Devo per forza essere impazzito. Non si potrebbe spiegare altrimenti questa mia temeraria iniziativa di voler scrivere a tutti i costi un pezzo su uno dei film più dibattuti del cinema italiano di genere, specialmente in un periodo, quello del cinquantesimo anniversario dalla sua uscita nelle sale, in cui tutti hanno già ampiamente detto la propria.
Eppure, se non questa volta, prima o poi era inevitabile che sarebbe accaduto. In fondo ho sempre considerato “Profondo Rosso” uno dei più grandi capolavori del cinema nostrano, anche se, e questo devo ammetterlo, con il passare degli anni mi sono dovuto più volte ricredere su certe valutazioni che in prima battuta mi avevano fatto gridare al miracolo. “Profondo Rosso” è un bel film d’impatto, ma certamente non è un capolavoro. E forse non è nemmeno il migliore tra quelli girati dal regista romano. Resta indubbio che si tratti del titolo che, nell’altalenante produzione argentiana, più di ogni altro ha influenzato il mio immaginario, e credo che ciò sia abbastanza evidente per coloro (pochi) che hanno avuto l’ardire di seguire pedissequamente questi quasi quindici anni di blog. In molte occasioni mi è capitato infatti di riportarlo alla luce, a partire da quel vecchio report di un mio sopralluogo nelle location torinesi fino ad arrivare alle analogie riscontrate (in un post abbastanza recente) in un misconosciuto pinku-eiga giapponese. Oggi, in occasione del cinquantenario del film e della dodicesima edizione di “Notte Horror” (dettagli in fondo), cercherò di occupare questo spazio scrivendo delle cose il più lontano possibile dall’ovvio (non scriverò, per esempio, un solo rigo sulla trama, perché sarebbe fiato sprecato).
Iniziamo col dire che era il 1975, per cui dobbiamo cercare di immaginarci da quelle parti. Molto più facile sarebbe ragionare con il senno di poi e misurare con esso il valore dell’opera. La realtà è che tutto quello che è venuto dopo, perlomeno all’interno del genere “film violento e sanguinolento”, non può che misurarsi proprio con “Profondo Rosso”, che al pari di poche altre pietre miliari (ma me ne vengono in mente giusto un paio) ha aperto la strada a milioni di titoli che oggi consideriamo dei classici che trasudano di originalità. Pensiamo a “Halloween” di John Carpenter, caposaldo indiscutibile del genere slasher, che ha il suo maggior punto di forza nella colonna sonora imponente che lo accompagna. Lo considerereste ancora pioneristico, dal punto di vista strettamente sonoro, sapendo che è arrivato tre anni dopo? Certo, è più probabile che Carpenter sia stato influenzato più da “Tubular Bells” che dai Goblin, ma è certo che l’uso che ne fece William Friedkin non fu così morboso e invadente come sarebbe stato per i suoi successori.
In “Profondo Rosso” la colonna sonora è importante tanto, quanto e forse più del film stesso, e ciò non è affatto un pregio, considerato, ma questo è un mio gusto personale, che per lunghi tratti arriva anche a spaccare i maroni. Essenziale è stato però il suo utilizzo nella sequenza di esplorazione della villa abbandonata (esperienza che i fan avrebbero ritrovato inalterata in “Inferno” del 1980), azzeccata al punto che tu, spettatore, avresti voluto essere lì con David Hemmings per viverla assieme a lui. Non è un caso se il me stesso ragazzino di allora un giorno spese tutta la sua paghetta per comprarsi la soundtrack di “Profondo Rosso” su vinile a 33 giri, e non è nemmeno un caso se la title-track (quella più famosa, per intenderci) è stata suonata pochissimo sul mio giradischi in confronto al resto dell’album. Detto in altro modo, ho sempre detestato ciò che altri lodavano. E in questo forse sta il mio problema. Ma sto uscendo dal seminato.
Parlando di pionieri, ricollegandomi a quanto sopra c’è sempre qualcosa che arriva prima di qualcos’altro, e “Profondo Rosso” non è esente dall’essere lui stesso derivativo. Mario Bava con “Sei donne per l’assassino” (1964) è certamente arrivato prima, e lo stesso “L’uccello dalle piume di cristallo” (1970) può essere considerato, di “Profondo Rosso”, una prova generale (anche in quel caso l’impianto è un’immagine che il protagonista aveva visto ma non focalizzato). In “Profondo Rosso” il regista romano ha semplicemente perfezionato il giochino assumendosi, con grande temerarietà, il rischio di piazzare subito la soluzione sotto gli occhi dello spettatore, una soluzione che, buon per lui, nessuno è mai riuscito a cogliere nel corso della prima visione. Ed è stato un giochino che, ammettiamolo, ha scritto la storia (e ha fatto la fortuna del suo ideatore).
