Non fu un caso se, nell’ultimo articolo apparso su questo blog sotto l’etichetta “Kaidan”, mi presi la briga di dedicare ampio spazio a un personaggio decisamente di rilievo per il progetto che mi ero preso l’impegno di portare avanti.
Patrick Lafcadio Hearn, irlandese, di madre greca, è stato senza dubbio il più celebre narratore occidentale di storie di fantasmi giapponesi, ed è proprio dai suoi scritti che il mio piccolo lavoro di blogger trae ispirazione. Già a partire dal 1887, come già ebbi modo di dire, Lafcadio Hearn iniziò a sviluppare una vera e propria ossessione per la letteratura del paese che lo aveva adottato, in particolare raccogliendo frammenti di leggende, vecchie storie di fantasmi e di esseri soprannaturali, e mettendole insieme per l'entusiasmo dei lettori del magazine americano sul quale scriveva.
Stiamo parlando di un sacco di tempo fa, come avrete notato, ma non credo di andare molto lontano dalla verità affermando che, se non fosse stato per il certosino lavoro di raccolta che fece Lafcadio Hearn nel corso della sua esistenza, il mondo occidentale oggi non potrebbe vantare la stessa familiarità (o presunta tale) che ha con i fantasmi giapponesi. Quelle saghe cinematografiche divenute virali negli anni Novanta, quali “The Ring e “The Grudge”, giusto per citare i casi più emblematici, probabilmente non sarebbero state in grado di varcare i loro confini e, di conseguenza, il mondo non avrebbe potuto scrivere quel pezzo di storia del cinema horror che, a posteriori, si può ben definire fondamentale.
La stessa letteratura di evasione, di cui ormai abbondano le nostre librerie e fumetterie, non avrebbe probabilmente mai osato avventurarsi in territori così lontani dalla nostra percezione di “letteratura”, privandoci di molti gioielli a cui oggi faticheremmo a rinunciare.
Per riprendere il filo del discorso bruscamente interrotto in quel lontano settembre di due anni fa, sarebbe a questo punto opportuno un breve riepilogo. Cercherò di farlo senza dilungarmi troppo, rimandando ogni approfondimento alla pagina statica dedicata al progetto e ai primi tre post della serie, risalenti addirittura al 2016 (nella fattispecie questo, questo e questo), nei quali tentai una piccola introduzione al mondo dei fantasmi giapponesi.
In quell’occasione scrissi che anche in Oriente, così come in Occidente, le storie di fantasmi sono spesso storie di tradimento e di vendetta; storie nate in una società dove storicamente le donne sono sempre state subordinate all’uomo in tutto e per tutto, schiacciate sin dalla nascita dalla pressione sociale e da quella mentalità tradizionalista che le vuole figlie ubbidienti, mogli fedeli e amanti appassionate. Secondo le credenze giapponesi, gli spiriti dei defunti, al momento della morte del corpo, raggiungono una specie di limbo, nel quale le anime farebbero sosta prima del passaggio definitivo.
Da questo luogo si dice sia ancora possibile tornare, e ciò sarebbe maggiormente vero per quelle anime le cui emozioni sono così forti da impedire loro di staccarsi del tutto da ciò che erano. Amore, gelosia, tristezza, odio e rancore sarebbero sentimenti talmente intensi da imprigionare le anime in quello stadio intermedio e, in casi estremi, da consentire loro di ritornare nel mondo dei vivi sotto forma di Yūrei (幽霊), un termine composto dai kanji 幽 (yū), che significa "pallido", “tenue” o “leggero” e 霊 (rei), che significa "anima" o "spirito". E una volta che i “ritornati” avranno riattraversato la soglia in senso contrario, nulla potrà più placare le loro ossessioni se non un completo e definitivo ricongiungimento (o redenzione) con colui o colei che, in vita, ha scatenato tali emozioni.
Introdussi quindi il concetto di Onryō (怨霊), che degli Yūrei rappresenta una sottocategoria: il fantasma di una donna la cui sete di vendetta è talmente forte dal renderla praticamente inarrestabile, al punto di trasferire il suo odio su chiunque abbia la sventura di incontrarlo. La vicenda di Okiku (お菊), narrata nel Banchō Sarayashiki (番町皿屋敷, The Dish Mansion at Banchō), personaggio a cui è riconducibile la celeberrima Sadako/Samara della saga cinematografica “The Ring”, ne è un perfetto esempio.
