Berlino. Un pomeriggio di settembre. Sono qui per un appuntamento di lavoro, presso una fiera che si tiene qui tutti gli anni in questo periodo. Il taxi mi lascia in Alexanderplatz. L’albergo dove passerò la notte è proprio davanti a me, in un futuristico grattacielo da almeno 30 piani. Mi avvicino all’ingresso e varco la soglia. La hall è di forma ovoidale. Mi ritrovo su uno dei lati più lunghi dell’ovale. Alla mia sinistra la reception, rotonda e molto ampia, al cui interno si muovono indaffarate almeno una decina di persone. Alla mia destra c’è un bar, anche lui rotondo e perfettamente simmetrico con la reception posta sul lato opposto. Divani di pelle colorata sono sparsi qua è là di fronte al bar e alla reception. A destra del bar un corridoio porta al ristorante. Credo che lascerò il trolley in camera e poi scenderò nuovamente a bermi una birra. Le pratiche di check-in vengono evase rapidamente, come è tipico in alberghi di questo livello. Mi viene assegnata una camera al terzo piano. La conosco: è la stessa dell’anno scorso e dell’anno prima ancora. Che razza di coincidenza. Esattamente dalla parte opposta dell’ingresso vi sono sette ascensori, uno di fianco all’altro. Un campanello d’allarme scatta dentro di me. Non succede mai nulla di buono quando devo prendere un ascensore nei miei sogni. Sì, perché sto sognando, e di questo mi rendo perfettamente conto.
