sabato 29 febbraio 2020

Toshio Saeki (1945-2019)

ATTENZIONE!
Le immagini contenute in questo articolo sono ad alto contenuto erotico, con elementi macabri e grotteschi e varie sfumature di devianza e perversione. Se ritenete, anche solo per una frazione di secondo, di non riuscire a sopportarne la visione, abbandonate immediatamente questa pagina web. Non voglio finire in galera.

Giusto qualche giorno fa, mente mi scervellavo alla ricerca di immagini adatte ad accompagnare i cinque post dello speciale Kaidan Botan Dōrō, appena conclusosi, sono inciampato nella singolare interpretazione della vicenda di Hagiwara Shinzaburō e della sua scheletrica amante Otsuyu. Potete ammirare tale interpretazione qui sopra. 
Mi sono subito ovviamente precipitato a capire chi fosse l'autore di tale grottesca immagine (tra l'altro, vagamente familiare) e mi sono trovato di fronte a un nome che, di per sé, mi diceva poco, ma di cui, ho subito realizzato, conoscevo alcuni altri lavori. 
Ero quindi pronto a inserire quell'opera a corredo di uno dei miei post quando, pesante come una pietra, la notizia della recentissima scomparsa di Toshio Saeki (avvenuta a fine novembre), indiscusso maestro dell'ero-guru contemporaneo, mi ha convinto a dedicargli un po' di spazio in più.

sabato 22 febbraio 2020

Kaidan Botan Dōrō (Pt.5)

Kaidan Botan Dōrō, Satsuo Yamamoto, 1968
LA PRIMA PARTE SI TROVA QUI

Alla fine degli anni Dieci del Novecento, il cinema giapponese comincia a raggiungere una posizione di privilegio rispetto al teatro. La major più famosa, la Nikkatsu, è già saldamente affermata, e in giro per il paese tutti cominciano già a riconoscere i volti delle prime star del muto; tra queste il già citato Onoe Kikugorô V, uno dei pochi attori kabuki che provò a cimentarsi con il cinema. 
La prima versione del Botan Dōrō fu girata nel 1910, un film certamente muto di cui neanche IMdB riesce a fornire alcuna notizia supplementare. Il cortometraggio Botan Dōrō di Shôzô Makino (Nikkatsu, 1914), andato perduto come molti altri, presumibilmente in occasione del grande terremoto del Kantō che colpì la pianura omonima nella tarda estate del 1923, è interessante più che altro perché fu girato da colui che è universalmente conosciuto come il padre del cinema giapponese.
Shôzô Makino a quei tempi era già una celebrità, e non solo per la versione datata 1912 di un altro celebre kaidan (Tōkaidō Yotsuya Kaidan). Figlio illegittimo, Shôzô Makino imparò il mestiere grazie alla madre, che all’epoca (era il 1901) gestiva un teatro kabuki. In carriera diresse centinaia di film (nemmeno la wikipedia giapponese è in grado di citarli tutti) e arrivò a fondare una sua casa di produzione. Nel 1928, all’età di 50 anni, girò il suo film più celebre, Chūkon giretsu: Jitsuroku Chūshingura (忠魂義烈 実録忠臣蔵, Chushingura: The Truth), basato sul tema classico dei quarantasette ronin. 

martedì 18 febbraio 2020

Kaidan Botan Dōrō (Pt.4)

Warwick Goble, The Peony Lantern,
 illustrazione interna per
Green Willow and Other Japanese Tales
by Grace James (Macmillan, 1910)
LA PRIMA PARTE SI TROVA QUI

Il richiamo inconscio delle storie di fantasmi risiede nella loro promessa di immortalità. Se hai paura di tali racconti, allora devi credere che uno spettro possa esistere. E se un fantasma esiste, allora l'oblio potrebbe non essere la fine (Stanley Kubrick).

Appena adolescente, Otsuyu incontra per caso Hagiwara Shinzaburō che, per una coincidenza, ha accompagnato un medico suo conoscente a renderle visita presso la sua abitazione. Superfluo a questo punto è precisare che i due giovani, già al primo sguardo, si innamorano perdutamente l’uno dell’altra, al punto che Otsuyu, prima di congedare il giovane, si fa promettere un nuovo incontro, in mancanza del quale si lascerà morire di tristezza. 
L’etichetta vuole però che un giovane non si possa presentare da solo, così impunemente, a casa di una fanciulla: perciò venendo a mancare, per motivi che non starò qui a specificare, il supporto dell’amico, il destino si compie. I due innamorati, Shinzaburō e Otsuyu, riusciranno infine a riunirsi, nella maniera che sappiamo, durante la famosa ricorrenza dell’Obon. Oyone, por dovere di cronaca, devastata dal dolore per la perdita della sua signora, la raggiunge prontamente nel regno dei morti. Ciò che segue è una storia che ho già ampiamente raccontato, per cui non credo di dovermi ripetere.