A partire da oggi ci discostiamo invece drasticamente da sentimenti di odio e rancore per lasciar spazio a qualcosa di fondamentalmente diverso, ma non per questo meno mostruoso: la leggenda di Otsuyu (四谷怪談) narrata nel Botan Dōrō (牡丹燈籠, The Peony Lantern), uno dei più famosi kaidan giapponesi, che ci mette in guardia dalle conseguenze del voler intraprendere una relazione amorosa con un essere ultraterreno.
Tra l’altro fu proprio Lafcadio Hearn, guarda un po’ la combinazione, a portare all’attenzione del mondo occidentale il Botan Dōrō, grazie a un adattamento da lui scritto nel 1899 e inserito in una minuscola raccolta di racconti pubblicata in patria con il titolo “In Ghostly Japan”. Il racconto “A Passionate Karma” (Un karma passionale), che si basa sulla versione kabuki della vicenda, ha una struttura piuttosto originale: un narratore esterno ai fatti introduce la vicenda, cercando da una parte la complicità del lettore, e allo stesso tempo aiutandolo, con opportune annotazioni, nella corretta interpretazione di certi meccanismi che, all’occhio di un osservatore occidentale, potrebbero risultare ostici. Un’idea tutto sommato abbastanza precisa la si ottiene già leggendo l’incipit di “A Passionate Karma”:
Patrick Lafcadio Hearn, irlandese, di madre greca, è stato senza dubbio il più celebre narratore occidentale di storie di fantasmi giapponesi, ed è proprio dai suoi scritti che il mio piccolo lavoro di blogger trae ispirazione. Già a partire dal 1887, come già ebbi modo di dire, Lafcadio Hearn iniziò a sviluppare una vera e propria ossessione per la letteratura del paese che lo aveva adottato, in particolare raccogliendo frammenti di leggende, vecchie storie di fantasmi e di esseri soprannaturali, e mettendole insieme per l'entusiasmo dei lettori del magazine americano sul quale scriveva.
Stiamo parlando di un sacco di tempo fa, come avrete notato, ma non credo di andare molto lontano dalla verità affermando che, se non fosse stato per il certosino lavoro di raccolta che fece Lafcadio Hearn nel corso della sua esistenza, il mondo occidentale oggi non potrebbe vantare la stessa familiarità (o presunta tale) che ha con i fantasmi giapponesi. Quelle saghe cinematografiche divenute virali negli anni Novanta, quali “The Ring e “The Grudge”, giusto per citare i casi più emblematici, probabilmente non sarebbero state in grado di varcare i loro confini e, di conseguenza, il mondo non avrebbe potuto scrivere quel pezzo di storia del cinema horror che, a posteriori, si può ben definire fondamentale.
La stessa letteratura di evasione, di cui ormai abbondano le nostre librerie e fumetterie, non avrebbe probabilmente mai osato avventurarsi in territori così lontani dalla nostra percezione di “letteratura”, privandoci di molti gioielli a cui oggi faticheremmo a rinunciare.
Per riprendere il filo del discorso bruscamente interrotto in quel lontano settembre di due anni fa, sarebbe a questo punto opportuno un breve riepilogo. Cercherò di farlo senza dilungarmi troppo, rimandando ogni approfondimento alla pagina statica dedicata al progetto e ai primi tre post della serie, risalenti addirittura al 2016 (nella fattispecie questo, questo e questo), nei quali tentai una piccola introduzione al mondo dei fantasmi giapponesi.
In quell’occasione scrissi che anche in Oriente, così come in Occidente, le storie di fantasmi sono spesso storie di tradimento e di vendetta; storie nate in una società dove storicamente le donne sono sempre state subordinate all’uomo in tutto e per tutto, schiacciate sin dalla nascita dalla pressione sociale e da quella mentalità tradizionalista che le vuole figlie ubbidienti, mogli fedeli e amanti appassionate. Secondo le credenze giapponesi, gli spiriti dei defunti, al momento della morte del corpo, raggiungono una specie di limbo, nel quale le anime farebbero sosta prima del passaggio definitivo.
Da questo luogo si dice sia ancora possibile tornare, e ciò sarebbe maggiormente vero per quelle anime le cui emozioni sono così forti da impedire loro di staccarsi del tutto da ciò che erano. Amore, gelosia, tristezza, odio e rancore sarebbero sentimenti talmente intensi da imprigionare le anime in quello stadio intermedio e, in casi estremi, da consentire loro di ritornare nel mondo dei vivi sotto forma di Yūrei (幽霊), un termine composto dai kanji 幽 (yū), che significa "pallido", “tenue” o “leggero” e 霊 (rei), che significa "anima" o "spirito". E una volta che i “ritornati” avranno riattraversato la soglia in senso contrario, nulla potrà più placare le loro ossessioni se non un completo e definitivo ricongiungimento (o redenzione) con colui o colei che, in vita, ha scatenato tali emozioni.
