lunedì 30 gennaio 2023

Il ritorno di Hastur

Torniamo da oggi a parlare di Yellow Mythos, con un articolo che cerca di essere il naturale prolungamento di quello, vecchio ormai più di un anno, che avevamo dedicato al racconto “Haïta the Shepherd” di Ambrose Bierce
"Haïta il pastore", lo ricorderete, narrava le vicende di un ingenuo pastorello devoto al culto di Hastur, dio dei pastori. Quando l'ira di quest'ultimo, offeso dall'umanità, promise di affogare le città con grandi tempeste, egli lo minacciò di abbandonare la fede. Identificare Hastur con un essere (umano o divino che sia) non era affatto una novità: ce ne eravamo già accorti il giorno in cui affrontammo il racconto "The Demoiselle d'Ys", facente parte del canone chambersiano. Ci eravamo anche posti la questione di far convivere l'idea che Hastur potesse essere allo stesso tempo un individuo (nella fattispecie, una divinità) e un luogo (nel racconto “Il riparatore di reputazioni”). L'impresa si era rivelata subito complicata. Nell’articolo già menzionato, che dava preferenza alla soluzione divina, ci eravamo inoltre chiesti se Hastur, colui che non deve essere nominato, fosse un epiteto realistico o se al contrario si trattasse di un escamotage equiparabile a quello di Yahweh (o Yehovah a seconda delle culture) per far riferimento al famoso tetragramma con cui il Dio degli israeliti si rivelò a Mosè.

Proseguiamo oggi il nostro viaggio attraverso l’analisi di uno dei (rari) racconti che citano l’innominabile addirittura nel titolo: sto parlando de “Il ritorno di Hastur” dello scrittore statunitense August Derleth, autore essenzialmente ricordato per la sua amicizia con Howard Phillips Lovecraft e per la fondazione della casa editrice "Arkham House”, grazie alla quale egli pubblicò una propria serie di racconti ispirati agli scritti dello scrittore di Providence (i cosiddetti “Miti di Cthulhu”). 
I lavori di Derleth furono per anni al centro di pesanti critiche, sulla base della sensazione (in parte dimostrata) che egli sfruttasse la notorietà dell’amico per vendere un prodotto viceversa invendibile. Ciò nonostante, nessuno può negare che egli fece molto per promuovere gli scritti di Lovecraft e suo è essenzialmente il merito di averli resi, oggi più che mai, immortali. 
Ciò che salta comunque all’occhio, nella lettura di Derleth, è che quest’ultimo abbia premuto con forza l’acceleratore verso scenari anche molto lontani dai canoni lovecraftiani, mescolando tra loro elementi provenienti da autori diversi e successivi che, proprio perché non esiste una "verità" definitiva, sono spesso finiti in conflitto gli uni con gli altri nel tentativo di raggiungerla. Ciò è particolarmente vero all’interno dei cosiddetti Yellow Mythos, nei quali non c'è nemmeno armonia tra il canone chambersiano e quello bierciano, che costituiscono gli indiscussi due punti di partenza della mitologia, addirittura antecedente a quella lovecraftiana. 