venerdì 14 febbraio 2020

Kaidan Botan Dōrō (Pt.3)

Edizione italiana Marsilio, 2012
LA PRIMA PARTE SI TROVA QUI

Negli uomini prevalgono le pure energie positive, nei morti le luride e corrotte forze negative - Qu You, Il racconto della lanterna delle peonie (Mudan Denjii, 1378) 

Nei giorni scorsi abbiamo visto come Asai Ryōi si fosse divertito a rielaborare, a uso e consumo dei suoi connazionali, certe vecchie storie di fantasmi cinesi. È però sorprendente rendersi conto che, dei 68 racconti inclusi nell’Otogi-bōko (16 dei quali prelevati direttamente dal Mudan Denjii), solo il Botan Dōrō sia sopravvissuto attraverso i secoli nella cultura popolare. 
Il segreto di tale longevità, possiamo tentare un’ipotesi, è la sua attitudine ad adattarsi ai tempi, prendendo di volta in volta nuove forme e ricomparendo periodicamente in più moderne varianti. Così come Asai Ryōi riscrisse un testo morale cinese del 1378, adattandolo al Giappone del 1666, così San'yūtei Enchō rivisitò ulteriormente il testo per renderlo più fruibile dai lettori della sua epoca (la prima stesura è datata 1861), a cavallo tra il periodo Edo (detto anche epoca del tardo shogunato Tokugawa) e l'inizio del periodo Meiji (1869-1912). 
Fu, quello, un periodo di grandi cambiamenti sociali: il Giappone stava finalmente uscendo dal Medioevo, e si accingeva a inaugurare una stagione di profondo ammodernamento del Paese (tra le importanti riforme del governo Meiji vi furono l'abolizione del sistema feudale e l'istituzione di prefetture guidate da governatori incaricati dall'imperatore).

lunedì 10 febbraio 2020

Kaidan Botan Dōrō (Pt.2)

Botan Doro by Yoshimi Maruyama
LA PRIMA PARTE SI TROVA QUI 

“Vivere momento per momento, volgersi interamente alla luna, alla neve, ai fiori di ciliegio e alle foglie rosse degli aceri, cantare canzoni, bere sake, consolarsi dimenticando la realtà, non preoccuparsi della miseria che ci sta di fronte, non farsi scoraggiare, essere come una zucca vuota che galleggia sulla corrente dell’acqua: questo, io lo chiamo ukiyo”. - Asai Ryōi, Racconti del mondo fluttuante (Ukiyo monogatari, 浮世物語, 1661).

Le storie di fantasmi erano già un soggetto molto popolare nel folclore, nel romanzo e nel teatro giapponesi, ma fu solo durante l’epoca Tokugawa (1603-1868) che esse conobbero una nuova ripresa, emergendo come un genere letterario ben definito e ispirandosi alla letteratura popolare cinese di epoca Ming sullo stesso argomento, importata e tradotta in Giappone. L’epoca Tokugawa, che aveva segnato l’inizio di un lungo periodo di pace dopo più di un secolo di guerre feudali, fu particolarmente fertile per la vita culturale del paese e i suoi centri nevralgici, Ōsaka prima e, in seguito, Edo (oggi Tōkyō), prosperavano nel rinnovato entusiasmo per le arti e per le lettere.

giovedì 6 febbraio 2020

Kaidan Botan Dōrō (Pt.1)

Non fu un caso se, nell’ultimo articolo apparso su questo blog sotto l’etichetta “Kaidan”, mi presi la briga di dedicare ampio spazio a un personaggio decisamente di rilievo per il progetto che mi ero preso l’impegno di portare avanti.
Patrick Lafcadio Hearn, irlandese, di madre greca, è stato senza dubbio il più celebre narratore occidentale di storie di fantasmi giapponesi, ed è proprio dai suoi scritti che il mio piccolo lavoro di blogger trae ispirazione. Già a partire dal 1887, come già ebbi modo di dire, Lafcadio Hearn iniziò a sviluppare una vera e propria ossessione per la letteratura del paese che lo aveva adottato, in particolare raccogliendo frammenti di leggende, vecchie storie di fantasmi e di esseri soprannaturali, e mettendole insieme per l'entusiasmo dei lettori del magazine americano sul quale scriveva.
Stiamo parlando di un sacco di tempo fa, come avrete notato, ma non credo di andare molto lontano dalla verità affermando che, se non fosse stato per il certosino lavoro di raccolta che fece Lafcadio Hearn nel corso della sua esistenza, il mondo occidentale oggi non potrebbe vantare la stessa familiarità (o presunta tale) che ha con i fantasmi giapponesi. Quelle saghe cinematografiche divenute virali negli anni Novanta, quali “The Ring e “The Grudge”, giusto per citare i casi più emblematici, probabilmente non sarebbero state in grado di varcare i loro confini e, di conseguenza, il mondo non avrebbe potuto scrivere quel pezzo di storia del cinema horror che, a posteriori, si può ben definire fondamentale.
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