Introdussi quindi il concetto di Onryō (怨霊), che degli Yūrei rappresenta una sottocategoria: il fantasma di una donna la cui sete di vendetta è talmente forte dal renderla praticamente inarrestabile, al punto di trasferire il suo odio su chiunque abbia la sventura di incontrarlo. La vicenda di Okiku (お菊), narrata nel Banchō Sarayashiki (番町皿屋敷, The Dish Mansion at Banchō), personaggio a cui è riconducibile la celeberrima Sadako/Samara della saga cinematografica “The Ring”, ne è un perfetto esempio.
A partire da oggi ci discostiamo invece drasticamente da sentimenti di odio e rancore per lasciar spazio a qualcosa di fondamentalmente diverso, ma non per questo meno mostruoso: la leggenda di Otsuyu (四谷怪談) narrata nel Botan Dōrō (牡丹燈籠, The Peony Lantern), uno dei più famosi kaidan giapponesi, che ci mette in guardia dalle conseguenze del voler intraprendere una relazione amorosa con un essere ultraterreno.
Tra l’altro fu proprio Lafcadio Hearn, guarda un po’ la combinazione, a portare all’attenzione del mondo occidentale il Botan Dōrō, grazie a un adattamento da lui scritto nel 1899 e inserito in una minuscola raccolta di racconti pubblicata in patria con il titolo “In Ghostly Japan”. Il racconto “A Passionate Karma” (Un karma passionale), che si basa sulla versione kabuki della vicenda, ha una struttura piuttosto originale: un narratore esterno ai fatti introduce la vicenda, cercando da una parte la complicità del lettore, e allo stesso tempo aiutandolo, con opportune annotazioni, nella corretta interpretazione di certi meccanismi che, all’occhio di un osservatore occidentale, potrebbero risultare ostici. Un’idea tutto sommato abbastanza precisa la si ottiene già leggendo l’incipit di “A Passionate Karma”:
“Una delle attrazioni di sicuro successo dei palcoscenici di Tōkyō è la rappresentazione, allestita dal famoso attore Kikugorô e della sua compagnia, del celebre dramma Botan-Dōrō, ossia «La lanterna con le peonie».
Questo strano lavoro teatrale, ambientato verso la meta del secolo scorso, è la riduzione drammatica di un racconto del narratore Enchō, scritto in giapponese colloquiale e autenticamente giapponese per quanto riguarda il colorito locale, benché ispirato a una favola cinese.
Sono andato a vedere questa rappresentazione e Kikugorō mi ha dato modo di conoscere una nuova varietà della voluttà dell’angoscia. “Perché non propone ai lettori occidentali la parte spettrale di questa storia?” mi ha domandato un amico che in questo periodo mi fa da guida attraverso i meandri della filosofia orientale. “Servirebbe a spiegare alcune idee popolari del soprannaturale, di cui gli occidentali sanno molto poco. E io potrei aiutarla nella versione.”
Accettai con gioia quel suggerimento; e così insieme abbiamo scritto il seguente sunto della parte più straordinaria del racconto di Enchō. Qua e là abbiamo ritenuto necessario condensare la narrazione originale e abbiamo cercato di rimanere fedeli al testo solo nei passaggi colloquiali, alcuni dei quali ci sono sembrati possedere particolari qualità di interesse psicologico.” (1)Risulta già evidente come la lettura di “A Passionate Karma” sia fondamentale e che, pur avendo a disposizione il testo completo di San'yūtei Enchō, da essa non si possa prescindere. Vi invito quindi, se ne avete l’occasione, a recuperare il racconto di Hearn attraverso una delle varie edizioni uscite in Italia dagli anni Novanta sino a oggi (2). Noi torneremo sull’argomento tra qualche giorno.
1) Estratto da “Nel Giappone Spettrale”, nella traduzione di Gabriella Rovagnati, prima edizione Tranchida (1991)
2) Il racconto “Un Karma Passionale” appare nelle seguenti antologie: “Nel Giappone Spettrale”, nella traduzione di Gabriella Rovagnati, prima edizione Tranchida (1991) ristampato in digitale da Alphaville Edizioni Digitali (2013 ); “Ombre giapponesi”, nella traduzione di Ottavio Fatica, Edizioni Theoria, Collana Biblioteca di Letteratura Fantastica (1992) ristampato da Adelphi, Collana Piccola Biblioteca (2018)
Il presente articolo è parte di un vasto progetto che ho voluto chiamare Hyakumonogatari Kaidankai (A Gathering of One Hundred Supernatural Tales) in onore di un vecchio gioco popolare risalente al Giappone del periodo Edo (1603-1868) e, di tale progetto, esso rappresenta la parte 29 in un totale di 100.
