lunedì 10 febbraio 2020

Kaidan Botan Dōrō (Pt.2)

Botan Doro by Yoshimi Maruyama
LA PRIMA PARTE SI TROVA QUI 

“Vivere momento per momento, volgersi interamente alla luna, alla neve, ai fiori di ciliegio e alle foglie rosse degli aceri, cantare canzoni, bere sake, consolarsi dimenticando la realtà, non preoccuparsi della miseria che ci sta di fronte, non farsi scoraggiare, essere come una zucca vuota che galleggia sulla corrente dell’acqua: questo, io lo chiamo ukiyo”. - Asai Ryōi, Racconti del mondo fluttuante (Ukiyo monogatari, 浮世物語, 1661).

Le storie di fantasmi erano già un soggetto molto popolare nel folclore, nel romanzo e nel teatro giapponesi, ma fu solo durante l’epoca Tokugawa (1603-1868) che esse conobbero una nuova ripresa, emergendo come un genere letterario ben definito e ispirandosi alla letteratura popolare cinese di epoca Ming sullo stesso argomento, importata e tradotta in Giappone. L’epoca Tokugawa, che aveva segnato l’inizio di un lungo periodo di pace dopo più di un secolo di guerre feudali, fu particolarmente fertile per la vita culturale del paese e i suoi centri nevralgici, Ōsaka prima e, in seguito, Edo (oggi Tōkyō), prosperavano nel rinnovato entusiasmo per le arti e per le lettere.
Fu proprio nel grande fermento intellettuale dell’epoca che Asai Ryōi (浅井 了意, 1612-1691), monaco buddhista e grande scrittore di racconti popolari (suo l’Ukiyo Monogatari citato in apertura), mise per iscritto la prima versione giapponese del Botan Dōrō, per poi includerla nella sua raccolta di favole “La bambola talismano” (Otogi-bōko, 御伽婢子, 1666), che l'autore aveva compilato ispirandosi, appunto, a un classico cinese. 
Oggi possiamo tranquillamente considerare il Botan Dōrō come il vero precursore del genere Kaidan, che avrà in seguito un’enorme diffusione nella letteratura e nel teatro e, in tempi più moderni, nel cinema e nella televisione.

I primi 3 volumi (su un totale di 16) dell'Otogibōko. 
Asai Ryōi 浅井了意. Otogibōko 伽婢子.
Kyōto: Nishizawa Tahē 京都:西澤太兵衛, 1666.
British Library, 16107.c.45
La versione del Botan Dōrō di Asai Ryōi è ambientata nella prima notte dell’Obon (お盆, la festa delle lanterne), la celebrazione di mezza estate del culto buddhista ai defunti, le cui anime per quattro giorni all’anno si ritiene possano ritornare nelle proprie dimore terrene per riunirsi ai propri cari. (1)
La vicenda ruota attorno a due figure femminili che, proprio nella notte in cui i giapponesi invitano con un rituale chiamato mukae-bon gli spiriti dei loro antenati a tornare, si trovano a passeggiare nei pressi dell’abitazione di un samurai, illuminando la propria via con il tenue chiarore di una lanterna di peonie. 
Ogiwara Shinnojo, questo il nome dell’uomo, le invita a entrare e resta immediatamente colpito dell’eterea bellezza di una delle due fanciulle, Otsuyu. Quella stessa notte i due si giurano eterno amore. Da quel momento in poi, ogni sera al crepuscolo, Otsuyu e la sua accompagnatrice rendono visita a Ogiwara e, tra un bicchiere di sake e l’altro, rimangono a fargli compagnia fino a poco prima dell’alba. L’uomo viene così a conoscenza del fatto che Otsuyu proviene da una famosa famiglia ormai in declino e che lei e la sua serva, rimastale accanto, si sono ridotte a vivere di stenti, ospiti di un tempio non molto lontano da lì. 
Solo dopo qualche giorno un anziano vicino di casa ficcanaso, insospettito dallo strano andirivieni notturno, decide di avvicinarsi all’abitazione del samurai e, sbirciando attraverso una finestra, con grande terrore scorge Ogiwara sdraiato nel letto accanto a uno scheletro.

Il mattino seguente l’anziano mette in guardia del pericolo il samurai il quale, convintosi, si reca al tempio che la donna gli aveva indicato, scoprendo così la terribile verità. 
Terrorizzato, Ogiwara si reca quindi da un monaco buddhista per chiedere consiglio. Il saggio, che gli conferma che la sua vita è davvero in grave pericolo, suggerisce al malcapitato di proteggere la propria abitazione con degli amuleti in grado di tenere lontani gli spiriti. Amuleti che, la sera stessa, danno i risultati sperati: le due donne non riescono ad avvicinarsi e si lasciano andare a un pianto straziante. 
Impossibilitato a resistere allo charme di Otsuyu e al suo richiamo, Ogiwara si precipita fuori e, colto di sorpresa, viene trascinato via. La mattina seguente, il corpo senza vita del samurai verrà trovato nei pressi di una tomba, al vecchio cimitero del tempio, saldamente intrecciato con lo scheletro di quella che fu una giovinetta. 
I più informati sarebbero pronti a giurare che in certe notti di pioggia gli spettri di Ogiwara e Otsuyu sarebbero ancora avvistabili mentre camminano mano nella mano, accompagnati a poca distanza da una ragazza con una lanterna di peonia. Si dice anche, ma forse è solo una leggenda, che chi dovesse incontrarli sul suo cammino sarà destinato ad ammalarsi gravemente. 

