sabato 22 febbraio 2020

Kaidan Botan Dōrō (Pt.5)

Kaidan Botan Dōrō, Satsuo Yamamoto, 1968
LA PRIMA PARTE SI TROVA QUI

Alla fine degli anni Dieci del Novecento, il cinema giapponese comincia a raggiungere una posizione di privilegio rispetto al teatro. La major più famosa, la Nikkatsu, è già saldamente affermata, e in giro per il paese tutti cominciano già a riconoscere i volti delle prime star del muto; tra queste il già citato Onoe Kikugorô V, uno dei pochi attori kabuki che provò a cimentarsi con il cinema. 
La prima versione del Botan Dōrō fu girata nel 1910, un film certamente muto di cui neanche IMdB riesce a fornire alcuna notizia supplementare. Il cortometraggio Botan Dōrō di Shôzô Makino (Nikkatsu, 1914), andato perduto come molti altri, presumibilmente in occasione del grande terremoto del Kantō che colpì la pianura omonima nella tarda estate del 1923, è interessante più che altro perché fu girato da colui che è universalmente conosciuto come il padre del cinema giapponese.
Shôzô Makino a quei tempi era già una celebrità, e non solo per la versione datata 1912 di un altro celebre kaidan (Tōkaidō Yotsuya Kaidan). Figlio illegittimo, Shôzô Makino imparò il mestiere grazie alla madre, che all’epoca (era il 1901) gestiva un teatro kabuki. In carriera diresse centinaia di film (nemmeno la wikipedia giapponese è in grado di citarli tutti) e arrivò a fondare una sua casa di produzione. Nel 1928, all’età di 50 anni, girò il suo film più celebre, Chūkon giretsu: Jitsuroku Chūshingura (忠魂義烈 実録忠臣蔵, Chushingura: The Truth), basato sul tema classico dei quarantasette ronin. 

Nel vent’anni successivi vennero girati almeno altri sei film, anche questi purtroppo andati perduti. Nello specifico: Botan Dōrō di Kaname Mori (1921), Botan Dōrō di Shirô Nakagawa (1923), Botan Dōrō di Yoshiro Edamasa (1924), Botan Dōrō di Kôroku Numata (1926), Shinpan Botan Dōrō (1928) di Tamizo Ishida e Botan Dōrō di Shûichi Yamashita (1930). Dovrebbe esserci anche un Botan Dōrō datato 1936 o 1937, ma questo (o questi, nel caso fossero due film distinti) è piuttosto difficile da verificare. 
Sfortunatamente, né IMdB né il web in generale sono in grado di fornire alcun tipo di informazione sulle innumerevoli uscite del Botan Dōrō ai tempi del cinema muto: qua e là, ma non sempre, vengono indicati i nomi degli attori principali, un pugno di noiosissimi dettagli tecnici e, giustamente, viene citata la casa di produzione che si occupò dei lavori. 

Kaidan Botan Dōrō, Akira Nobuchi, 1955
È del 1955 il primo Kaidan Botan Dōrō esplicitamente tratto dalla variante di Enchō, e di cui ci è giunta almeno la locandina (che non è però quella che qualcuno ha caricato su IMdB). Per la regia di Akira Nobuchi, questo Kaidan Botan Dōrō  vede protagonista uno dei volti più amati dal pubblico femminile dell’epoca, quel Chiyonosuke Azuma (1926-2000), già attore kabuki e ballerino a tempo pieno, che oggi è ricordato principalmente per una quantità infinita di film drammatici a sfondo storico della Toei e per una lunga serie di produzioni televisive. La sua grazia quasi femminile, accentuata nella danza, è la sua caratteristica più evidente, come d’altra parte è constatabile nei rarissimi documenti video recuperabili in rete (qui ce n’è uno). 

Un piccolo salto in avanti e arriviamo al 1968, quando finalmente troviamo quella che a oggi può indiscutibilmente definirsi la miglior trasposizione cinematografica del Kaidan Botan Dōrō, prodotta negli studi Daiei e girata dal registra Satsuo Yamamoto. Potete trovarlo in giro indifferentemente con una decina di titoli diversi (Kaidan botan-dôrô, The Bride from Hell, The Bride from Hades, My Bride Is a Ghost, Ghost Beauty, A Ghost Story of Peonies and Stone Lanterns, A Tale of Peonies and Lanterns, Peony Lantern, Peony Lantern Ghost Story, Haunted Lantern), ma sappiate che si tratta sempre dello stesso film. La vicenda si discosta ulteriormente dalla versione di San'yūtei Enchō: qui il protagonista Hagiwara Shinzaburō ci viene presentato come un insegnante di scuola media. 