Se volete saperne di più vi invito innanzitutto a leggere l'articolo introduttivo e a visitare la pagina statica dedicata, nella quale potrete trovare l'elenco completo degli articoli sinora pubblicati. L'articolo è inoltre parte del micro-speciale in cinque parti Kaidan Botan Dōrō che è iniziato giusto oggi. Buona lettura!
P.S.: Possiamo spegnere la 29° candela...
Lafcadio Hearn è di fatto l'uomo che ha raccontato all'occidente il Giappone appena apertosi al mondo (costretto ad aprirsi con la forza, in effetti).
RispondiEliminaDa questo punto di vista è un classico, ma ammetto di non averlo mai letto. Vedrò di recuperare questo racconto e colmare la lacuna.
Fu l'anello di congiunzione tra due mondi così diametralmente distanti, e di ciò non possiamo che essergli grati.
EliminaIl racconto è facilmente recuperabile... come detto nelle note è stato ristampato solo pochi anni fa. In alternativa troverai abbastanza in questo speciale da colmare la lacuna.
Bentornato alle vecchie e mai sopite passioni fratello! Bello tornare a leggere di Hearn sulle tue pagine.
RispondiEliminaUn po' sopite lo erano, in realtà. Ma era ormai da tanto tempo che ci rimuginavo...
EliminaSublime quel frammento di teatro kabuki.
RispondiEliminaMi vengono due osservazioni da fare. Intanto sorprende come uno dei temi dei racconti sia la ricerca di rivalsa femminile, pur in una cultura che ha saputo da un lato esaltare la bellezza dall'altro mortificare la donna costringendola in una tradizione ferrea. Questo a prescindere dalle ultime generazioni, che sono nettamente aperte verso costumi occidentali.
Poi mi viene da dire... quanto assomiglia il teatro kabuki a quello occidentale? Tantissimo! Vedo nelle movenze, nelle espressioni, nella scelta dell'impianto scenografico tanto di occidentale, alla nostra maniera insomma. Se dovesse arrivare a Roma qualche spettacolo di questo tipo, vado a vedermelo.
In generale il termine Yūrei può indicare sia un fantasma maschile che femminile, sebbene queste ultime siano di gran lunga più numerose. La donna infatti, più fragile di salute, era molto più esposta ai rischio di una morte prematura ed è per questo motivo che tutta l'iconografia classica tende a mostrare dei "revenant" di sesso femminile.
EliminaNon escludo ci possa anche essere stato un discorso sessista: in fondo i destinatari di queste storie erano esclusivamente uomini ed è plausibile che si sia cercato di fare leva anche quella innata paura del "diverso", che tutt'oggi ancora conosciamo bene.
Lieto che ti sia piaciuto quel frammento. Anche a me piacerebbe assistervi dal vivo e mi danno al pensiero di non averne approfittato quando mi recai in Giappone parecchi anni fa...
Post molto interessante, ti faccio i miei complimenti. Sicuramente dovrò recuperare qualcosa di Lafcadio Hearn.
RispondiEliminaOttima iniziativa! Non è nemmeno difficilissimo, a quanto pare.
EliminaCiao, arrivo da te dal bog di Luz. Intanto complimenti per il Chaplin Award che hai vinto grazie a questo post che ho apprezzato per la sua originalità e la ricerca che sottende. Siamo dunque sulla strada del 100mo racconto, ogni candela spenta fa tremare una parte di noi, chissà cosa succederà quando anche l'ultima sparirà... Buon 2021, intanto
RispondiEliminaCiao Elena, e benvenuta sul blog! Il centesimo Kaidan è ancora molto lontano (non sono nemmeno a un terzo), ma conto di accelerare nettamente in questo 2021! Grazie per le belle parole. Buon 2021!
EliminaCiao Tom, ho recuperato ora questo tuo articolo che mi è piaciuto moltissimo perché scritto con la consueta bravura. Come sai amo le storie di fantasmi, a qualsiasi latitudine appartengano, e ho visto che ti avevo lasciato dei commenti sugli articoli del 2016... :D Mi ha colpito molto anche la cura e il rispetto con cui Lafcadio Hearn aveva scritto queste storie.
RispondiEliminaGrazie per essere tornata a recuperare questa vecchia serie di post! Le storie di fantasmi, hai regione, sono intriganti a tutte le latitudini, ma personalmente sono solo quelle giapponesi a impedirmi di dormire bene la notte..
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