Shinnojō e la sua amante scheletrica, che scheletrica. Otogibōko. British Library, 16107.c.45, vol. 3, f. 16r
Se vi è già capitato in passato di leggere “La lanterna delle peonie” (nella sua versione più diffusa, quella di San'yūtei Enchō, o nella versione “short” di Lafcadio Hearn), avrete certamente storto il naso di fronte alle numerose difformità tra ciò che suggerisce la vostra memoria e la vicenda che ho appena finito di narrare. Ebbene, non vi state affatto ingannando. Il Botan Dōrō nel corso dei secoli si è evoluto e trasformato, adattandosi meravigliosamente a tutte le epoche che esso ha attraversato (caso, questo, più unico che raro).

Ma se pensate che la versione inclusa nell’Otogi-bōko sia quella autentica e originale, siete in errore: se vogliamo risalire a quella dobbiamo salire su una macchina del tempo, proiettarci nella Cina dell’epoca Ming (1368-1644), più precisamente nei suoi primi anni, e assistere alla stesura di un manoscritto di racconti buddhisti dalla dubbia moralità intitolato “Jiandeng Xinhua” (Nuove storie da ascoltare a lume di candela, 1378), rielaborazione di una raccolta di racconti quasi omonima, scritta pochi anni addietro e andata perduta. 
L’autore, tale Qu You (瞿佑, 1341–1427), fu in patria un poeta molto rinomato ma, a causa dei contenuti ad alto contenuto erotico dei suoi componimenti, fu incarcerato e mandato a marcire in una lontana colonia penale nella provincia di Suiyuan, dove rimase sin quasi alla sua morte. Il sesso vende, è dimostrato, e vendeva parecchio anche nella Cina dei Ming!

Qu, You - Jiandeng Xinhua Jujie
Ed. Nizaemon Keian Gannen, 1648
Tornando a noi, e sfogliando il Jiandeng Xinhua, non ci sarà difficile individuare un preciso racconto il cui titolo (Mudan Denjii) è guarda caso traducibile come “Il racconto della lanterna delle peonie” ed è ambientato in Cina durante il Festival delle lanterne. Per inciso, la festa delle lanterne cinese, anch’essa simbolo di riunione familiare, differisce da quella giapponese solo per il periodo dell’anno in cui si celebra. (2)
Protagonista della vicenda tale Qiao Zheng che, appunto in quei giorni di festa, nota una donna di bell’aspetto accompagnata da una giovinetta di nome Loto Dorato (anch’essa portatrice di lanterna). Attratto dalla straordinaria eleganza della donna, la invita a casa propria e la seduce. Il solito vicino ficcanaso scopre la verità sull’identità della giovane e suggerisce a Qiao Zheng di indagare lui stesso.
Le sue ricerche lo porteranno a un tempio buddista nel quale è conservata una tomba, sulla tomba una lanterna e, sotto la lanterna, una statuetta di terracotta rappresentante una serva con la scritta “Loto Dorato” sulla base. 
Piuttosto simile al Botan Dōrō di Asai Ryōi, incluso il raccapricciante epilogo con la morte del protagonista maschile, il Mudan Denjii gode però di una coda molto più elaborata: un sacerdote taoista trascinerà gli spettri dei due amanti nei tetri abissi infernali e, al cospetto di Satana, verrà messo in scena un processo morale che inevitabilmente si concluderà con la condanna dei due malcapitati. 

Se l'aspetto etico o morale del racconto cinese è quindi indiscutibile, lo stesso non si può dire della sua controparte giapponese. L’autore dell’Otogi-bōko infatti, sebbene lui stesso fosse un monaco buddhista ancor prima che uno scrittore, non appare interessato agli elementi morali e religiosi del Mudan Denjii e taglia via drasticamente tutto ciò che non è inerente il tema principale. In un sol colpo si toglie quindi l’impiccio di dover illustrare al pubblico giapponese, al quale i rituali taoisti non erano poi così familiari, il complesso significato di quell’ultimo capitolo.

Ehon kaichukagami, Toyokuni Utagawa, 1823
Non tenta nemmeno, l’autore, di trasmettere un messaggio buddista, se non per una vaga citazione al potere del Sutra del Loto posto in chiusura. Si potrebbe piuttosto sostenere che questa storia serva a mettere in guardia gli uomini dall’incontrarsi con donne sconosciute, in quanto portatrici di sventura. Tuttavia, è difficile credere che questa etica sia davvero il punto focale della storia, poiché 1) non vi è traccia di sofferenza nel samurai o di divina punizione per la sua condotta, e 2) sebbene Ogiwara muoia davvero, ritorna nel mondo dei vivi e si palesa mano nella mano con la sua amata per terrorizzare e portare disgrazia.