Non importa se tutto il resto è assolutamente privo di logica; ciò che conta è quella soluzione, improbabile quanto si vuole, ma esattamente ciò che ha permesso ai fruitori degli anni Settanta di uscire soddisfatti dal cinema. Infondo, sono certo che è quella scena la molla che ha trascinato la gente in sala (il passaparola deve essere tra l’altro stato mostruoso!).
A proposito di logica, come detto quella fa acqua da tutte le parti, e considero ciò perdonabile solo fino a un certo punto. Volete degli esempi? Uso su tutti è il fatto che un semplice pianista, testimone del primo omicidio, si sia assunto la responsabilità di risolvere il caso mentre la polizia si faceva prontamente da parte. Altro esempio: l'assassino è sempre un passo avanti nell'eliminare gli indizi e coloro che li possiedono (ancora più sorprendente quando ne viene rivelata l’identità, ma a quel punto evidentemente della logica non ci frega più un cazzo). Per me, che per decenni ho guardato e riguardato “Profondo Rosso” in loop, la logica è una questione sulla quale a un certo punto ho smesso di interrogarmi, specialmente quando ho realizzato che per Dario Argento non è mai stata una priorità in nessuno dei suoi film, precedenti o successivi. Più che per l’assenza di logica, oggi provo una certa insofferenza per la scelta di aver invertito in maniera così accentuata gli schemi di genere: lui (David Hemmings) nervoso e vulnerabile, lei (Daria Nicolodi) aggressiva e sicura di sé. Capisco la parità, ma eccedere al contrario mi pare una forzatura che scivola nel ridicolo.Peccato, perché la Nicolodi avrebbe potuto lasciare un segno davvero importante,e se è vero, come dicono, che la mente pensante della famiglia fosse lei,allora proprio non capisco.
D’altro canto, capisco anche come le reazioni di Hemmings agli avvenimenti siano in questo modo molto più naturali: il suo essere l’esatto opposto di un eroe senza macchia e senza paura lo avvicina allo spettatore, che in lui si identifica e che per lui prova solidarietà.
Dario Argento, in tutta la sua produzione ma in particolar modo in “Profondo Rosso”, offre eccellenti momenti di creatività, a partire da quelle simmetrie che magari non saranno maniacali come quelle di Kubrick, ma che certamente sono quanto di meglio si possa trovare nel cinema di genere. L’ingegnoso uso della tavolozza dei colori, così come dell’illuminazione (come non notare in “Profondo Rosso” le prove generali di “Suspiria”?), della profondità di campo, oltre che il suo senso dello spazio e la sua ossessiva attenzione per i dettagli, dai più insignificanti ai più brutali, sono un marchio di fabbrica che nessuno è mai riuscito a imitare e rendono i suoi film una categoria a parte, a prescindere che li si ami o che li si odi. E poi c’è il motivo ricorrente dell’infanzia, sul quale andrebbe forse scritto un post a parte.
Ovviamente ci sono numerosi elementi che, per quanto detto nell’ultimo paragrafo, bisognerebbe eliminare (o far finta che non esistano), come quelle fiamme così clamorosamente farlocche che distruggono la villa, o quel misero manichino utilizzato nell’omicidio della sensitiva, ma come dicevo all’inizio era il 1975 e di questo occorre tener conto.
Personalmente, non ricordo il momento esatto in cui per la prima volta vidi “Profondo Rosso” (non sono nemmeno sicuro che fosse il primo dei suoi film ad aver incontrato), ma una cosa è certa: vorrei rinascere anche solo per potermelo riguardare senza spoiler, potermi sorprendere della rivelazione finale e fantasticarci poi sopra, nuovamente, per altri cinquant’anni.
Questo articolo è parte della tradizionale rassegna estiva “Notte Horror”, rassegna che poco a che fare con l’omonimo contenitore televisivo anni Ottanta se non che da esso trae ispirazione. Un pugno di blogger nostalgici, in pratica dei sopravvissuti a un’epoca che quasi non esiste più, cercano di rievocare quelle vecchie atmosfere facendo quello che sono bravi a fare: scriverne. Questa rassegna, giunta ormai alla sua dodicesima edizione, prosegue sul blog “Vengono fuori dalle fottute pareti”, dove vi consiglio di precipitarvi. L’elenco completo dei partecipanti all’iniziativa è consultabile nella colonna qui a destra, dove rimarrà per un tempo lungo ma non infinito. Prendete nota.
Riguardo la colonna sonora, pensa che il me stesso bimbo (senza aver ovviamente visto il film) era talmente affascinato da "Profondo rosso" che chiedeva spesso alla sua mamma di mettere sul giradischi il 45 giri con la mitica melodia ipnotica dei Goblin (mio padre aveva comprato il disco, anche lui evidentemente affascinato dalle sonorità). Passavo senza alcun problema da "Yuppi du" di Celentano a "Profondo rosso".
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