Non so come sia per te, ma il mio problema sono le ragazze. Ho sempre voluto stare con una ragazza. E non ci sono mai riuscito. La cosa peggiore erano tutte quelle feste della scuola. Io che le guardavo, loro che ballavano. Non con me però. A molte scendevano giù continuamente le spalline del vestito, e gli idioti che erano con loro le tiravano su con un sorriso malizioso. Quello era il mio più grande desiderio, sistemare le spalline del vestito a una ragazza. Ma non è mai successo. E le ragazze erano tutte così stupende. Come se brillassero. E avevano quell’odore, come se prima di venire alla festa fossero state in un altro universo, in un altro mondo, sdraiate su un prato dal profumo soprannaturale. Io ero lì ed eco così lontano da tutto. Anche se fisicamente ero così vicino. Le persone nella sala erano racchiuse in una bolla invisibile. E io ero fuori. A pensarci sembra un po’ strano. Sarei potuto andare da una di quelle ragazze, per esempio per toccarle la schiena. Ma non le avrei toccato veramente la schiena. Solo la bolla, capisci?
Era da molto tempo che non mi capitava di leggere un libro tutto d’un fiato. Sapete, quei libri che una volta iniziati non ne vogliono proprio sapere di farsi riporre sul comodino. Mi è capitato nuovamente poche settimane fa con questo “L’ultimo treno della notte”, scritto nel 2005 dall’allora ventitreenne scrittore tedesco Benjamin Lebert. Trovai questo libro molto tempo fa su una bancarella dell’usato e, se ci penso adesso, non so dire come fu che lo portai in cassa e lo pagai. Credo che la molla sia stata una frase letta aprendo il libro a caso, una frase che mi colpì molto e che diceva: “Odio il buio. Il buio illumina sempre le cose più orribili.” Personalmente non odio il buio. Anzi, lo trovo, come dire, confortante. Immerso nel buio riesco a guardare dentro di me e a trovare, non dico delle risposte, quelle no, perché nella vita non esistono risposte, ma perlomeno delle indicazioni.