Per dovere di cronaca, esisterebbe una versione giapponese del Botan Dōrō addirittura antecedente a quella di Asai Ryōi, tradotta e inserita, così come altri due racconti tratti dal Mudan Denjii, in una raccolta intitolata “Ku Zotanshu” (Collection of Miscellaneous Strange Tales, 1650). Essendo però il suo autore rimasto anonimo, ed essendo il “Ku Zotanshu” una traduzione letterale (anziché un’elaborazione, come nel caso dell’Otogi-bōko), non ritengo necessario spenderci troppo tempo. È invece il caso di fare un netto salto in avanti di due secoli e ritrovare nuovamente il Botan Dōrō in una nuova elaborazione, quella a noi forse più conosciuta di San'yūtei Enchō (初代 三遊亭 圓朝(円朝), 1839-1900). Ma questa è senz’altro materia della prossima puntata.

(1) Il festival di Obon dura tre giorni; tuttavia la sua data di inizio varia all'interno delle diverse regioni del Giappone. Quando il calendario lunare venne sostituito dal calendario gregoriano all'inizio dell'era Meiji, le località in Giappone hanno reagito in modo diverso e questo ha portato a una divisione in tre momenti diversi della Obon. Lo "Shichigatsu Bon" (Bon nel mese di luglio) si basa sul calendario solare e si celebra il 15 luglio in tutto l'est del Giappone (regione del Kantō, come Tokyo, Yokohama e la regione di Tohoku), in coincidenza con l'Ullambana. "Hachigatsu Bon" (Bon nel mese di agosto) si basa sul calendario lunare, si celebra il 15 di agosto ed è il momento più comunemente celebrato. "Kyu Bon" (Old Bon) si celebra il quindicesimo giorno del settimo mese del calendario lunare e cade in una data diversa ogni anno. (Fonte: Wikipedia)
(2) La festa del Qingming è una festa tradizionale cinese celebrata 104 giorni dopo il solstizio d'inverno (o il quindicesimo giorno dall'equinozio di primavera), che nel calendario gregoriano cade generalmente il 4 o il 5 aprile. Il nome cinese Qingming è anche un termine astronomico, che sta ad indicare il primo giorno del quinto periodo solare nel calendario lunisolare. (Fonte: Wikipedia)

Il presente articolo è parte di un vasto progetto che ho voluto chiamare Hyakumonogatari Kaidankai (A Gathering of One Hundred Supernatural Tales) in onore di un vecchio gioco popolare risalente al Giappone del periodo Edo (1603-1868) e, di  tale progetto,  esso rappresenta la parte 30 in un totale di 100.
Se volete saperne di più vi invito innanzitutto a leggere l'articolo introduttivo e a visitare la pagina statica dedicata, nella quale potrete trovare l'elenco completo degli articoli sinora pubblicati. L'articolo è inoltre parte del micro-speciale in cinque parti Kaidan Botan Dōrō che è iniziato qualche giorno faBuona lettura! 
P.S.: Possiamo spegnere la 30° candela...

8 commenti:

  1. Ho rimediato on line la traduzione/adattamento di Lafcadio Hearn in inglese, che differisce un po': nella sua versione (che però se è ho capito bene fa riferimento al dramma teatrale kabuki ispirato dal racconto, e non al racconto originale) il vicino di casa viene minacciato dagli spettri che gli chiedono di togliere gli amuleti dall'ingresso di casa del samurai. Lui chiede dei soldi per farlo, li ottiene, e quindi esegue il lavoro sporco che permette a Otsuya di entrare di nuovo in casa dal suo amato. E poi c'è una coda in cui il monaco buddhista del tempio spiega che evidentemente Otsuya amava quell'uomo anche in vite precedenti, per questo aveva un attaccamento così ossessivo, e conclude che è "giusto" seppellirli uno accanto all'altra.
    P.S.: grazie per avermi spinto a leggere questo racconto, davvero meraviglioso.

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    1. Ciò che ci ha trasmesso Lafcadio Hearn deriva da uno spettacolo kabuki al quale lo scrittore irlandese si ritrovò ad assistere. Siamo però ancora molto lontani da quel momento: prima di arrivarci dobbiamo per forza passare dalla versione narrata da San'yūtei Enchō che, tra le tante sua attività, era anche un celebre rakugoka...

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  2. Grazie anche da parte mia per avermi spinto a leggere questo racconto.

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    1. Non pensavo fosse così facile recuperare quel racconto on-line... :)

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  3. La storia mi è piaciuta molto, sopratutto la parte dove descrivi le sue varie evoluzioni nel tempo.

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    1. In questo caso non perderti il seguito, perché il Botan Dōrō vivrà moltissime altre trasformazioni...

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  4. Splendido articolo su un argomento molto interessante, ho letto con piacere nonostante la mia cronica incapacità di tenere a mente i nomi giapponesi se sono più di due per volta. :-)

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    1. Tranquillo, non sei l'unico ad avere difficoltà con i nomi giapponesi: il tempo che ho speso per scrivere quest'articolo è stato, per la maggior parte, dedicato ad orientarmi tra quei nomi così dannatamente simili...

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