di tornare a Bangkok, roso dai sensi di colpa, rende visita alla ragazza e ottiene il suo perdono. Ancora una volta, come fu per il Mak della leggenda, egli finisce per andare a vivere sotto lo stesso tetto di Buppah, senza tuttavia scoprire l’amara verità. Il finale è naturalmente ben diverso e, in questo caso, si spinge parecchio oltre la vicenda originale di Mak e Nak. Purtroppo non posso dirvi di più: non vorrei rovinarvi il piacere della visione.
Due anni più tardi, per mano dello stesso regista, sbarca sul grande schermo il secondo capitolo: Buppah Rahtree phase 2, conosciuto anche con il titolo di Rahtree returns (2005). Buppah, insieme al fantasma del suo vecchio fidanzato Ake, infesta ancora il suo solito appartamento, che per una simpatica sequenza di avvenimenti viene scelto come rifugio temporaneo da una banda di rapinatori in fuga dalla polizia. Ovviamente i malcapitati criminali non sanno di aver fatto la scelta sbagliata; una scelta che li costringerà, nel lungo termine, alla resa. Le forze dell’ordine, dal canto loro, conoscono invece benissimo i loro involontari alleati, avendo avuto a che fare con il famigerato appartamento nel corso del primo episodio. Gli avvenimenti si susseguono anche in questo sequel molto rapidamente, tra improvvisi spaventi e situazioni al limite del grottesco. Buppha e Ake continueranno così ad infestare il vecchio appartamento, ormai indiscutibilmente destinato ad essere il loro nido d’amore per l’eternità.
In questo sequel nulla di nuovo viene sostanzialmente aggiunto, ma il divertimento è assicurato. Unica pecca, se così possiamo definirla, è che l’unica edizione in DVD è in tailandese senza sottotitoli e che qualunque tentativo di recuperare questi ultimi sul web si scontra con l’inesorabilità dei fatti.
Trascorrono altri quattro anni ed ecco che ritroviamo il solito Yuthlert Sippapak dietro la macchina da presa per due nuovi avvincenti capitoli, usciti nelle sale a pochi mesi di distanza l’uno dall’altro: Buppah Rahtree 3.1, conosciuto internazionalmente con il titolo di Rahtree reborn (2009), e Buppah Rahtree 3.2, altrimenti detto Rahtree revenge (2009). I due film andrebbero visti uno dopo l’altro in rapida sequenza in quanto, più che film separati, sembrano un solo film tagliato in due per esigenze di distribuzione (un po’ come il Nymphomaniac di Lars Von Trier, avete presente?).
Dieci anni sono trascorsi, narrativamente parlando, dai fatti precedenti, e molte cose sono cambiate. Come suggerisce il titolo del primo dei due film, “Reborn” più che un sequel può essere visto come un reboot della saga. Lo spirito del vecchio fidanzato scompare dalle scene (evidentemente dopo aver trovato la pace) e lo spirito di Buppha Rahtree finisce, in un certo senso, per reincarnarsi nel corpo di una ragazzina in età scolare che, abbandonata in tenera età dalla madre, è ora affidata alle cure di un manesco patrigno. Per non farsi mancare nulla Pla (questo il nome della ragazzina) viene anche sistematicamente presa di mira da dei bulli suoi compagni di scuola. Inizialmente Pla subisce tutte le angherie a cui è sottoposta, ma la bomba è destinata a esplodere e un bel giorno, dopo aver seminato il panico a scuola con un affilato rasoio, la ragazza fugge.
Nella sua corsa verso la libertà, Pla trova rifugio tra le mura fatiscenti di un vecchio appartamento abbandonato in periferia. Avrete già intuito di quale appartamento si tratta. Ma la sfortuna si accanisce e Pla trova la morte per mano di un vagabondo sorpreso a masturbarsi proprio nel bagno di quell’appartamento. Il fantasma di Pla diviene quindi il nuovo Buppah Rahtree della saga, e ancora una volta avrà il suo bel daffare per contrastare i soliti buffi criminali che avranno la malaugurata idea di aprire una bisca clandestina nel condominio semideserto.
Nel complesso le vicende si fanno confuse via via che trascorre il minutaggio e, ma potrebbe benissimo essere un mio limite nell'intendere il significato della storia, l’ipotesi che la ragazzina possa essere una reincarnazione di Buppah Rahtree viene abbandonata nel momento in cui quest’ultima riappare e le due, unitamente, scatenano la loro vendetta nei confronti dell’umanità. Si ha la sensazione che la vicenda di Buppah Rahtree abbia raggiunto la sua conclusione molto tempo fa, nel 2003, e che quanto venuto in seguito a quel primo felice episodio sia nient’altro che una dimenticabile, seppur divertente, coda.
Si salva forse solo la presenza di un nuovo personaggio maschile, Rung, un ragazzo di grado “di vedere i morti” che aggiunge un pizzico di malinconia al finale. La malinconia, vero tratto dominante del primo film, dà dunque un senso nuovo alla trama del franchise e permette al quarto capitolo di unirsi al primo in un’ideale (e si spera definitiva) chiusura del cerchio.
In effetti quando penso ad una "commedia horror" penso più ad una commedia, che ad un horror. Solo un asiatico poteva mettere paura con una commedia ^_^
RispondiEliminaGrazie per questo prezioso viaggio in una cinematografia così "nascosta" alla grande distribuzione!
E' proprio come se L'esorciccio facesse anche paura, oltre che ridere. Davvero una cosa che a pensarci pare impossibile.
EliminaVeramente curiosi questi film che riescono a mescolare due generi così differenti e per molti versi opposti. Non riesco proprio a immaginare come possano essere. Grazie, stai facendo un lavoro titanico con questo speciale tailandese!
RispondiElimina...e che poi inizia anche come fosse una puntata di Beautiful. PS: il lavoro titanico non stato tanto scrivere questo speciale, quanto metterci solo due settimane.
EliminaGià le locandine non sembrano affatto quelle di parodie, ma semmai proprio horror tout court.
RispondiEliminaEsclusa la seconda locandina.
EliminaVarianti di quelle locandine se ne trovano a decine, alcune più virate sull'horror, altre più sul comico. Ho solo scelto quelle che mi piacevano di più.
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