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martedì 10 giugno 2014

Valhalla Rising (Pt.3)

A questo punto è giunto il momento di riepilogare cosa sappiamo di Odino. Primo, Odino è un dio che presiede alla guerra e alla caccia ma, poiché come detto sopra padroneggia i segreti delle rune, non deve sorprendere che sia associato anche alla poesia, alla magia e alla divinazione; è saggio e onnisciente e inoltre – questo è particolarmente interessante - viene considerato uno psicopompo, avrebbe cioè la funzione (propria  ad esempo di Hermes/Mercurio e di Osiride) di transitare i defunti nella residenza ultraterrena – il Valhalla, per l'appunto.  (Le analogie fra i due dei non finiscono qui, ma non voglio andare troppo fuori tema.)
Torniamo ora al nostro film. Il viaggio di One-Eye, Are e dei vichinghi, nella nebbia e tra gli stenti, ha tutte le caratteristiche della sovrannaturalità. È possibile che tutti i personaggi -  tranne, forse, Are - siano deceduti durante la traversata e che all'approdo si trovino non in un luogo reale, ma nell'aldilà. Un aldilà che ognuno di loro interpreta come può, in base all'evoluzione spirituale raggiunta in vita, un aldilà che sconcerta e spaventa: i guerrieri cristiani sono terrorizzati dall'inferno, mentre One-Eye accetta il proprio ruolo di demiurgo e si autoimmola. Wrath, ira, era una caratteristica di Odino, ed è anche il sentimento che inizialmente guida tutte le azioni di One-Eye. Il sentimento che lo tiene in vita. Poi però qualcosa cambia, e l'intravedersi di uno scopo nella sua esistenza stempera quest'ira, la annichila. Se One-Eye è Odino o una reincarnazione di Odino, allora quelle all'inizio del film sono premonizioni di qualcosa che gli accadrà poi ed ecco perché alla fine soccombe senza combattere: la lotta non ha senso perché lui non esiste più, è già morto. Al contrario di alcuni degli altri che continuano a brancolare nel buio, ne è consapevole. Intraprendendo quel viaggio ha già determinato il suo destino.

domenica 8 giugno 2014

Valhalla Rising (Pt.2)

Il film è diviso in sei capitoli che si chiamano Wrath, Silent warrior, Men of God, The Holy Land, Hell e The sacrifice dall'indubbia (soprattutto per gli ultimi tre) reminiscenza cristiana. Eppure, anche se il Valhalla viene spesso definito come l’inferno della mitologia norrena, i due concetti sono molto diversi. L’inferno cristiano è un luogo di punizione e di dolore, il Valhalla invece è la residenza ultraterrena degli einherjar (o einheriar), gli spiriti dei guerrieri morti eroicamente in battaglia, una vera e propria città nella quale essi attendono l’avvento del Ragnarök, la fine del mondo, al quale prenderanno parte schierandosi con Odino contro i suoi nemici. Perciò dire che il Valhalla corrisponde all'inferno cristiano è una forzatura, è il modo di trovare un equivalente ad un concetto familiare alla mentalità cristiana, forse un tentativo postumo (e inconscio?) di giustificare la“colonizzazione” religiosa della Scandinavia.
Già nel IX secolo la religione primigenia della Scandinavia, quella norrena, era in declino e veniva gradualmente sostituita dal cristianesimo. Sappiamo che la divinità più importante di questo pantheon era Woden, a noi noto con il nome di Odino. La leggenda narra che Odino offrì uno dei suoi occhi al gigante Mímir per poter bere dell'acqua dalla fonte che egli sorvegliava e ottenere così la saggezza e l'onniscienza. In base a quanto narrato nell'Hávamál, uno dei poemi facenti parte dell'Edda poetica, una parte consistente dell'antico Codex Regius islandese, Odino “il signore degli impiccati” restò invece crocifisso per nove giorni e nove notti all'albero cosmico:

venerdì 6 giugno 2014

Valhalla Rising (Pt.1)

In principio c'erano solo gli uomini e la natura. Gli uomini vennero portando le croci e sospinsero i pagani ai margini della terra.
Di “Valhalla Rising”, in retrospettiva, mi restano soprattutto le suggestioni visive e uditive così indissolubilmente legate agli stupendi paesaggi scozzesi che fanno da sfondo alla vicenda. Mi è successo, come poche volte in precedenza, di lasciarmi ipnotizzare da quella natura evocativa e dimenticarmi quasi del filo logico della storia, e anche di me stesso. Forse perché ci sono poche distrazioni a quel flusso di immagini così potenti, viscerali da reggere quasi interamente su di sé il peso del film. 
Uno dei motivi per i quali molte persone non hanno apprezzato “Valhalla Rising” è la quasi totale assenza di dialoghi e la cripticità di quei pochi, eppure a me, da spettatore, la scelta appare non solo logica, ma anche l'unica davvero possibile. Se io fossi un guerriero vichingo che lotta per sopravvivere in una società tribale, alla mercé di in una natura ostile, dubito che avrei molta voglia di dissertare di filosofia (o di parlare di qualsiasi altra cosa, se è per quello. Il freddo può essere un vero deterrente per la vita sociale). Perciò sì, di film come “Valhalla Rising” nel bene e nel male non se ne vedono molti, ma non sono d'accordo con chi lo giudica solo un pretenzioso esercizio di stile. La verità è che il tema scelto da Nicolas Winding Refn (regista del successivo (e un tantino sopravvalutato) “Drive”) è abbastanza insolito e i suoi sono vichinghi atipici, perciò chi si fosse aspettato un film alla “Beowulf” inevitabilmente sarà rimasto molto deluso. Le scene di lotta e d’azione sono poche e quelle poche, benché efficaci, sono sviluppate in modo lento ed onirico, un po’ come tutto il racconto, e nonostante questo “Valhalla Rising” trova un senso proprio nella battaglia, è un film su un viaggio del destino che è dall’inizio alla fine una lotta.
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