Kaidan Botan Dōrō, Satsuo Yamamoto, 1968
Siamo in pieno festival dell’Obon, il primo da quando il suo fratello maggiore è morto, lasciando una giovane vedova alle sue spalle. Kiku, la cognata, sta diventando un problema per il clan in quanto la sua famiglia di nascita non l'ha richiamata.
Per uscire dall’imbarazzo di avere una donna senza marito che perde tempo in casa, il clan si convince che l'opzione migliore sia quella di darla in moglie al giovane Shinzaburō.
Quest’ultimo preferisce però trascorrere il suo tempo insegnando ai bambini, con il sogno di riuscire un giorno ad aprire una scuola tutta sua. Ne nasce un conflitto che si risolve con Shinzaburō costretto alla fuga.
Nelle sue peregrinazioni, Shinzaburō assiste alla tradizionale cerimonia in cui le lanterne vengono fatte galleggiare sull'acqua. Notando che due di esse si sono impigliate a riva le libera, in modo che anche loro possano essere trasportate, come le altre, dalla corrente.
Due donne, apparse dal nulla, lo ringraziano per la sua gentilezza: una di loro è una serva di mezza età, l'altra una fanciulla di rara bellezza. Le due raccontano a Shinzaburō la storia strappalacrime di come fu che la più giovane, ancora vergine, abbia attirato le sconce attenzioni di un anziano danaroso. Naturalmente, le donne omettono dalla loro storia l’importante dettaglio che noi già conosciamo. Segue l'inevitabile “happy end”. 
Nonostante abbia contribuito allo sforzo bellico realizzando una serie di film di propaganda, il regista Satsuo Yamamoto fu dichiaratamente “uno di sinistra”, e sebbene il film non sia in alcun modo apertamente politico, perlomeno non quanto alcuni suoi altri lavori, riesce con arguzia a trasmettere un messaggio di condanna alla crudeltà e all'indifferenza delle élite feudali nei confronti del popolo.
Shinzaburō, nel finale, trova in Otsuyu ciò che ha sempre inconsciamente desiderato: la fine della sua tormentata esistenza e la rivincita nei confronti di quella solitudine che deriva dall'essere intrappolato tra due strati sociali in una gerarchia di classe strettamente controllata. 

Seidan Botan Dōrō, Chûsei Sone, 1972
Sbarchiamo ora negli anni Settanta, quando il cinema giapponese sta ormai conoscendo la sua crisi più profonda. Così come era successo agli Stati Uniti prima e all’Europa poi, anche l’impero del Sol Levante sta facendo i conti con un fenomeno in crescita a ritmi stupefacenti: la televisione.
Nel giro di un decennio, Il cinema giapponese subisce un crollo verticale degli spettatori (oltre un miliardo nell'anno-record 1958, poco più di trecento milioni nel 1967, appena 187 milioni nel 1973). Occorre quindi differenziare l’offerta, e se oltre oceano Hollywood aveva individuato nelle grandi e costose produzioni la via d’uscita dalla crisi, il Giappone, senza mezzi termini, sceglie la strada dei Roman-poruno (pornografia romantica).
Ciò che differenziava i Roman-poruno dai Pinku-eiga (produzioni softcore a basso costo) era la qualità artistica delle opere, nelle quali finirono per cimentarsi cineasti di primo piano quali, su tutti, il mitologico Kōji Wakamatsu
Inevitabile quindi che il successivo adattamento di Botan Dōrō apparisse in questa forma. Nel 1972 il regista Chûsei Sone presentò quindi “Seidan botan-dôrô” (anche noto con i titoli di “Erotic Bride from Hell”, “Hellish Love”, “Erotic Story: The Peony Lantern” e “Peony Lantern Sex Story”), nel quale il sesso occupa ovviamente gran parte del minutaggio (67’). Un piccolo ritorno alle origini, quindi. 
Tra le numerose scene di nudo, richieste dal genere, troviamo Shinzaburō nei panni di un ronin che si guadagna la pagnotta riparando ombrelli per la strada. Durante il festival dell’Obon avviene il fatale incontro con Otsuyu e i due si innamorano perdutamente. Il padre di lei ovviamente non approva la relazione, uccide la figlia… e il resto è storia nota. 

