lunedì 27 febbraio 2023

The Goat Man: la storia di un film perduto o forse mai esistito

Questo che oggi sto scrivendo è un post strano. Strano, ma non nel senso di anomalo, visto che altre volte mi sono trovato a indagare su faccende strane e misteriose; questo post è strano nel senso che tutto ciò che vi ruota attorno è strano, a partire dalla sua genesi. Oggi parliamo di un film, o per meglio dire di un film che dovrebbe essere tale ma che forse nemmeno lo è. Confusi? Anch'io, ed è per questo che ho bisogno di scriverne: magari riesco anch'io a chiarirmi le idee.

lunedì 20 febbraio 2023

Aroused

Capita alle volte di scovare quasi per caso piccoli film. Si tratta di film a cui a un’occhiata superficiale daresti poco e niente, ma per qualche strano motivo decidi offrire loro una chance, magari per via della locandina accattivante, dell’attore protagonista o magari, molto più semplicemente, per via del minutaggio ridotto, che richiede un impegno limitato e che ti consente quindi di sbatterti a letto a un’ora decente in vista della levataccia del giorno successivo. 
In mezzo a tutti questi esperimenti di visione capita talvolta, ahimè piuttosto raramente, che salti fuori qualcosa in grado di smentirti e che ti faccia venire addirittura voglia di scriverci un articolo per il blog. 
È il caso di “Aroused”, film del 1966 scritto e diretto da Anton Holden, un tizio che dietro la macchina da presa ha trascorso in realtà pochissimo tempo, da giovane, preferendo poi dedicarsi alla scrittura con risultati non sempre fortunati (come racconta sul suo sito, il suo primo libro, "Prince Valium", un saggio audace sulla dipendenza dalla droga e sulla guerra dei sessi, si tirò subito addosso l’odio feroce delle femministe americane). 

lunedì 13 febbraio 2023

Astonishing Fantasy Tales #1
(con un'intervista a Fabio Larcher)

E fu così che una sera di inizio febbraio mi ritrovai a vagare svogliatamente nel social network più noto di tutti i tempi, croce e delizia di qualche miliardo di utenti sulla faccia della terra. Sono perfettamente conscio che quella malefica piattaforma altro non è che un crogiolo di tutte le peggiori meschinità umane, ma ciò non trova riscontro (o perlomeno raramente lo trova) nei pochi gruppi di letteratura "strana" a cui sono iscritto, gruppi in un solitamente trovo spunti di lettura, curiosità che mi permettono in un secondo momento di popolare la rubrica "Traditi dalla fretta" o, non di rado,  nomi o realtà di vario genere che ritengo possa valere la pena seguire. Uno di questi nomi è Fabio Larcher.
Non esattamente uno sconosciuto, visto che frequentare con assiduità un numero ristretto di gruppi consente di guadagnare una reciproca familiarità con buona parte degli iscritti, ma Fabio non era nemmeno uno con cui mi si sono mai intrattenuto più di tanto. Almeno fino a poco tempo fa.
La molla che mi ha spinto a inviargli un messaggio privato è stata la presentazione del primo numero di "Astonishing Fantasy Tales", una nuova rivista la cui copertina potete ammirare qui accanto. Da vecchio amante di letteratura fantastica, quella che per intenderci ha avuto origine un secolo fa in quei vecchi periodici da edicola, non potevo che spalancare gli occhi come in un'estasi mistica e cercare il più in fretta possibile di saperne di più. Indizi ce n'erano pochi, visto che fino a qualche giorno fa questo nuovo progetto era ancora in attesa del varo (oggi invece è disponibile, e lo trovate su Amazon), così mi sono permesso di andare direttamente alla fonte. Ciò che ne è venuto fuori è stato un gustoso scambio di messaggi in chat, dai quali è scaturita l'intervista che vi offro qui di seguito. Buona lettura!

lunedì 6 febbraio 2023

L’isola dei morti

All’ombra de’ cipressi, e dentro l’urne confortate di pianto, è forse il sonno della morte men duro? (Ugo Foscolo, Dei Sepolcri, 1807) 

L’isola dei morti. Quattro parole che già così sono abbastanza evocative. Ma più che le parole, è evocativa l’immagine che prende forma nella nostra mente ascoltandole. È l’immagine di un dipinto sul quale di certo la stragrande maggioranza di chi ci inciampa è costretta a soffermarsi per molto più di un semplice istante. 
Un’immagine che, d’altra parte, forse per via della ricchezza di particolari, forse per via dell’impenetrabilità del soggetto, richiede un’attenzione particolare, e non certo un’occhiata distratta come quella che si concede a capolavori anche più celebri. L’arte in fondo è anche (e soprattutto) questo: non vi è, se non per ragioni commerciali, una vera necessità di assegnare un titolo a un’opera. E ciò è valido tanto per le arti figurative quanto per quelle uditive. Quante volte abbiamo riconosciuto immediatamente una melodia senza rammentare altrettanto immediatamente il titolo e il suo autore? Quante volte riconosciamo un’immagine senza associarla a null’altro che a se stessa? 
"L’isola dei morti" (Die Toteninsel) non fa eccezione: è straordinariamente facile riconoscerla e di lei anche i sassi sanno che 1) ne esistono diverse versioni e che 2) nel 1933 stregò il Führer al punto dal portarlo ad acquisirne una per lo studio della cancelleria del Reich. Il nome del suo autore è invece tutt’altro che facile ricordarlo e, prima che ricorriate a wikipedia, ve lo rivelerò io: si tratta di Arnold Böcklin, uno dei principali esponenti del simbolismo tedesco, corrente guarda caso caratterizzata da contenuti sempre molto complessi da decifrare. 
Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...