Ma veniamo a “Il ritorno di Hastur”, racconto lungo uscito per la prima volta sul numero di marzo 1939 di Weird Tales e pubblicato successivamente nelle antologie derlethiane “Someone in the Dark” (1941) e “The Mask of Cthulhu” (1958). In Italia è arrivato solo nel 1986, all'interno dell'antologia "Il segno di Cthulhu", settimo volume della collana di narrativa horror e gotica "I miti di Cthulhu", curata da Gianni Pilo per le edizioni Fanucci.
In tale racconto Derleth espande il concetto di Hastur qualificandolo come un Grande Antico, progenie di Yog Sothoth, fratellastro di Cthulhu e suo nemico giurato, e lo assimila al Magnum Innominandum, progenitore di numerose altre entità cosmiche menzionato da Lovecraft nel famoso racconto “Colui che sussurrava nelle tenebre” (1930). 
Nel testo, collocato nella fittizia città di Arkham, pochi mesi dopo gli avvenimenti verificatasi nel vicino (e altrettanto fittizio) villaggio costiero di Innsmouth (cfr. “The Shadow over Innsmouth”, HPL 1936), facciamo la conoscenza con Haddon, avvocato della famiglia Tuttle e voce narrante. La storia presuppone che gli scritti di H.P. Lovecraft e Robert W. Chambers esistano realmente, perlomeno nel mondo in cui essa si svolge. Ma veniamo al paragrafo che a noi più interessa (la traduzione è di Maria Teresa Tirone, per la già citata edizione Fanucci). 
[...] È evidente che questa mitologia derivi da una fonte comune anche alla nostra Genesi leggendaria, ma la somiglianza è solo superficiale. Talvolta sarei tentato di affermare che questa mitologia è molto più antica di tutte le altre, certamente molto più vasta, visto che è cosmica ed eterna. Le sue entità sono di due nature: i Vecchi o Antichi, gli Dei Maggiori, che sono il "bene cosmico", e coloro che rappresentano il "male cosmico" e che hanno molti nomi. 
Gli Dei del Male si dividono in vari gruppi che sono associati agli elementi naturali, pur trascendendoli. Ci sono gli Esseri dell'Acqua, nascosti negli abissi marini, quelli dell'Aria, celati al di là del tempo, quelli della Terra, che sono sopravvivenze orribili di eoni remoti. 
Migliaia e migliaia di ere fa, gli Antichi hanno scacciato dal cosmo tutti i malvagi, imprigionandoli in molti luoghi. Ma, intanto, i Malvagi hanno generato una progenie infernale di schiavi che preparano il loro ritorno al potere. Gli antichi non hanno nome, ma loro potere è e sarà sempre tanto forte da bloccare quelli dei Malvagi. 
Tra i Malvagi ci sono sempre lotte, come anche tra gli esseri minori, Gli esseri d'Acqua si oppongono a quelli d'Aria, gli Esseri di Fuoco si oppongono agli Esseri di Terra. Ma, ciononostante, tutti insieme, odiano e temono gli Dei Maggiori, e sperano sempre di sconfiggerli nel futuro.
Tra le carte di mio zio Amos ci sono molti nomi spaventosi, scritti con la sua grafia illeggibile: il Grande Cthulhu, il Lago di Hali, Tsathoggua, Yog-Sototh, Nyarlathotep, Azathoth, Hastur l'Indicibile, Yuggoth, Aldones, Thale, Aldebaran, le Iadi, Carcosa e altri. E leggendo le note, che mi sono comprensibili, è possibile dividere alcuni di questi nomi in classi. Molte note rappresentano un mistero insolubile, che per ora non spero di risolvere, e molte sono scritti in una lingua che non conosco, accompagnata da simboli spaventosi ed enigmatici. Ma da ciò che ho appreso, è possibile capire che il grande Cthulhu è uno degli Esseri d'Acqua mentre Hastur è uno degli Esseri che cammina tra gli spazi astrali. Ed è possibile intuire da vaghi accenni, contenuti in questi libri proibiti, dove siano alcuni di questi esseri. Perciò ritengo che in questa metodologia, il Grande Cthulhu sia stato esiliato in un luogo che si trova negli abissi marini della Terra, mentre Hastur sia stato lanciato negli spazi esterni, in "quel luogo dove ci sono le stelle nere". Questo luogo è Aldebaran nelle Iadi, che è il luogo citato da Chambers, anche se egli ripete il "Carcosa" di Bierce. [...]
Il brano che abbiamo appena letto è noto come “Teoria Elementale dei Grandi Antichi”, che ai tempi della sua pubblicazione suscitò una veemente controversia. Secondo Derleth, quindi, ogni Grande Antico era in qualche modo legato o rappresentava uno degli elementi classici di Terra, Aria, Fuoco e Acqua. Nel suo schema, Cthulhu divenne una divinità dell'acqua, a causa della sua associazione con le profondità dell'oceano, e Hastur una divinità dell'aria, attraverso la sua associazione con le stelle. 
Molti, tra scrittori e lettori, ai tempi attaccarono la teoria sulla base del fatto che Cthulhu fosse intrappolato sott'acqua, particolare che escluderebbe quindi un qualsiasi controllo diretto sull'elemento. Di contro, altri risposero che il suo intrappolamento avrebbe dovuto essere attribuito alle stelle e non all'acqua che, in quest’ottica, era invece da interpretarsi come elemento-rifugio. È perfettamente legittimo che i lettori sostengano o respingano la teoria elementale, ma, fuor di dubbio, essa venne utilizzata dall’autore principalmente per giustificare la sua definizione di Cthulhu e Hastur come nemici (e che, infatti, nell’epilogo del racconto metteranno in scena una battaglia epica). 