The Haunted Lantern, Masaru Tsushima, 1998
Cambiano i tempi e cambia anche il Botan Dōrō. Un salto in avanti di vent’anni e il regista Itsumichi Isomura ci propone “Botan-dôrô 1990”, quasi a voler sottolineare un taglio netto con la tradizione. Il film, conosciuto anche con il titolo alternativo di “Tōkyō Ghost Story: on a foggy night, she came to do it”, questa volta è ambientato nel Giappone moderno e Shinzaburō veste i panni del manager di un gruppo rock. 
Nel 1998 è il momento di “Otsuyu: Kaidan Botan Dōrō” (The Haunted Lantern) di Masaru Tsushima, che rivoluziona in gran parte la struttura del Botan Dōrō classico. 
Shin ha un incubo ricorrente: lui e la sua ragazza sono intrappolati nella foresta da un malvagio samurai che vuole farli a pezzi. I due si fanno quindi una promessa: se proprio devono morire, allora è meglio mettere rapidamente in pratica un doppio suicidio rituale, cosicché il loro amore possa in seguito riunirli in cielo.
Il samurai malvagio, divertito da quella situazione imprevista, offre a Shin salva la vita se accetta di lasciar suicidare la ragazza da sola. Lei (in una scena piuttosto splatter) si taglia la gola e, mentre muore, si accorge che il compagno non è disposto a mantenere la promessa. Ogni volta che Shin si risveglia da quell’incubo i suoi dubbi aumentano, finché egli non inizia a chiedersi se il suo sia davvero un sogno oppure il ricordo di una vita passata. La risposta potete immaginarla: Otsuyu ritorna dal mondo delle ombre per cercare di convincere Shin a sacrificare la sua vita e adempiere all'antica promessa d'amore eterno.

Il resto è storia fin troppo recente. Nel 2007 sbarca nelle sale giapponesi “Kaidan Botan Dōrōu: Motto Motto Aisaretakatta (Peony Lantern Ghost Story), superflua opera prima (e unica) di Takeya Yoshida, rintracciabile anche con il titolo alternativo di “Peony Lantern Ghost Story: I Wanted to be Loved by You More Deeply”. Due anni più tardi è invece il momento di Shinema kabuki kaidan: Botan dôrô di Ichiro Inui, performance kabuki trasferita su pellicola della quale avete già gustato un estratto nel post di apertura. Entrambi i film, così come i registi, non arrivano però a guadagnarsi nemmeno una citazione sulla wikipedia giapponese. 

Da sinistra a destra, le locandine dei film del 1972, del 1990 e del 2007
È giunto però il momento di mettere la parola fine a questa faticosa carrellata cinematografica che, ve lo assicuro, è stata faticosissima. Ho volutamente trascurato alcuni titoli che della lanterna delle peonie vantavano il titolo, ma che a conti fatti raccontavano storie completamente diverse (all’interno di generi completamente diversi, in alcuni casi). Ma d’altra parte, è facile comprendere come il fascino di Otsuyu abbia potuto intrigare una ventina di generazioni. Avrei forse potuto andare avanti per un paio di settimane ancora, arrivando anche a citare magari Haruki Murakami e il suo romanzo “Kafka sulla spiaggia” (2002), in cui è presente una scena di sesso tra un uomo e uno Yūrei… ma sarebbe stato troppo, anche per la pazienza di voi che mi avete seguito fin qui.
Non ci resta a questo punto che un’unica domanda a cui rispondere: quella di Otsuyu è una storia vera? Lascerò l’ultima parola a Lafcadio Hearn, che ha tentato di seguire a ritroso le tracce di quella leggenda quasi millenaria: 
Non trovammo quel tempio per nulla interessante, mentre il cimitero era in uno stato di deplorevole desolazione. Gli spazi un tempo occupati dalle tombe erano stati trasformati in campi di patate. Sparpagliati qua e là c’erano delle tombe uscite di simmetria a ogni angolo, tavolette rese illeggibili perché coperte da una crosta, piedestalli vuoti, contenitori d’acqua in frantumi e statue di Buddha senza testa e senza mani. […]
Vedemmo una donna che cucinava e il mio compagno volle chiederle se sapesse qualcosa delle tombe descritte nel racconto della lanterna con le peonie. «Ah, le tombe di Otsuyu e Oyone?» ripose costei sorridendo. «Le troverete in fondo alla prima fila nel retro del tempio, vicino alla statua di Jizo.» […] 
Intraprendemmo il nostro cammino fra le pozzanghere. […] Raggiungemmo alla fine due tombe corrose dal lichene sopra le quali le iscrizioni sembravano quasi cancellate. […] «Non è facile distinguere le lettere» disse il mio amico, «ma aspettate un po’…». Si tolse dalla manica un foglio di morbida carta bianca, lo appoggiò sopra l’iscrizione e cominciò a grattare con un coccio di terracotta. In questo modo le lettere risaltarono bianche sulla superficie annerita. […].
«Che razza di impostura!» esclamai. «Quella donna si è presa gioco di noi.». «Adesso» protestò il mio amico, «siete ingiusto con quella donna! Siete venuto qui alla ricerca della sensazione e lei ha fatto del suo meglio per accontentarvi. Non avrete mica creduto che questa storia fosse vera, o sì?» (Lafcadio Hearn, “A Passionate Karma”, 1899)


