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martedì 11 aprile 2017

Buppah Rahtree

Cosa rispondereste se vi chiedessero di nominare un franchise cinematografico tailandese di successo? Al di là del fatto che una domanda del genere sarebbe un’inutile crudeltà, vi garantisco che non è affatto facile rispondere, specialmente se la questione viene circoscritta al genere horror. Molto più facile sarebbe rispondere a una domanda simile sul cinema giapponese o su quello coreano, entrambi ampiamente più esportabili (ed esportati) di quello del paese a loro limitrofo. Neppure io, che da anni ormai seguo il cinema asiatico in tutte le sue sfaccettature, avrei potuto fornire una risposta convincente fino a nemmeno molto tempo fa.
Oggi però, senza pensarci un attimo, risponderei “Buppah Rathree!”. E lo farei forse sbagliando visto che, come ho accennato in chiusura del post precedente, “Buppah Rathree” non è affatto un horror, perlomeno non è quel genere di asian horror al quale ci siamo ormai tutti abituati grazie a Sadako e a tutti i suoi cloni.
In questo caso stiamo parlando di una serie di quattro commedie horror che pescano a piene mani da classici del cinema di ieri e di oggi, come L’Esorcista (1973) di William Friedkin o Audition (1999) di Takashi Miike, con l’occasione rivisti in chiave demenziale. Scritto così potrebbe sembrare che il sottoscritto stia oggi per parlare di una serie di boiate senza precedenti. Niente di più lontano dalla verità, perché Buppah Rathree dista anni luce dalle parodie horror occidentali alle quali siamo abituati. Siamo lontani anni luce anche da robaccia come Scary Movie (2000), come Riposseduta (1990) o come L’alba dei morti dementi (2004). Siamo lontani anni luce anche (mi sia perdonata l’eresia) da L’esorciccio (1975), un film che da bambino ho amato alla follia.
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