Personalmente ho apprezzato il racconto giusto per il fatto che, nel bene e nel male, trasuda di tutti i caratteri distintivi di quella fan-fiction che, in fin dei conti, sono l’ossatura di questa serie di articoli sugli Yellow Mythos. Detto questo, August Derleth non si spinge molto più in là del citare per la milionesima volta, come in una lista della spesa, tutti i luoghi classici dell’apparato lovecraftiano, da Arkham a Innsmouth alla Miskatonic University, e tutti i malvagi testi annessi quali il De Vermis Mysteriis, i Cultes des Ghoules, gli Unassprechlichen Kulten, il Libro di Eibon, i Manoscritti Pnakotici, il Testo R'lyeh e l’immancabile Necronomicon di Abdul Alhazred. In pratica la ricetta di Derleth prevedeva di mescolare tra loro tutti gli ingredienti cari ai lettori di Lovecraft, insaporendo il tutto con il mito cristiano dell'espulsione di Satana e dei suoi servi dal Cielo. 

Il difetto è forse proprio in quel voler assegnare agli orrori cosmici lovecraftiani (ma anche chambersiani e bierciani) degli aspetti elementali, e quindi terreni, che non fanno altro che indebolirne i temi (*). Tali esseri, per quanto mi riguarda, non dovrebbero palesarsi come kaijū giapponesi, bensì dovrebbero rimanere inconoscibili e portatori di insanità mentale; non possono essere né buoni né cattivi e questo solo per il semplice fatto che non possono essere compresi. Non di meno, secondo il canone, essi provengono da luoghi dove gli elementi terreni potrebbero anche non esistere.

(*) È stato spesso scritto che gli orrori di Lovecraft erano, in una certa misura, una metafora del rapido progresso della scienza e della tecnologia nel periodo relativamente breve durante il quale egli visse e scrisse.



2 commenti:

  1. Potrei averlo letto.
    Quando approcciai la letteratura di H.P. feci un errore madornale, ingannato dal titolo comprai una raccolta di racconti in una libreria dell'usato, salvo poi scoprire che erano stati scritti tutti quanti da Derleth.
    Mi pare si chiamasse La lampada di Alhazred.
    Devo ammettere che fu anche una discreta lettura, anche se le sue storie erano molto più semplicistiche e lineari di quelle di Lovecraft.

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    1. Quel furbacchione di Derleth firmava i suoi libri con il proprio nome preceduto da quello di Lovecraft. In pratica sosteneva che fossero il frutto di una "collaborazione" tra i due autori, nonostante fosse ovvio che un HPL morto non avrebbe potuto collaborare proprio con nessuno. Sarebbe stato decisamente più onesto se si fosse limitato a dire di essersi ispirato al ciclo di Cthulhu ma, si sa, ai suoi tempi nessuno faceva più di tanto caso a certe "sottigliezze".

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