Bibliografia parziale: 
Colette Balmain, Introduction to Japanese Horror Film, Edinburgh University Press,
Enchō San'yūtei, La lanterna delle peonie: Storia di fantasmi, Marsilio Editori spa
François Jost, Melvin J. Friedman, Aesthetics and the Literature of Ideas, University of Delaware Press
Grace James, Green Willow and Other Japanese Tales, Macmillan
Hiroko Yoda, Matt Alt, Yurei Attack!: The Japanese Ghost Survival Guide, Tuttle Publishing
Kenneth G. Henshall, Storia del Giappone, Mondadori 
Lafcadio Hearn, Nel Giappone spettrale, Tranchida Editori
Michael Walker, Modern ghost melodramas: what lies beneath, Amsterdam University Press, 
Patrick Drazen, A Gathering of Spirits: Japan's Ghost Story Tradition from Folklore and Kabuki to Anime and Manga, iUniverse
Zoë Kincaid, Kabuki, the Popular Stage of Japan, Macmillan


Il presente articolo è parte di un vasto progetto che ho voluto chiamare Hyakumonogatari Kaidankai (A Gathering of One Hundred Supernatural Tales) in onore di un vecchio gioco popolare risalente al Giappone del periodo Edo (1603-1868) e, di  tale progetto,  esso rappresenta la parte 33 in un totale di 100.
Se volete saperne di più vi invito innanzitutto a leggere l'articolo introduttivo e a visitare la pagina statica dedicata, nella quale potrete trovare l'elenco completo degli articoli sinora pubblicati. L'articolo è inoltre parte del micro-speciale in cinque parti Kaidan Botan Dōrō che è iniziato qualche giorno faBuona lettura! 
P.S.: Possiamo spegnere la 33° candela...

4 commenti:

  1. Vedo che anche nella cinematografia nipponica esistono moltissime pellicole perdute.
    Buona torta e buona 33 candelina. E' un bel traguardo per un dossier :)

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    1. Tra terremoti, inondazioni, inabissamenti e bombe atomiche, mi stupisce piuttosto che si sia salvato qualcosa....

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  2. Accidenti, faccio fatica a trovare una storia che abbia avuto così tante trasposizioni cinematografiche. Mi vengono in mente solo classicissimi come Dracula o Romeo e Giulietta. Evidentemente la storia del Botan Doro nell'immaginario collettivo giapponese occupa un ruolo importantissimo. E in effetti quando mi capitò di studiare con degli studenti giapponesi mi sorpresi a constatare come praticamente tutti, senza se e senza ma, credevano agli spiriti e ai fantasmi, a differenza dei giovani europei.

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    1. Sono tre gli Yurei che si battono per il primato nella popolarità in Giappone. Due di questi li abbiamo gia affrontati: si tratta di Otsuyu, che abbia affrontato in questo giorni, di OKiku, visto nello speciale "Ghost in the Well", e di Yotsuya (noto anche come "Ghost of Oiwa"), forse il più pericoloso del gruppo, che affronteremo in futuro.
      Tante trasposizioni cinematografiche, ma ancora nulla in confronto a quante ne abbia raccolte Gojira/Godzilla...

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